Fame
Il termine ha diverse accezioni: in rapporto all'individuo indica la sensazione psicofisica provocata dal bisogno di nutrienti; riferito a una popolazione, invece, designa insufficienza di disponibilità di alimenti dovuta a carestia (fame epidemica), oppure a povertà (fame cronica). La fame epidemica è un evento eccezionale, una catastrofe collettiva che determina una perturbazione sociale ed economica con gravi conseguenze sanitarie e demografiche. La fame cronica, invece, si può definire come una condizione abituale e consolidata di insufficienza delle disponibilità di cibo, che induce diminuzione delle capacità lavorative, indebolimento della resistenza alle infezioni e accrescimento rallentato degli individui in età evolutiva, con alti rischi riguardo alla salute.
Il vocabolo sete (v.) designa la sensazione psicofisica del bisogno dell'unico specifico liquido, l'acqua, che funge da solvente nel corpo; di contro fame indica il bisogno di alimenti non ben determinati. Entrambi i termini, comunque, sono riferiti all'insufficiente contenuto nel corpo di materia della cui ingestione si ha necessità. La parola fame, inoltre, ha rapporti stretti con 'appetito', ma significato distinto. Infatti, mentre la fame e la sete derivano dal bisogno indotto da una privazione il cui perdurare conduce a morte e la cui sensazione, in condizioni fisiologiche, è ben proporzionata al bisogno, l'appetito è una sensazione la cui valutazione cognitiva può presentare notevoli variazioni rispetto alla dimensione fisiologica.
Dal punto di vista fisiologico, cioè della nutrizione, la fame costituisce la risposta istintiva dell'organismo al bisogno di materia (uno o più nutrienti) o di energia (derivata dall'utilizzazione dei nutrienti), ben definito dalla genetica di specie e di individuo; sotto il profilo psicofisiologico, il bisogno nutrizionale è avvertito sul piano cogniti-vo come senso di fame di alimenti in generale. Nell'uomo sano, esso è integrato a livello della corteccia cerebrale associativa, dipende da numerosi fattori e ha un'ampia variabilità. Il bisogno di nutrienti viene soddisfatto mediante la loro ingestione, la quale è possibile soltanto quando nell'ambiente sono disponibili alimenti che li contengono e se l'individuo ha la capacità di procurarseli. Il processo alimentare è quindi paradigmatico, in quanto implica le tre componenti interagenti in ogni comportamento umano: strutture e funzioni del corpo geneticamente determinate (sottocorticali), funzioni cerebrali corticali e ambiente.
La fisiologia della fame trova la sua integrazione funzionale a livello dell'ipotalamo, ma a essa concorrono anche altre strutture cerebrali sottocorticali, quali le amigdale, il sistema limbico e parti del bulbo. Gli stimoli periferici che attivano il sistema, per la regolazione a breve termine, provengono soprattutto dall'apparato gastroenterico; per la regolazione a lungo termine originano invece da vari organi e apparati. Di volta in volta è stato attribuito significato prevalente ai principi alimentari (glucidi, lipidi, protidi), ai tessuti (adiposo, adiposo bruno, muscolare), agli ormoni (gastroenterici, tiroidei), alle sezioni del sistema nervoso vegetativo (vago, simpatico). Attualmente è noto che gli stimoli sono costituiti da molecole-segnale (provenienti da tessuti differenti) e da impulsi in fibre del sistema nervoso vegetativo con differenti mediatori (adrenergiche, dopaminergiche ecc). Di recente individuazione è il meccanismo di informazione e modulazione costituito dal neuropeptide Y e dal protide leptina del tessuto adiposo: le progressive conoscenze rivelano un sistema molto complesso, confermandone tuttavia il significato fondamentale.
La fame ha una variabile quantitativa, proporzionale al grado e alla durata della deprivazione di alimenti, cioè al pregresso digiuno (v.). In casi particolari, può acquisire una variabile qualitativa, in dipendenza della pregressa deprivazione di uno o più nutrienti, e allora viene indicata come 'fame specifica' di singoli nutrienti. In questi casi, la ricerca, la scelta e l'ingestione di alimenti seguirà criteri finalizzati a coprire gli specifici bisogni. La risposta all'aumento della fame è data dall'attivazione del processo alimentare, in cui l'ingestione dura fino a quando la sazietà sostituisce la fame, in un processo ciclico che determina la fisiologica alternanza di digiuno e alimentazione. Nel caso in cui la risposta non sia sufficiente per riportare alla neutralità il bilancio nutrizionale, il digiuno protratto induce l'instaurarsi di una situazione di malnutrizione per difetto o iponutrizione che, in un periodo di tempo la cui durata dipende da condizioni individuali e ambientali, determina la morte dell'individuo. La fame, derivante non da patologia individuale, ma da mancante disponibilità di alimenti nell'ambiente (produzione e distribuzione di alimenti insufficienti) oppure da carente disponibilità di mezzi economici nella famiglia (i genitori non possono procurare alimenti neppure per la prole inetta), costituisce una situazione che, antica quanto la specie corticalizzata, esercita tuttora nei confronti dell'uomo e della sua discendenza la stessa forza di selezione che vale per tutte le altre specie animali.
1.
La fame cronica e quella epidemica conseguenti alle carestie sono state sempre all'origine di profonde trasformazioni nelle società, in quanto causa di migrazioni, di cambiamenti economici, politici, sociali, e in casi estremi, dell'estinzione di intere popolazioni. Per es., la 'Grande carestia' che colpì l'Irlanda negli anni 1846-47 a seguito dei cattivi raccolti delle patate, alimento base in quell'epoca per la maggior parte degli abitanti, ha radicalmente modificato il corso della storia del paese, segnando la mentalità, le attitudini, le credenze della popolazione. Al censimento del 1841 risultavano 8,2 milioni di individui, al successivo, dieci anni dopo, la popolazione era scesa a 6,2 milioni: declino demografico dovuto in parte all'emigrazione, in parte alla mortalità provocata dalla fame stessa. Varie carestie colpirono l'India dal 1819 al 1934, tra le quali quella più drammatica del 1833 che costò la vita a un numero elevatissimo di persone. In precedenza, nel 1770, durante la conquista inglese dell'India, un'altra carestia di proporzioni 'bibliche' aveva causato 10 milioni di vittime in Bengala, una cifra peraltro inferiore a quella rilevata nelle province cinesi di Shanxi, Shaanxi e Honan, negli anni 1876-79, in conseguenza di una carestia causata dalla siccità. Nella storia vengono ricordate, inoltre, la carestia che diede la morte a 500.000 persone in Brasile, nel 1877, e quella che uccise circa 650.000 persone in Russia, nel 1891. In questo paese sono stati calcolati, dalla fine del primo millennio alla metà del 20° secolo, oltre 60 episodi di fame epidemica, molti dei quali provocati dalla siccità. In Inghilterra si sono registrate 187 carestie dagli inizi del 1° secolo a.C. alla metà del 19°, solo un terzo delle quali imputabili a fattori climatici. E, andando molto indietro nel tempo, è verosimile pensare che fu la mancanza di cibo a spingere le popolazioni della Mezzaluna Fertile (attualmente alcune zone della Giordania, Iraq e Siria) ad abbandonare le loro terre 7000-8000 anni fa per l'eccessiva pressione della popolazione sul territorio e a spingersi fino in Europa, dove introdussero l'agricoltura con la coltura dei cereali.
La parola fame indica una condizione di privazione di alimenti, ma al contempo denota anche povertà e miseria. Questa 'fame cronica' era presente nel mondo rurale del Medioevo in molti paesi europei, ma di essa non rimane una specifica documentazione storica, quasi fosse un inevitabile 'castigo' al quale dovevano sottoporsi vasti strati della popolazione. La stessa fame persiste oggi in buona parte dei paesi in via di sviluppo: agli inizi del 3° millennio, in un'epoca di predominio della scienza, delle tecnologie e dell'informazione, l'umanità conosce ancora sia la fame cronica sia quella che accompagna le carestie per fenomeni naturali ed eventi 'artificiali', come, per es., quelli bellici.
A tale riguardo, le carestie che si sono verificate in tempi recenti a seguito dei conflitti armati in aree quali, per es., Ruanda, ex Iugoslavia ecc., hanno riconfermato che le guerre uccidono tanto con le armi quanto con la fame e con le malattie, dalle quali sono inevitabilmente accompagnate. Non meno drammatiche sono state le carestie causate da errate politiche economiche negli ultimi cinquant'anni del 20° secolo. Non è ancora certo il numero di vittime della fame che colpì la Cina tra il 1958 e il 1961, ma la cifra più o meno ufficiale è di 30 milioni di persone. In quel periodo il paese stava compiendo il 'grande balzo', con il lancio, da parte di un comunismo non attento alla struttura economica produttiva rurale cinese, di un programma di cerealicoltura più rispondente al valore politico-ideologico della comunione degli uomini e dei mezzi di produzione (la terra e gli attrezzi del lavoro) che alle leggi economiche del mercato internazionale. Gli esiti di questo programma e l'utilizzazione dei cereali prodotti per pagare debiti pregressi privarono i contadini dell'alimento di base, causando forse la più grande catastrofe silenziosa che si sia verificata nella storia. Negli anni Settanta, la fame che in Bangla Desh costò la vita a migliaia di persone e la carestia che colpì l'Africa del Sahel a seguito di un prolungato periodo di aridità confermano a tutt'oggi l'importanza del clima nel rapporto uomo-ambiente alimentare, nonché la necessità di una strategia globale da parte delle nazioni per salvaguardare il patrimonio idrico dei territori attraverso una politica ambientale adeguata.
2.
Accanto agli eventi eccezionali, naturali e non, sussistono ancora oggi gravi situazioni di fame cronica. Secondo le stime effettuate nel 1992 dalla FAO (Food and agriculture organization) e dall'OMS (Organizzazione mondiale della sanità), 192 milioni circa di bambini di età inferiore a 5 anni presentano un'insufficienza di peso corporeo da attribuire alla fame. L'Africa subsahariana, con 35 milioni di bambini in sottopeso, una cifra, questa, che corrisponde al 20% del totale nel continente, detiene il primato negativo in questo 'esercito di malnutriti'. L'insufficienza del peso corporeo nei primi cinque anni di vita non è il solo indicatore antropometrico dello stato di malessere dei bambini causato dalla fame cronica: un altro importante indicatore è il peso corporeo dei bambini alla nascita. Normalmente, non più del 4-5% dei nati al termine dei nove mesi di gravidanza presenta un peso corporeo inferiore a 2,5 kg. Una maggiore percentuale di bassi pesi alla nascita denota uno stato di malnutrizione energetica della madre negli ultimi mesi di gravidanza, che si ripercuote sul peso del feto impedendone la piena maturazione. Anche per questo indicatore si stima che la frequenza dei bambini sottopeso alla nascita sia nel mondo circa del 17%, con il 6-7% nei paesi tecnologicamente avanzati, il 19% in quelli in via di sviluppo, e con valori del 15% nell'Africa subsahariana e del 34% in Asia.
Strettamente correlata con i problemi di fame cronica è la mortalità nel primo anno di vita (mortalità infantile) e quella che si verifica entro i primi cinque anni. Nei paesi sviluppati la mortalità infantile non supera 10-20/1000 nati; in particolare, nelle aree in cui si presta una costante attenzione alla protezione della madre e del bambino (controlli della gravidanza, vaccinazioni ecc.) e un ambiente sano e confortevole protegge il neonato dal rischio di malattie trasmissibili e da quelle della nutrizione, questo indice non raggiunge 10/1000 nati (Danimarca, Svezia, Francia, Italia ecc.). La mortalità infantile supera invece 100/1000 nati nella maggior parte dei paesi in via di sviluppo (per es., Etiopia, Guinea, Mali, Afganistan, Cambogia ecc.). Un quadro analogo si presenta per la mortalità nei primi cinque anni di vita, dove ai decessi provocati dalla fame si aggiungono quelli che sono causati da patologie trasmissibili.
Accanto a queste manifestazioni antropometriche e demografiche della fame cronica, ve ne sono altre di carattere clinico più specifiche, connesse a particolari carenze. Circa 200 milioni di persone sono affette da gozzo adenomatoso, che si rivela con una tumefazione più o meno grande della ghiandola tiroidea, sintomo della mancanza di iodio nell'alimentazione; di tali soggetti, oltre 25 milioni sono anche affetti sin dalla nascita da disordini mentali dovuti alla sofferenza del cervello provocata dalla carenza dell'ormone tiroideo, che in condizioni ambientali normali o controllate viene prodotto dall'organismo utilizzando lo iodio presente nell'acqua e negli alimenti. Per mancanza di vitamina A dai 300.000 ai 500.000 bambini ogni anno diventano ciechi; la vitamina A è contenuta in alimenti di origine animale (latte, uova ecc.), negli ortaggi verdi (spinaci, lattuga ecc.), in molti frutti e in alcune radici (carote), e la sua funzione si esplica a livello dei tessuti epiteliali degli apparati respiratorio e oculare; un apporto deficitario di vitamina A determina, tra i principali segni clinici, l'opacizzazione della cornea e successivamente lesioni che, se non curate con somministrazione di opportune dosi della vitamina stessa, procurano ulcere e cecità. L'anemia da carenza di ferro colpisce oltre due miliardi di persone, soprattutto donne e bambini in età prescolare; in questi ultimi, le anemie portano a ritardi nell'accrescimento fisico e frequentemente a una scarsa resistenza alle malattie trasmissibili, mentre negli adulti la manifestazione più evidente è l'affaticamento, con conseguente diminuzione dell'attività lavorativa. Molte altre malattie sono indotte dalla fame cronica in particolari condizioni di insufficiente apporto di vitamine: oltre all'avitaminosi A e ai suoi effetti sulla vista, si registrano il beri-beri (avitaminosi B₁), lo scorbuto (avitaminosi C), il rachitismo (avitaminosi D e scarso apporto di calcio), la pellagra (avitaminosi PP), presenti un po' ovunque nel mondo, secondo una mappa discontinua che include sempre i paesi in via di sviluppo.
3.
Le patologie insorgono quando le disponibilità alimentari non sono sufficienti ad assicurare alle popolazioni l'energia e i nutrienti di cui necessitano. Al riguardo, il quadro mondiale delle disponibilità energetiche mostra che, a fronte dei paesi sviluppati che possono vantare razioni medie giornaliere a volte largamente eccedenti le 3000 kcal a persona, la maggior parte dei paesi non sviluppati raggiunge appena 2400-2500 kcal, e, tra questi, ve ne sono alcuni nei quali la razione media giornaliera è inferiore a 2000 kcal (Afganistan, Burundi, Cambogia, Ciad ecc.). La quota alimentare è insufficiente dal punto di vista energetico (e spesso anche in rapporto alle proteine, a certe vitamine e ad alcuni sali minerali), perché sono a loro volta insufficienti le quantità degli alimenti che la compongono. Tale fenomeno non è casuale, e può spiegare un 'paradosso' riguardante la fame epidemica che accompagna le condizioni di carestia. Le carestie che derivano dalle calamità naturali sono un evento eccezionale, ma sono al tempo stesso espressione di una situazione strutturale. Per es., la siccità che ha colpito il Sahel negli anni Settanta del 20° secolo ha avuto effetti ben più drammatici di quella che ha interessato l'Italia negli anni Ottanta; il divario si è determinato non perché le cause naturali che l'hanno prodotta siano di diversa entità, ma perché le società dei paesi del Sahel sono più vulnerabili, in quanto presentano una struttura economica, sociale e politica e tecnologie che le rendono poco capaci di rispondere in modo rapido e adeguato ai disastri indotti dalle calamità naturali. Egualmente, non è casuale che l'aridità colpisca ancora e nelle stesse forme i medesimi paesi africani che l'avevano già subita nel 1970.
Negli episodi di fame cronica le cause strutturali hanno incidenza ancora più marcata. Esiste una relazione diretta tra fame, produzione di alimenti insufficiente al fabbisogno della popolazione e disponibilità tecnologiche, scelte economiche, scambi nel quadro del mercato internazionale, tipi di insediamento della popolazione (città o campagne), ossia i fattori socioeconomici e culturali determinanti nel confronto tra l'uomo e il cibo e che in molti casi (per circa 3-4 miliardi di persone alla fine del 2° millennio) si dimostrano inadeguati per eliminare il fenomeno nelle sue forme croniche ed epidemiche. La fame cronica e quella dovuta a carestie hanno una matrice comune: la miseria e la povertà delle popolazioni per quanto riguarda la produzione agricola e alimentare. Tale produzione, a partire dagli anni Settanta, ha avuto un notevole impulso grazie alla forte domanda dei prodotti agricoli sui mercati e al progresso tecnologico raggiunto nel sistema di produzione che va sotto il nome di 'rivoluzione verde'. Questo fenomeno non ha però riguardato tutti i paesi in egual misura. La domanda è stata infatti molto elevata da parte dei paesi sviluppati, soprattutto relativamente ai cereali destinati all'alimentazione del bestiame d'allevamento per soddisfare l'aumentata richiesta di carne. La rivoluzione verde, a sua volta, si è indirizzata verso chi possedeva le condizioni di base per attuare un'agricoltura di tipo industriale (terra, credito, mezzi economici, conoscenze scientifiche ecc.), dunque, anche in questo caso, verso i paesi più avanzati. Viceversa, i paesi poveri, esclusi dai nuovi processi produttivi, sono venuti a contatto con il progresso unicamente attraverso le costose importazioni dai paesi sviluppati. Questo ha portato a due fenomeni che si sono rivelati di fondamentale importanza per spiegare la fame cronica e quella epidemica indotta dalle carestie. Gli agricoltori dei paesi poveri, tagliati fuori dalla produzione alimentare che poteva produrre reddito, hanno lasciato le campagne andando a ingrossare le file di disoccupati delle città e creando problemi di 'fame urbana' nelle periferie degradate. Nello stesso tempo, le colture da esportazione (cotone, arachide, caffè) hanno occupato le terre già appartenute agli agricoltori o che erano utilizzate per il pascolo. L'abbandono dei sistemi tradizionali di produzione e i nuovi insediamenti hanno reso le terre più vulnerabili di fronte alle calamità naturali (siccità, alluvioni ecc.) venendo a chiudere il cerchio delle relazioni tra fame cronica e fame epidemica.
L'Indice di sviluppo umano (ISU) rivela meglio di ogni altro elemento la situazione dei vari paesi del mondo riguardo ai rischi di esposizione alla fame cronica e all'impossibilità di rispondere adeguatamente a quella epidemica. L'Indice, che è stato proposto dal Programma delle Nazioni Unite per lo Sviluppo, va da 0 a un valore massimo di 1 e considera vari fattori socioeconomici: il reddito del paese, sotto forma del prodotto interno lordo, il livello di salute, espresso dagli anni di speranza di vita alla nascita, e il grado d'istruzione, rappresentato dal tasso di alfabetizzazione degli adulti e dal numero medio di anni di studio. Esaminando il rapporto esistente tra l'Indice di sviluppo umano e le disponibilità alimentari dei vari paesi e quindi la loro suscettibilità a essere colpiti dalla fame, risulta che, considerata la distribuzione mondiale, tra le aree che hanno il più basso Indice figurano anche quelle che hanno le minori disponibilità energetiche alimentari. Fame cronica e rischi di fame da carestie non soltanto sono tra loro connessi, ma sono costantemente associati al basso livello economico, di salute e di istruzione dei paesi. Sono quindi parte integrante del malessere di cui soffre attualmente la maggior parte delle popolazioni.
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