AQUINO, FAMIGLIA
Famiglia di origine longobarda, discendente dai gastaldi di Aquino, che possedettero ininterrottamente, tra i secc. IX e XIII, i territori di Aquino, Pontecorvo e la Val Comino. Gli Aquinati erano legati alla più ortodossa concezione longobarda della nobiltà. Era trasmessa attraverso il veicolo biologico del sangue e la sua intensità era legata alla gerarchia sociale e politica: nobilissima era la stirpe dei principi, dei duchi, dei conti. La chiave per regolare l'intensità della nobiltà era data dalle alleanze matrimoniali, la cui selezione poteva fare aumentare o diminuire la nobiltà. Per essi, tuttavia, il matrimonio conservava il peso specifico della nobiltà della stirpe paterna, che era trasmessa attraverso il veicolo del nome. Per gli Aquinati, dunque, il nome era il marchio, la manifestazione esteriore del sangue e della nobiltà. I nomi che essi sceglievano rappresentavano la manifestazione esteriore della loro appartenenza alla nobiltà e restarono sempre dell'opinione che la selezione del nome fosse parallela e integrasse le alleanze matrimoniali: per essi era nobile colui che si ricordava di coloro che prima di lui avevano portato il suo stesso nome.
Su un totale di novantotto esponenti maschi censiti, nei quattro secoli presi in esame (X-XIII), si riscontra la frequenza di questi nomi: Adenolfo, diciotto volte (la prima nel 963; l'ultima nel 1292); Landolfo, quindici volte (la prima nel 985; l'ultima nel 1257); Landone, dieci volte (la prima nel 963; l'ultima nel 1137). La scelta di questi tre nomi, che costituiscono quasi il 50% del totale dei nomi censiti, evidenzia una coscienza genealogica che manifesta e perpetua in questo modo la sua nobiltà. Il 3 maggio 1231, Landolfo, quattordicesimo esponente della stirpe con questo nome, padre di s. Tommaso, in una donazione a Montecassino contenuta nel 'Regesto' di Tommaso Decano, si definisce nobilis; sua figlia Teodora, contessa di Marsico, sposa di Ruggero Sanseverino, è definita nobilis mulier; suo figlio Jacopo nel 1242 è detto nobilis vir.
Nel corso del sec. XII gli Aquinati incominciarono ad adottare alcuni nomi di origine franco-normanna. Questo fenomeno, di grande interesse, non significò l'abbandono del tradizionale sistema di selezione dei nomi, ma, utilizzato solo per gli esponenti dei rami collaterali e mai per i primogeniti, lascia intravedere l'apertura dei nobili longobardi alla cultura cavalleresca normanna. Non bisogna, infatti, dimenticare che per i cavalieri longobardi l'ingresso nella feudalità del Regno normanno di Sicilia significò anche l'ingresso nei ranghi della cavalleria, l'adozione di un'armatura pesante e di un modello di combattimento nuovo, e, soprattutto, l'acquisizione di una nuova etica di comportamento e di gerarchia di valori. L'utilizzazione del nome Rainaldo, ad esempio, che non trova riscontro nella genealogia degli Altavilla e che, perciò, non può essere attribuita a un fenomeno di imitazione, trova la sua spiegazione solo supponendo la conoscenza da parte dei nobili longobardi dell'omonimo eroe dell'epica francese e delle sue gesta.
Dall'esame dei nomi maschili degli Aquinati emerge la scomparsa di alcuni nomi longobardi, che, pur con scarsa frequenza, erano stati adoperati in precedenza. Essi sono: Pandone, Siconolfo, Giaquinto, Pietro, Giovanni. È del 1137 l'ultima menzione del nome Landone, che pur aveva condiviso fino a quell'anno, con i nomi Adenolfo e Landolfo, le preferenze degli esponenti della stirpe. Al loro posto vengono adottati dei nomi nuovi, quali Guglielmo, Ruggero, Aimone, Tommaso, Rainaldo, Filippo. Dopo il 1137 la damnatio memoriae del nome Landone, che non fu mai più adoperato, è da mettere in rapporto col fatto che con un Landone si spense il bisecolare comitato di Aquino. Landone IV, infatti, privato dei suoi possessi dall'imperatore Lotario, non riuscì a ottenere il titolo e la dignità comitale da re Ruggero II d'Altavilla, quando costui avviò, col figlio Anfuso, la conquista sistematica delle regioni settentrionali del Regno di Sicilia.
Nella nuova organizzazione feudale e amministrativa del Regno di Sicilia gli Aquinati ottennero dei feudi in capite de domino rege. Rainaldo, figlio di Landone IV ultimo conte longobardo di Aquino, marito di Cecilia de Medania, ottenne i feudi di Roccasecca, in Isola del Liri, in Cantalupo (fraz. di Colle S. Magno), in Valle del Corno, la terza parte di Aquino. Landolfo, figlio di Pandolfo (fratello del qui citato Rainaldo), ottenne i feudi di Settefrati, l'ottava parte di Aquino; divenne, inoltre, feudatario di Gionata, conte di Conza e di Carinola, per i feudi di Alvito, Campoli Appennino e per la quarta parte di Aquino.
Due favorevoli alleanze matrimoniali portarono gli Aquino nel giro di qualche decennio a riconquistare il titolo comitale e una posizione di assoluto prestigio. Ruggero de Medania, già conte di Buonalbergo, poi conte di Acerra, morì nel 1167 senza eredi. Gli successe nel possesso della contea di Acerra Riccardo "de Aquino", figlio di sua sorella Cecilia e di Rainaldo "de Aquino". Dopo qualche anno la sorella del neo-conte di Acerra, Sibilla, sposò re Tancredi d'Altavilla. Il conte di Acerra divenne il più sicuro e autorevole sostenitore del sovrano in Terra di Lavoro. Contrastò con forza Enrico VI di Svevia. Dopo la morte di Tancredi e la deportazione da parte dell'imperatore svevo di Sibilla, con i due figli, in Sicilia, Riccardo di Aquino, conte di Acerra, cercò di organizzare una ultima resistenza al predominio svevo. Diopoldo di Schweinspeunt lo vinse e lo catturò mentre tentava di fuggire dal Regno. Il giorno di Natale del 1196 Enrico VI, di ritorno dalla Germania, tenne una solenne corte in Capua, nella quale, secondo una prassi antica, dette alcuni esempi di Schrecklichkeit (terribilità): Riccardo di Aquino, dopo essere stato trascinato a coda di cavallo per tutte le vie di Capua, fu appeso alla forca per i piedi. Soltanto dopo tre giorni, un buffone dell'imperatore, ne ebbe pietà e ne affrettò la fine.
Durante la minorità di Federico II e gli anni trascorsi dall'imperatore in Germania, gli Aquino sono ampiamente testimoniati nelle fonti narrative e documentarie coeve come detentori di piccoli possessi feudali nelle regioni avite. I domini de Aquino, fedeli all'imperatore, nel 1208 parteciparono all'assalto di Sora che si era ribellata a Federico II. Nel novembre 1210, rinchiusi in Aquino, si opposero alle truppe di Ottone IV comandate da Diopoldo, duca di Spoleto. Il 18 marzo 1212 accolsero in Gaeta il giovane Federico, che si recava in Germania. In occasione della incoronazione romana di Federico il 22 novembre 1220, Tommaso di Aquino, lontano congiunto del conte Riccardo giustiziato nel 1196, fu investito della contea di Acerra. Gli Aquino ritornarono così ad avere, finché visse Federico II, un ruolo di primissimo piano nella vita politica e militare del Regno.
Fonti e Bibl.: F. Scandone, Documenti e congetture sulla famiglia e sulla patria di S. Tommaso d'Aquino, Napoli 1901; Id., Ancora nuovi documenti per S. Tommaso d'Aquino, ivi 1901; Id., I d'Aquino di Capua, in P. Litta, Famiglie celebri italiane, ivi 1905-1909; Id., Margherita di Svevia, "Archivio Storico delle Provincie Napoletane", 21, 1906; Id., L'alta valle del Calore, II, Palermo 1916; VII, Napoli 1970; Id., La vita, la famiglia e la patria di S. Tommaso de Aquino, in S. Tommaso d'Aquino. Miscellanea storico-artistica, Roma 1924; Id., L'alta valle dell'Ofanto, I, Città di S. Angelo dei Lombardi, Avellino 1957; Catalogus Baronum. Commentario, a cura di E. Cuozzo, Roma 1984, §§ 1008, 1009, 836 e la bibliografia ivi citata; G. Tescione, Caserta medievale e i suoi conti e signori, Caserta 1990; E. Cuozzo, L'antroponimia aristocratica nel 'Regnum Siciliae', "Mélanges de l'École Française de Rome", 106, 1994, pp. 653-665; Id., La nobiltà dell'Italia meridionale e gli Hohenstaufen, Salerno 1995, pp. 29 ss., 94 ss.