Il contributo è tratto da Storia della civiltà europea a cura di Umberto Eco, edizione in 75 ebook
Per gli Europei del Seicento la famiglia e la parentela costituiscono, a tutti i livelli sociali, uno dei punti di riferimento più importanti. La struttura del nucleo familiare e l’importanza dei legami di parentela variano però considerevolmente per l’influenza di fattori culturali, demografici ed economici.
La famiglia come unità domestica
Fino a non molto tempo fa predominava un’immagine semplicistica e idealizzata delle famiglie europee – intese come unità domestiche – del passato. In contrapposizione alle famiglie nucleari delle società industriali contemporanee, si pensava che gli aggregati domestici prima della rivoluzione industriale fossero ampi e armonici organismi patriarcali che comprendevano più generazioni e spesso più nuclei coniugali. La dissoluzione della grande famiglia patriarcale contadina e l’affermazione della famiglia nucleare urbana era anzi considerato uno dei tratti distintivi del processo di modernizzazione.
Gli studi più recenti hanno però radicalmente mutato questa concezione, restituendoci un quadro per certi aspetti imprevisto e molto più complesso. Se per famiglia intendiamo il gruppo di persone, non necessariamente legate da vincoli di parentela, che condividono una stessa abitazione e siedono alla stessa tavola, cioè che vivono “sotto lo stesso tetto” e “a uno pane e uno vino” secondo le espressioni del tempo, vediamo subito come la geografia europea delle forme familiari si presenti nel Seicento, e più in generale nell’età moderna, estremamente diversificata. Nell’Europa nord-occidentale predominano largamente le famiglie nucleari formate dai genitori e dai figli, mentre poco numerose sono le famiglie estese ad altri parenti e le famiglie multiple, comprendenti più nuclei coniugali. Questo sistema familiare comporta che la nuova coppia si trasferisca in una propria residenza al momento del matrimonio, e che questo avvenga a un’età piuttosto elevata (22-27 anni), dato che i futuri coniugi devono prima acquisire l’indipendenza economica. È a questo tipo di famiglia che ci si riferisce quando si parla di un modello europeo di formazione della famiglia con profonda influenza anche sull’andamento demografico, dato che l’elevata età al matrimonio e l’alto numero di coloro che non si sposano riducono significativamente la natalità.
Questo modello non è però egemone in tutta Europa. In altre aree, soprattutto montane, ci si imbatte molto più spesso nella coabitazione di più generazioni. È il caso della cosiddetta famiglia-ceppo. Quest’espressione deriva dal fatto che in questo sistema familiare le generazioni si innestano l’una sull’altra, perpetuandosi, almeno in teoria, senza che vi siano interruzioni. In altre aree ancora, come l’Italia centro-settentrionale o la Francia meridionale, troviamo un altro tipo di famiglia complessa. Si tratta di grandi famiglie multiple molto numerose che possono comprendere anche una trentina di persone, e includono due o più coppie sposate con i loro figli oltre che, spesso, dei servi.
Strutture familiari e strutture economiche
Questa schematica tipologia e geografia delle forme di convivenza domestica nasconde una grande complessità a livello regionale e locale. Molte sono infatti le variabili che contribuiscono a modellare le dimensioni, la struttura e il ciclo di vita della famiglia. Gli usi successori, vale a dire le norme scritte o non scritte che regolano il modo in cui i beni passano da una generazione all’altra, sono una delle più importanti, ma altrettanto rilevanti sono la distribuzione della proprietà, il regime agrario, le forme di insediamento (accentrato o disperso), il gruppo sociale di appartenenza, la residenza urbana o rurale e il tipo di occupazione dei membri della famiglia.
Nel caso della famiglia-ceppo, ad esempio, l’esigenza determinante è quella di mantenere unito il patrimonio familiare e quindi di norma solo uno dei figli si sposa mentre gli altri fratelli o sorelle continuano a vivere nella casa paterna da celibi oppure emigrano. L’esigenza di non frammentare la proprietà non deriva tuttavia solo dalla volontà di conservare la forza economica e il prestigio sociale della famiglia ma anche da esigenze tecniche. Nelle zone di montagna l’economia familiare si fonda infatti sull’integrazione di diverse attività – agricoltura, allevamento, artigianato – che impongono la disponibilità di appezzamenti con diversa destinazione – coltivi, pascoli, boschi – non divisibili.
Le esigenze della conduzione di un’azienda agricola sono anche all’origine delle famiglie multiple di grandi dimensioni che troviamo in alcune zone della Francia meridionale o dell’Italia centro-settentrionale.
Queste grandi comunità familiari, governate dall’autorità del cosiddetto “reggitore”, non sono affatto dei residui arcaici, ma un adattamento specifico alla diffusione del podere come unità agricola fondamentale delle aree a mezzadria. L’obiettivo è quello di adattare, nel modo più efficace possibile, le dimensioni della famiglia alla quantità di terra disponibile e alle caratteristiche dell’agricoltura promiscua.
Per ottenere in affitto un podere ampio, la famiglia contadina deve dimostrare di avere a disposizione la forza-lavoro necessaria alla sua coltivazione. In certi casi anche la struttura e le dimensioni delle famiglie di artigiani sono condizionate dall’attività economica svolta.
La conduzione di una forgia, ad esempio, richiede il lavoro di vari uomini adulti e quindi favorisce la formazione di famiglie multiple o estese nelle quali due o più fratelli, spesso sposati, collaborano alla gestione dell’impresa. In tutti questi casi l’unità domestica non è solo un’unità residenziale o di consumo ma anche un’unità di lavoro.
Viceversa le unità domestiche dei braccianti, dei piccoli affittuari o anche della maggior parte degli artigiani che risiedono in città non hanno questo tipo di esigenza e anche per questa ragione sono per lo più famiglie nucleari di dimensioni ridotte.
La parentela
Sarebbe comunque fuorviante isolare lo studio del nucleo familiare ristretto – coloro che vivono, mangiano e, talvolta, lavorano insieme – dal più ampio insieme dei parenti. I legami di parentela, ma anche quelli di vicinato, implicano una fitta rete di doveri, diritti e reciprocità molto importanti per comprendere il funzionamento della società europea dell’età moderna. I lignaggi, le casate e le consorterie giocano evidentemente un ruolo fondamentale presso i ceti aristocratici e in genere presso l’élite sociale, soprattutto nobiliare. Gli appartenenti a una casata individuata da un cognome e, nel caso delle famiglie nobili, da uno stemma sono legati da molteplici forme di solidarietà e si sentono impegnati nella difesa della propria posizione economica e sociale e di un onore sentito come patrimonio comune di un gruppo. L’importanza dei legami di parentela nelle varie forme in cui possono manifestarsi non si limita però alle classi superiori. Soprattutto laddove la proprietà contadina ha potuto resistere alla pressione aristocratica o borghese o dove le proprietà comuni hanno conservato la loro importanza, questo tipo di solidarietà è una componente essenziale dell’identità sociale. In molte regioni, soprattutto nell’Europa mediterranea, la coesione fra gruppi di parenti si manifesta anche nella disposizione spaziale. Coloro che portano lo stesso nome abitano nella stessa contrada che viene in genere ad assumere il nome della famiglia. È quello che è stato definito un quartiere di lignaggio.
La gestione di patrimoni e matrimoni, ovvero della riproduzione economica, materiale e biologica della società, è molto spesso una questione che investe un numero di persone e di soggetti collettivi che va ben al di là dei diretti interessati o della loro famiglia ristretta. Alcuni beni – case, terre –ereditati dagli antenati e investiti di particolare significato simbolico, devono restare nell’ambito della parentela della quale simboleggiano l’unità e la continuità nel tempo. La scelta del coniuge, in particolare, dipende da valutazioni sociali ed economiche contingenti ma anche dall’esigenza di riannodare periodicamente, attraverso appunto i matrimoni, antichi vincoli di solidarietà fra casate. A proposito del matrimonio fra due giovani, un contadino lombardo del Seicento afferma che “lo fanno tutti li parenti suoi voluntera per star in bona amicitia fra loro et non per inamoramento de loro giovani, né per forza alcuna, ma per la bona amicitia che fra loro sempre è stata” (in Raul Merzario, Il Paese stretto. Strategie matrimoniali nella diocesi di Como secoli XVI-XVIII). Dunque ciò che conta non sono i sentimenti individuali – non per innamoramento – ma i vincoli che attraverso le generazioni hanno legato due casate – la bona amicitia – e che devono essere ribaditi.
Famiglia e parentela di fronte ai cambiamenti del Seicento
Le trasformazioni intervenute durante il Seicento nella società e nell’economia hanno ovviamente ripercussioni sulle strutture familiari e sui rapporti di parentela. Si è già detto come la diffusione della mezzadria abbia favorito in talune aree la formazione di famiglie multiple e numerose. Un altro caso è quello della protoindustrializzazione che in talune regioni ha contribuito ad abbassare l’età matrimoniale e a diffondere il modello nucleare di famiglia. Inoltre, le varie forme di proletarizzazione dei contadini hanno messo profondamente in crisi le forme tradizionali di solidarietà, sia quelle fondate sulla parentela, sia quelle fondate sulla comunità di villaggio.
Anche le strutture familiari e le relazioni di parentela dei ceti privilegiati, nobili e borghesi, sono interessate da mutamenti importanti. Uno di questi è l’affermazione di una struttura della parentela fondata sul lignaggio ristretto a scapito di una forma di organizzazione più vasta, che possiamo chiamare clan. Non è certo una tendenza che ha origine nel Seicento e del resto, pur essendo riscontrabile in gran parte dell’Europa, si sviluppa con tempi e modalità diverse a seconda dei contesti. Quasi ovunque però nel Seicento questo nuovo modo di considerare l’identità familiare assume la sua fisionomia compiuta.
I clan nobiliari del Medioevo erano vasti e ramificati organismi, il cui fine era quello di conservare, e possibilmente accrescere, l’influenza sociale e il potere politico di una casata, influenza e potere che si esprimevano anche direttamente sul terreno militare. In questo caso il numero significava potenza e i legami matrimoniali erano uno strumento per saldare o ribadire alleanze fra casate e parentele.
Nel Cinquecento, e poi soprattutto nel Seicento, il contesto politico è cambiato. Gli Stati territoriali hanno ormai sottratto alla nobiltà gran parte del suo ruolo militare e l’influenza che pure questa continua ad esercitare passa soprattutto attraverso la sua forza economica e un rapporto privilegiato con la corte. Le casate aristocratiche tendono quindi a concentrare le loro risorse su un numero più ristretto di individui, attraverso l’elaborazione di diverse strategie. Innanzitutto, come nel caso delle famiglie-ceppo contadine, si limitano i matrimoni per non disperdere il patrimonio familiare. In genere solo un figlio, erede designato, si sposa, mentre gli altri intraprendono la carriera ecclesiastica o militare. Anche le figlie femmine vengono per lo più destinate al chiostro. Inoltre, grazie a istituti giuridici come la primogenitura e il fedecommesso, viene privilegiato un solo erede al quale viene comunque imposto di mantenere l’unità del patrimonio familiare di cui, nei fatti, è una sorta di amministratore fiduciario a beneficio delle future generazioni.
La storia dei sentimenti: verso una famiglia affettiva?
Uno degli aspetti più controversi e difficili da analizzare nella storia della vita familiare europea è quello dell’evoluzione dei sentimenti e dei rapporti, affettivi e di autorità, che legano tra loro i suoi componenti. La posizione del bambino e dell’infanzia, quella degli anziani, la relazione, affettuosa o meno, tra i coniugi e i problemi della sessualità in generale sono altrettante questioni di grande interesse, ma rispetto a cui vi sono profondi disaccordi tra gli studiosi, anche per la difficoltà di definire con precisione un linguaggio di per sé ambiguo come quello dei sentimenti e per la natura impressionistica delle fonti, prevalentemente letterarie e iconografiche, utilizzabili in questo tipo di ricerca. Ancor più di quanto non lo sia per gli aspetti demografici e strutturali, è problematico delineare un’evoluzione lineare e omogenea delle relazioni interpersonali nell’ambito familiare nel corso del Seicento. Le differenze fra aree geografiche e culturali e ceti sociali sono troppo rilevanti.
Nel Medioevo, secondo Philippe Ariès in Padri e figli nell’Europa medioevale e moderna, “la famiglia era una realtà sociale e morale più che sentimentale”. La Riforma e la Controriforma hanno ulteriormente rafforzato la sua natura gerarchica e patriarcale. Secondo Lawrence Stone in Famiglia, sesso e matrimonio in Inghilterra fra Cinque e Ottocento, solo a partire dalla seconda metà del Seicento “nella famiglia dei ceti medi e superiori [inglesi] la tendenza cinquecentesca verso rapporti sempre più autoritari fu gradualmente superata […] da una tendenza opposta, verso una libertà maggiore per i figli e un rapporto di maggiore parità fra i coniugi”. In questa prospettiva dunque il Seicento rappresenterebbe un punto di svolta importante verso quella che è stata definita la “famiglia affettiva”, fondata su di una forte relazione affettiva fra i coniugi e fra questi e i figli. Questa evoluzione si accompagna a un’emancipazione della famiglia coniugale dal controllo e dalle ingerenze della parentela o del vicinato. Una tendenza alla valorizzazione dell’infanzia e all’espressione di sentimenti di affetto e tenerezza nei confronti dei figli e dei bambini in generale, la ritroviamo, ad esempio, in Olanda. La pittura e la letteratura olandese ci tramandano immagini di affettuosa sollecitudine dei genitori verso i loro figli e di rimpianto o addirittura angoscia nel caso frequente di una loro morte prematura. Ma Inghilterra e Olanda sono gli stati più ricchi, urbanizzati, liberali e alfabetizzati d’Europa e i segni di un’evoluzione nella direzione di relazioni più egualitarie e affettive si riscontrano solo, come osserva Stone, nei ceti medi e superiori.