famiglia
Un gruppo unito da legami di sangue e affetto
Cos'è la famiglia? La domanda è banale, ma la risposta è tutt'altro che semplice. Di norma, è un gruppo di persone legate da vincoli di matrimonio, parentela, affinità o adozione, che vivono sotto lo stesso tetto e condividono ciò che serve al loro sostentamento. Ma la famiglia è in primo luogo una comunità di affetti: un microcosmo, fondato sulla comune responsabilità di dare, ricevere e donare che, casi patologici a parte, garantisce ai suoi membri protezione e solidarietà e nella quale i figli hanno modo di costruire ed esprimere la loro identità e la loro personalità. Concezione e forma della famiglia cambiano a seconda delle epoche storiche e delle diverse culture
La famiglia è il gruppo sociale in cui siamo nati e cresciuti, formato in genere da genitori, fratelli e sorelle, la comunità in cui consumiamo i pasti, dormiamo e teniamo le nostre cose. Tutto questo suona ovvio, e tuttavia le cose non sono semplici come sembrano. Proprio perché appartiene al nostro quotidiano ‒ perché ci è familiare ‒ comprendere la famiglia è un compito particolarmente difficile.
La nostra comprensione dipende infatti dall'esperienza e le esperienze sono molteplici e diverse. Anche tra i nostri amici e conoscenti non è difficile imbattersi in chi, vivendo una situazione, ha un'idea del tutto personale della famiglia: magari perché i suoi genitori sono separati o divorziati e il nostro amico vive con la madre; perché con lui, oltre ai genitori, vivono anche i nonni; oppure, se il nostro amico è un adulto, perché ha lasciato la famiglia d'origine per andare a lavorare in un'altra città, dove ora vive solo; se è una donna anziana rimasta vedova, perché è andata a stare con la figlia sposata. Ognuno di loro, basandosi sulla propria esperienza, vede la famiglia in modo diverso.
La signora anziana, che ha perso il marito, dirà che per lei la famiglia, la sua famiglia, è quella della figlia; l'adulto, emigrato in un'altra città, dirà che la sua famiglia è lui, è la casa dove vive, e forse pure la sua famiglia d'origine, quella lontana in cui vivono i suoi genitori rimasti al paese. Per il ragazzo il cui padre è andato a vivere altrove, la sua famiglia è quella formata da lui e dalla madre; e se nel frattempo il padre si è risposato e ha avuto altri figli, il nostro amico avrà alcuni fratelli acquisiti (quelli che una volta, con una brutta parola, si chiamavano fratellastri), i quali saranno anch'essi membri della sua famiglia.
Fin qui ci siamo limitati a considerare esempi tratti dalla nostra storia e dalla nostra cultura e non ci siamo posti il problema se, nel corso dei secoli, la famiglia sia cambiata. Su tale questione ‒ se la famiglia sia un'entità naturale, e quindi immutabile nel tempo, o se sia invece un prodotto della storia, e dunque variabile di epoca in epoca ‒ c'è un aspro dibattito tra gli addetti ai lavori. Storici, antropologi, sociologi e teologi hanno sostenuto e sostengono tesi diverse.
Quella della famiglia come entità naturale si rifà a un passo della Bibbia, dove è scritto che "l'uomo abbandonerà suo padre e sua madre e si unirà a sua moglie e i due saranno una carne sola". Si tratta dunque di una famiglia formata da un uomo e una donna uniti dal legame matrimoniale, fondata sul rapporto sessuale esclusivo fra i coniugi, sul riconoscimento della prole da parte dei genitori e sulla proibizione dell'incesto.
Quanto alla tesi della storicità della famiglia, la sua fortuna poggiò all'inizio su un fraintendimento. Nel 19° secolo gli antropologi ritenevano che la storia dell'umanità seguisse, al pari degli organismi biologici, un percorso evolutivo lineare (cultura). Le società primitive e selvagge rappresentavano lo stadio primordiale dell'evoluzione, quelle più avanzate le forme civilizzate. E poiché in queste ultime la famiglia era basata pressoché esclusivamente sul matrimonio di coppia, gli antropologi ne deducevano che nelle società più antiche la famiglia dovesse essere necessariamente diversa, fino a immaginare di sana pianta l'esistenza di matrimoni di gruppo e di altre forme di promiscuità sessuale. Oggi questo punto di vista è largamente superato. Le ricerche etnografiche hanno dimostrato che anche nelle società più arcaiche ed elementari la famiglia è il più delle volte di tipo monogamico: come ha scritto il grande antropologo francese del 20° secolo Claude Lévi-Strauss "la famiglia, costituita dall'unione più o meno durevole […] di un uomo, una donna e i loro figli" è un "fenomeno universale, presente in ogni e qualsiasi tipo di società".
Questo non esclude, tuttavia, che la famiglia sia stata costretta di volta in volta ad adattarsi all'ambiente, quindi a cambiare per poter continuare a svolgere le proprie funzioni produttive e riproduttive. E se è vero che, artifici genetici a parte, i figli nascono dal ventre materno, cioè che la coppia madre-figli è il nucleo essenziale della famiglia, a partire da questo presupposto sono pur sempre possibili innumerevoli configurazioni (e qui la biologia cede il passo ai capricci e alle regole della cultura!).
Ciò che distingue tali configurazioni è il tipo di matrimonio che dà origine alla famiglia, ma anche il luogo dove la coppia fissa la propria residenza, le regole di trasmissione del cognome e/o del patrimonio familiare lungo la linea paterna (patrilineare) o materna (matrilineare), la necessità di mantenere determinati livelli di solidarietà tra i membri del gruppo familiare ristretto e la parentela più vasta.
Così, a cominciare dalla struttura, nel corso del tempo le famiglie sono state 'strette' o 'larghe' anche in funzione dei rapporti che le legavano alla proprietà fondiaria da cui traevano la propria sussistenza e delle dimensioni del fondo agricolo su cui lavoravano: molta terra richiede molte braccia, e le famiglie si adeguavano mettendo al mondo più figli o aggregando altri parenti, domestici e garzoni (famigli) al nucleo originario. Un piccolo appezzamento di terreno, al contrario, offre risorse scarse e obbliga quindi il gruppo familiare a ridurre la fecondità.
Lo stesso accade se si considerano le leggi che disciplinano la trasmissione della proprietà. La conservazione del patrimonio familiare presuppone per forza di cose che uno solo dei figli, di regola il primogenito maschio, erediti la proprietà alla morte del capofamiglia, mentre agli altri (i cadetti) è concessa l'alternativa tra lavorare alle dipendenze dell'erede o andarsene da casa, ma non quella di sposarsi e mettere su famiglia là dove sono nati e cresciuti. Si spiega così perché sino alla fine dell'Ottocento in alcuni paesi dell'Europa occidentale molti figli di agricoltori fossero destinati a restare celibi a vita e perché molte ragazze della media borghesia, impossibilitate a sposarsi, finissero per chiudersi in convento.
Le ragioni che abbiamo appena illustrato hanno prodotto una varietà pressoché illimitata di forme familiari. Accanto alla famiglia monogamica, in cui è ammesso un solo coniuge, esistono diversi tipi di famiglie poligamiche, in cui cioè una persona può essere sposata nello stesso momento con due o più persone. Le famiglie poligamiche si distinguono in tre tipi, due abbastanza frequenti, l'altro alquanto raro: la famiglia poliginica (dal greco polỳs "molto, più" e gynè "donna"), in cui un uomo è sposato e/o convive con più donne; la famiglia poliandrica (dal greco polỳs "molto, più" e andròs, genitivo di anèr "uomo"), in cui è la donna a essere coniugata con più uomini contemporaneamente; e il matrimonio di gruppo, in cui un certo numero di uomini sono sposati con più donne.
Quanto sono diffuse queste forme? La più frequente, contrariamente a quanto ci si aspetterebbe, non è quella monogamica, presente in appena il 16% delle culture classificate dagli etnologi, bensì quella poliginica, praticata in oltre l'80% delle società censite; mentre si contano sulle dita di una mano quelle in cui è consentito il matrimonio tra una donna e più uomini (poliandria).
Studi più recenti mostrano, tuttavia, che aumentano le unioni monogamiche, mentre la poliginia è in via di declino. La trasformazione di molti paesi da economie agricole a economie industriali di mercato, con il connesso spostamento delle popolazioni dalle campagne alle città, ha favorito l'istruzione e l'inserimento lavorativo in attività salariali, specie delle donne. D'altro canto, l'autonomia economica, ampliando la libertà di scelta della donna, ha ridotto la possibilità da parte dei maschi di imporre un certo modello matrimoniale. Analoghi effetti ha avuto l'espansione della religione e della morale cristiana, particolarmente rilevante nel continente africano negli scorsi decenni. Sono così venuti meno i principali pilastri su cui poggiava la poligamia. L'urbanizzazione, in particolare, ha contribuito a lacerare quel tessuto di clan e tribù che regolava tutti i rapporti sociali, inclusi quelli coniugali.
Nelle società tradizionali è la parentela a decidere chi si sposa, con chi e quando, e chi non si sposa. Più della coppia contano i gruppi sociali; più che una scelta basata sull'amore e l'attrazione reciproca tra due individui il matrimonio è in queste società una strategia economica. Matrimonio e patrimonio sono due facce della stessa medaglia. Attraverso le nozze dei figli, le famiglie stabilivano alleanze proficue con altre famiglie, mantenendo intatte o accrescendo le loro fortune, oppure cadevano in disgrazia, se il figlio o la figlia sposavano una persona di livello più basso o di una famiglia nemica.
Con il senno di poi possiamo stupircene, ma allora era piuttosto normale che ciò avvenisse. Il matrimonio aveva la funzione dichiarata di perpetuare l'ordine sociale senza creare scompigli. Poiché una parte cospicua del patrimonio e dei beni di famiglia era concessa in dote, il diritto del padre di scegliere gli sposi dei propri figli non era sentito come un arbitrio, ma come una pesante e logica responsabilità, sanzionata anche dal diritto civile.
Affinché questa morale cambiasse era indispensabile che l'ordine sociale che la legittimava venisse superato. Il cambiamento avvenne dapprima sul piano delle idee e dei diritti (con l'Illuminismo e le rivoluzioni liberali), poi su quello dell'economia, con la rivoluzione industriale del secolo 19°, che concesse a grandi masse di individui concrete possibilità di affermazione sociale, indipendentemente dalla famiglia di appartenenza.
Con la nascita della società moderna la famiglia, da principale centro di produzione della sussistenza, divenne sempre più un'unità di consumo; il luogo di abitazione si separò dal luogo di lavoro, collocato ormai nelle fabbriche. Ma soprattutto si instaurò una nuova e netta specializzazione dei ruoli familiari: la donna, moglie e madre, occupata nella cura dei figli e della casa; il maschio, marito e padre, impegnato a procurare le risorse necessarie a soddisfare i bisogni degli altri familiari; i figli, che prima di emanciparsi dalla famiglia e inserirsi nel mondo del lavoro (il che nella società tradizionale avveniva molto presto), erano tenuti a trascorrere un tempo sempre più lungo nelle aule scolastiche.
L'affermazione del sentimento della famiglia si accompagna a una diversa organizzazione della vita privata, dello spazio domestico, che perde il carattere di luogo pubblico e aperto che aveva avuto nei secoli passati. Cambiano i rapporti fra i coniugi, improntati a una maggiore parità di diritti. Cambiano anche le età della vita: fra l'infanzia e l'età adulta s'instaura una nuova e incerta fase: l'adolescenza.
Più in là, con l'introduzione delle pensioni, che dal punto di vista economico prendevano il posto degli aiuti che i figli in passato erano moralmente obbligati a fornire ai genitori anziani, anche il rapporto fra genitori e figli avrebbe assunto un significato del tutto nuovo. Se i figli non erano più il 'bastone della vecchiaia', bensì un costo che si sarebbe protratto a lungo nel tempo, allora i genitori potevano decidere di metterne al mondo un numero sempre minore, quanto bastava a soddisfare il loro desiderio di maternità e paternità. La famiglia si chiudeva così in una sfera domestica sempre più ristretta, isolata e impenetrabile dall'esterno; e, cementata dagli affetti e non più dagli interessi legati alla conservazione dei patrimoni, diveniva inevitabilmente più fragile, più esposta al fluttuare dei sentimenti e perciò al rischio di dividersi, frammentarsi e ramificarsi in un numero crescente di tipi.
Nel mondo occidentale, accanto alla famiglia coniugale, formata dai genitori e dai loro figli, sono nate e cresciute una pluralità di altre forme familiari, spesso fondate sulla convivenza di fatto, che ha sostituito il vincolo matrimoniale celebrato dinanzi al sacerdote o all'ufficiale di stato civile.
Quali sono i motivi di questo fenomeno? Anzitutto, l'uno o l'altro membro della coppia rifiuta l'idea del matrimonio; oppure sono persone già coniugate, in attesa del divorzio, e quindi non possono risposarsi. In altri casi, si tratta di giovani coppie che convivono in attesa di trovare una sistemazione, un alloggio, un lavoro. Alcune coppie, invece, mettono in atto una sorta di matrimonio di prova, per valutare i rischi di una convivenza che potrebbe un domani rivelarsi infelice.
Un'altra forma familiare che, con l'aumento delle separazioni e dei divorzi, è sempre più diffusa è quella formata da un solo genitore con uno o più figli. Per lo più, l'unico genitore è donna, sia perché all'atto della separazione il giudice in genere affida i figli alla madre sia perché i mariti tendono a risposarsi più di frequente delle mogli dopo una separazione o un divorzio. Questo spiega perché le famiglie monogenitore sono di regola più fragili e maggiormente esposte al rischio di vivere in condizioni di povertà o disagio economico.
Ci sono poi le cosiddette famiglie ricostituite, che di regola sono formate da due persone che hanno avuto, entrambe o una sola delle due, una precedente esperienza matrimoniale finita con una separazione o un divorzio, e che ora portano nella loro nuova casa anche i rispettivi figli. Le cose cambiano, almeno dal punto di vista legale ‒ visto che la legge quasi mai tratta nello stesso modo le coppie sposate e quelle di fatto ‒ se i due membri della famiglia ricostituita si sono risposati (civilmente) oppure no.
Insomma, il panorama è abbastanza complicato e alquanto diverso dalle rappresentazioni più convenzionali della famiglia. E tuttavia queste famiglie non sono del tutto nuove, c'erano anche in passato. Fiabe e racconti nati dalla fantasia popolare (per esempio Cenerentola, Pollicino, Hansel e Gretel) narrano infatti di bambini che, morta la madre, vivono con il padre e la matrigna, di solito rappresentata come una figura arcigna e cattiva. Anche il linguaggio non è cambiato, se continuiamo a chiamare i membri di queste famiglie con termini peggiorativi: fratellastri, sorellastre, patrigno, matrigna. Ciò che è cambiato è semmai l'origine di questa nuova forma familiare, che un tempo nasceva dalla morte di uno dei genitori, mentre oggi è il risultato del numero sempre più elevato di divorzi e separazioni.
Infine, per completare l'inventario delle nuove famiglie, bisogna ricordare le famiglie unipersonali, composte cioè da una sola persona, detta single. Anche se spesso si pensa che il single sia una persona che vive libera da problemi e impegni familiari, nella realtà ciò è vero solo a metà. In molti paesi, Italia compresa, la maggior parte di queste persone sono anziane: spesso, poi, sono donne anziane che hanno perso il marito e sono rimaste sole. Anche fra queste famiglie, come del resto è facile immaginare, si annidano situazioni economiche difficili e disagi, dovuti soprattutto a isolamento, problemi di salute e mancanza di assistenza.
Bisogna tuttavia guardarsi dall'idea che la famiglia sia soprattutto fonte di problemi. Sulla famiglia, oggi non meno che in passato, ricade l'onere di fornire le risposte più immediate, in termini di affetto, aiuti economici, assistenza e cura ai suoi componenti. Là dove lo Stato sociale (benessere, Stato del) è più avanzato, come nei paesi dell'Europa settentrionale, questi e altri compiti fondamentali ‒ come la procreazione e la cura della prole ‒ sono riconosciuti e sostenuti dalla collettività, mediante misure economiche, provvedimenti e servizi di diversa natura. In altri paesi l'aiuto fornito dallo Stato è piuttosto ridotto o addirittura la famiglia è lasciata a sé stessa nell'assolvimento di questi compiti, peraltro essenziali per l'intera organizzazione sociale.
Non è quindi vero che con l'età moderna la famiglia ha perso importanza. Le sue funzioni sono certamente cambiate, ma ciò non significa che le sue responsabilità si siano ridotte; ancor oggi, quasi ovunque, la famiglia è in prima linea quando si tratta di affrontare le difficoltà e i rischi cui vanno incontro le persone che la compongono. Così è sempre stato e, anche se la famiglia è destinata a cambiare, così probabilmente continuerà a essere.