fallo
Il senso più generico della parola è offerto da Cv I II 11, ove di f. si parla come dell'opposto di opere virtuose, di dignitadi virtuosamente acquistate, e si rivela dunque come equivalente a " difetto " sul piano morale; e " difetto ", " imperfezione " anche su un piano più generale, significa in Pd XXIX 23, ove l'esser che non avia fallo, assegnato da Dio agli angeli motori dei cieli pel fatto stesso di averli direttamente creati, è riconosciuto anche dalla ragione umana, la quale si rifiuterebbe di credere che essi sanza sua perfezion fosser cotanto (v. 45).
Più propriamente " colpa ", " peccato " è il senso che il termine ha in Cv IV XXV 9, ove il plurale falli è esemplificato con disoneste cose e dimande, disoneste cupiditati, male tentazioni, laide parole. Tale accezione è la più diffusa: cfr. VIII 15, XIX 10, XXV 4 e 10 (tre volte); colpevole sarebbe anche l'atteggiamrnto di D. se, disobbedendo all'angelo guardiano del Purgatorio, novello Orfeo, si volgesse indietro al rumore della porta che si chiude alle sue spalle (Pg X 6) e anche, d'altro lato, se non agisse secondo il suo arbitrio ormai libero, dritto e sano dopo che Virgilio l'ha guidato a raggiungere i limiti di quel che ‛ ragion vede ' (XXVII 141; e cfr. XVIII 46). Rientrano in questa accezione di " colpa ", più o meno grave, anche i passi di Pd VI 98, Pg III 9, Pd XVI 15 il primo fallo scritto di Ginevra, e XXV 105 surge e va ed entra in ballo / vergine lieta, sol per fare onore / a la novizia, e non per alcun fallo, " amore luxuriae vel vano ", Benvenuto (e come " vanità " l'espressione è comunemente intesa; il Buti intende: " e non per fallo e colpa di lentezza, che sia in lei "); e ancora Rime LI 2 (per cui cfr. anche fallire), Fiore XII 12.
Ben più rilevato, tanto da equivalere a " delitto ", è il senso che la parola mostra in Cv IV XXV 10, ove si parla dei falli d'Edippo, uccisore del proprio padre e marito della propria madre, anche se inconsapevolmente; consapevole, anzi preordinato (" sicut praeordinatum erat ", Benvenuto) fu il f. che avrebbe commesso Malatestino da Rimini facendo annegare Guido del Cassero e Angiolello da Carignano: delitto così efferato che tra l'isola di Cipri e di Maiolica / non vide mai sì gran fallo Nettuno, / non da pirate, non da gente argolica (If XXVIII 83); consapevole uccisore di Uria e adultero con Betsabea fu David, il cantor che per doglia / del fallo disse ‛ Miserere mei ' (Pd XXXII 12). Ma, data la gravità della colpa dei falsari, puniti in uno dei più bassi cerchi dell'Inferno, f. rasenta lo stesso significato anche in If XXX 116, ove Sinone allude all'inganno del cavallo di Troia.
La locuzione di detto 326 guarda 'n fall' ito / non sia ciò ch' i' t'ho detto, ha invece il senso di " non giunto a compimento ", " andato a vuoto ", per cui cfr. FALLIGIONE; v. anche FAGLIA.
Bibl. - S. Aglianò, Restauro di Paradiso, XVI, 1-15, in " La Bibliofilia " LXIX (1967) II, p. 34 dell'estratto.