Abstract
La famiglia rappresenta un istituto fondamentale le cui connotazioni sono influenzate dal contesto storico e sociologico nonché dalle trasformazioni economiche, culturali e dai fattori religiosi e dall’evoluzione scientifico-tecnologica. Viene analizzata la famiglia così come concepita nelle norme costituzionali nonché la sua evoluzione fino alle recenti modifiche legislative in tema di unioni civili e convivenze.
In ogni organizzazione sociale, la famiglia rappresenta un istituto fondamentale le cui connotazioni sono influenzate dal contesto storico e sociologico nonché dalle trasformazioni economiche, culturali e dai fattori religiosi e dall’evoluzione scientifico-tecnologica.
Nel tempo si è assistito a molteplici trasformazioni dell’istituto, attraverso anche quello che è stato definito dai sociologi “contrazione della famiglia” poiché si è passati da una nozione ampia di famiglia, quella “patriarcale” alla “famiglia coniugale” composta da un gruppo ristretto di soggetti e cioè dai coniugi e dai figli.
In realtà, tuttavia, tali differenziazioni non sono corrette poiché trattandosi, come si è detto, di un settore fortemente influenzato da fattori storici, culturali, sociologici e religiosi, i diversi tipi di famiglia coesistono e si intrecciano tra loro, cosicché ogni qualvolta si cerca di fornire una definizione di famiglia occorre determinare il punto di vista che si intende prendere a riferimento e la problematica da analizzare potendosi restringere o allargare la nozione in relazione agli interessi e alle esigenze prese in considerazione.
Ancora attuale è l’espressione utilizzata da Arturo Carlo Jemolo secondo cui la famiglia è un’isola che può essere solo lambita dal diritto. Tuttavia, il diritto si è sempre occupato della famiglia in una pluralità di prospettive e sono stati innumerevoli gli interventi legislativi che hanno interessato la famiglia soprattutto negli ultimi quaranta anni.
Il modello di famiglia attuale, sebbene con tutte le modifiche che si sono susseguite nel tempo e di cui si parlerà in seguito, è frutto della riforma del 1975 e certamente lontano da quello del codice del 1942 e ancora di più da quello del 1865.
Nel contesto codicistico del 1942, la famiglia ricalcava il modello ottocentesco; si trattava di una famiglia chiusa, in cui la figura predominante e centrale era quella del capofamiglia, titolare della potestà maritale e della patria potestà nei confronti dei figli.
Il codice del 1942 esprimeva un’impostazione liberale e individualista, un’ideologia patrimonialistica che influenzava anche il contesto dei rapporti familiari in cui la donna, seppure “emancipata” rispetto al codice del 1865, moglie e madre, con piena capacità giuridica e di agire, si ritrovava in posizione di subordinazione nei confronti del marito.
La riforma del 1975, pertanto, era necessaria per l’evolversi del costume e della morale, per le trasformazioni dal punto di vista industriale ed economico, per il diverso ruolo della donna.
L’istituto della famiglia doveva cambiare rispetto all’impostazione del codice del 1942 in conseguenza dell’entrata in vigore della Costituzione nel 1948 e dell’evoluzione giurisprudenziale che via via aveva smantellato le regole che, in primo luogo, minavano al principio dell’uguaglianza tra i coniugi. Si pensi alle celebri sentenze con cui la Corte Costituzionale ha depenalizzato l’adulterio della moglie (C. cost. 18.12.1968 nn. 126 e 127; C. cost. 3.12.1969 n. 147) o il reato di concubinato, ovvero agli interventi del legislatore con l’introduzione della legge sul divorzio del 1970. L’avvento della Costituzione del 1948, infatti, determinò una svolta storica in quanto «il parlamento italiano si cimentò in un compito di identificazione del concetto di famiglia superando tanto le remore individualistiche veteroliberali quanto l’attrazione pubblicistica di una istituzionalizzazione» (cfr. Busnelli, F.D. Architetture costituzionali, frantumi europei, incursioni giurisprudenziali, rammendi legislativi. Quale futuro per la famiglia? in Gorgoni, M., a cura di, Unioni Civili e Convivenze di Fatto, L.20 maggio 2016 n. 76, Sant’Arcangelo di Romagna, 2016, XI ss., il quale riprende alcuni discorsi pronunciati all’Assemblea Costituente da Giorgio La Pira che evidenziava la necessità di una edificazione della famiglia come «pietra murata in conformità dell’architettura» muovendo dall’«articolo che governa l’architettonica di tutto l’edificio» che guarda ai «diritti delle persone e delle formazioni sociali», nonché da Togliatti che evidenziava la «nuova concezione, non individualista, né atomistica, ma fondata sul principio di solidarietà»).
La famiglia della riforma del 1975, che oggi potremmo dire essere stata solo un punto di partenza dell’evoluzione degli schemi familiari, si caratterizza perché esprime una concezione in cui diventano fondamentali i diritti individuali e il rispetto della personalità dei suoi membri; vi è il passaggio da una famiglia basata sull’autorità del capo ad una famiglia incentrata sulla uguaglianza dei coniugi; il venir meno dell’indissolubilità del matrimonio con il divorzio conferisce rilevanza all’accordo tra i coniugi nella regolamentazione dei loro rapporti e decreta la fragilità della famiglia legittima cedendo alle esigenze individuali dei singoli membri che l’avevano creata.
Dal 1975 non è stata attuata alcuna riforma sistematica che sarebbe anche difficile da realizzare in ragione della frammentazione culturale e sociale che non permette di rinvenire un unico modello familiare. Ecco perché il modello di famiglia basata sul matrimonio che caratterizzava la riforma del 1975 è venuto meno, o meglio ha subito una vera e propria metamorfosi fino ad essere soppiantato da una pluralità di modelli determinando quella che è stata definita la “disarticolazione” della famiglia (cfr. Busnelli, F.D., Architetture costituzionali, frantumi europei, incursioni giurisprudenziali, rammendi legislativi. Quale futuro per la famiglia?, cit., XI ss.) dovuta anche alla influenza dei principi di derivazione comunitaria e all’emergere di compagini familiari diverse.
Tutto ciò influenza anche il diritto vivente e la stessa giurisprudenza che, anche attraverso innovative interpretazioni, rispecchia le novità che si manifestano in questo particolare ambito.
Dalla riforma del 1975, pertanto, vi sono stati numerosi cambiamenti che sono passati dalla riforma del divorzio alla riforma dell’affidamento, dalla riforma della filiazione con la l. 10.12.2012, n. 219 e il d.lgs. 28.12.2013, n. 154, alla previsione del divorzio breve e all’ultima legge sulle unioni civili.
Ebbene, diverse sono le tappe che hanno caratterizzato il diritto di famiglia e che influenzano ai nostri giorni la nozione stessa di famiglia.
È stato detto che il diritto di famiglia negli ultimi quarant’anni è stato ripetutamente modificato ma non nel senso di “riformato”, quanto piuttosto di ridefinito alla luce dell’evoluzione culturale, morale, religiosa e sociale.
Si è osservato, in particolare, il superamento del modello unico ed esclusivo di famiglia fondata sul matrimonio ed il passaggio dal concetto di “famiglia” a quello di “famiglie”. Ciononostante le nuove situazioni familiari, per quanto non siano effettivamente fondate sul matrimonio, finiscono per riprodurre comunque nella sostanza nel caratteristiche proprie dell’istituto matrimoniale.
La Costituzione italiana dedica alla famiglia gli artt. 29, 30 e 31, inseriti nel Titolo Secondo «Rapporti Etico Sociali».
Gli artt. 29, 30 e 31 della Costituzione italiana hanno rappresentato una novità nella tradizione costituzionale del paese, giacché lo Statuto Albertino del 1848, che per oltre un secolo aveva rappresentato la costituzione del Regno d’Italia, coerentemente con la tradizione delle costituzioni brevi e liberali, non conteneva norme sulla famiglia o sui rapporti di filiazione.
Originariamente, peraltro, l’opportunità di inserire nella Carta costituzionale norme sulla famiglia fu vista con sfavore dal pensiero liberale, ritenendosi sufficienti le norme dettate in materia dal Codice Civile del 1942 e, prima ancora del 1865 (che peraltro, in materia di filiazione, anche dopo l’introduzione nella carta costituzionale dell’art. 30, rimase la disciplina di assoluto riferimento).
L’Assemblea Costituente, tuttavia, in considerazione del peculiare momento storico e della contingente necessità di rafforzare talune garanzie giuridiche, decise in ogni caso di intervenire sulla materia.
Molteplici, tuttavia, furono le questioni oggetto di dibattito all’interno dei lavori della Sottocommissione dell’Assemblea, con particolare riguardo alla definizione stessa di “famiglia”, confluita successivamente nell’art. 29.
Inizialmente, in particolare, si contrapposero due tesi: la prima, riconducibile all’aria di orientamento cattolico, insisteva sull’opportunità di inserire una definizione di famiglia; mentre una seconda evidenziava l’opportunità di optare nel testo costituzionale per un generico richiamo ai “diritti della famiglia”.
Si contrapposero, quindi, da un lato la teoria giusnaturalistica portatrice dell’idea dello jus naturale della famiglia e dall’altro la teoria autonomistica volta a privilegiare l’aspetto di famiglia in termini di società nel senso inteso da una scuola di diritto naturale.
Si scelse, infine, per l’inserimento della definizione e dell’istituto e, in particolare, per la formula definitoria “società naturale”, anche se parte della dottrina né rilevò l’incongruenza terminologica in quanto la società ha base volontaria e contrattuale, mentre la base naturale può essere rinvenuta nella “comunità”.
Vale la pena ricordare le parole di Togliatti che nel suo discorso all’Assemblea Costituente, dopo avere apprezzato il discorso di Giorgio La Pira, sottolineò la confluenza tra la corrente socialista e comunista con la corrente solidaristica cristiana e fece presente che più che «compromesso» si era realizzato qualcosa di «più nobile ed elevato»…. «Noi vogliamo una Costituzione la quale guardi verso l’avvenire” (la citazione è ripresa da Busnelli, F.D., Architetture costituzionali, frantumi europei, incursioni giurisprudenziali, rammendi legislativi. Quale futuro per la famiglia?, cit., XI ss., il quale è dell’avviso che il processo di disintegrazione della famiglia non si è arrestato e le previsioni dei padri della Costituzioni sono andate deluse).
I diversi significati attribuiti alla formula “società naturale” (denominazione criticata da Calamandrei) sono soprattutto il portato della qualificazione operata nel tempo dagli interpreti del rapporto tra famiglia e Stato.
Il primo comma dell’art. 29 della Costituzione, in particolare, ha rappresentato la sintesi tra due posizioni divergenti. L’espressione società naturale, infatti, è stata adottata anzitutto come “compromesso” tra i diversi orientamenti che si sono contrapposti in Assemblea sulla questione della definizione del concetto di famiglia.
Nonostante la scelta di compromesso, le differenti dottrine non hanno smesso di contrapporsi, giungendo, infatti, ad attribuire opposti significati all’espressione “società naturale”: da un lato, infatti, collocandosi chi scorge nell’espressione “società naturale” un rinvio al diritto naturale, e dunque fuori dai “confini” dell’ordinamento dello Stato e preesistente ad esso; dall’altro lato, collocandosi invece una dottrina “relativista”, per la quale la famiglia, così come altri concetti giuridici, costituisce la derivazione di un certo modello di disciplina.
Vi è stato chi riconosceva alla famiglia natura di ente autonomo, e chi negava in capo alla famiglia la sussistenza di una personalità giuridica dando risalto ai diritti dei singoli membri della compagine familiare.
Costituisce una specificazione piuttosto rilevante il riferimento al matrimonio contenuto nell’art. 29 della Costituzione, dandosi così rilevanza alla famiglia legittima, monogamica e fondata sul matrimonio etero sessuale atto indispensabile per la sua formazione.
Jemolo affermava che «l’unico presupposto veramente costante nel matrimonio sta nella diversità di sesso tra le persone che contraggono il vincolo» (Jemolo, A.C., Il Matrimonio, in Tratt. dir. civ. Vassalli, III, t. 1, Torino, 1952, 3)
La riforma del diritto di famiglia del 1975 nelle sue linee ordinatrici fondamentali, nonostante abbia proposto un modello familiare più aperto e comunitario, si è comunque articolata attorno all’istituto matrimoniale come cardine della struttura familiare, secondo il modello sancito dall’art. 29 Cost.
E ciò sebbene nel tessuto sociale del tempo risultassero già diffuse espressioni come “convivenza more uxorio” e “famiglia di fatto”, più o meno cariche di valenza ideologica, ma che non trovavano apertura né nella dottrina né nella stessa giurisprudenza salvo rare eccezioni e concessioni (es. in materia di locazione, tributaria, assistenziale) che comunque non minavano il principio della irrilevanza del fenomeno “convivenza more uxorio”.
In epoca successiva alla riforma del diritto di famiglia non si registrano riforme organiche della materia, bensì una serie di interventi settoriali, in risposta alle pressioni sociali di volta in volta registrate, che hanno senz’altro contribuito a erodere «l’antico biunivoco legale tra matrimonio e famiglia» (cfr. Zatti, P., Tradizione e innovazione nel diritto di Famiglia, in Tratt. dir. famiglia Zatti, II, t. 2, Milano 2011, 5).
Essendo emersa, in particolare, la precisa istanza di riconoscimento e tutela di nuove relazioni affettive interindividuali, l’attenzione si è concentrata sui figli, infatti, il legislatore è intervenuto con due importanti interventi normativi in materia di filiazione attraverso una equiparazione dei figli naturali a quelli legittimi (la l. n. 219/2012 e il d.lgs. n. 154/2013).
Successivamente, maturi i tempi, si è riusciti a regolamentare la materia delle convivenze con la l. 20.5.2016, n. 76, che ha anche disciplinato le unioni civili tra persone dello stesso sesso. Si tratta di provvedimenti normativi che hanno fatto seguito a precedenti interventi che avevano in vario modo interessato le convivenze e ciò nell’ottica di un disegno sistematico che ha cercato di dare a queste rilevanza al pari del matrimonio valorizzando le relazioni personali significative in particolari circostanze come, per citarne alcuni, nel caso dei provvedimenti relativi alla donazione di organi (l. 1.4.1999, n. 91), congedi parentali (l. 8.3.2000, n. 53, d.lgs. 26.3.2001, n. 151), procreazione medicalmente assistita (l. 19.2.2004, n. 40).
Si deve segnalare che anche la giurisprudenza ha dato rilevanza alle relazioni affettive determinate dalla convivenza per esempio riconoscendo che «la sofferenza provata dal convivente "more uxorio", in conseguenza dell'uccisione del figlio unilaterale del partner, è un danno non patrimoniale risarcibile soltanto se sia dedotto e dimostrato che tra la vittima e l'attore sussistesse un rapporto familiare di fatto, il quale non si esaurisce nella mera convivenza, ma consiste in una relazione affettiva stabile, duratura, risalente e sotto ogni aspetto coincidente con quella naturalmente scaturente dalla filiazione» (Cass. 21.4.2016 n. 8037); e ancora ha ritenuto che «le unioni di fatto, quali formazioni sociali rilevanti ex art. 2 Cost., sono caratterizzate da doveri di natura morale e sociale, di ciascun convivente nei confronti dell'altro, che si esprimono anche nei rapporti di natura patrimoniale e si configurano come adempimento di un'obbligazione naturale ove siano rispettati i principi di proporzionalità ed adeguatezza. Ne consegue che, in un tale contesto, l'attività lavorativa e di assistenza svolta in favore del convivente «more uxorio» assume una siffatta connotazione quando sia espressione dei vincoli di solidarietà ed affettività di fatto esistenti, alternativi a quelli tipici di un rapporto a prestazioni corrispettive, quale il rapporto di lavoro subordinato, benché non possa escludersi che, talvolta, essa trovi giustificazione proprio in quest'ultimo, del quale deve fornirsi prova rigorosa, e la cui configurabilità costituisce valutazione, riservata al giudice di merito, insindacabile in sede di legittimità ove adeguatamente motivata. (Nella specie, la S.C. ha confermato la sentenza impugnata, che aveva negato la natura di obbligazione naturale al contributo lavorativo della donna all'azienda del convivente, in quanto fonte di arricchimento esclusivo dello stesso in luogo di quello dell'intera famiglia cui detto apporto lavorativo era preordinato)» (Cass., 25.1.2016, n. 1266); ed ancora riconoscendo alla convivenza more uxorio la natura di formazione sociale che da vita ad un autentico consorzio familiare (Cass., 21.3.2013, n. 7214).
Dopo un ampio e lungo dibattito, con le nuove disposizioni in materia di unioni civili e convivenze varate nel 2016, in particolare, il legislatore ha dunque sostanzialmente introdotto nell’ordinamento nuove “opzioni istituzionali” di famiglia, che si affiancano, dunque, al tradizionale modello basato sull’istituto matrimoniale (da cui peraltro viene sostanzialmente mutuata la disciplina, eccezion fatta per le norme in materia di adozione), sebbene nel testo non sia mai utilizzata l’espressione famiglia, ma solo unione e ciò evidentemente per ragioni di compromesso nonostante la quasi totale assimiliazione alla famiglia matrimoniale.
Come rilevato da S. Rodotà, «l’ideologia del matrimonio viene sconfitta dalla fenomenologia delle unioni che si radica nella realtà da cui trae consenso e legittimazione sociale»(in Presentazione, in Grillini, F. – Marella, M.R., a cura di, Stare insieme: i regimi giuridici delle convivenze tra status e contratto, Napoli, 2011, XIV).
I nuovi interventi legislativi sono il sintomo che la famiglia, intesa come formazione sociale, che preesiste allo Stato rappresenta una realtà in continua trasformazione che spesso si sottrae, in quanto tale, al “dover essere” e agli schemi imposti dal diritto.
Ciononostante, è evidente che la formazione famiglia è riconosciuta come tale ed ha, dunque, diritto ad aspirare alla corrispondente tutela solo se corrisponde a determinati parametri fondativi imposti dal diritto.
Il diritto di famiglia, come detto influenzato da fattori storici, culturali e religioni, non poteva che essere influenzato anche dal diritto europeo sebbene, rispetto alle finalità principali dell’Unione Europea di regolazione dei mercati e della concorrenza, non sia stato l’oggetto principale del processo di armonizzazione. Tuttavia, va constatato che negli anni si è assistito ad una convergenza delle legislazioni degli Stati membri su alcuni principi di fondo, come ad esempio quello dell’uguaglianza dei coniugi, del preminente interesse del figlio, della eguaglianza dei figli.
La Carta di Nizza raccoglie e «fissa, in un testo organico, una serie di diritti civili, politici, economici e sociali, riconosciuti dalle tradizioni costituzionali e dagli obblighi internazionali comuni agli Stati membri, dalla Convenzione di Roma, dai Trattati sull'Unione europea, dalla Carta sociale europea, dalla Carta comunitaria dei diritti sociali fondamentali dei lavoratori, dalla giurisprudenza della Corte di giustizia e della corte dei diritti umani di Strasburgo» (www.europarl.it). In particolare fissa principi comuni al diritto di famiglia assicurando il rispetto della vita privata e familiare (art.7), garantendo il diritto di sposarsi e il diritto di costituire una famiglia (art. 9), affermando il diritto dei genitori di provvedere all’educazione e all’istruzione dei loro figli secondo le loro convinzioni religiose, filosofiche e pedagogiche (art. 14), fissando il principio della parità tra uomo e donna (art. 23), e stabilendo in base all’art. 33 che «è garantita la protezione della famiglia sul piano giuridico, economico e sociale».
La Carta riconosce non solo il diritto di sposarsi e, quindi, di dare vita ad una famiglia fondata sul matrimonio, ma anche il diritto di fondare una famiglia, riconoscendo così rilevanza alle unioni di fatto proprio in quanto tale diritto viene riconosciuto al di là di eventuali vincoli formali.
Emerge, quindi, un dato inequivocabile per cui il concetto di famiglia non può più essere ancorato al matrimonio né al sesso, ma è molto più ampio ricomprendendo tutte le relazioni affettive che concernono i genitori tra loro e genitori e figli.
La famiglia, che può essere fondata da chiunque, si atteggia a semplice modalità di vita privata, per cui si sposta l’angolo visuale dalla famiglia fondata sul matrimonio alla “coppia” che può essere sia eterosessuale che omosessuale. Tema quest’ultimo che ha trovato riconoscimento anche nella giurisprudenza che ne ha riconosciuto la dignità quale formazione sociale di cui all’art. 2 cost., con la sentenza della Cass., 21.4.2015, n. 8097, con cui ha statuito che, in caso di cambiamento di sesso, «la rettificazione di attribuzione di sesso di persona coniugata non può comportare, a seguito della declaratoria di illegittimità costituzionale degli artt. 2 e 4, l. 14.4.1982, n. 164, operata con la sentenza, additiva di principio, n. 170/2014 della Corte costituzionale, la caducazione automatica del matrimonio, poiché non è costituzionalmente tollerabile, attesa la tutela di cui godono le unioni tra persone dello stesso sesso ai sensi dell'art. 2 cost., una soluzione di continuità del rapporto, tale da determinare una situazione di massima indeterminatezza del nucleo affettivo già costituito, sicché il vincolo deve proseguire, con conservazione ai coniugi del riconoscimento dei diritti e doveri conseguenti al matrimonio, sino a quando il legislatore non intervenga per consentire alla coppia di mantenere in vita il rapporto con altra forma di convivenza registrata che ne tuteli adeguatamente diritti ed obblighi».
Anche la Corte costituzionale, quindi, già in precedenza aveva dato rilevanza costituzionale ricomprendendole nell’art. 2 cost. sia alle convivenze di fatto che alle relazioni omoaffettive senza che tuttavia queste possano rientrare nella tutela costituzionale di cui all’art. 29 (cfr. C. cost., 11.6.2014, n. 170).
Va rilevato, tuttavia, che tutti i tipi di “unione” caratterizzate da legame affettivo, a prescindere dal sesso, sono state considerate come “famiglie” dalla stessa c. eur. dir. uomo, che, nella sentenza 24.6.2010, su ricorso n. 30141/04, Schalk e Kopf v. Austria, ha ribadito «la sua giurisprudenza radicata in materia di coppie eterosessuali, vale a dire che la nozione di famiglia in base a questa disposizione non è limitata alle relazioni basate sul matrimonio e può comprendere altri legami “familiari” di fatto, se le parti convivono fuori dal vincolo del matrimonio» (http://www.articolo29.it/decisioni/corte-europea-dei-diritti-delluomo-prima-sezione-schalk-e-kopf-contro-austria-traduz-italiana-non-ufficiale/)
Artt. 29-31 cost.; art. 17 disp. prel. c.c.; artt. 144, 160, 1023, 1916, 2122, 2242 c.c.; art. 247 c.p.c.; l- 19.5.1975, n. 151.
Auletta, T., Diritto di Famiglia, Torino, 2016; Barcellona, P., Famiglia (dir. civ.), in Enc. giur. Treccani, Roma 2010; Bessone, M. - Alpa, G. - D’Angelo, A. - Ferrando, G., La famiglia nel nuovo diritto, II ed., Bologna, 1980; Bianca, C.M., La Famiglia, in Diritto Civile, II, Giuffrè, Milano, 2014; Bonilini, G., Nozioni di diritto di famiglia, Torino, 2016; Ferrando, G., Diritto di famiglia, II ed., Bologna, 2015; Gorgoni, M, a cura di, Unioni Civili e Convivenze di Fatto, L. 20 maggio 2016, n. 76, Sant’Angelo di Romagna, 2016; Grassetti, C., Famiglia, Diritto Privato, in Nss.D.I, VII, Torino, 1961; Grillini, F. - Marella, M.R., a cura di, Stare insieme: i regimi giuridici delle convivenze tra status e contratto, Napoli, 2011; Pisapia, D., Famiglia. Diritto Privato, in N.D.I., VII, Torino, 1965, 48-52; Pocar, F., – Ronfani, P., La famiglia e il diritto, Roma-Bari, 1998; Rescigno, P., Matrimonio e Famiglia. Cinquant’anni del diritto italiano, Torino, 2000; Rodotà, S., Diritto d’amore, Roma-Bari, 2015; Scalisi, V., Le stagioni della famiglia nel diritto dall’Unità d’Italia a oggi - Parte seconda: «Pluralizzazione» e «riconoscimento» anche in prospettiva europea, in Riv. dir. civ., 2013, 1287.