Fame
Plenus venter facile
de ieiuniis disputat
(San Girolamo)
Il programma alimentare mondiale delle Nazioni Unite
13 giugno
Il Vertice mondiale sull'alimentazione, tenutosi a Roma nella sede della FAO, si conclude con un rinnovato impegno a intensificare gli sforzi per dimezzare entro il 2015 il numero degli abitanti della Terra che soffrono la fame, attualmente stimato in 794 milioni. Ma in attesa che vengano finalmente messe in atto politiche efficaci idonee a ridurre il divario esistente fra i paesi ricchi e quelli in via di sviluppo, la sopravvivenza di intere popolazioni rimane affidata ai programmi di aiuti umanitari, in primis quelli condotti dalle agenzie ONU.
La storia di un programma 'provvisorio'
In un mondo che produce cibo a sufficienza per sfamare tutti i suoi abitanti, non è accettabile che quasi 800 milioni di persone non abbiano abbastanza da mangiare. Sulla base di questo semplice assunto nasce il WFP (World food programme), il Programma alimentare mondiale delle Nazioni Unite, agenzia leader per dimensioni e per risultati nella lotta alla fame nel mondo. Presente in 82 paesi, il WFP ha la sua sede centrale a Roma dal 1963 e impiega a tempo pieno 2567 persone, di cui 586 nel quartier generale di Roma e il resto sul campo. Nei suoi quasi quarant'anni di vita è divenuto sempre più autonomo, fino a costituire un punto di riferimento essenziale per chi si occupa delle politiche di contrasto alla fame e alla povertà. In ogni emergenza alimentare dove il paese colpito non sia in grado di far fronte da solo alle necessità, il WFP è chiamato a intervenire, spesso con estrema rapidità, facendo leva su un apparato logistico imponente, che gli consente di spostare grandi quantità di derrate alimentari in breve tempo, talvolta in condizioni ambientali molto difficili. Abituata a lavorare in emergenza, l'agenzia fa tuttavia particolare affidamento sulle strategie di prevenzione, che le consentono in molti casi di evitare gravi crisi alimentari, e sui programmi di sviluppo, che aiutano i paesi soggetti ad alti tassi di povertà e di analfabetismo a perseguire l'autosufficienza e a farsi trovare pronti ad affrontare le fasi di crisi.
L'esigenza di un'organizzazione multilaterale in grado di distribuire grandi quantità di aiuti alimentari destinati alle regioni del mondo con i più alti deficit di produzione agricola si avvertì a livello internazionale dopo la Seconda guerra mondiale. Terminata l'emergenza alimentare in Europa, superata la crisi economica negli USA, il mondo si trovò a dover gestire il fenomeno delle eccedenze di produzione nel settore agricolo, senza generare effetti catastrofici sul mercato. Il primo a intravedere una soluzione fu, nel settembre del 1960, il presidente statunitense Dwight Eisenhower. In un discorso davanti all'Assemblea generale al Palazzo di Vetro, Eisenhower ipotizzò "un meccanismo in grado di distribuire aiuti alimentari attraverso il sistema delle Nazioni Unite". Il mese successivo, l'Assemblea generale dell'ONU adottò una risoluzione che impegnava gli Stati membri a individuare le procedure necessarie per mettere le proprie eccedenze di produzione alimentare a disposizione dei paesi non autosufficienti. Nel giugno 1961, il capo della delegazione statunitense alla Conferenza della FAO, a Roma, propose la creazione di un programma multilaterale. Nacque così, nell'agosto dello stesso anno, per decisione congiunta della FAO e dell'Assemblea generale delle Nazioni Unite, il World food programme, che avrebbe dovuto completare il proprio ciclo sperimentale in tre anni.
Alla prima conferenza dei Donatori, nel settembre 1962, i primi 33 paesi contribuirono al finanziamento del WFP con offerte valutabili in 87,3 milioni di dollari. Le prime operazioni vennero realizzate in Algeria, Iran e Thailandia. Nei tre anni di mandato, il WFP portò a termine 32 operazioni di emergenza in 25 paesi e mise in piedi 116 programmi di sviluppo. La portata dell'azione condotta dal WFP convinse la FAO e l'Assemblea generale dell'ONU a prolungare il periodo del mandato fino al momento in cui gli aiuti alimentari multilaterali fossero stati disponibili e necessari (dicembre 1965). Negli anni Settanta, alcuni fattori esterni modificarono parzialmente il modo di operare del WFP. In particolare, gli effetti sull'agricoltura di condizioni meteorologiche particolarmente negative e il cambiamento degli indirizzi di politica agricola dei paesi più sviluppati portarono a una drastica riduzione delle eccedenze alimentari e, dunque, a una diminuzione marcata delle riserve a disposizione dell'organizzazione. Fu in quel periodo che, a partire da una serie di importanti donazioni in denaro effettuate da Re Faisal dell'Arabia Saudita, il WFP cominciò a utilizzare in misura sempre maggiore i finanziamenti in denaro provenienti dai paesi donatori: un'evoluzione che consentì all'organizzazione di diversificare la propria strategia, operando anche sui mercati locali con acquisti diretti di cibo nelle aree di intervento. Tale soluzione permise al WFP di creare, da un lato, un fondo speciale utilizzabile solo in caso di emergenze estremamente gravi, dall'altro, di evitare ai mercati locali gli effetti negativi conseguenti all'arrivo improvviso di grandi quantitativi di cibo.
Negli anni, il WFP è diventato il punto di riferimento principale nelle politiche di aiuti alimentari e nel loro coordinamento. La gestione delle emergenze è sempre stata il nucleo centrale della sua attività: la crisi fra Thailandia e Cambogia del 1980, la siccità in Africa fra il 1982 e il 1985, la carestia in Etiopia nel 1983, la guerra in Sudan nel 1989, la crisi in Somalia nei primi anni Novanta, la guerra in Angola e quella nell'ex Iugoslavia, la crisi nella regione dei Grandi Laghi in Africa, la fame in Corea del Nord, la guerra e la siccità in Afghanistan, le conseguenze di El Niño, e dell'uragano Mitch in America Latina, i terremoti in India, El Salvador e Perù, la crisi alimentare nell'Africa meridionale sono alcune fra le principali emergenze affrontate nell'ultimo ventennio.
La gestione del WFP
Il World food programme è governato dal Consiglio esecutivo, che consta di 36 Stati membri, metà dei quali eletti dal Consiglio per lo sviluppo economico e sociale dell'ONU (ECOSOC) e l'altra metà dal Consiglio della FAO. Il Direttore esecutivo è nominato congiuntamente dal Segretario generale delle Nazioni Unite e dal Direttore generale della FAO per un periodo di cinque anni. Il Consiglio esecutivo si riunisce quattro volte l'anno a Roma e ha fra i propri compiti quello di sviluppare e coordinare le politiche di assistenza alimentare del WFP, provvedere alla supervisione della gestione dell'agenzia, verificare ed eventualmente modificare i programmi messi a punto dal vertice, rendere conto annualmente di programmi, progetti, attività e decisioni del WFP al Consiglio. Gli Stati membri del WFP eletti dal Consiglio FAO sono attualmente: Bangla Desh, Canada, Cina, Egitto, El Salvador, Eritrea, Germania, Haiti, Madagascar, Mali, Mauritania, Paesi Bassi, Norvegia, Perù, Romania, Siria, Svizzera, Stati Uniti, mentre quelli nominati dall'ECOSOC sono: Algeria, Australia, Camerun, Cuba, Danimarca, Francia, Ungheria, India, Iran, Iraq, Italia, Giappone, Messico, Pakistan, Federazione Russa, Sierra Leone, Swaziland, Regno Unito.
Dal 1992 al 2002 la guida del WFP è stata affidata alla statunitense Catherine Bertini. Nel corso dei suoi due mandati quinquennali, Catherine Bertini ha dato una forte impronta di modernità e autonomia all'organizzazione, portandola a diventare la più grande agenzia del sistema delle Nazioni Unite, con una struttura interna molto efficiente e tale da consentire in qualsiasi momento ai paesi donatori di verificare l'efficacia degli aiuti a essa destinati. Un notevole processo di decentramento delle funzioni decisionali ha fatto sì che i massimi responsabili regionali di ogni area del mondo assistita dal WFP abbiano via via lasciato Roma per insediarsi a Managua (Nicaragua) per l'America Latina e Caraibica, Dakar (Senegal) per l'Africa occidentale, Yaoundé (Camerun) per l'Africa centrale, Kampala (Uganda) per l'Africa orientale, Il Cairo (Egitto) per il Medio Oriente e l'Asia centrale, Bangkok (Thailandia) per le altre regioni asiatiche. Il solo ufficio regionale rimasto a Roma, per motivi di vicinanza geografica, è quello per l'Europa orientale. La presenza sul posto dei responsabili regionali ha consentito di rendere le operazioni decisionali molto più rapide e di garantirne una maggiore efficienza. Particolare attenzione è stata dedicata dalla gestione Bertini al tema della sicurezza dello staff sul territorio dove sono in corso le difficili operazioni umanitarie, essendosi talvolta registrati attacchi mortali da parte delle fazioni in guerra o incidenti sul lavoro. Profonde sono state anche le trasformazioni tecnologiche, soprattutto per quel che riguarda i sistemi di trasmissione sul campo, dove occorre supplire con i propri apparati alle carenze delle infrastrutture locali. Per ottimizzare il rapporto fra centro e periferia, l'organizzazione ha sviluppato e messo in opera un sistema unico integrato di gestione amministrativa (denominato WINGS), che consente di trarre i risultati ottimali dal lavoro e ridurre al minimo i tempi e le spese. Oggi, il WFP ha la più bassa percentuale di costi per spese amministrative di tutto il sistema delle Nazioni Unite (9%).
Nel febbraio 2002, per decisione congiunta del Segretario generale delle Nazioni Unite Kofi Annan e del Direttore generale della FAO Jacques Diouf, la direzione del WFP è passata nelle mani di James T. Morris, che il 4 aprile 2002 ha preso possesso del suo ufficio a Roma.
Le aree di intervento
L' Afghanistan
I tragici accadimenti dell'11 settembre 2001 hanno avuto un'importante ripercussione sulle più recenti attività del World food programme. Già impegnata da quarant'anni a più riprese in Afghanistan, l'organizzazione è stata chiamata dalla crisi planetaria che ha fatto seguito agli attacchi terroristici sul suolo americano a uno dei maggiori sforzi della sua storia per prevenire una grave crisi alimentare che avrebbe appesantito ulteriormente la già disastrosa condizione dei cittadini afghani. Il 25 settembre 2001, tredici giorni dopo gli attentati e quando apparve imminente la ripercussione di essi sulle vicende afghane, il WFP è riuscito a mettere in movimento verso il paese asiatico migliaia di tonnellate di aiuti alimentari, che si sono andate ad aggiungere a quelle già presenti sul territorio, destinate ad assistere una popolazione segnata da oltre vent'anni di guerra e da una crisi idrica senza precedenti. La siccità aveva drammaticamente accresciuto il deficit di produzione di grano, portando il fabbisogno nel 2000-01 al livello 2,3 milioni di tonnellate, oltre il doppio di quello dell'anno precedente (1,1 milioni di tonnellate).
La crisi internazionale, l'aggravarsi della guerra civile, il peggioramento della crisi idrica e l'avvicinarsi dell'inverno, stagione notoriamente difficile per il sistema di comunicazioni viarie in Afghanistan, dove intere comunità rimangono isolate dalla neve, hanno costretto il WFP ad agire con rapidità. Oltre 100 funzionari internazionali sono stati immediatamente trasferiti nella regione, mentre venivano lanciate un'operazione da 256 milioni di dollari per l'emergenza alimentare e un'operazione speciale da 35 milioni di dollari per fare fronte alle necessità logistiche. Entrambe le campagne hanno avuto la durata di sei mesi, da ottobre 2001 a marzo 2002. Di esse hanno beneficiato 7 milioni di persone, circa un terzo dell'intera popolazione afghana. Il clamore mediatico sulla condizione del popolo afghano e la generosità della comunità internazionale hanno consentito di finanziare l'operazione con sufficiente rapidità e in soli due mesi il WFP è riuscito a far giungere a destinazione ben 200.000 tonnellate di aiuti alimentari, raggiungendo le comunità isolate dalla neve grazie all'utilizzo di speciali automezzi inviati sul posto e a un colossale sforzo logistico. I maggiori donatori dell'operazione sono stati gli Stati Uniti, il Giappone, la Commissione Europea, la Germania e l'Italia. Nel 2002, il WFP ha lanciato una nuova operazione di emergenza, della durata di nove mesi, per proseguire lo sforzo profuso con successo nel corso dell'inverno. La nuova operazione prevede un costo di circa 295 milioni di dollari e 9.885.000 beneficiari.
La crisi alimentare nell'Africa meridionale
La prima metà del 2002 ha visto affacciarsi sul pianeta una nuova, drammatica minaccia di crisi alimentare in Africa, stavolta nella parte meridionale del continente, in particolare in nazioni come il Malawi, lo Zimbabwe, lo Zambia, il Lesotho, lo Swaziland e parzialmente il Mozambico. Una serie di avversità, in parte dovute a eventi naturali, per il resto frutto di scelte economiche locali, ha portato tutta l'area sulla soglia del dramma. Una missione congiunta del WFP e della FAO, nel maggio del 2002, ha prodotto uno studio allarmante sulla situazione della regione, stimando inizialmente in 13 milioni il numero di persone bisognose di aiuto da parte della comunità internazionale, in 6,1 milioni il numero di agricoltori incapaci di proseguire la propria attività e in 2,8 milioni di tonnellate il deficit alimentare da coprire. Le cause che hanno portato al deterioramento della situazione alimentare nella regione sono, come detto, molteplici. In particolare, fra il 2001 e il 2002, il periodo di siccità più lungo degli ultimi vent'anni ha colpito Malawi, Mozambico, Zambia e Zimbabwe, facendo seguito a una fase meteorologica di segno diametralmente opposto, che l'anno precedente aveva visto alluvioni e inondazioni in Lesotho e Mozambico. A ciò si è aggiunta nello stesso periodo la sostanziale autodistruzione delle attività agricole nello Zimbabwe, per le note vicende politiche interne. La crisi che si è generata ha spinto le popolazioni ad attingere massivamente alle riserve strategiche di grano, soprattutto in Malawi e Zambia, e a far fronte al deficit di riserve anticipando i raccolti di cereali, un rimedio che ha permesso di allontanare l'esplodere della crisi di qualche settimana, ma ha ridotto ulteriormente le possibilità di raccolto per la stagione del 2002. Tutta l'area ha subito contestualmente una grave crisi economico-produttiva, il che ha provocato ritardi nelle importazioni, in particolare per quanto riguarda il commercio transfrontaliero di mais con il Sudafrica. Di conseguenza vi è stato un aumento generalizzato dei prezzi, che ha escluso un numero sempre maggiore di famiglie dall'accesso al cibo.
La crisi sembra destinata ad avere una durata considerevole nel tempo, considerato che, secondo esperti meteorologici, gli effetti del fenomeno El Niño causeranno ulteriori conseguenze negative sul raccolto del 2002-03. L'area è inoltre affetta come nessun'altra regione al mondo dall'AIDS, una piaga che in alcune zone colpisce un individuo adulto su quattro e che rende molto più difficile creare le condizioni per uscire dall'emergenza.
Le altre crisi in corso
Fra gli 82 paesi che, tramite il WFP, usufruiscono degli aiuti alimentari della comunità internazionale, possono essere citati ancora la Corea del Nord, dove l'organizzazione dà assistenza a un terzo dell'intera popolazione e dove il rallentamento degli aiuti internazionali sta costringendo le agenzie umanitarie a ridurre la portata degli interventi; il Guatemala, che costituisce la situazione più allarmante di tutta l'area latino-americana, colpito da un'ondata di siccità che lo ha portato a essere il paese con il più alto tasso di malnutrizione dell'America Latina; il Kenya, non tanto per la sua situazione interna quanto per l'afflusso massiccio di rifugiati dalla Somalia e dal Sudan (più di 219.000 persone); lo stesso Sudan, dove la guerra civile mette continuamente in pericolo il trasporto degli aiuti umanitari alle popolazioni colpite; e la Somalia, dove l'instabilità interna e le difficili condizioni dell'agricoltura mettono a rischio la salute e in molti casi la vita di oltre mezzo milione di persone. Un discorso a parte va dedicato ai Territori palestinesi, dove le conseguenze dell'accresciuta tensione con il governo di Israele hanno portato a un rapido deterioramento delle condizioni di vita, per cui circa la metà dell'intera popolazione è sotto la soglia di povertà, costretta a vivere con meno di 2 dollari al giorno. Nel periodo di maggior crisi del 2002, durante le operazioni militari a Ramallah, Jenin, Betlemme e altri centri, il WFP è riuscito con difficoltà a raggiungere le popolazioni isolate per fornire gli aiuti alimentari di emergenza
Il WFP nelle emergenze e oltre
La necessità di arrivare nel minor tempo possibile con grandi quantità di cibo in zone generalmente poco accessibili ha fatto diventare il WFP un'agenzia all'avanguardia non solo nella gestione degli aiuti alimentari, ma anche nella logistica e nelle telecomunicazioni. Il WFP interviene nelle ore successive ai disastri naturali, organizza gli aiuti nel corso di crisi di lungo periodo, come quelle generate da periodi di siccità e dal mancato raccolto agricolo, assiste i rifugiati che lasciano il proprio paese generalmente a causa di conflitti e, infine, interviene in coordinamento con le altre agenzie delle Nazioni Unite in caso di guerre, disastri socioeconomici, massicci spostamenti interni di popolazione.
Circa il 90% del cibo trasportato dal WFP si muove via mare perché ciò consente di spostarne enormi quantità. In ogni momento, in media, 40 navi con a bordo gli aiuti dell'organizzazione sono in viaggio, per un totale annuo di circa 2 milioni di tonnellate di alimenti, coordinati dall'Ocean transportation service. Tuttavia i tempi spesso non corrispondono alle necessità, per cui il Programma si serve spesso del trasporto aereo, con una media di 20 aerei costantemente in volo. In rari casi, quando le condizioni non consentono alternative, il WFP utilizza gli aerei per lanciare aiuti alimentari dall'alto, verso le popolazioni affamate. Tale operazione, estremamente complessa, richiede personale specializzato di alto livello, ma si è rivelata di grande efficacia in territori di difficile collegamento viario come per es. il Sudan oppure l'Afghanistan.
Gli altri mezzi di trasporto maggiormente utilizzati dal WFP sono il camion e il treno, ma a livello locale il trasporto di aiuti può avvenire anche su mezzi meno convenzionali, come l'elefante o il mulo.
Dal marzo 2000, il WFP gestisce a Brindisi la Base di pronto intervento umanitario delle Nazioni Unite (United Nations humanitarian response depot). Tale struttura, unica nel suo genere, è situata entro il perimetro dell'aeroporto militare e custodisce al suo interno strutture, equipaggiamenti, medicinali e riserve alimentari per far fronte nel più breve tempo possibile alle emergenze. Per valutare la portata di una crisi alimentare e tenere costantemente sotto osservazione le zone maggiormente a rischio, il WFP si è dotato dal 1994 di un dipartimento denominato VAM (Vulnerability assessment and mapping), con il compito di analizzare in dettaglio la situazione nutrizionale delle aree interessate dagli interventi dell'agenzia, fornendo in questo modo informazioni preziose sulla quantità degli aiuti necessari e sulla loro destinazione. Il VAM ha oltre 50 sub-uffici in altrettanti paesi, fra cui: Afghanistan, Angola, Cambogia, Cina, Ecuador, Etiopia, Mozambico, Nicaragua, Sudan, Tanzania e Tagikistan.
Una delle linee guida che caratterizzano le politiche del WFP sul territorio è la convinzione che gli aiuti alimentari possano costituire uno strumento non solo per combattere la fame, ma anche per vincere la povertà. Il cibo, in sostanza, deve servire a mettere le persone in grado di lavorare, produrre ricchezza e dunque mettersi nelle condizioni di non cadere nuovamente nella trappola della povertà. I progetti di lungo termine del WFP, che hanno coinvolto nel solo 2001 circa 20 milioni di persone in 55 paesi, si basano sostanzialmente su quattro attività coordinate: nutrizione, alimentazione scolastica, cibo in cambio di lavoro, assistenza all'agricoltura.
a) Nutrizione. - Prima di occuparsi di altre attività, occorre sfamare chi ha bisogno di cibo, a cominciare dai bambini nel loro primo anno di vita e, ancor prima, dalle donne in stato di gravidanza. La malnutrizione danneggia gravemente la crescita sia dal punto di vista fisico sia da quello intellettivo e ha serie ripercussioni sulla futura produttività di chi ne è vittima.
b) Alimentazione scolastica. - Fornire cibo alle scuole, secondo il WFP, è la chiave per far crescere generazioni istruite. Nel 2001, il numero di bambini che hanno beneficiato dei suoi programmi è salito da 12,4 a 15 milioni in 54 paesi. Lavorando con le autorità locali, con le organizzazioni non governative e con i paesi donatori, il WFP utilizza il cibo come strumento per mantenere i bambini a scuola. Maggiore attenzione viene dedicata alle aree dove i tassi di iscrizione e di frequenza sono minori e i risultati, monitorati in questi anni grazie a un complesso sistema satellitare, dimostrano che le iscrizioni in molti casi raddoppiano entro un anno dall'avvio del programma, mentre il rendimento degli scolari ha un miglioramento medio del 40%. L'agenzia gestisce temporaneamente le scuole che partecipano al programma, fin quando esse non diventano autonome e la gestione viene trasferita a livello locale.
c) Cibo in cambio di lavoro. - In determinate situazioni, il WFP può diventare uno dei maggiori datori di lavoro di un paese. Con la differenza che i salari corrisposti dall'agenzia non sono in denaro, ma in cibo. Gli aiuti alimentari in casi del genere rispondono alla necessità di assumere personale per costruire infrastrutture necessarie all'economia e all'agricoltura del paese interessato. Questo tipo di progetti, di solito, consente la realizzazione di sistemi di irrigazione, piani di riforestazione, contrasto dell'erosione. In casi di emergenza causata da disastri naturali, tali progetti consentono inoltre la ricostruzione di case, scuole, ospedali, strade e ponti.
d) Assistenza all'agricoltura. - In molti casi, le famiglie contadine sfruttano eccessivamente le terre che coltivano per soddisfare i bisogni immediati delle proprie famiglie. Questo genera nel lungo periodo gravi crisi, dovute all'infertilità del terreno, al taglio di foreste per cercare nuove aree coltivabili, al pascolo di mandrie in regioni a rischio di desertificazione e all'uso eccessivo delle risorse idriche. Il WFP utilizza in questi casi gli aiuti alimentari per convincere gli agricoltori locali a seguire politiche che mirino ad aumentare negli anni il rendimento delle zone coltivate e a preservare le risorse idriche.
FOCUS
Fame e stati carenziali
Il fabbisogno calorico medio individuale di base (metabolismo basale), che esprime le necessità caloriche di un individuo in condizioni di assoluto riposo, è dell'ordine di una kilocaloria (4,2 kJ) per kg di massa corporea e per ora. La FAO ha stimato che individui di 25 anni, con moderata attività di lavoro fisico, in clima temperato, necessitano di 3200 kcal (~13.400 kJ) al giorno, se uomini, e di 2300 kcal (~9600 kJ), se donne. Le calorie provengono da tre diversi gruppi di sostanze: i protidi (1 g = 4,1 kcal~17 kJ), i lipidi (1 g = 9,1 kcal~38 kJ) e i glucidi (1 g = 4,1 kcal~17 kJ). L'apporto di dette sostanze, rispetto al fabbisogno calorico complessivo, deve essere nel seguente equilibrio: protidi, 12-15% delle calorie; lipidi, 25-35% delle calorie; glucidi, 50-60% delle calorie. Altre sostanze, quali le vitamine, i sali minerali e l'acqua, sono indispensabili alla vita dell'organismo umano. Il problema della fame, o comunque di una carenza alimentare, si pone quando ci si trova di fronte al mancato o insufficiente apporto di tutte o di alcune sostanze necessarie alla vita: le conseguenze della fame, per gli individui, abbracciano uno spettro di situazioni che va dall'insidiosa deficienza cronica al decesso. Gli stati carenziali e le relative conseguenze vengono di solito analizzati trattando separatamente carenze energetiche, proteiche, vitaminiche e saline, anche se nella realtà concreta queste situazioni non si presentano come fenomeni distinti e isolati ma combinati in gamme e modalità diverse. Nelle carenze energetiche, nei casi cioè di incompleta soddisfazione di fabbisogno calorico, si hanno manifestazioni cliniche differenti a seconda dell'entità della carenza. Nei casi più leggeri l'iponutrizione causa dimagrimento, astenia, depressione del tono nervoso, minore resistenza alle fatiche e alle malattie, invecchiamento precoce. Nei casi più gravi il dimagrimento appare scheletrico, i fasci muscolari sono quasi annientati, non vi è più forza fisica. Le minori difese dell'organismo fanno sì che spesso a tali conseguenze si sovrappongano varie malattie infettive. Accanto ai casi di iponutrizione totale, vi sono le varie forme di carenze specifiche. La fame specifica più grave e diffusa è quella causata da carenza qualitativa (dovuta a mancanza degli aminoacidi essenziali) o quantitativa di protidi. Come prima conseguenza, un'insufficiente ingestione di protidi causa fenomeni di degradazione biologica, quale l'insufficiente sviluppo corporeo (in altezza e peso), un tempo attribuiti a fattori razziali o genetici. È stata osservata l'esistenza di una relazione diretta tra resistenza alle malattie infettive e razione proteica. L'apparizione di edemi su corpi magrissimi, visi tumefatti, ventri enormi e gonfi sono la manifestazione delle forme più acute di carenza protidica che, nei casi cronici, si associa a cirrosi e cancro primitivo del fegato. Sono i bambini, comunque, a subire le conseguenze più gravi delle carenze protidiche, che vengono comunemente definite con un termine africano, kwashiorkor ("bambino rosso"), indicante una malattia i cui tassi di mortalità variano dal 30 al 90%. Nell'Asia meridionale e nell'America Latina la malnutrizione protidica è chiamata atrepsia; i soggetti colpiti non sono gonfi, ma scarni, con occhi enormi, pelle secca e priva di elasticità. Anche se le deficienze proteiche non causano sempre queste terribili malattie, esse portano in ogni caso a uno sviluppo lento e ritardato e a una continua esposizione a malattie infettive e parassitarie. Altre manifestazioni di carattere clinico più specifiche sono connesse a carenze particolari. Si calcola che nel mondo circa 200 milioni di persone siano affette da gozzo adenomatoso, che si rivela con una tumefazione più o meno grande della ghiandola tiroidea, sintomo della mancanza di iodio nell'alimentazione; di tali soggetti, oltre 25 milioni sono anche affetti sin dalla nascita da disordini mentali dovuti alla sofferenza del cervello nei confronti della carenza dell'ormone tiroideo, che in condizioni ambientali normali o controllate viene prodotto dall'organismo utilizzando lo iodio presente nell'acqua e negli alimenti. Per mancanza di vitamina A dai 300.000 ai 500.000 bambini diventano ogni anno ciechi. Tale vitamina è contenuta in alimenti di origine animale (latte, uova ecc.), negli ortaggi verdi (spinaci, lattuga ecc.), in molti frutti e in alcune radici (carote), e la sua funzione si esplica a livello dei tessuti epiteliali degli apparati respiratorio e oculare. Un apporto deficitario di vitamina A determina, tra i principali segni clinici, l'opacizzazione della cornea e successivamente lesioni che, se non curate con opportune dosi della vitamina stessa, procurano ulcere e cecità. L'anemia da carenza di ferro colpisce oltre due miliardi di persone, soprattutto donne e bambini in età prescolare; in questi ultimi, le anemie portano a ritardi nell'accrescimento fisico e spesso a una scarsa resistenza alle malattie trasmissibili, mentre negli adulti le manifestazioni più evidenti sono l'affaticamento e la diminuzione dell'attività lavorativa. Un apporto deficitario di vitamina B1 causa il beri-beri (paralisi muscolari e alterazioni nervose e cardiovascolari), mentre la carenza di vitamina B2 provoca lesioni alle mucose delle labbra e della lingua e alterazioni agli occhi e alla pelle. La carenza di vitamina PP è all'origine della malattia nota come pellagra. Un insufficiente apporto di vitamina D determina gravi deficienze nella composizione minerale dello scheletro, con manifestazioni di rachitismo nei bambini e di osteomalacia negli adulti. Simili sono le conseguenze dovute a mancanza di calcio.
FOCUS
Il problema storico della fame
La parola fame evoca una condizione di privazione di alimenti, ma anche povertà e miseria. La 'fame cronica' era presente nel mondo rurale del Medioevo in molti paesi europei, ma di essa non rimane una specifica documentazione storica, quasi fosse un inevitabile 'castigo' cui dovevano sottoporsi vasti strati della popolazione. In realtà la fame cronica e quella epidemica conseguente alle carestie sono state sempre causa di migrazioni, di cambiamenti economici, politici, sociali e, in casi estremi, dell'estinzione di intere popolazioni. Andando molto indietro nel tempo, è verosimile pensare che fu la mancanza di cibo a spingere le popolazioni della Mezzaluna Fertile (la regione attualmente corrispondente alla Giordania, all'Iraq e alla Siria) ad abbandonare le loro terre 7000-8000 anni fa per l'eccessiva pressione demografica sul territorio e a spingersi fino in Europa dove introdussero l'agricoltura con la coltura dei cereali. In tempi molto più vicini ai nostri la 'Grande carestia' che colpì l'Irlanda negli anni 1846-47 a seguito dei cattivi raccolti delle patate, alimento base in quell'epoca per la maggior parte degli abitanti, ha radicalmente modificato il corso della storia del paese, segnando la mentalità, le attitudini, le credenze della popolazione; al censimento del 1841 risultavano 8,2 milioni di individui, a quello successivo, dieci anni dopo, la popolazione era scesa a 6,2 milioni: declino demografico dovuto in parte all'emigrazione, in parte alla mortalità provocata dalla fame stessa. Varie carestie colpirono l'India dal 1819 al 1934 e tra esse quella più drammatica si verificò nel 1833. In precedenza, nel 1770, durante la conquista inglese dell'India, un'altra carestia di proporzioni 'bibliche' aveva causato 10 milioni di vittime in Bengala, una cifra peraltro inferiore a quella rilevata nelle province cinesi di Shansi, Shensi e Honan, negli anni 1876-79, in conseguenza di una carestia dovuta alla siccità. Vengono ricordate nella storia, inoltre, la carestia che diede la morte a 500.000 persone in Brasile nel 1877 e quella che uccise circa 650.000 persone in Russia nel 1891. In questo paese sono stati calcolati, dalla fine del 1° millennio alla metà del 20° secolo, oltre 60 episodi di fame epidemica, molti dei quali provocati dalla siccità. In Inghilterra si sono registrate 187 carestie dagli inizi del 1° secolo a.C. alla metà del 19° d.C., di cui solo un terzo causate da fattori climatici.
Non meno drammatiche sono state le carestie prodotte da errate politiche economiche negli ultimi cinquant'anni. Non è ancora certo il numero di vittime della fame che colpì la Cina tra il 1958 e il 1961, ma la cifra più o meno ufficiale è di 30 milioni di persone. In quel periodo il paese stava compiendo il 'Grande balzo', con il lancio, da parte di un comunismo non attento alla struttura economica produttiva rurale cinese, di un programma di cerealicoltura più rispondente al valore politico-ideologico della comunione degli uomini e dei mezzi di produzione (la terra e gli attrezzi del lavoro) che alle leggi economiche del mercato internazionale. Gli esiti di questo programma e l'utilizzazione dei cereali prodotti per pagare debiti pregressi privarono i contadini dell'alimento di base, causando forse la più grande catastrofe silenziosa che si sia verificata nella storia. La fame che negli anni Settanta in Bangla Desh costò la vita a migliaia di persone e la carestia che nello stesso periodo colpì l'Africa del Sahel a seguito di un prolungato periodo di aridità possono essere citate come conferma dell'importanza assunta dal clima nel rapporto uomo-ambiente alimentare e della necessità di una strategia globale da parte delle nazioni per salvaguardare il patrimonio idrico dei territori attraverso una politica ambientale adeguata. Agli inizi del 3° millennio, in un'epoca di predominio della scienza, delle tecnologie e dell'informazione, l'umanità conosce ancora sia la fame cronica sia quella che accompagna le carestie per fenomeni naturali ed eventi 'artificiali', come quelli bellici. A quest'ultimo riguardo, le carestie che si sono verificate in tempi recenti a seguito dei conflitti in aree quali il Ruanda, l'ex Iugoslavia, il Corno d'Africa, l'Afghanistan ecc., hanno riconfermato che le guerre uccidono tanto con le armi quanto con la fame e con le malattie che inevitabilmente le accompagnano. Ma accanto agli eventi eccezionali, naturali e non, sussistono ancora oggi gravi situazioni di fame cronica. Secondo stime UNICEF, 209 milioni circa di bambini di età inferiore a 5 anni presentano problemi di accrescimento da attribuire all'alimentazione inadeguata e a forme morbose a questa connesse. In sette paesi dell'Asia orientale e meridionale (Afghanistan, Bangla Desh, Cambogia, India, Nepal, Corea del Nord e Pakistan) la percentuale dei minori di 5 anni sottopeso è superiore al 50%. L'insufficienza del peso corporeo nei primi cinque anni di vita non è il solo indicatore antropometrico dello stato di malessere dei bambini causato dalla fame cronica: un altro importante indicatore è il peso corporeo dei bambini alla nascita. Normalmente, non più del 4-5% dei nati al termine dei nove mesi di gravidanza presenta un peso corporeo inferiore a 2,5 kg. Una maggiore percentuale di bassi pesi alla nascita denota uno stato di malnutrizione energetica della madre negli ultimi mesi di gravidanza, che si ripercuote sul peso del feto impedendone la piena maturazione. Anche per questo indicatore si stima che la frequenza dei bambini sottopeso alla nascita sia nel mondo di circa il 17%, con il 6-7% nei paesi tecnologicamente avanzati, il 19% in quelli in via di sviluppo, e con valori del 15% nell'Africa subsahariana e del 34% in Asia.
Strettamente connesse ai problemi di fame cronica sono la mortalità nel primo anno di vita (mortalità infantile) e quella che si verifica entro i primi cinque anni. Nei paesi sviluppati la mortalità infantile non supera 10-20/1000 nati; in particolare, nelle aree in cui si presta una costante attenzione alla protezione della madre e del bambino (controlli della gravidanza, vaccinazioni ecc.) e un ambiente sano e confortevole protegge il neonato dal rischio di malattie trasmissibili e da quelle della nutrizione, questo indice non raggiunge 10/1000 nati (Danimarca, Svezia, Francia, Italia ecc.). La mortalità infantile supera invece 100/1000 nati nella maggior parte dei paesi in via di sviluppo (Etiopia, Guinea, Mali, Afghanistan, Cambogia ecc.). Un quadro analogo si presenta per la mortalità nei primi cinque anni di vita, dove ai decessi per fame si aggiungono quelli per patologie trasmissibili.
Le patologie insorgono quando le disponibilità alimentari non sono sufficienti ad assicurare alle popolazioni l'energia e i nutrienti di cui necessitano. Al riguardo, il quadro mondiale delle disponibilità energetiche mostra che, a fronte dei paesi sviluppati che possono vantare razioni medie giornaliere a volte eccedenti le 3000 kcal a persona, la maggior parte dei paesi non sviluppati raggiunge appena 2400-2500 kcal, e, tra questi, ve ne sono alcuni in cui la razione media giornaliera non supera 2000 kcal (Afghanistan, Burundi, Cambogia, Ciad ecc.). La quota alimentare è insufficiente dal punto di vista energetico (e spesso anche in rapporto alle proteine, a certe vitamine e ad alcuni sali minerali), perché sono insufficienti le quantità degli alimenti che la compongono. Tale fenomeno non è casuale, e può spiegare un 'paradosso' che riguarda la fame epidemica che accompagna le condizioni di carestia. Le carestie che derivano dalle calamità naturali sono un evento eccezionale, ma sono al tempo stesso espressione di una situazione strutturale. Per es., la siccità che ha colpito il Sahel negli anni Settanta ha avuto effetti ben più drammatici di quella che ha interessato l'Italia negli anni Ottanta; il divario si è determinato non perché le cause naturali che l'hanno prodotta siano di diversa entità, ma perché le società dei paesi del Sahel sono più vulnerabili presentando una struttura economica, sociale e politica e tecnologie che le rendono poco capaci di rispondere in modo rapido e adeguato ai disastri indotti dalle calamità naturali. Egualmente, non è casuale che l'aridità colpisca ancora e nelle stesse forme i medesimi paesi africani che l'avevano già subita nel 1970. Negli episodi di fame cronica le cause strutturali sono ancora più incidenti. Esiste una relazione diretta tra fame, produzione di alimenti insufficiente al fabbisogno della popolazione e disponibilità tecnologiche, scelte economiche, scambi nel quadro del mercato internazionale, tipi di insediamento della popolazione (città o campagne), che costituiscono i fattori socioeconomici e culturali determinanti nel confronto tra l'uomo e il cibo e che in molti casi (per circa 3-4 miliardi di persone alla fine del 2° millennio) si dimostrano inadeguati per eliminare il fenomeno nelle sue forme croniche ed epidemiche. La fame cronica e quella dovuta a carestie hanno una matrice comune: la miseria e la povertà delle popolazioni per quanto riguarda la produzione agricola e alimentare. Tale produzione, a partire dagli anni Settanta, ha avuto un notevole impulso dovuto alla forte domanda dei prodotti agricoli sui mercati e al progresso tecnologico raggiunto nel sistema di produzione che va sotto il nome di 'rivoluzione verde'. La domanda e la rivoluzione verde non hanno però riguardato tutti i paesi in eguale misura. La domanda è stata infatti molto elevata da parte dei paesi sviluppati, soprattutto per i cereali destinati all'alimentazione del bestiame d'allevamento per soddisfare l'aumentata richiesta di carne. La rivoluzione verde, a sua volta, si è indirizzata verso chi possedeva le condizioni di base per attuare un'agricoltura di tipo industriale (terra, credito, mezzi economici, conoscenze scientifiche ecc.), dunque, ancora una volta, verso i paesi più avanzati. Viceversa, i paesi poveri, esclusi dai nuovi processi produttivi, sono venuti a contatto con il progresso unicamente attraverso le costose importazioni dai paesi sviluppati. Questo ha portato a due fenomeni che si sono rivelati di fondamentale importanza per spiegare la fame cronica e quella epidemica indotta dalle carestie. Gli agricoltori dei paesi poveri, tagliati fuori dalla produzione alimentare che poteva produrre reddito, hanno lasciato le campagne andando a ingrossare le file di disoccupati delle città e creando problemi di 'fame urbana' nelle periferie degradate. Nello stesso tempo, le colture da esportazione (cotone, arachide, caffè) hanno occupato le terre già appartenute agli agricoltori o che erano utilizzate per il pascolo. L'abbandono dei sistemi tradizionali di produzione e i nuovi insediamenti hanno reso le terre più vulnerabili di fronte alle calamità naturali (siccità, alluvioni ecc.) venendo a chiudere il cerchio delle relazioni tra fame cronica e fame epidemica.
L'Indice di sviluppo umano (ISU) indica meglio di ogni altro elemento la situazione dei vari paesi del mondo riguardo ai rischi di esposizione alla fame cronica e all'impossibilità di rispondere adeguatamente a quella epidemica. L'indice, proposto dall'UNDP, il programma delle Nazioni Unite per lo sviluppo, va da zero a un valore massimo di 1 e considera vari fattori socioeconomici: il reddito del paese, sotto forma del Prodotto interno lordo (PIL), il livello di salute, espresso dagli anni di speranza di vita alla nascita, e il grado d'istruzione, rappresentato dal tasso di alfabetizzazione degli adulti e dal numero medio di anni di studio. Esaminando l'indice in rapporto alle disponibilità alimentari dei vari paesi e quindi alla loro suscettibilità a essere colpiti dalla fame, risulta che le aree che hanno il più basso indice di sviluppo umano corrispondono a quelle che hanno le minori disponibilità energetiche alimentari. Fame cronica e rischi di fame da carestie non soltanto sono tra loro connessi, ma sono costantemente associati al basso livello economico, di salute e di istruzione dei paesi, e quindi parte integrante del malessere di cui soffre attualmente la maggior parte delle popolazioni.
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Le emergenze
Nel corso della Conferenza mondiale sull'alimentazione del 1996, nella quale furono sottolineate la perdurante gravità del problema della fame e la necessità di affrontarlo con un'azione globale, fu stabilito l'obiettivo di dimezzare in 20 anni il numero delle persone affamate, portandolo a 400 milioni. Tuttavia, finora, il progresso è stato molto più lento di quanto si sperava: la diminuzione media per anno di persone affamate è stata di 6 milioni, a fronte dei 22 milioni preventivati. Soltanto in alcuni paesi, di cui il più importante anche numericamente è la Cina, ci si è avvicinati all'obiettivo ed è sensibilmente cresciuta la percentuale di persone che hanno raggiunto la sicurezza alimentare, hanno cioè una quantità di cibo sufficiente a far fronte alle necessità della vita quotidiana. In molti altri paesi invece la situazione è rimasta di immutata gravità o ha addirittura conosciuto un peggioramento a causa di disastri climatici o di eventi bellici. Attualmente le zone di maggiore emergenza sono localizzate in Afghanistan e nazioni vicine, nell'Africa subsahariana, nell'Asia orientale e meridionale, nell'America centromeridionale.
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Le altre organizzazioni internazionali
FAO
La FAO (Food and agriculture organization) è stata la prima delle istituzioni tecniche specializzate sorte all'interno delle Nazioni Unite. Fu fondata a Hot Springs (Virginia) nel maggio 1943 e costituita ufficialmente il 16 ottobre 1945 a Quebec. La sede centrale, inizialmente stabilita a Washington, è stata trasferita nel 1951 a Roma, dove dal 1908 al 1946 aveva funzionato l'Istituto internazionale di agricoltura. Della FAO sono membri 183 Stati (l'Italia dal 3 settembre 1946), più l'Unione Europea. Compiti della FAO sono: 1) raccogliere, analizzare, interpretare e diffondere dati e informazioni relativi alla nutrizione e all'agricoltura; 2) promuovere e, ogniqualvolta sia opportuno, raccomandare, a livello nazionale, attività che concernono: a) ricerche scientifiche, tecnologiche, sociali ed economiche in materia di nutrizione e di agricoltura; b) miglioramento dei sistemi educativi e amministrativi nel settore agricolo-alimentare e diffusione tra il pubblico delle cognizioni teorico-pratiche, relative all'agricoltura e all'alimentazione; c) conservazione delle risorse naturali e impiego di metodi perfezionati di produzione agricola; d) miglioramento della lavorazione, trasformazione, commercializzazione e distribuzione dei prodotti agricolo-alimentari; e) direttive per l'attuazione di adeguate forme di credito agricolo, a livello nazionale e internazionale; f) osservanza di direttive internazionali in occasione di accordi sui prodotti agricoli; 3) fornire assistenza tecnica ai governi che la richiedono; 4) d'accordo con i paesi interessati, organizzare missioni tecniche per assistere i governi nell'adempimento degli obblighi derivanti dalla partecipazione alla FAO; 5) promuovere occasioni di incontro fra i governi interessati alla risoluzione di problemi comuni a più paesi; 6) adottare le misure necessarie per la pratica attuazione dei compiti previsti dallo statuto. Dal 1981 ogni anno, il 16 ottobre, la FAO organizza la Giornata mondiale dell'alimentazione. A partire dalla seconda metà degli anni Ottanta, a fronte dei gravi problemi di degrado ambientale a livello globale derivanti dallo sfruttamento troppo intensivo delle aree agricole e dalla deforestazione, la FAO si è particolarmente impegnata nell'assistenza ai paesi in via di sviluppo al fine di conseguire uno sfruttamento sostenibile delle risorse. Grande attenzione è stata data anche alla conservazione e all'uso sostenibile delle risorse genetiche animali e vegetali, tema al quale è stata dedicata una conferenza degli Stati membri (Lipsia, giugno 1996) e che costituisce l'oggetto di studi e ricerche condotti dalla FAO anche con la realizzazione di banche genetiche e la raccolta di dati e informazioni. Le linee guida dell'attuale operato della FAO furono indicate nella Conferenza mondiale sull'alimentazione del 1996, conclusasi con una dichiarazione che, riconoscendo il diritto di tutti a non soffrire la fame, esortava gli Stati membri a promuovere l'accesso alle risorse alimentari, in particolare attraverso l'abbattimento delle barriere al commercio internazionale.
IFAD
L'IFAD (International fund for agricultural development) è un'agenzia specializzata delle Nazioni Unite che ha lo scopo di finanziare progetti di sviluppo agricolo nei paesi più poveri. Fu istituita nel 1977 in seguito alla Conferenza mondiale sull'alimentazione del 1974, nella quale furono discusse le modalità di intervento necessarie ad affrontare le gravi crisi alimentari che in quel periodo colpivano soprattutto i paesi africani del Sahel. Poiché nel corso della Conferenza era stata sottolineata la forte correlazione fra scarsità di cibo e problemi strutturali inerenti la povertà, i programmi dell'IFAD sono soprattutto dedicati all'alleviamento della povertà rurale. La partecipazione all'IFAD è aperta a tutti gli Stati membri dell'ONU o di una delle sue agenzie specializzate. La struttura istituzionale dell'organizzazione è costituita da un Consiglio dei governatori, nel quale i 162 Stati membri, rappresentati da un governatore e da un sostituto, sono suddivisi in tre categorie: Stati industrializzati; Stati in via di sviluppo esportatori di petrolio (membri dell'OPEC); Stati in via di sviluppo beneficiari dei finanziamenti IFAD. Gli Stati appartenenti alle prime due categorie sono tenuti a contribuire alle risorse del Fondo, mentre per quelli della terza categoria il contributo è su base volontaria. L'IFAD fornisce finanziamenti gratuiti e prestiti agevolati per la realizzazione di programmi volti a incrementare la produzione alimentare attraverso la creazione di infrastrutture (per es., miglioramento delle forniture idriche e dell'irrigazione in aree colpite dalla desertificazione); la fornitura di sementi, fertilizzanti, pesticidi; l'assistenza tecnica. Particolare attenzione è poi prestata ai problemi ambientali, soprattutto là dove un eccessivo sfruttamento delle risorse provoca un impoverimento dei terreni. Dalla sua istituzione l'IFAD ha finanziato 603 progetti in 115 paesi.