IBN TIBBON, FAMIGLIA
Nel corso dei secc. XII e XIII il mondo cristiano e il giudaismo provenzale ebbero accesso alla rigogliosa cultura scientifica e filosofica in lingua araba che caratterizzava il vasto mondo sotto la sovranità musulmana per il tramite di traduttori che furono per la maggior parte ebrei di origine spagnola. Tra essi si distinsero i Tibbonidi, una famiglia comprendente almeno cinque generazioni di autori e traduttori dall'arabo in ebraico.
Judah ben Saul Ibn Tibbon (1120 ca.-1190 ca.) fu il capostipite di questi traduttori. Nato a Granada, fu costretto dal fanatismo degli Almohadi a lasciare la Spagna e a rifugiarsi, verso il 1150, in Provenza. Egli si applicò per primo a volgere sistematicamente in ebraico la letteratura filosofica giudeo-araba, iniziando, nel 1161, con I doveri del cuore di Baḥya Ibn Paqūda; seguirono il Kuzari di Judah ha-Levi, La correzione dei costumi dell'anima di Solomon Ibn Gabirol, Il libro delle credenze e delle convinzioni di Saadia Gaon. Nell'introduzione alla sua versione dei Doveri del cuore di Baḥya Ibn Paqūda, Judah ben Saul Ibn Tibbon enuncia con chiarezza quello che fu per molti versi il 'manifesto' della scuola dei Tibbonidi: un buon traduttore deve conoscere perfettamente la lingua originale in cui l'opera fu scritta, la lingua in cui questa deve essere resa e l'argomento. Egli precisa, tuttavia, che oltre a conoscere l'argomento, il traduttore deve anche appartenere alla stessa tradizione o scuola filosofica dell'autore, per comprendere correttamente il senso del libro che traduce, così da non alterare il pensiero dell'autore. Ma anche un traduttore siffatto, egli prosegue, trova una difficoltà supplementare a tradurre un testo dall'arabo in ebraico, lingua meno ricca e meno duttile, dal vocabolario filosofico quasi inesistente. Egli deve perciò saper integrare e arricchire il lessico filosofico ebraico, creando nuovi termini corrispondenti alle diverse sfumature del lessico arabo, preferendo una rigorosa letteralità all'eleganza letteraria della lingua ebraica.
Con le sue traduzioni, Judah ben Saul Ibn Tibbon immise nel pensiero ebraico europeo un discorso solidamente fondato in termini filosofici e non più soltanto religiosi. Gli autori da lui tradotti appartenevano però alla linea neoplatonica che, sin dalla tarda antichità, aveva influenzato sia il pensiero giudaico che quello dei siri giacobiti e poi degli arabi. Ma alla fine del sec. XII la scienza nel mondo arabo era sotto il segno di Aristotele, come era stato inteso e interpretato da alcuni dei suoi esegeti greci della tarda antichità e da quelli arabi musulmani, e Mosè Maimonide (v.) con la sua Guida dei perplessi aveva anch'egli impostato tutte le maggiori questioni della teologia giudaica nei termini di questa filosofia, esaminandole alla luce dell'intero corpus Aristotelicum, del De providentia di Alessandro di Afrodisia, degli scritti filosofici di Galeno, di commenti e dossografie medievali. L'impresa di rendere dall'arabo in ebraico la Guida e di avviare la serie delle versioni ebraiche dei testi filosofici antichi spettò al figlio di Judah ben Saul Ibn Tibbon, Samuel.
Samuel ben Judah Ibn Tibbon, nato forse a Lunel, verso il 1160, fu attivo in Provenza tra il 1195 e il 1232, anno probabile della sua morte. Nel 1199 intraprese la traduzione della Guida dei perplessi di Maimonide venendo incontro alla richiesta di alcuni intellettuali di Lunel, in particolare di Jonathan ha-Cohen. Egli chiese, con una serie di lettere, a Maimonide consigli e spiegazioni su punti oscuri dell'opera, e il Maestro gli rispose dandogli diversi suggerimenti circa la scelta dei testi filosofici da leggere per preparare la versione, la resa ebraica di alcuni termini chiave, e in generale la tecnica di traduzione da seguire. Samuel ben Judah Ibn Tibbon completò il lavoro ad Arles il 30 novembre 1204, quindici giorni prima della morte di Maimonide.
La traduzione ebraica della Guida, eseguita con grande fedeltà all'originale arabo, sollevò non pochi problemi di interpretazione. Consapevole delle difficoltà che i lettori avrebbero trovato nell'incontrare a ogni pagina della sua versione innovazioni linguistiche e termini estremamente tecnici, Samuel ben Judah Ibn Tibbon compose nel 1213 una Spiegazione dei termini stranieri come appendice dell'opera maimonidea. Il dizionario illustra circa duecento termini, disposti in ordine alfabetico. Notevole la sensibilità storico-linguistica del suo autore. La spiegazione e definizione dei termini, infatti, si accompagnano sempre alla ricostruzione delle vicende dell'etimo, a un accenno alla loro origine, sia essa la Bibbia, la Mishnah o il Talmud o, più spesso, il calco arabo che era servito da modello per il conio, creato dall'autore stesso o trovato nelle traduzioni a lui precedenti. L'informazione sul significato che il termine assume nel quadro del sistema aristotelico è accompagnata di solito anche da una breve osservazione sul diverso valore che il termine ha nel linguaggio comune e in quello dei grammatici. L'aspetto corrente di alcuni termini è messo in rilievo mediante l'inserimento nel testo esplicativo del vocabolo 'romanzo' corrispondente. A compilare il glossario, Samuel ben Judah Ibn Tibbon fu mosso anche dall'intento polemico di mostrare e correggere le molte inesattezze e gli errori, a volte madornali, in cui era incorso il letterato e poeta spagnolo Judah al-Ḥarizi nella sua versione 'puristica' della Guida eseguita, tra il 1205 e il 1213, su invito di alcuni dotti di Provenza che non avevano apprezzato la letteralità della sua traduzione.
Oltre alla Guida, Samuel ben Judah Ibn Tibbon tradusse di Maimonide il Trattato sulla resurrezione dei morti, la Lettera allo Yemen, che trattava della comparsa di un falso profeta che annunciava l'era messianica, e gli Otto capitoli, un breve compendio di psicologia e morale. Del medico e filosofo musulmano ῾Alī Ibn Riḍwān, egli rese in ebraico, nel 1198, il commento all'Ars parva di Galeno; di Aristotele, nel 1210, i Meteorologici. Quest'ultima traduzione fu eseguita sulla traduzione araba di al-Biṭrīq, che era in realtà una parafrasi compendiosa del testo originale greco. Samuel ben Judah Ibn Tibbon ritenne di dover colmare le lacune della versione di al-Biṭrīq introducendo nel testo i propri commenti, che rimandano al commento di Alessandro di Afrodisia, da lui letto non acriticamente, e integrato occasionalmente da riferimenti allo Šifā' di Avicenna e al Commento medio di Averroè.
Come autore, Samuel ben Judah Ibn Tibbon compose negli anni intorno al 1220 il Trattato sul raduno delle acque, in riferimento a Genesi 1,9. Il trattato, sotto la veste di una quaestio de aqua et de terra esaminata nei termini della filosofia maimonidea e alla luce delle fonti greche e arabe (i Meteorologici di Aristotele e i loro commenti medievali), affronta in generale il problema del contrasto tra i dati della tradizione biblica e il sapere scientifico. La soluzione proposta da Samuel ben Judah Ibn Tibbon, rileva Mauro Zonta (1996), consiste nel 'forzare' la lettera di Maimonide, attribuendogli in sostanza un atteggiamento radicalmente 'aristotelico' celato dietro le convenienze di un ossequio formale alla tradizione religiosa giudaica: un'interpretazione che fa da pendant, in campo ebraico, alla dottrina della 'doppia verità' elaborata alcuni anni più tardi dagli averroisti latini. Samuel ben Judah Ibn Tibbon compose anche un Commento all'Ecclesiaste. L'esegesi è di tipo filosofico, ritenendo che Salomone, al quale la Bibbia attribuisce l'Ecclesiaste, i Proverbi e il Cantico dei cantici, avesse inteso nei tre libri analizzare il problema dell'unione dell'anima con l'Intelletto Agente. Al Commento all'Ecclesiaste egli allegò la traduzione dei tre brevi trattati di Averroè sull'Intelletto Ilico. Il Commento all'Ecclesiaste di Samuel ben Judah Ibn Tibbon sarà più volte citato da Mosè ben Salomon da Salerno nel suo Commento alla Guida dei perplessi di Mosè Maimonide.
Mosè ben Samuel Ibn Tibbon fu uno dei traduttori più prolifici della dinastia tibbonide. Le sue versioni datano dal 1244 al 1274 e furono eseguite per lo più a Montpellier, dove viveva. La traduzione del Compendio di Averroè al De anima di Aristotele sarebbe stata invece compiuta a Napoli, dove egli soggiornò presso il cognato Jacob Anatoli (v.) intorno al 1244-1245. L'attività di traduttore di Mosè ben Samuel Ibn Tibbon abbraccia numerosi commenti di Averroè ad Aristotele, nonché il Libro dei princìpi di al-Fārābī, il Commento al libro Lambda della Metafisica di Aristotele, di Temistio, il Libro dei cerchi intellettuali di al-Batalyawsī, e molte opere di matematica, astronomia e medicina. Le sue opere originali sono rappresentate in maggioranza da commenti, tra cui primeggia quello al biblico Cantico dei cantici, il cui senso recondito sarebbe la celebrazione dell'unione dell'intelletto umano con il suo amante, l'Intelletto Agente.
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