CAPPONI, famiglia
, Famiglia fiorentina fra le più illustri e numerose, strettamente legata alla storia della sua città, alla quale diede 57 priori e 10 gonfalonieri. Il primo personaggio sicuro è Compagno di Uguccione, immatricolato nel 1244 all'arte della lana, e caduto poi a Montaperti. Da lui Bonamico, iniziatore della fortuna economica e primo priore della famiglia, e da Bonamico Recco, priore anch'esso, più volte, e ambasciatore a Bonifacio VIII. Da Recco cinque figli, capostipiti di altrettanti rami, tutti prosperosissimi: Cappone, Filippo, Mico, Angelo e Neri.
Con tanta abbondanza di uomini, taluni singolarmente eccellenti, i C., tuttavia, non prevalsero nelle vicende politiche come gruppo familiare. Si direbbe che essi eccellessero specialmente in abilità nel destreggiarsi fra il cozzare delle passioni. E certo a questa abilità si deve se le ricchezze accumulate per tempo con la mercatura - lana e seta - e, più ancora, con la banca furono conservate e accresciute. Fra quelli che più contribuirono a questo accrescimento, ricorderemo Cappone di Bonamico che nel 1279 dirigeva a Lodi una ragione di commercio; poco dopo Filippo di Compagno era banchiere a Milano, dove nel 1299 per un prestito di 1400 lire veronesi fatto a Matteo Visconti ebbe da questi in pegno la corona ferrea dei re d'Italia. Nel 1391, Leonardo di Iacopo era in grado di fare alla Repubblica fiorentina, in lotta contro Gian Galeazzo Visconti, un prestito gratuito di 11.000 fiorini. Sul principio del '400, Zanobi di Niccolò si metteva in mare per visitare le piazze dove i suoi avevano affari; e tanto si appassionava e si impratichiva di cose di mare, che nel 1422 era nominato primo capitano delle galere fiorentine costruite a Pisa. Alla fine del sec. XV Girolamo di Gino era tesoriere pontificio in Romagna stimato dai papi, che tenevano in molto conto la forza dell'azienda bancaria dei C., da tempo stabilita a Roma. L'altra piazza dove i C. avevano concentrato ingenti capitali era Lione. Quivi fece le prime armi, sul finire del '400, Niccolò di Piero (v. sotto). E a lungo vi si trattenne Neri di Gino (1452-1519) che, banchiere di Carlo VIII per i pagamenti in Italia, invano tentò poi di scolparsi dell'accusa di aver danneggiato la sua patria.
Quanto alla partecipazione alle vicende cittadine, essa fu scarsa o nulla durante le lotte fra Bianchi e Neri. Popolari di origine, non poterono invece i C. astenersi dallo scendere in campo, allorché, cacciato il duca d'Atene, i Grandi insorsero per infrangere gli Ordinamenti di Giustizia: scoppiata la rivolta capeggiata dai Bardi in Oltrarno, il 24 settembre 1343, mentre le milizie del Comune si accanivano invano per superare i ponti, Neri di Recco mosse con un gruppo di animosi, prese a tergo le case dei Nerli e aprì la prima breccia nella difesa dei magnati. Un forte nucleo dei C. guidato da Gino dei Neri di Recco (1350 circa-1421, v.) si schierò più tardi con gli Albizzi contro i Ricci e poi contro gli Alberti che ad essi si sostituirono. Il figlio di Gino, Neri (1388-1457), nella partita impegnata ormai a fondo fra gli Albizzi e i Medici, continuatori del partito dei Ricci e degli Alberti, seguitò l'opera accorta di Niccolò da Uzzano, già moderatore fra i contendenti, e determinò il richiamo dall'esilio di Cosimo, che fronteggiò poi con la stessa energia con la quale tenne a freno l'ambizione di Rinaldo degli Albizzi. Diplomatico e soldato, trattò i più ardui negozî occorsi dal 1422 alla pace di Cremona, fra Fiorentini e Visconti (1441); e il 29 giugno 1440, si attribuì ad Anghiari la vittoria sul Piccinino. Da storico scrisse, oltre ai Commentari dell'acquisto di Pisa, che sembrano debbano rivendicarsi a lui, anche s'egli lavorò su appunti e ricordi del padre Gino, i Commentari delle cose seguite in Ialia tra il 1419 e il 1456 e La cacciata del conte di Poppi ed acquisto di quello Stato per il popolo fiorentino: opere pubblicate per la prima volta dal Muratori, insieme con quelle del padre di Neri, Gino. Alla fine del secolo, Firenze andò debitrice al nipote di Neri, Piero (v.), delle condizioni decorose strappate a Carlo VIII, entrato da trionfatore nella città.
Dal 1502, sotto il governo del Soderini, i C. si tennero in disparte e si sottrassero così alle rappresaglie che segnarono il ritorno dei Medici. Oppositore accanito dei Medici fu invece Agostino di Bernardo, il quale, partecipe alla congiura di Pietro Paolo Boscoli, ebbe nel 1313 tronca la testa. Avverso al partito mediceo fu poi anche Niccolò di Piero (1437-1529) che, eletto gonfaloniere nel 1527 dopo aver partecipato alla terza espulsione degli ambiziosi signori, ebbe un atteggiamento conciliante e, come segno della pacificazione a cui tendeva, proclamò re di Firenze Gesù Cristo, il cui nome fece incidere sul Palazzo della Signoria. Ma la sua tattica moderatrice urtò contro l'ardore del partito dei libertini; così come la sua proposta di accostarsi all'imperatore urtò contro i sostenitori della politica di accordo con la Francia. Sostituito nel gonfalonierato da Francesco Carducci, fu inviato nell'agosto del 1529 ambasciatore a Carlo V; e, nel ritorno, ammalatosi a Castelnuovo di Garfagnana, dopo aver appresi da Michelangelo, e disapprovati, gli apprestamenti per l'estrema difesa della città, morì fra le braccia di Lodovico Ariosto. Di lui scrisse la vita Donato Giannotti. Intanto i suoi famigliari, parte incitavano alla resistenza e parte consigliavano la capitolazione. Quasi tutti, però, dopo la morte del Ferrucci, passarono ad ingrossare le file dei Palleschi.
Durante il principato scemò l'importanza delle famiglie fiorentine, e anche dei C. Ricordiamo tuttavia quelli fra essi che furono implicati nella congiura di Orazio Pucci contro Francesco I, condannati nel 1575; Antonio di Niccolò, Piero e Francesco di Alessandro di Giuliano, Roberto e Vincenzo di Piero di Niccolò, dei quali Antonio, fuggiasco in Francia, guerreggiò contro gli Ugonotti e divenne governatore del marchesato di Cabanes, e Roberto militò, pure in Francia, con Enrico III e Enrico IV. Fra gli amici dei signori, possiamo menzionare Vincenzo Maria di Scipione, nominato nel 1686 coppiere del gran principe Ferdinando e, nel 1688, suo maestro di camera; Alessandro di Scipione (1644-1716), intimo del cardinale Francesco Maria.
Più interessante può essere seguire il ramo francese dei C., facente capo a Lorenzo di Cappone (1512-1573), inviato fanciullo alla banca di Lione. Quivi, arricchitosi, si naturalizzò del paese e comprò la signoria di Crèvecoeur e di Amberieu, con titolo baronale. Furono suoi figli Carlo, barone di Crèvecoeur e poi anche di Font Saint Mageraud e de la Grange, e Alessandro, barone di Amberieu. Fra i discendenti del primo è il generale maggiore Gilberto Francesco di Giovanfrancesco (1730-1788), creato da Luigi XVI marchese di Contrond, e il sacerdote Gilberto Enrico suo fratello (1722-1797), col quale, esule dalla Francia durante la rivoluzione e suicida a Firenze, si estinse la linea di Francia. Da Alessandro, che, abbandonata la mercatura per le armi, combatté con Carlo IX, Enrico III ed Enrico IV, ottenendo in ricompensa la signoria di Feugerolles col titolo comitale e la baronia de la Roche Meulière, nacquero Alessandro, morto col grado di generale all'assedio di Casale nel 1639, e Gaspero, favorito della regina Maria de' Medici. I suoi beni furono ereditati dalla figlia Caterina Angelica sposa a un De Charpin. I discendenti De Charpin-Feugerolles inquartarono nel loro lo stemma dei Capponi.
I C. ebbero uomini degni di ricordo anche in altri campi oltre che in quelli della banca, della politica e delle armi. Luigi di Francesco di Piero (1583-1659) arcivescovo di Ravenna e insignito della porpora cardinalizia, fu presidente della congregazione di Propaganda Fide e prefetto della Biblioteca Vaticana, che arricchì di molti nuovi codici. Vincenzo di Bernardino (1605-1688) costituì un'importante biblioteca, che la figlia Cassandra, moglie di Francesco di Cosimo Riccardi, trasportò nel palazzo del marito, già proprietà dei Medici, per arricchire la preziosa libreria ivi esistente: la quale, acquistata nel 1818 insieme col palazzo dal governo granducale, è nota col nome di Riccardiana.
Il marchese Pier Roberto di Gino Pasquale fu consigliere intimo di stato del granduca Pietro Leopoldo, devoto ai Lorena anche durante la dominazione francese, per lealtà d'animo e per convinzione politica piuttosto che per opportunismo: tanto che, alla restaurazione, non accettò cariche pubbliche ma si dedicò ad opere di pietà, insieme con la moglie Maria Maddalena Frescobaldi. Fu loro figlio Gino, il grande patriota statista e storico del Risorgimento (v.). La famiglia è rappresentata oggi da Piero di Scipione di Vincenzo, marchese dell'Altopascio, e dal conte Piero di Luigi di Giovan Battista, con i figli Ferrante e Recco, il quale ha assunto il cognome Giugni Canigiani de' Cerchi, come erede di Vieri Giugni Canigiani de' Cerchi, inquartandone lo stemma.
I Capponi ebbero in Firenze molti palazzi. Il più antico è presso il ponte S. Trinita a sinistra dell'Arno, ed è affrescato da Bernardino Poccetti che ritrasse i personaggi più importanti della casa. Un'altra bella costruzione si trova in via de' Bardi, passata da Niccolò da Uzzano ai Capponi per il matrimonio di uno dei loro con la figlia di Niccolò. Ma il più grandioso degli edifizî fu eretto ai primi del Settecento presso piazza della SS. Annunziata, da Alessandro di Scipione, su disegno di Carlo Fontana. Delle ville fu rinomata nella storia del giardinaggio quella di Quinto, dove Francesco di Piero (1540-1613) raccolse fiori pregevolissimi.
Bibl.: P. Litta, Famiglie celebri italiane.