Vedi False comunicazioni sociali dell'anno: 2016 - 2017
False comunicazioni sociali
Le fattispecie di false comunicazioni sociali sono state integralmente riscritte dalla l. 27.5.2015, n. 69, con una netta inversione di tendenza rispetto all’intervento riformatore del 2002. La tutela penale dell’informazione societaria è ora affidata a una serie di disposizioni (artt. 2621, 2621 bis, 2621 ter, 2622 c.c.) che, nonostante talune incertezze del testo normativo, sembra idonea ad assicurare lo scopo perseguito, evitando (anche grazie a una lettura in chiave sistematica) il rischio di ineffettività delle stesse nelle ipotesi di falsità concernenti dati bilancistici di tipo valutativo.
SOMMARIO 1. La ricognizione 2. La focalizzazione 3. I profili problematici 3.1 Fatti oggetto di esposizione decettiva e valutazioni 3.2 I destinatari delle comunicazioni sociali alterate 3.3 Una conclusione (provvisoria) sul falso “valutativo”
La necessità di rimuovere gli effetti di «una controriforma [quella del 2002] che scalza quella che sul piano della teoria e della prassi era la pietra d’angolo del diritto penale societario, al punto da mettere in forse la stabilità dell’intero edificio»1, ha portato tramite la l. n. 69/2015 all’integrale riformulazione delle fattispecie di false comunicazioni sociali (previste ora dagli artt. 2621, 2621 bis e 2622 c.c.) con un radicale mutamento rispetto alla previgente disciplina, nonché alla previsione all’art. 2621 ter di una causa di non punibilità collegata alla speciale tenuità del fatto2.
Spicca fra i mutamenti rispetto alla disciplina immediatamente previgente la restituzione della fattispecie al novero dei reati di pericolo (concreto), che da un lato elimina la torsione a reato di danno, cui la stessa era stata sottoposta nel previgente art. 2622 c.c. e, dall’altro, fa svanire il simulacro d’incriminazione (contravvenzionale) in precedenza rappresentato dall’art. 2621 c.c. (che, pur non contemplando l’estremo del danno, riduceva – anche per l’esiguità della pena – il reato a bagatella ineffettuale e ineffettiva3).
Rimossa anche l’apparecchiatura delle soglie quantitative di rilevanza penale del fatto, alla quale fa da contrappunto il risorgere del cd. falso qualitativo, non meno insidioso rispetto al bene oggetto di tutela di quello quantitativo, fermo restando che il requisito essenziale della necessaria rilevanza della falsa comunicazione proscritta è assicurato – fra l’altro – dall’estremo che ne esige l’idoneità ingannatoria4.
Ai due profili di novità ora accennati fanno da sfondo, per un verso, la ripristinata presa d’atto che la falsa comunicazione sociale integra «l’aggressione di un fascio d’interessi corposi, ancorché diffusi»5 e, per altro, che ad essere oggetto di tutela – indispensabile proprio nella prospettiva di un’economia capitalistica votata al mercato e all’impresa – è «il bene giuridico dell’informazione societaria, nei suoi parametri di veridicità e compiutezza, radicato in ultima analisi nel “risparmio” dell’art. 47 Cost.»6.
Il trattamento punitivo – differenziato secondo un criterio plausibilmente razionale – assume ora livelli coerenti con le esigenze di tutela (anche se alla determinazione del massimo edittale per la fattispecie più grave non sembra estranea la considerazione della disciplina della prescrizione, sicuramente eccentrica al cospetto delle valutazioni che dovrebbero presiedere in linea teorica alla dosimetria della pena).
La procedibilità a querela, che nella previgente versione segnava in modo vistoso la figura dell’art. 2622 c.c., connotandola pesantemente sul versante dell’effettività, tanto sanzionatoria quanto generalpreventiva7, è ora limitata alle sole ipotesi delle comunicazioni sociali di società “non fallibili” ex art. 1, co. 2, R.d. 16.3.1942, n. 267. Il permanere di un tale regime di procedibilità lascia perplessi, anche se all’atto pratico esso rimane circoscritto a situazioni marginali, mentre in precedenza costituiva invece la regola (con l’eccezione delle ipotesi concernenti le società quotate).
Da ascrivere ancora fra le componenti senza dubbio “migliorative” l’eliminazione della clausola che denotava l’elemento psicologico nel senso dell’intenzionalità8, mentre l’inserzione dell’avverbio «consapevolmente» pare destinata a imporre un vaglio rigoroso delle situazioni riconducibili al dolo eventuale9.
L’attuale assetto normativo si sostanzia in tre distinte fattispecie d’incriminazione, le prime due descritte dagli artt. 2621 e 2622 c.c., fra loro diversificate per la tipologia delle società (non quotate, ovvero quotate e assimilate) dalle quali promanano le comunicazioni sociali. Alla maggiore offensività derivante dalla più ampia diffusività del pericolo coessenziale alle comunicazioni di società quotate e assimilate corrisponde un più severo trattamento sanzionatorio rispetto a quello previsto per l’ipotesi concernente le non quotate, mentre la descrizione della condotta punibile è sostanzialmente identica nelle due figure d’incriminazione.
La terza figura incriminatrice è dettata dall’art. 2621 bis c.c.: pur contemplando anch’essa la medesima condotta tipica, l’ancor più mite reazione punitiva trova motivo nella “lieve entità del fatto” affidata all’apprezzamento del giudice (primo comma) ovvero (secondo comma) in una presunzione di scarsa offensività normativamente collegata alle ridotte dimensioni della società, parametro che la disposizione determina tassativamente richiamando i limiti al di sotto dei quali l’impresa non può essere dichiarata fallita. Limitatamente alla previsione del secondo comma dell’art. 2621 bis c.c. il legislatore ha previsto la procedibilità a querela (da parte – alternativamente – della società, dei soci, dei creditori o degli altri destinatari della comunicazione sociale).
Le nuove incriminazioni mantengono inalterata la struttura di reati propri, nei quali la soggettività qualificata è identificata nelle figure “classiche” di coloro che, rivestendo ruoli peculiari nella compagine sociale, assumono una specifica posizione di garanzia rispetto al bene tutelato. Ripetendo l’elencazione previgente, nel catalogo dell’art. 2621 c.c. (e, per rinvio, anche dell’art. 2621 bis c.c.) è rimasto il richiamo ai «dirigenti preposti alla redazione dei documenti contabili societari», del tutto eccentrico, posto che tale figura è prevista soltanto per le società quotate. L’intervento riformatore avrebbe inoltre potuto costituire occasione per adeguare l’elencazione dei soggetti, affiancando a quelle tradizionali anche le denominazioni soggettive proprie degli altri sistemi di governance.
L’art. 2621 ter c.c. contempla infine una causa di non punibilità: più esattamente, la disposizione in discorso detta il criterio per l’applicazione della causa di non punibilità prevista in via generale dall’art. 131 bis c.p. ai reati di cui agli artt. 2621 e 2621 bis c.c. (escluso quello previsto dall’art. 2622 c.c. perché il massimo edittale supera il limite stabilito dal citato art. 131 bis c.p.). Rispetto ai parametri fissati dalla norma del codice penale, l’apprezzamento della «particolare tenuità del fatto» dovrà tener conto «in modo prevalente» dell’estremo della entità del danno eventualmente cagionato alla società, ai soci o ai creditori (opzione per vero non particolarmente perspicua, posta la natura di reati di pericolo delle nuove fattispecie).
Il legislatore si è occupato in via esclusiva dello specifico ambito delle comunicazioni sociali, senza apportare modifiche alle rimanenti previsioni penal-societarie: l’intervento si presenta come una radicale riscrittura delle disposizioni, che, pur recuperando stilemi tradizionali (per lo più risalenti alla versione dell’art. 2621 c.c. in vigore anteriormente alla controriforma del 2002), presenta gli accennati contenuti innovativi.
Confrontate le incriminazioni attuali con quelle immediatamente previgenti, non v’è dubbio che le strutture normative si presentino affatto diverse: a tacer d’altro le vecchie fattispecie contemplavano (con l’eccezione dell’art. 2621 c.c.) reati con evento di danno, mentre quelle nuove costituiscono reati di pericolo concreto e la sparizione delle soglie quantitative permette la configurabilità del cd. falso qualitativo.
In quest’ottica non può certo parlarsi di consequenzialità nelle scelte del legislatore, evidente essendo la frattura netta in alcuni degli snodi essenziali della disciplina, frattura manifesta non soltanto sul piano formale (si è in presenza di una riscrittura delle disposizioni e non di mere modifiche o soppressioni nel testo previgente), ma anche sul piano dei contenuti.
Sul versante applicativo tale soluzione di continuità non è tuttavia destinata a creare problemi: il nucleo profondo delle fattispecie si condensa infatti intorno alla comunicazione non decettiva (inidonea a trarre in inganno il destinatario) in ordine alle condizioni economiche, patrimoniali e finanziarie della società. Questo era il cuore di tenebra delle false comunicazioni sociali ante contro-riforma del 2002, tale è rimasto anche nei circa tredici anni di vigenza della ricordata modifica normativa (seppur sfigurato dall’estremo del danno e snervato dalla previsione delle soglie quantitative di rilevanza), tale è nei nuovi artt. 2621, 2621 bis e 2622 c.c.
La tutela – doverosa in quanto irrinunciabile – dell’informazione societaria non può non procedere dalla comminatoria penale per condotte di comunicazione ingannatoria idonee a fornire una rappresentazione alterata della situazione della società. Questo essendo il tratto portante della protezione che deve essere necessariamente apprestata, ne segue che il veicolo della comunicazione decettiva è per implicazione logica rappresentato dai «bilanci», dalle «relazioni» o dalle «altre comunicazioni sociali», secondo una terminologia che diviene tradizionale in quanto necessitata.
Poiché questo è “lo stato delle cose”, non sembrano porsi soverchi problemi sul piano della successione di leggi nel tempo, posto che a fatti pregressi continuerà ad applicarsi la previgente (più favorevole) disciplina, non essendo in questa prospettiva dubitabile la continuità normativa tra una condotta tipica perché produttiva di un danno e la medesima condotta quando quest’ultima integri la fattispecie in quanto la sua concreta pericolosità possa essere foriera (anche) di un danno del genere di quello costitutivo dell’elemento tipico della previgente incriminazione. E d’altronde una fattispecie incardinata sul danno derivante dalla condotta tipica sconta necessariamente che, prima del verificarsi del danno, la condotta stessa abbia dato luogo al pericolo suggestivo dell’evento avverso (il danno) poi effettivamente occorso.
Conseguentemente alla natura radicalmente innovativa del nuovo assetto normativo, meritano d’essere segnalati gli snodi problematici in questa prospettiva maggiormente rilevanti.
La perplessità segnalata in dottrina10 in ordine al rilievo della variazione apportata nella fase terminale del processo formativo delle nuove fattispecie (l’originariamente previsto termine «informazioni» è stato maldestramente sostituito con il sintagma «fatti materiali»), ripresa dalla prima pronunzia in materia della Corte di cassazione11 con toni assertivi, ha dato luogo a un vivace dibattito in dottrina e al fronteggiarsi di decisioni con soluzioni contrapposte all’interno della stessa quinta sezione della Corte di cassazione.
La questione è stata risolta dal responso inequivoco delle Sezioni Unite del Giudice della legge, affermando che «sussiste il delitto di false comunicazioni sociali, con riguardo alla esposizione o alla omissione di fatti oggetto di ‘valutazione’, se, in presenza di criteri di valutazione normativamente fissati o di criteri tecnici generalmente accettati, l’agente da tale criteri si discosti consapevolmente e senza darne adeguata informazione giustificativa, in modo concretamente idoneo ad indurre in errore i destinatari della comunicazione»12.
All’interpretazione sistematica il Giudice della legge correttamente s’affida, poiché questo canone ermeneutico presenta il maggior grado di attendibilità, in quanto assicura una lettura razionale del dato normativo all’interno del sistema nel quale è inserita. La Corte stessa avverte che il canone letterale non può essere trascurato, rappresentando il limite esegetico dell’interpretazione in materia penale, fermo restando tuttavia che «l’interpretazione letterale altro non è che un (indispensabile) “passaggio” funzionale»13.
Il bilancio e la nota integrativa consistono in un linguaggio convenzionale (i criteri legali e tecnici), sicché l’interpretazione dei termini che a tale linguaggio accedono è doverosamente vincolata all’ambito di riferimento, esigendo proprio il rispetto della legalità dell’interpretazione che la lettura dei singoli sintagmi avvenga attribuendo ad essi il valore semantico corretto rispetto al contesto nel quale vengono adoperati.
Il concetto appena richiamato è espresso dalle Sezioni Unite: «evidente la fallacia della opzione ermeneutica che intende contrapporre “i fatti materiali”, da esporsi in bilancio, alle valutazioni, che pure nel bilancio compaiono; e ciò per l’ottima ragione che un bilancio non contiene fatti, ma “il racconto” di tali fatti. Vale a dire: un fatto, per quanto “materiale”, deve comunque, per trovare collocazione in un bilancio, essere raccontato in unità monetarie e, dunque, valutato (o, se si vuole, apprezzato)»14.
La fattispecie delle false comunicazioni sociali si articola in una condotta consistente nella trasmissione ai destinatari di un’informazione sulla situazione economica, patrimoniale o finanziaria della società idonea in concreto a indurre in errore su tale situazione. Coerentemente alla nozione stessa di errore sulla situazione in discorso (creare nel destinatario una fuorviante rappresentazione circa la situazione predetta), è necessario che la difformità dal vero della comunicazione (anche per reticenza) sia comunque caratterizzata da una nota dimensionale (quali-quantitativa) tale da determinare nel bagaglio conoscitivo del destinatario una alterata rappresentazione circa la situazione della società.
Rischiando l’equivoco sul piano linguistico, ben si potrebbe dire che soltanto una siffatta comunicazione sociale ha rilevanza (id est: è significativa, ovvero tipica). In corrispondenza speculare, uno scostamento di entità minima non sarebbe idoneo a trarre in inganno e, per ciò solo, non sarebbe tipico: in piena coerenza con la struttura di reato di pericolo in concreto, come peraltro riconosce esplicitamente la decisione delle Sezioni Unite, che all’equivoco (ma solo sul versante linguistico e non concettuale) si espone però affermando «essa [la rilevanza ] … deve riguardare dati informativi essenziali, idonei a ingannare e a determinare scelte potenzialmente pregiudizievoli per i destinatari»15.
Posto che una necessaria consistenza dimensionale (in senso quali-quantitativo) «connota la falsità di cui agli artt. 2621, 2621-bis e 2622 cod.civ.», tale estremo costituisce la condizione di sussistenza del requisito tipico della idoneità a indurre in errore. Diversamente ragionando si rischierebbe di confondere l’idoneità decettiva con la rilevanza (intesa come espressione di un grado maggiore o minore di scostamento dal vero). L’aggettivo “rilevanti” attiene al solo mezzo, non anche alla sua capacità di indurre in errore (tanto che si potrebbe senza sforzo immaginare un falso rilevantissimo e, proprio per questo, inidoneo a ingannare)16.
La funzione dell’aggettivo «rilevanti» segnala allora un grado maggiore dello scostamento dal vero ed è quindi chiamato a selezionare le condotte punibili sul piano della tipicità: ferma restando la necessaria idoneità decettiva in concreto (che dovrà quindi essere accertata dal giudice apprezzandone la portata dimensionale), nell’ipotesi della esposizione di fatti materiali di cui all’art. 2622 c.c. non occorrerà procedere a una valutazione ulteriore per stabilirne una maggiore entità, richiesta invece nell’ipotesi della comunicazione falsa per reticenza dall’art. 2622 c.c., ovvero per entrambe le ipotesi dell’art. 2621 c.c.
Né sembra che il dictum delle Sezioni Unite possa essere diversamente inteso, posto che, avendo la Corte ripetutamente ed esplicitamente riconosciuto la natura di reato di pericolo concreto alle fattispecie in esame e avendo altresì ribadito che l’idoneità decettiva – da accertare in concreto – connota tutte le fattispecie di false comunicazioni sociali, è implicazione inevitabile che la «rilevanza», che nell’art. 2622 c.c. sfugge (limitatamente alla esposizione di fatti difformi dal vero) all’accertamento in concreto, si riferisce al maggior grado di scostamento dal vero, invece preteso dalle altre modalità della condotta tipica contemplate dallo stesso art. 2622 c.c. e dall’art. 2621 c.c.
La valorizzazione dell’attitudine decettiva nella prospettiva dell’offensività implica una riflessione in ordine al “destinatario” della comunicazione, posto che si tratta di «una valutazione sicuramente non banale, che peraltro rischia di sconfinare nel più totale arbitrio … se non parametrata a un qualche attributo (possibilmente preciso) riferibile, per l’appunto, al destinatario (attuale o potenziale) del bilancio di esercizio»17.
I destinatari della comunicazione sociale costituiscono un universo tipologicamente variegato e portatore d’interessi funzionali alla “categoria” d’appartenenza, secondo una classificazione ben individuata dalla più autorevole delle dottrine: soci, creditori sociali, soggetti legati alla società da rapporti contrattuali, infine i terzi quali potenziali soci, creditori e contraenti18.
La polarizzazione intorno alla componente decettiva porta in primo piano la circostanza che il comportamento punibile (l’esposizione di dati falsi anche per reticenza) deve consistere nella comunicazione di un compendio informativo tale da generare nel destinatario una rappresentazione difforme in misura idonea a cagionare un errore sull’apprezzamento che il destinatario stesso si forma in ordine alla situazione economica, patrimoniale e finanziaria della società.
Dietro il lemma “destinatario” stanno le cennate differenti categorie: «poiché le aspettative di tali categorie sono lungi dal coincidere, la disinformazione si caratterizza per un’incidenza offensiva molteplice e variabile a seconda delle situazioni»19.Ne segue la necessità di rapportare l’idoneità decettiva non già alla posizione del destinatario come singolo: sviluppando la riflessione, si è concluso «nel senso di riconoscere la predetta alterazione ogniqualvolta la rappresentazione fornita sia in grado di inquinare le scelte dei destinatari, complessivamente intesi, con la conseguenza di una maggiore corposità dell’alterazione, giacché dev’essere potenzialmente causale per una platea indistinta di destinatari»20.
Concentrare l’attenzione sul destinatario impone di sciogliere due nodi interpretativi non semplici: definire chi sia il destinatario e come apprezzare il coefficiente di influsso della comunicazione falsa.
Pur con le cautele dovute, qualche riferimento utile potrebbe trarsi dalla nozione di «investitore ragionevole» richiamata dall’art. 181, co. 4, d.lgs 24.2.1998, n. 58, cui rimanda anche la decisione delle Sezioni Unite21.
Una simile impostazione potrebbe indurre a ricercare la figura del “destinatario modello”, ma le differenziate tipologie dei destinatari (e i correlativi diversi interessi22) sconsigliano tale approccio23.
Il tipo dell’agente-modello tende infatti a identificare un soggetto che dispone delle conoscenze e delle abilità necessarie per lo svolgimento di una certa attività (quella in concreto posta in essere dall’agente). Ma ciò vale nella prospettiva di tutela di beni che la condotta dell’agente ha offeso.
Speculare e inverso il caso in questione, dove il corrispondente concreto dell’agente-modello (il destinatario-modello) non è il soggetto la cui condotta ha offeso il bene giuridico, bensì colui che fa parte della schiera di soggetti ai quali la comunicazione sociale si rivolge e alla protezione dei quali è preordinata la tutela.
Sicché per falso idoneo a indurre in errore si può non azzardatamente intendere quella informazione che un qualunque destinatario avrebbe interesse a conoscere nella dimensione corretta e completa, fermo restando che dovrà trattarsi di «un lettore esperto» che dispone del «bagaglio di conoscenze strettamente necessario per la lettura efficace del bilancio e per la comprensione delle norme di riferimento, giuridiche e tecniche»24.
Direttamente incidente sul tema della tipizzazione della fattispecie è il profilo concernente i criteri per l’apprezzamento del cd. falso valutativo.
Ormai non è più dubitabile che la falsità possa essere predicata anche rispetto a valutazioni (e non soltanto con riguardo a enunciati descrittivi): se a tale approdo logica ed epistemologia sono da tempo giunte, anche l’elaborazione dottrinaria e giurisprudenziale non nutre perplessità25. Con la conseguente implicazione che «in qualche misura “convenzionale” è sempre qualsiasi affermazione di “verità” (da quella che fonda le decisioni giurisdizionali, a quella delle stesse leggi scientifiche)»26.
Detto che tali parametri non possono che essere esterni all’enunciato, è la (pre)determinazione di tali parametri a svolgere funzione essenziale per formulare in termini razionali (id est: controllabili e verificabili) il giudizio di verità/falsità dell’enunciato informativo.
Nel territorio del diritto positivo e, più precisamente, in quello regionale del diritto penale l’individuazione di tali regole ha un ulteriore e cruciale ruolo, dovendo assicurare l’osservanza doverosa del canone della tipicità.
A questo profilo se ne affianca un altro, relativo al contenuto delle regole di riferimento, contenuto la cui rigidità non è tale da permettere un giudizio di vero/falso secondo lo schema di una logica binaria: ma sul punto la riflessione più avvertita è giunta alla conclusione che il bilancio può dirsi vero «se si colloca all’interno di una fascia di valori tutti ugualmente attendibili, che derivano da una coerente utilizzazione dei criteri di valutazione dichiarati. Vi è, quindi, una banda di oscillazione entro la quale si può ritenere “vera” una certa posta di bilancio, così come essa è rappresentata»27.
Né muta il senso della riflessione ora citata il rilievo che «le scienze contabilistiche appartengono senz’altro al novero delle scienze a ridotto margine di opinabilità»28: preme sottolineare come il giudizio di verità/falsità (della comunicazione sociale complessivamente intesa) dipenda dall’interazione funzionale di due distinti fattori, inscindibilmente connessi. Da un lato l’impiego di criteri necessariamente dichiarati e comunque (eccezion fatta per quelli direttamente desumibili da norme giuridiche) compresi fra quelli generalmente accettati, dall’altro l’utilizzazione di tali criteri in modo coerente, rispettando cioè i procedimenti applicativi propri dei criteri volta a volta adottati.
La coerente applicazione di regole tecniche esplicitamente dichiarate, permettendo la verifica e il controllo razionali, limita, fin quasi ad escluderle, le componenti discrezionali di natura soggettiva. La «coerente utilizzazione dei criteri di valutazione dichiarati»29 determina un grado di “certezza” (bensì convenzionale, ma comunque sempre controllabile) sicché «la redazione del bilancio è certamente attività sindacabile anche con riferimento al suo momento valutativo; e ciò appunto in quanto tali valutazioni non sono “libere”, ma vincolate normativamente e/o tecnicamente»30.
La scelta dei parametri presenta un problema ulteriore (per quanto concerne quelli di fonte legale il problema non si pone, in quanto autoritativamente imposti): la selezione dei criteri tecnici è “libera” da parte degli amministratori, oppure, essendo anch’essa vincolata, è suscettibile di apprezzamento in sede penale nella prospettiva della “falsità” della comunicazione sociale31? Forzando ben oltre i suoi limiti la corretta (e più affidabile) impostazione imperniata sulla mancata corrispondenza rispetto ai criteri enunciati come canone per la valutazione della falsità del bilancio, si potrebbe giungere ad affermare che la dichiarata (e coerente) applicazione di un criterio tecnico non riconosciuto ovvero non accettato pone la comunicazione sociale per tal modo redatta nel porto sicuro della estraneità al rimprovero penale.
Questione meno teorica di quanto non appaia a prima vista, essa determina lo spostamento del centro d’attenzione sulla formula «criteri tecnici generalmente accettati». Al di là del riconoscimento/accettazione intesi come cristallizzazione di regole tecniche da parte di organismi terzi indipendenti dotati di specifica competenza nel settore32, può certo parlarsi di un riconoscimento di un criterio contabile da parte di un ambito tecnicoscientifico, anche se non accolto fra quelli «generalmente accettati».
Il presente problema è apparentato con quello che impone al giudice di “scegliere” fra distinte leggi scientifiche di copertura della ricostruzione eziologica ovvero a ritenere applicabili (e quindi parametro per il giudizio di conformità della condotta al canone della diligenza dovuta) regole tecniche fra loro diverse.
Se la matrice concettuale è la medesima, nel distretto delle false comunicazioni sociali alcune decisive peculiarità devono essere segnalate.
Sta in primo luogo la non controvertibile diversa funzione cui sono chiamati tali criteri: coerentemente con l’indubitabile scopo informativo/comunicativo del bilancio, sono proprio tali criteri (ed essi soltanto) a permettere ai destinatari della comunicazione sociale di valutare la situazione economica, patrimoniale e finanziaria della società, di compiere quindi quella «“valutazione su di una valutazione” [che] non sarebbe possibile (ovvero sarebbe completamente aleatoria) se non esistessero criteri – obbligatori e/o largamente condivisi – per eseguire tale operazione intellettuale»33.
Viene poi in considerazione il tema della “controllabilità” della scelta del criterio contabile (anch’essa riducibile a una «“valutazione su di una valutazione”») da parte del giudice, profilo rispetto al quale i parametri non possono essere quelli della logica del caso per caso.
Discende immediatamente dall’aspetto sopra notato il rilievo che la scelta è a sua volta in qualche misura vincolata, nel senso che, oltre a trovare giustificazione soltanto in casi eccezionali (cfr. art. 2423, co. 4, c.c.) e a dover essere adeguatamente motivata nella nota integrativa (cfr. art. 2427 c.c.), essa deve altresì essere rivolta a criteri che, dovendo comunque «rappresentare in modo veritiero e corretto la situazione patrimoniale e finanziaria della società e il risultato economico di esercizio» (art. 2423, co. 2, c.c.), non possono in alcun modo determinare risultati che fuoriescano dalla «banda di oscillazione» fissata dall’impiego dei criteri legali ovvero da quelli generalmente accettati.
Ma l’accettazione (o il riconoscimento) per dirsi generale sconta la dimostrazione (ove non si tratti, ad esempio, degli IAS/IFRS) che una consistente e accreditata componente della comunità tecnicoscientifica condivide il diverso criterio eventualmente seguito nella redazione del bilancio, dimostrazione che dovrà trovare ampia e argomentata spiegazione nella nota integrativa.
Questo condivisibile canone sembra accolto dalle Sezioni Unite, che proprio nella enunciazione del principio di diritto fanno esplicito riferimento al concetto di generale accettazione dei criteri diversi da quelli «normativamente fissati», ammonendo altresì che l’eventuale scostamento deve trovare «adeguata informazione giustificativa».
Le cadenze argomentative della decisione – valorizzando l’estremo dello scostamento dai principi contabili (normativamente fissati ovvero generalmente accettati) – sembrano34 indurre a una sorta di rivisitazione della teoria del cd. vero legale, per la quale, come correttamente ricordato, «la falsità coinciderebbe con il discostamento dai criteri civilistici che presiedono alla redazione del bilancio e alla stima delle singole voci che lo compongono»35.
A ben vedere così non è: oltre alle pienamente condivisibili osservazioni che, principiando con il richiamo alla circostanza che «il mendacio valutativo … per definizione non risiede esclusivamente nei dati numerici espressi nello stato patrimoniale o nel conto economico», concludono che il fatto penalmente tipico sussiste quando «secondo il rigoroso standard dell’oltre ogni ragionevole dubbio … quel determinato disallineamento dei valori di bilancio – considerato nel suo complesso – sia stato, in primo luogo, significativo e abbia altresì raggiunto quella soglia di concreta idoneità decettiva, riferita alle condizioni economiche, patrimoniali o finanziarie della società, richiesta da tutte le fattispecie di false comunicazioni sociali»36.
Nel fissare i parametri di valutazione, l’impegno correttamente profuso dalle Sezioni Unite non conduce alla sovrapposizione delle nozioni di falsità penalmente tipica e scostamento dai criteri civilistici: l’argomentazione è piuttosto indirizzata a fissare i limiti concettuali di uno degli estremi del tipo punibile (la difformità dal vero, anche per reticenza), posto che non sarebbe in alcun modo congetturabile una falsa comunicazione sociale riconducibile allo schema legale se non in presenza di uno scostamento dai criteri valutativi normativamente fissati, ovvero generalmente accettati. Ma nel contempo – e corrispondentemente – altrettanto atipica sul versante penale sarebbe una comunicazione sociale che, pur discostandosi da quei criteri, non fosse altresì connotata sul versante della concreta idoneità decettiva, che costituisce l’altro estremo costitutivo della fattispecie, integrato – secondo le inequivoche parole del Giudice della legge – dalla «idoneità degli artifici e raggiri contenuti nel … documento contabile [, dovendo] il falso … essere tale da alterare in maniera apprezzabile il quadro d’insieme … e avere la capacità d’influire sulle determinazioni dei soci, dei creditori o del pubblico»37.
Note
1 Pedrazzi, C., In memoria del “falso in bilancio”, in Riv. soc., 2001, 1371, adesso in Id., Diritto penale, III, Scritti di diritto penale dell’economia, Milano, 2003, 844 (d’ora in avanti da qui le citazioni).
2 Alessandri, A., Le incerte novità del falso in bilancio, in Riv. it. dir. proc. pen., 2016, 11 ss.; Benussi, C., I nuovi delitti di false comunicazioni sociali e la rilevanza penale delle false valutazioni, in www.penalecontemporaneo.it, 15.7.2016; Bricchetti, R.Pistorelli, L., La lenta “scomparsa” del diritto penale societario italiano, in Guida dir., 2015, fasc. 26, 53; Id., Per le “non quotate” la tenuità del fatto salva dalla condanna, ivi, 64; Corbetta, S., Nuovo delitto di false comunicazioni sociali: la perdurante rilevanza del falso in bilancio valutativo, in Dir. pen. e processo, 2016, 154; D’Alessandro, F., La riforma delle false comunicazioni sociali al vaglio del Giudice di legittimità: davvero penalmente irrilevanti le valutazioni mendaci?, in Giur. it., 2015, 2208; Id., Valutazioni mendaci e false comunicazioni sociali: la Cassazione si ricrede, e fa bene!, in Dir. pen. e processo, 2016, 315; Id., Le false valutazioni al vaglio delle Sezioni Unite: la nomofilachia, la legalità e il dialogo interdisciplinare, in Cass. pen., 2016, 2790 ss.; Gambardella, M., Il “ritorno” del delitto di false comunicazioni sociali: tra fatti materiali rilevanti, fatti di lieve entità e fatti di particolare tenuità, in Cass. pen., 2015, 1749; Gualtieri, P., Le nuove false comunicazioni sociali: il punto di vista dell’economista aziendale, in www.penalecontemporaneo.it, 1.2.2016; Lanzi, A., (sub) artt. 2621, 2621-bis, 2621-ter, 2622 c.c., in Diritto penale dell’economia – Commentario, a cura di A. Lanzi, Roma, 2016, 3; Lanzi, M., Falsi valutativi, legislazione e formante giurisprudenziale: politica criminale a confronto con la crisi di legalità, in www.penalecontemporaneo.it, 4.3.2016; Lunghini, G., (sub) artt. 2621, 2621-bis, 2621-ter, 2622 c.c., in Codice penale commentato, diretto da E. Dolcini, G.L. Gatta, t. III, IV ed., Milano, 2015, p. 1825; Manes, V., La nuova disciplina delle false comunicazioni sociali (Commento agli artt. 2621 - 2621-bis – 2621-ter - 2622 c.c.), in Codice delle s.p.a., diretto da G.B. Portale e P. Abbadessa, Milano, 2016, 3501 ss.; Masullo, M.N., Falso in bilancio e valutazioni punibili? Altri e non meno rilevanti interrogativi, in www.penalecontemporaneo.it, 1.2.2016; Mazzacuva, N.Amati, E., Diritto penale dell’economia, III ed., Padova, 2016; Mezzetti, E., La ricomposizione disarticolata del falso in bilancio, in www.lalegislazionepenale.eu, 11.1.2016; Piva, D., Le Sezioni Unite sulle valutazioni: dai finti ai veri problemi delle nuove false comunicazioni sociali, in www.penalecontemporaneo.it, 27.6.2016; Pulitanò, D., Ermeneutiche alla prova. La questione del falso valutativo, in www.penalecontemporaneo.it, 4.7.2016; Rossi, A., Il falso valutativo nella sistematica delle false comunicazioni sociali: problemi e percorsi interpretativi, in Dir. pen. e processo, 2016, 229; Santoriello, C., Rilevanza penale degli enunciati valutativi mendaci nel nuovo reato di falso in bilancio, in Fisco, 2016, 6, 575; Seminara, S., La riforma delle false comunicazioni sociali, in Dir. pen. e processo, 2015, 813; Id. False comunicazioni sociali e false valutazioni in bilancio: il difficile esordio di una riforma, in Riv. it. dir. proc. pen., 2015, 1498; Scoletta, M., Tutela dell’informazione societaria e vincoli di legalità nei nuovi delitti di false comunicazioni sociali, in Società, 2015, 1304 s.; Id., Le parole sono importanti? Fatti materiali, false valutazioni di bilancio e limiti all’esegesi del giudice penale, in www.penalecontemporaneo.it, 2.3.2016; Strampelli, G., Sulla (persistente) rilevanza penale delle valutazioni di bilancio: appunti interdisciplinari, in www.penalecontemporaneo.it, 1.2.2016; Id., Le valutazioni di bilancio tra non veridicità (civile) e falsità (penale): spunti sulla punibilità dei falsi valutativi, in Riv. soc., 2016, 118; Superti Furga, F., Riflessioni sulla novella legislativa concernente il falso in bilancio in una prospettiva economico-aziendalistica, in Società, 2015, 1292; nonché, volendo, Mucciarelli, F., Le ‘nuove’ false comunicazioni sociali: note in ordine sparso, in www.penalecontemporaneo.it, 18.6.2015; Id., «Ancorché” superfluo, ancora un commento sparso sulle nuove false comunicazioni sociali, ivi, 2.7.2015; Id., Falso in bilancio e valutazioni: la legalità restaurata dalla Cassazione, ivi, 18.1.2016; Id., Oltre un discusso ‘’ancorché’’ le Sezioni Unite dalle Corte di cassazione e la legalità dell’interpretazione: qualche nota, ivi, 16.3.; Id., Le Sezioni Unite e le false comunicazioni sociali: tra legalità e ars interpretandi, in www.penalecontemporaneo.it, 13.7.2016.
3 In questo senso Pedrazzi, C., In memoria, cit., 844.
4 Cfr Pedrazzi, C., (voce) Società commerciali (disciplina penale), in Dig. pen., XIII, Torino, 1998, 347 ss., adesso in Id., Diritto penale, III, cit., 320; Alessandri, A., Diritto penale e attività economiche, Bologna, 2010, 281.
5 Pedrazzi, C., In memoria, cit., 844.
6 Pedrazzi, C., op. ult. cit., 845.
7 Ben severa era stata la critica di Pedrazzi, C., In memoria, cit., 846 a proposito del regime di procedibilità.
8 V. in questo senso Bricchetti, R.Pistorelli, L., Per le “non quotate”, cit.
9 Sul punto, volendo, v. Mucciarelli, F., Le “nuove” false comunicazioni sociali, cit.
10 Cfr Perini, A., I “fatti materiali non rispondenti al vero”: harakiri del futuribile “falso in bilancio”?, in www.penalecontemporaneo.it, 27.4.2015.
11 Si tratta di Cass. pen., sez. V, 30.7.2015, n. 33774, ric. Crespi.
12 Così Cass. pen., S.U., 27.5.2016, n. 22474, ric. Passarelli, 25.
13 Cass. pen., S.U., n. 22474/2016, 15.
14 Cass. pen., S.U., n. 22474/2016, 18 s.
15 Cass. pen., S.U., n. 22474/2016.
16 Nel senso qui contrastato v., invece, Piva, D., Le Sezioni Unite, cit.
17 D’Alessandro, F., Le false valutazioni, cit., 25.
18 Pedrazzi, C., (voce) Società commerciali, cit., 305.
19 Così Pedrazzi, C., op. loc. ult. cit.
20 Alessandri, A., Diritto penale, cit., 294 s. e riferimenti ivi citati.
21 Sul punto, v. Mucciarelli, F., (sub) Art. 184, in Il testo unico della finanza, a cura di M. Fratini e G. Gasparri, Torino, 2012, vol. III, 2335 s. Si vedano altresì D’Alessandro, F., Regolatori del mercato, enforcement e sistema penale, Torino, 2014, 124 s.; Consulich, F., La giustizia e il mercato. Miti e realtà di una tutela penale dell’investimento mobiliare, Milano, 2010, 238 s.
22 Cfr Pedrazzi, C., (voce) Società commerciali, cit., 304 s.
23 Cfr Alessandri, A., Diritto penale, cit., 291 ss.
24 Alessandri, A., op. ult. cit.
25 Cass. pen., sez. V, 12.1.2016, n. 890, ric. Giovagnoli, 14, per la quale «il significato di un qualsiasi enunciato dipende dall’uso che se ne fa nel contesto dell’enunciazione, sicché non è la sua struttura linguistica, bensì la sua destinazione comunicativa ad assegnare una possibile funzione informativa».
26 Cass. pen. n. 890/2016, 16 s.
27 In questi termini, Alessandri, A., Diritto penale, cit., 283.
28 Cass. pen., S.U., n. 22474/2016.
29 Riprendendo nuovamente l’icastica espressione di Alessandri, A., Diritto penale, cit., 283.
30 Cass. pen., S.U., n. 22474/2016.
31 Avverte del problema Strampelli, G., Le valutazioni di bilancio, cit.
32 Evidenziano le Sezioni Unite che i «criteri – obbligatori e/o largamente condivisi … sono imposti dal legislatore nazionale …, dalle direttive europee …, ovvero sono frutto della elaborazione dottrinale nelle materie di competenza»: così Cass. pen., S.U., n. 22474/2016, 17 s.
33 Cass. pen., S.U., n. 22474/2016, 17.
34 V. Strampelli, G., Le valutazioni di bilancio, cit.
35 D’Alessandro, F., Le false valutazioni, cit.
36 D’Alessandro, F., op. ult. cit.
37 Cass. pen., S.U., n. 22474/2016.