Abstract
La famiglia come comunità domestica costituita essenzialmente dai coniugi e dai figli ed eventualmente da altri congiunti (Battaglia, S., Grande Dizionario della lingua italiana, Torino) da sempre assolve a numerosi ruoli e funzioni di diversa natura, ma tutti rilevanti sia per gli stessi componenti che per la comunità in cui la famiglia si colloca. Ruoli e funzioni riconosciute da tutte le costituzioni moderne e regolate dalle varie branche del diritto in primis il diritto civile e non ultimo il diritto tributario. Le norme tributarie italiane rinviano alla disciplina civile per la definizione dei diritti e doveri dei suoi componenti, ma non hanno ancora permesso di raggiungere un assetto stabile e condiviso nella composizione tra prescrizioni costituzionali riguardanti la famiglia (artt. 3, 29, 30, 31 Cost.) e i principi fiscali costituzionali di eguaglianza e capacità contributiva (artt. 3, 53 Cost.). L’assetto vigente da tempo si fonda essenzialmente su una sentenza della Corte costituzionale del 1976 che ha escluso la soggettività passiva del nucleo familiare a favore di quella dei singoli componenti percettori del reddito. Una soluzione che, alla luce delle istanze poste dalle mutate condizioni della società, è destinata ad essere modificata.
L’istituto della famiglia è da sempre al centro del dibattito politico, sociologico, etico, economico, giuridico e non ultimo tributario in ragione dei numerosi e fondamentali ruoli cui assolve non solo nel proprio ambito ma anche per l’intera collettività (Leroy, M., Sociologie de la fiscalité de la famille, inSacchetto, C., La tassazione della famiglia: aspetti nazionali e comparati, Soveria Mannelli, 2010, 143). Alla famiglia in quanto unione di uomo e donna è stata affidata in ogni comunità la continuazione della specie e la loro educazione (artt. 29, co. 2, e 30 Cost. riconoscono ai genitori «il diritto-dovere di mantenere, istruire ed educare i figli compresi quelli nati fuori dal matrimonio». Al successivo art. 31 Cost. si afferma che «Lo Stato provvederà a un’adeguata protezione morale e materiale della maternità, dell’infanzia e della gioventù, istituendo e favorendo gli organismi necessari a tale scopo») oltre alla cura degli interessi privati ma altresì una funzione economica, secondo regole che sono di natura giuridica ma prima ancora di natura religiosa, culturale e di costume.
In ragione di tale rilevanza l’istituto della famiglia ha trovato nella Costituzione (art. 29 Cost.) un riconoscimento di natura pre-giuridica «come società naturale fondata sul matrimonio», « … la famiglia ha una sua sfera di ordinamento autonomo nei confronti dello Stato, il quale, quando interviene, si trova di fronte a una realtà che non può menomare né mutare … » statuendo «l’eguaglianza morale e giuridica dei coniugi, con i limiti stabiliti dalla legge a garanzia dell’unità familiare» (Assemblea Costituente – Lavori preparatori del Titolo II “Rapporti etico-sociali” del 1948). La conferma di questa rilevanza si ritrova nei successivi artt. 30 e 31 Cost. che prevedono forme particolari di tutela e agevolazioni che involgono anche la materia tributaria sia per gli aspetti sostanziali che procedurali.
Questa rilevanza sta d’altronde a fondamento e legittimazione dello speciale trattamento anche fiscale in coerenza con l’art. 3 Cost. sul principio di uguaglianza, anche se tale riconoscimento non arriva in modo formale nella norma costituzionale, all’attribuzione della personalità giuridica del nucleo familiare.
Va inoltre precisato subito che il termine famiglia vale storicamente e giuridicamente, e con pochissime eccezioni, a connotare una unione di un uomo e una donna fondata sul matrimonio inteso come quello puramente civile, secondo le regole stabilite negli artt. 74 – 79 ss. c.c., allargandone il perimetro ai loro figli e ascendenti. Questa comunione di soggetti legati da vincoli di sangue e parentela, ha da sempre avuto riconoscimento prima che giuridico, religioso e nei termini descritti, diritto e religione rinviano reciprocamente per il loro riconoscimento, avendo l’Italia aderito ai Patti Lateranensi. Come in passato anche nella epoca che stiamo vivendo, si assiste a forme di unioni e convivenze cd. “convivenza more uxorio” (coppie di fatto, unioni civili, coppie atipiche) che non rispettano l’archetipo classico tradizionale e che stanno con fatica ricevendo legittimazione in ambito civile. In tempi più recenti si è posta attenzione alle convivenze omosessuali, convivenze irregolari, ecc. (C. cost., 2.4.1969, n. 79; 12.3.1970, n. 46; 28.1.1983, n. 30; 13.11.1986, n. 237; 15.11.2000, n. 518. Da ultimo C. cost., 14.4.2010, n. 138 che ha portata storica in tema di riconoscimento di uguaglianza dei diritti e doveri delle coppie omosessuali se intese come stabili unioni). Ad essi guarda in parte riconoscendole, il diritto civile e anche il diritto tributario. È ancora a livello di proposta “aperta” l’integrazione dell’art. 29 Cost. nei termini seguenti: «La Repubblica garantisce i diritti individuali scaturenti dai rapporti di coppia come stabiliti dalla legge» ma è da escludere, almeno per ora, una equiparazione sia per la qualificazione sia per lo statuto al prototipo della famiglia come sopra definita oggi riservato alle unioni legali di soggetti di sesso diverso e per conseguenza la«fiscalità si deve porre come strumentale e deve strutturarsi in termini non conflittuali con tale prioritario valore e negli archetipi e qualificazioni come definiti nella Carta costituzionale» (Sacchetto, C., La tassazione della famiglia, cit.,). Nell’analisi che segue pertanto si farà riferimento alla famiglia come coppia coniugata giuridicamente (su cui per una definizione recente si rinvia a C. cost., 5.1.2011, n. 4).
Ulteriore aspetto di questa segnalata evoluzione dell’istituto familiare, è il suo passaggio da un assetto cd. “patriarcale” incentrato sul ruolo dominante della figura maschile a un modello di tipo egualitario tra uomo e donna o di eguaglianza tra i sessi che trova fondamento negli artt. 31, 36, 37 Cost. Un passaggio che ha rilevanti ricadute sia in sede civilistica (nei casi di premorienza del marito, la donna accentra in sé la patria potestà), ma anche dal punto di vista fiscale, sia sulla disciplina sostanziale che procedurale in particolare attribuendo alla donna una soggettività tributaria piena che si riscontra anche in quelle situazioni patologiche come la separazione o il divorzio. Ormai non vi è più dubbio ed è un dato irreversibile, che la donna ricopre la doppia veste di soggetto convivente nell’ambito familiare e di lavoratrice in parità con il coniuge atteso il rilevante compito che la donna assolve nella famiglia come centro dell’unità della famiglia, non solo come unità portatrice di bisogni, ma anche quale risorsa per la società in senso lato. E a questo risultato va dato atto, hanno contribuito sia la cultura laica sia la Chiesa cattolica (in tal senso Esortazione Apostolica Familiaris Consortuim, Giovanni Paolo II, Roma 1981).
Merita infine sottolineare a conclusione di questa introduzione che il processo di evoluzione dell’istituto familiare si è registrato in tutti gli Stati di comune identità culturale che lega i paesi europei, ma anche in paesi più tradizionali del medio oriente e africani, con tuttavia una diversità di approcci e di riconoscimenti e quindi di qualificazioni nonché di misure e di tutela sia dei tradizionali che dei nuovi tipi di unioni, con implicazioni anche in ambito patrimoniale e tributario quando i componenti del coniugio siano di diversa nazionalità e vogliano ottenere riconoscimento in Italia o all’estero di diritti o regole quivi non riconosciute in particolare per l’inclusione tra i soggetti passivi di imposta, in materia di tassazione del reddito o di imposta di successione, ecc..
Tanto si afferma perché in questa materia gli adeguamenti statali nazionali forse più che in altri settori, risentono degli effetti del noto fenomeno di diritto comparato della cd. “veicolazione dei modelli normativi”, neologismo che sta a indicare che ormai nella scelta dei modelli giuridici anche di tassazione tributaria, si fa spesso riferimento, spesso recependoli, a quelli già in atto e collaudati, di ordinamenti stranieri (su cui infra par. 6).
Le normative civili e tributarie aventi ad oggetto l’istituto cella famiglia, sia pur perseguendo finalità loro specifiche, interagiscono sotto diversi profili.
Nelle imposte dirette la disciplina tributaria rinvia alla disciplina civilistica per identificare i soggetti passivi, siano questi i singoli percettori del reddito sia il gruppo delle persone che costituisce la famiglia come definita tale dalle norme del codice civile sia nel caso della impresa famigliare per stabilire chi sia il titolare della impresa familiare (cd. aspetto statico dei rapporti familiari).
Nei tributi indiretti il rinvio alle norme civilistiche si opera ad es. per qualificare i rapporti patrimoniali tra coniugi. Nel caso di cessioni di beni o di successione tra i membri del nucleo famigliare (cd. aspetto dinamico dei rapporti famigliari).
Nella scelta del modello di tassazione della famiglia sono altresì rilevanti le considerazioni di ordine economico finanziario implicando valutazioni di carattere costituzionale come quello di capacità contributiva (la famiglia in quanto soggetto economico, può essere individuato come soggetto autonomo indipendentemente dai suoi componenti e quindi soggetto passivo di doveri tributari). Il legislatore della riforma del 1971 optò per la nozione autonoma e con cumulo dei redditi, opzione in seguito censurata di incostituzionalità per gli effetti di disparità di trattamento che ne conseguivano tra famiglie legali e convivenze di fatto attesa il meccanismo della tassazione progressiva (cfr. C. cost., 8.4.1976, n. 71 e 28.1.1986, n. 13).
Altre variabili che entrano nella decisione sul modello di tassazione riguardano il rispetto del principio di eguaglianza (cumulo dei redditi o separazione, numero dei figli a carico, donna lavoratrice o meno, economia di scala tra single o coniugati). Le variabili economiche sociali sono fortemente condizionanti del modello in ragione di valutazioni oggettive come ad es. l’altezza del reddito ma anche per valutazioni soggettive culturali, di natura extrafiscale, di economia di scala, scelte individuali ecc. (se sia indice di maggior beneficio che una donna lavori ergo apporti maggior reddito complessivo o viceversa che curi solo la famiglia, la casa e la qualità della vita). Non ultime considerazioni quelle di politica di incentivazione del sistema familiare o meno, nella forma classica tradizionale a fronte della contrapposta esigenza di non pregiudicare le esigenze del gettito, soprattutto nei momenti di crisi economica.
Ancora un ruolo fondamentale anche per gli aspetti tributari, deriva dal mutato regime patrimoniale o cd. aspetto dinamico del rapporto familiare (regime di comunione dei beni o separazione dei coniugi, separazione divorzio, cessione di beni tra genitori e figli, successione nella impresa) previsto dal codice civile del 1942 e successivamente rivisto con la riforma del diritto di famiglia del 1975.
Una miglior comprensione della vigente legislazione si può avere da una sia pur sintetica descrizione della evoluzione del sistema fiscale italiano. La tassazione della famiglia considerata nella sua unitarietà economica, trova le sue prime formulazioni con la l. 26.7.1868, n. 4513 che introdusse l’imposta di famiglia (fuocatico) e successivamente con il d.l. 19.12.1926, n. 2132, conv. in l. 22.12.1927, n. 2492 che introdusse l’imposta sui celibi, un’imposta personale progressiva che colpiva i celibi dai 25 ai 65 anni compiuti, sulla opinabile premessa di natura ideologico-politica che un celibe esprimesse una maggiore capacità contributiva rispetto ad un soggetto coniugato.
In linea con tale politica di favore della natalità la l. 14.6.1928, n. 1312 prevedeva le esenzioni per tutti i tributi ad entrambi i genitori allorché il numero dei figli risultasse elevato. Il TUFL del 14.9.1931, n. 1175 istituiva l’imposta di famiglia, una prima forma di tributo locale, che colpiva l’agiatezza della famiglia quale ente unitario e nel 1932 veniva introdotta l’imposta complementare che inglobava la precedente imposta.
Dopo l’avvento della Carta costituzionale del 1948 occorre arrivare sino alla riforma del 1971 (legge delega 9.12.1971, n. 825) che ristrutturò l’intero sistema fiscale optando secondo le allora correnti teorie economiche, ad un prelievo sui redditi basato sui criteri della unicità, personalità e progressività, avendo come obiettivo consapevole quello di porre al centro del sistema di prelievo del reddito, il soggetto persona fisica titolare giuridico del reddito e riduttivamente ignorando l’indicazione forte contenuta nella Carta costituzionale del 1948 che il nucleo familiare fosse riconosciuto come società naturale e quale organizzazione di persone, e quindi titolata ad essere considerata essa pure soggetto passivo d’imposta sia pure nell’osservanza delle speciali tutele ad essa riservate.
Malgrado la perentorietà degli intenti gli obiettivi del legislatore della riforma non furono appieno attuati se è vero che, pur in costanza del principio della personalità, nella normativa attuativa delegata del 1972 e 1973, si mantenne invariato il criterio tradizionale imputando in capo al marito il cumulo dei redditi prodotti dalla moglie non legalmente ed effettivamente separata, dai figli minori conviventi e da tutti i soggetti su cui viene esercitata la potestà. In effetti il novellato sistema tributario riproduceva quello precedente che attribuiva rilevanza non solo alla famiglia intesa come «unione di più persone, strette da vincoli di parentela o di affinità, che insieme convivono nella stessa casa e che costituiscono, anche se non aventi patrimonio unico ed indiviso, una unità economica» (art. 112 TUFL, R.d. 14.9.1931, n. 1175), ma anche alle aggregazioni di individui conviventi che si proponevano fini di istruzione, di educazione o di culto (artt. 113 e 114 TUFL). Queste ultime disposizioni individuavano quale momento impositivo la “convivenza”, intesa quale momento unitario delle decisioni familiari, indipendentemente dal centro di imputazione soggettiva del reddito.
Con l’intervento legislativo l. 19.5.1975, n. 151 che sancì la parità morale e giuridica di entrambi i coniugi e novellando la disciplina civilistica dei rapporti familiari, il legislatore fiscale si sentì spinto ad adeguare la propria normativa fiscale attraverso la l. 2.12.1975, n. 576. Senonché anche la nuova normativa, se da un lato riconobbe una rilevanza tributaria individuale della famiglia, dall’altro mantenne ancora, ai fini della tassazione, il cumulo dei redditi.
La revisione legislativa come segnalato dalla dottrina, presentava alcuni profili di incoerenza e irrazionalità nel meccanismo di determinazione della base imponibile rispetto al presupposto dell’imposta sui redditi e tale rilievo trovò accoglimento, come detto, nella sentenza della C. cost., 15.7.1976, n. 179 che portò al definitivo abbandono del sistema del cumulo dei redditi e trovò piena attuazione, il principio che le persone fisiche che dispongono giuridicamente del reddito sono solo esse quelle che hanno una soggettività tributaria. La sentenza richiamata se da un lato affermò il principio della personalità del concorso alle spese pubbliche in ragione della capacità contributiva, dall’altro non negò tuttavia la rilevanza sociale della famiglia fondata sul matrimonio, privilegiandola rispetto alle altre forme di convivenza (Fedele, A., Possesso di redditi, capacità contributiva ed incostituzionalità del cumulo, in Giur. cost., 1976, I, 2167). Anche la dottrina sottolineò che la riforma del 1975, «avrebbe potuto condurre alla rimeditazione di una possibile considerazione unitaria, sotto varie forme di modalità, in capo al nucleo familiare del reddito singolarmente percepito dai coniugi, senza con ciò violare i principi di personalità dell’imposizione e di capacità contributiva posti dall’art. 53 Cost.: ciò avrebbe dovuto indurre il legislatore probabilmente ad affrontare il problema della qualificazione della categoria del reddito familiare, e quello della possibile disparità di trattamento nei confronti dei soggetti non coniugati, ovvero delle famiglie cd. di fatto» (Fantozzi, A., Regime tributario, in La comunione legale, a cura di C.M. Bianca, Milano, 1989, 1097).
Il legislatore tributario con le leggi 19.8.1976, n. 569 e la successiva del 13.4.1977, n. 114 diede attuazione al principio con gli artt. 2 e 3 d.P.R. 22.12.1986, n. 917.
Ciò posto tuttavia la Corte costituzionale pur ribadendo il principio della tassazione individuale con la citata sentenza, non poté non riconoscere la sperequazione conseguente che, a parità di reddito tra famiglie monoreddito e famiglie plurireddito, le prime erano penalizzate dalla progressività dell’imposizione rispetto alle seconde a parità di reddito.
La sentenza additiva, nel rispetto istituzionale, rinviò al legislatore, ipotizzando un sistema opzionale di tassazione alternativo che attenuasse la progressività o un intervento sulle deduzioni/detrazioni per far fronte a tale sperequazione. La sentenza poneva, infatti, in evidenza l’esigenza di contemperare i principi dell’art. 53 Cost. con quelli dell’art. 31 Cost., consentendo testualmente, ai «coniugi la facoltà di optare per un differente sistema di tassazione espresso in un solo senso o articolato in più modi che agevoli la formazione e lo sviluppo della famiglia e consideri la posizione della donna casalinga e lavoratrice».
Sono seguiti vari tentativi (falliti) di introdurre tali meccanismi correttivi come quello del quoziente familiare (il primo tentativo era previsto dalla legge 29.12.1990, 428).
In realtà il criterio fondamentale della personalità dell’imposizione sui redditi non è più stato messo in discussione né dal tentativo, fatto dalla legge delega 29.12.1990, n. 408 (art. 19), di introdurre un regime opzionale di tassazione della famiglia: a) facoltà per i contribuenti di chiedere l’applicazione dell’imposta sul reddito sull’insieme dei redditi del nucleo familiare; b) determinazione del nucleo familiare, comprendendovi, tra gli altri, anche le persone indicate nell’art. 433 c.c., purché conviventi e non possessori di redditi propri di importo superiore a quello della pensione sociale; c) commisurazione dell’imposta alla capacità contributiva del nucleo familiare, tenendo conto del numero di persone che lo compongono e dei redditi da esse posseduti; d) determinazione dell’imposta mediante l’applicazione dell’aliquota media corrispondente al reddito complessivo diviso per il numero di parti risultante dall’attribuzione, a ciascuno dei componenti del nucleo famigliare, di un coefficiente individuato considerando una serie di fattori), né dalla legge delega 7.4.2003, n. 80, ove il sostegno della famiglia era realizzato attraverso la rideterminazione di esenzioni e deduzioni (le deduzioni in funzione, tra l’altro, della «famiglia, con particolare riferimento alle famiglie monoreddito, al numero dei figli, degli anziani e dei soggetti portatori di handicap»). Da ultimo, neppure la legge delega 5.5.2009, n. 42, in materia di federalismo fiscale, ove si prevede genericamente la «individuazione di strumenti idonei a favorire la piena attuazione degli articoli 29, 30 e 31 della Costituzione, con riguardo ai diritti e alla formazione della famiglia e all’adempimento dei relativi compiti» (art. 2, co. 2, lett. gg), ha sortito effetti.
Ancora si osserva che i più recenti interventi attuati o in via di attuazione, incentrati al sostegno alla famiglia non presentano una significativa incidenza sulla struttura del sistema impositivo nel suo complesso, così come si evidenzia nel “decreto salva-Italia” (d.l. 6.12.2011, n. 201). Anche il decreto legge del 2014 per far fronte al disagio abitativo che interessa sempre più famiglie impoverite dalla crisi economica, ha effetti limitati sulla famiglia e soprattutto incide in maniera individuale. Infatti la cd. “manovra degli 80 euro in busta paga” recentemente approvata, se da un lato rappresenta un sostegno al potere di acquisto della famiglia, dall’altro evidenzia una sperequazione tra famiglie monoreddito e famiglie bi-reddito, a parità di componenti il nucleo familiare. Sicuramente il primo ha un beneficio nettamente inferiore rispetto al secondo.
Ai fini di una più corretta ed agevole comprensione della scelta del modello italiano può essere utile ripercorre sia pure sinteticamente da un lato le vicende legislative che hanno portato all’individuazione di un sistema di imposte personali e di valutarne la coerenza con i principi di eguaglianza, di equità e di capacità contributiva, dall’altro il tema della soggettività passiva della famiglia nel sistema impositivo delle imposte sui redditi.
Il legislatore fiscale nazionale pur ponendo attenzione al nucleo familiare, mostra maggiori difficoltà se misurato con l’esperienza di altri paesi, nel valorizzare la famiglia come unità economica di riferimento ai fini della capacità contributiva come dimostra la constatazione che dopo la sentenza della Corte costituzionale del 1976 che ha statuito il principio della personalità del reddito, non ha, malgrado ripetuti propositi di revisione, proceduto ad alcuna revisione della materia. Concludendo dunque sul punto ai fini dell’imposta sul reddito delle persone fisiche per la disciplina attualmente vigente d.P.R. 22.12.1986, n. 917, ex artt. 2, co. 2, e 3, co. 1, i redditi sono imputati a ciascun coniuge in quanto egli diretto produttore.
La famiglia come nucleo è per contro interessata da tutta una serie di articoli del TUIR che riguardano più propriamente la base imponibile. Ad esempio, ai sensi dell’art. 4 TUIR, Coniugi e figli minori, «a) i redditi dei beni che formano oggetto della comunione legale di cui agli articoli 177 e seguenti del codice civile sono imputati a ciascuno dei coniugi per metà del loro ammontare netto o per la diversa quota stabilita ai sensi dell’art. 210 dello stesso codice; I proventi dell’attività separata di ciascun coniuge sono a lui imputati in ogni caso per l’intero ammontare». All’art. 12 TUIR, Detrazioni per carichi di famiglia, si prevedono detrazioni per carichi di famiglia, decrescenti al crescere del reddito e al co. 2 si statuisce che sono a carico il coniuge e figli con reddito non eccedente € 2.840,51 ma con quote di detrazione maggiore al crescere del numero dei figli. Tali parametri saranno, a breve, oggetto di revisione per tener conto della inflazione e delle difficoltà derivanti dalla crisi economica in atto. Possono essere considerati a carico anche se non conviventi con il contribuente o residenti all’estero: il coniuge non legalmente ed effettivamente separato; i figli (compresi i figli naturali riconosciuti, adottivi, affidati o affiliati) indipendentemente dal superamento di determinati limiti di età e dal fatto che siano o meno dediti agli studi o al tirocinio gratuito; gli stessi pertanto ai fini dell’attribuzione della detrazione non rientrano mai nella categoria “altri familiari”.Possono essere considerati a carico anche i seguenti altri familiari, a condizione che convivano con il contribuente o che ricevano dallo stesso assegni alimentari non risultanti da provvedimenti dell’Autorità giudiziaria: il coniuge legalmente ed effettivamente separato; i discendenti dei figli; i genitori (compresi i genitori naturali e quelli adottivi); i generi e le nuore; il suocero e la suocera; i fratelli e le sorelle (anche unilaterali); i nonni e le nonne (compresi quelli naturali). Al successivo art. 13 TUIR sono previste detrazioni per tipologia di reddito, decrescenti al crescere del reddito. Inoltre la normativa tributaria prevede detrazioni per oneri nella misura del 19% per spese sanitarie, spese istruzione, asili nido, attività sportive, canoni di locazione per studenti universitari, interessi passivi su mutui (art. 15 TUIR). La detrazione per canoni di locazione (art. 16 TUIR) è l’unica che, in caso di incapienza del reddito, consente al contribuente di beneficiare di un credito compensabile (in sede di conguaglio effettuato dal sostituto d’imposta ovvero in compensazione orizzontale con altre imposte).
Sul versante della impresa famigliare, ex art. 230 bis c.c., la famiglia è qui considerata per i rapporti di collaborazione imprenditoriale tra familiari e pertanto vi è una comunanza degli utili fra coniugi o familiari che concorrono con il proprio lavoro alla medesima attività produttiva. La disciplina fiscale contenuta all’art. 5, co. 4, TUIR dispone infatti l’imputazione dei redditi delle imprese familiari di cui all’art. 230 bis c.c. limitatamente al 49% dell’ammontare risultante dalla dichiarazione dei redditi dell’imprenditore a ciascun familiare che abbia prestato in modo continuativo e prevalente la propria attività di lavoro proporzionalmente alla sua quota di partecipazione agli utili (Fregni, M.C., La dimensione dell’impresa nell’ambito familiare, in La dimensione dell’impresa tra ordinamento e mercato. Giornata di Studi per Roberta Rinaldi, Bologna, 22 giugno 2012).
Le disposizioni in materia di impresa famigliare hanno, peraltro, secondo opinione diffusa, evidenziato nel tempo molteplici criticità e punti di contraddizione in quanto il famigliare che presta la propria collaborazione non è considerato imprenditore, ancorché partecipi alla distribuzione degli utili così come precedentemente illustrato dalla norma richiamata, ma allo stesso tempo non assume la qualifica di lavoratore in base al disposto stabilito dall’art. 60 TUIR che non ammette in deduzione a titolo di compenso il lavoro prestato dal coniuge, dai figli, affidati o affiliati minori di età o permanentemente inabili al lavoro.
La giurisprudenza della Corte costituzionale in ripetute sentenze ha giustificato il differente trattamento fiscale tra il reddito prodotto dall’impresa familiare e i redditi familiari, riconoscendo alla prima natura di impresa individuale con rapporti associativi con i familiari che hanno il diritto agli utili così come disposto al citato art. 5 TUIR.
In conclusione, pare lecito sottolineare come il trattamento fiscale non pone sullo stesso piano il lavoro domestico svolto dal coniuge e quello svolto nell’impresa familiare, il primo essendo in un certo senso penalizzato rispetto al secondo. Infine per quanto riguarda i rapporti patrimoniali che intercorrono tra i coniugi, è da rilevare che la normativa civilistica detta precise indicazioni in tema di contitolarità di beni e diritti tra i coniugi (Fedele, A., La comunione legale nel diritto tributario, in Dir. prat. trib., 2002, I, 34) regole che vengono, in alcuni casi, trasposte totalmente nella normativa tributaria al momento di imputare il reddito ai soggetti passivi d’imposta (come ad es. art. 324 c.c.), in altri casi riprese solo parzialmente. In altre parole le disposizioni tributarie rispondono ad una esigenza di ripartire tra i coniugi (pro-quota) i redditi dei beni che rientrano in regime di comunione legale (artt. 177 ss c.c.) o convenzionale (art. 4 TUIR) e, allo stesso tempo, operano nell’interesse della famiglia. In definitiva se la norma civilistica identifica il possessore del bene, reddito, e quindi rappresentano «titolo giuridico…derivante da un diritto reale» (Turchi, A., La famiglia nell’ordinamento tributario, Torino, 2012), la norma tributaria potrebbe, invece, individuare come soggetto passivo di imposta una persona differente dal possessore del bene o reddito.
Nella prima ipotesi in presenza di comunione legale tra i coniugi la ripartizione dei redditi dei beni avviene su riparto pro-quota tra i coniugi e pertanto non è rilevante il produttore del reddito; similmente imputa ai coniugi i redditi dei beni destinati al fondo Patrimoniale e ai genitori i redditi dei beni dei figli minori soggetti a usufrutto legale, a prescindere dalla circostanza che gli uni o gli altri siano proprietari o titolari di diritti reali di godimento sui beni stessi (Fedele, A., La comunione legale nel diritto tributario, in Dir. prat. trib., 2002, I, 34; Fantozzi, A., op. cit.; Grippa Salvetti, M.A., Famiglia nel diritto tributario, in Dig. comm., vol. V, Torino, 1990, 483).
Il sistema impositivo della famiglia nella maggior parte degli Stati occidentali ruota, come nel modello italiano, sull’imposta sulle persone fisiche caratterizzata dalla progressività per scaglioni ma evidenziando molteplici criticità.
Il modello spagnolo ha recentemente introdotto il pieno riconoscimento giuridico in termini di diritti e tutela civile del nucleo famigliare. La Costituzione portoghese e le norme fiscali considerano la famiglia come soggetto autonomo di diritto, valorizzano la dignità umana della persona attraverso una serie di garanzie economiche come il minimo vitale, il sostegno effettivo delle spese dei figli, ecc. Su un piano diametralmente opposto si pone la Francia (e similmente Polonia, Lituania e Lettonia) che protegge la famiglia nella sua accezione classica ma non senza contrasti in corso e con l’adozione del quoziente famigliare. Inoltre vi sono ordinamenti che hanno ritenuto le convivenze atipiche in maniera assimilabile al matrimonio civile tradizionale come nel caso del Regno Unito, della Germania, del Portogallo. In alcuni Paesi dell’Europa dell’est si è passati all’applicazione delle imposte proporzionalicd flat tax che determinano minori effetti negativi sul nucleo famigliare.
In una prospettiva de jure condendum i modelli di tassazione che riscuotono i maggiori consensi possono essere così sintetizzati: tassazione individuale, per parti, cumulo obbligatorio, splitting germanico, quoziente famigliare francese. Con il cumulo obbligatorio i redditi del coniuge si sommano a quelli del capofamiglia (ciò accedeva, come precedentemente esaminato, nell’IRPEF italiana ante 1976). Nel caso della tassazione per parti, la somma dei redditi dei coniugi (ed eventualmente dei figli minori a carico) viene sommata e poi divisa. Il confronto tra questi diversi sistemi dovrebbe essere effettuato a parità di gettito complessivo. In tale modo si possono evidenziare le caratteristiche che differenziano le varie ipotesi. Ma il condizionale sottolinea che in materia di tassazione della famiglia il parametro delle entrate non dovrebbe essere l’unico prevalente. In un sistema fondato sull’imposta individuale, ciascun contribuente dichiara i propri redditi e l’imposta è calcolata sull’insieme di questi; la presenza dell’eventuale coniuge rileva solo se sono previste deduzioni o detrazioni per coniuge a carico; ugualmente per i figli (o altri familiari) a carico. Quest’ultimo rappresenta il sistema più diffuso (oltre la metà dei Paesi OCSE). Nello splitting si opera il cumulo dei redditi, poi si divide per due, quindi i due coniugi dovranno versare la stessa imposta pro-capite; in presenza di figli sono previste deduzioni dall’imponibile o detrazioni dall’imposta. È il sistema usato in Germania e facoltativamente negli Stati Uniti, dove, se due consorti scelgono lo splitting devono applicare aliquote più elevate.
Per quanto riguarda il quoziente familiare, in presenza dei soli coniugi il quoziente è esattamente pari allo splitting, ma in presenza di figli (minori) l’insieme dei redditi si divide per un numero che dipende da quanti sono i figli. In Francia, il paese che dal secondo dopoguerra applica il quoziente, i primi due figli aggiungono mezzo punto, mentre dal terzo in poi si addiziona un punto intero. Calcolata l’imposta, questa viene moltiplicata per il valore del denominatore. L’applicazione del quoziente familiare ha dunque come conseguenza l’attenuazione della progressività dell’imposta. Il modello del quoziente familiare è quello che permette la sommatoria maggiore di obiettivi positivi. Permette di fare opzioni più libere senza condizionamenti fiscali e favorisce l’inserimento della donna nel mercato del lavoro. Tuttavia poiché il quoziente familiare è tanto maggiore quanto il reddito dei contribuenti è elevato ha come effetto di favorire le famiglie agiate e di sfavorire i single. Per tentare di ovviare a questo inconveniente, il legislatore ha posto un tetto massimo ai vantaggi risultanti dal quoziente familiare. Comunque, sia lo splitting sia il quoziente familiare, al fine di determinare un risparmio d’imposta, richiedono che i coniugi si collochino in scaglioni diversi (quindi con diverse aliquote marginali); altrimenti ciò che guadagna il coniuge con reddito maggiore è pagato esattamente da quello con reddito minore. Nel caso del quoziente, la nascita di un figlio produce un risparmio d’imposta se il reddito scende a uno scaglione inferiore. La tassazione per parti, per concedere un risparmio ai redditi bassi, richiede un numero elevato di scaglioni, o addirittura la progressività continua, come accade in Germania. Ciò premesso ove il confronto di tali modelli si ponga a fronte del rispetto dei principi di equità (verticale e orizzontale) e di capacità contributiva si è osservato che in generale nessun sistema risulta in grado di garantire la perfetta equità, e quindi rimane spazio e margine di tipo discrezionale nella scelta del modello da adottare.
Anche per il regime civilistico legale della comunione patrimoniale tra coniugi si pongono problemi ai fini dell’imputazione fiscale del reddito ai due coniugi. Generalmente le due discipline si sovrappongono come nel caso di comunione legale tra i coniugi e nel caso dei redditi di impresa familiare, in altri casi invece, come parte della dottrina sostiene, il reddito sarebbe sempre “connesso al diritto alla spettanza civilistica”, e la riferibilità soggettiva del presupposto imputabile “a colui che gode della titolarità di tale diritto”; la spettanza civilistica idonea a identificare il possessore del reddito, soggetto passivo d’imposta, dovrebbe essere intesa come «titolo giuridico, derivante da un diritto reale o da un diritto relativo, al quale deve corrispondere un accrescimento patrimoniale nella relativa sfera soggettiva»; non sarebbe quindi necessaria la titolarità della fonte, ma sufficiente «il nesso evidenziato dalla spettanza ai relativi redditi, che presuppone comunque un legame giuridicamente rilevante anche se non attuale».
Occorre ribadire quanto detto in introduzione sulla stretta connessione tra la disciplina civile e fiscale della famiglia e la società in cui essa vive ed opera, ma in astratto una buona legislazione fiscale dovrebbe assicurare il perseguimento dei fini affidati alla famiglia nel rispetto effettivo dei principi costituzionali e con costante adeguamento ai mutamenti della società civile e fermo restando che il tema della tassazione della famiglia non può prescindere dalle variabili territoriali e temporali, politiche, economiche e culturali, in ultima analisi valoriali o ideologiche, connesse all’ordinamento in cui viene regolata, senza trascurare gli effetti sul versante delle entrate e ciò soprattutto in un momento di crisi come l’attuale. La sfida sul tema della famiglia si gioca sul piano ben più elevato della natalità, della stabilità economica, della pace sociale e della continuità della comunità statale. Anche il sistema alternativo a quello fiscale dei sussidi a favore delle famiglie numerose, dovrebbero prescindere dalla situazione economica e patrimoniale del beneficiario perché la natalità è valore assoluto e prescinde da situazioni soggettive di possibilità economica. Al legislatore tributario infine non deve sfuggire un dato culturale ed economico che sta prima di quello tributario e cioè che l’istituto familiare deve poter essere valorizzato per gli aspetti umani ed affettivi dove si gestiscono le funzioni della continuità della specie, della tutela dei disabili, dei sentimenti privati quelli noti come foyer ecc., ma oggi vanno inclusi anche quelli di natura economica e patrimoniale. Quanto dire che la famiglia va pensata come impresa.
Se questa premessa è accolta, allora la fiscalità, pare ovvio dire, dovrà scartare tutte quelle forme di discriminazione che si pongono in evidente contrasto con i principi costituzionali. Ma sulle medesime premesse il legislatore dovrà andare oltre la non discriminazione e approntare una discriminazione in positivo con agevolazioni, sussidi e tutele anche fiscali per dare sostanza al disposto costituzionale e adeguandolo alle mutate situazioni economico sociali del presente. Sotto questo profilo una vera sfida sarà la composizione in regole civilistiche economiche e fiscali del ruolo della donna come madre, come lavoratrice e moglie. E in questa prospettiva andranno adeguati con criteri di automaticità i parametri di detrazione e deduzione per tener conto della inflazione. Si pensi al ruolo di copertura di welfare che sta svolgendo oggi la famiglia in sostituzione dello Stato nei confronti dei giovani e degli anziani. Infine la fiscalità dovrà intervenire con misure specifiche per le situazioni di patologia della famiglia in ipotesi di separazione per il mantenimento dei figli.
Artt. 1-16 d.P.R. 22.12.1986, n. 917.
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