Famiglia
Trasformazioni della famiglia nei Paesi occidentali
Come afferma C. Lévi-Strauss, la f. non è un fenomeno puramente naturale, ma è innanzitutto un prodotto della società e della cultura, qualcosa di artificiale, in sintesi - si può dire - un'invenzione sociale. In quanto tale, le sue vicende e le sue trasformazioni sono strettamente legate a quelle della società in cui si trova inserita. Di conseguenza, le sue caratteristiche strutturali e relazionali cambiano nel tempo e nello spazio. In questa sede ci si limita a tratteggiare i più importanti cambiamenti cui è andata incontro la f. italiana nel periodo compreso fra l'inizio degli anni Novanta e i primi anni del 21° secolo. Per far questo è però inevitabile riferirsi anche alle trasformazioni intervenute nella f. dei Paesi occidentali e in particolare di quelli europei, perché naturalmente anche l'Italia - pur con le sue specificità - risente di quello che avviene nel più ampio contesto che la circonda.
Un fondamentale elemento comune che caratterizza l'evoluzione della f. nei Paesi occidentali in questo arco di tempo è il declino del matrimonio come istituzione sociale, da cui derivano tutti gli altri mutamenti. Il matrimonio non segna più il passaggio simbolico dall'adolescenza all'età adulta, non è più l'evento che legittima l'inizio della vita sessuale e riproduttiva, non dura più per tutta la vita. Nella società occidentale del 21° sec. si verifica una divaricazione crescente tra sessualità, procreazione e matrimonio: l'attività sessuale inizia sempre prima, mentre i matrimoni diminuiscono e avvengono sempre più tardi; la fecondità declina e comunque una quota rilevante di bambini nasce fuori del matrimonio. Aumentano le unioni non fondate sul matrimonio, l'instabilità coniugale cresce e provoca il diffondersi di forme familiari che sono diverse da quella tradizionale (f. ricomposte, con un solo genitore, single).
Le cause della crisi del matrimonio sono molteplici, sociopolitiche, culturali ed economiche: tra le prime, un posto importante spetta al processo di secolarizzazione della società, ossia alla perdita di influenza sulla vita sociale e pubblica della religione, che diventa un fatto sempre più privato; ai movimenti degli anni Sessanta e Settanta del Novecento, tra cui il femminismo, che hanno messo in discussione l'autoritarismo patriarcale e il modello tradizionale di f.; alla scolarizzazione di massa; all'emergere, negli anni successivi, di orientamenti culturali rivolti all'affermazione della soggettività individuale e alla valorizzazione del privato. Tra le cause economiche, con importanti risvolti culturali, certamente una grande importanza va attribuita alla partecipazione crescente delle donne al mercato del lavoro, che le ha rese, sia pure in posizioni occupazionali di frequente subalterne e meno retribuite, indipendenti dagli uomini per la sopravvivenza.
Si possono individuare alcune trasformazioni sociali e culturali strettamente legate l'una all'altra che, secondo la maggior parte degli studiosi della materia, sono alla base dei cambiamenti della f. occidentale contemporanea.
Una trasformazione dei valori: l'individualizzazione
Questo processo, iniziato alla fine del Settecento, è proseguito e si è intensificato nell'età contemporanea. In tutti gli ambiti della vita sociale, compreso quello familiare, si ha una crescente affermazione di valori, quali l'autonomia individuale, l'autorealizzazione, la ricerca della felicità personale. Questo modello individualistico di relazioni, nell'ambito della f., può favorire una maggiore instabilità coniugale, ma anche il ritardo del matrimonio e della procreazione e la scelta di forme di unione diverse dal matrimonio.
Una trasformazione delle norme: la privatizzazione
Come conseguenza della precedente trasformazione, le norme sociali e quelle giuridiche vengono viste come un'intrusione nella vita privata dell'individuo e della coppia. Il diritto, da parte sua, si ritira e lascia sempre più spazio alla regolazione privata delle relazioni personali. Sul piano familiare, le conseguenze sono di due tipi: in primo luogo viene meno la coincidenza tra relazione di coppia e matrimonio, per cui si diffondono forme di unione diverse dalle nozze (unioni di fatto) e nascite fuori del matrimonio. In secondo luogo si manifesta la tendenza alla trasformazione del matrimonio da istituzione sociale in contratto privato, almeno per quanto riguarda il rapporto di coppia. Ne è un chiaro esempio la crescente regolazione privata della rottura coniugale (separazioni e divorzi consensuali e ricorso ad agenzie di mediazione non formalizzate).
Tuttavia a questa tendenza si contrappone quella di una crescente regolamentazione giuridica, ovvero pubblicizzazione, dei rapporti tra genitori e figli minori, al fine di una maggiore tutela di questi ultimi, soprattutto in caso di rottura coniugale. Questa circostanza riflette un altro aspetto importante della f. contemporanea: di fronte all'aumento della fragilità della coppia, è il rapporto tra genitori e figli che finisce per diventare l'elemento di stabilità e indissolubilità della famiglia. Nella tendenza alla pubblicizzazione si inserisce anche la richiesta di riconoscimento giuridico di situazioni familiari non regolate dalla legge, quali i rapporti di coppia nelle unioni di fatto, sia eterosessuali sia omosessuali.
Una trasformazione dei modelli sociali: la pluralizzazione
Come conseguenza delle due precedenti trasformazioni, in campo familiare si verifica il passaggio da un unico modello di f. (quella fondata sul matrimonio) a una pluralità di forme familiari, molte delle quali, come si è detto, traggono origine dalla rottura coniugale.
Una trasformazione delle relazioni di genere: verso la parificazione
Nella società occidentale i rapporti di genere (tra donne e uomini) tendono a diventare più simmetrici e paritari e ad acquistare un carattere volontario e negoziale. Anche se in via di fatto rimangono squilibri e disuguaglianze tra i sessi, a svantaggio delle donne, in particolare nei Paesi dell'Europa meridionale, tra cui l'Italia, tuttavia sul piano culturale e simbolico la parità è ormai un dato acquisito e accettato a livello tanto individuale quanto sociale.
La famiglia in Italia
Le trasformazioni della f., sia pure con ritardo, seguono le linee di tendenza di quelle avvenute e in corso negli altri Paesi occidentali. Sono presenti però alcune specificità tra cui, per es., le accentuate differenze territoriali. Mentre le regioni del Nord e del Centro del Paese si avvicinano molto a un modello di f. che potremmo definire continentale, perché simile a quello di altri Paesi europei come Austria, Belgio, Francia e Germania, le regioni del Meridione sono maggiormente allineate al modello mediterraneo, molto più tradizionale. Tuttavia all'interno del Paese è in atto una tendenza, sia pure lenta, all'omologazione territoriale sia degli stili sia dei modi di vita familiare. Secondo il parere dei più autorevoli studiosi, nel nostro Paese i cambiamenti più rilevanti sono avvenuti e avvengono all'interno della f. tradizionale, composta dalla coppia sposata con figli, che è a tutt'oggi il modello dominante. Tutto questo è in buona parte vero, ma è altrettanto vero che si stanno diffondendo nuovi modi di fare famiglia.
Innanzi tutto e in termini generali, anche in Italia i cambiamenti sia demografici sia sociali degli ultimi decenni hanno profondamente trasformato non solo le strutture, ma anche le relazioni e il ciclo di vita familiare. Infanzia, adolescenza, giovinezza, età adulta, età anziana, sono andate incontro a un processo di progressiva dilatazione, provocando anche profonde modificazioni dei contenuti e dei percorsi di queste fasi della vita. I giovani restano più a lungo nella casa dei genitori, rinviando così la formazione di una nuova f. e la nascita dei figli; il miglioramento delle condizioni di salute degli adulti e degli anziani modifica tempi e modi della transizione alla vecchiaia; l'aumento della presenza delle donne nel mercato del lavoro favorisce il diffondersi di relazioni coniugali più paritarie, ma fa anche nascere nuovi bisogni di sostegno alle f. con figli, in gran parte ancora insoddisfatti.
Sul piano strutturale, prosegue il processo, iniziato già da tempo, di nuclearizzazione e semplificazione delle f., che continuano a crescere di numero, ma diventano sempre più piccole e più semplici: tra il censimento del 1991 e quello del 2001 il numero delle f. è aumentato da 19 milioni e 909 mila a 21 milioni e 811 mila, mentre quello dei componenti è ulteriormente calato (da 2,8 a 2,6), di pari passo con la minore compresenza di più generazioni all'interno. Principale responsabile di questi fenomeni è la crescita del numero delle persone che vivono sole o in coppia, prevalentemente a causa dell'aumento della durata della vita (si tratta per lo più di anziani), ma anche del calo e del ritardo delle nascite e, in piccola parte, di nuovi stili di vita delle ultime generazioni.
Un'altra specificità dell'Italia, oltre alle differenze territoriali, è quella della prolungata permanenza dei giovani nella f. d'origine. È un fenomeno comune agli altri Paesi europei, ma che in Italia è molto più accentuato e continua a crescere, tanto per fattori strutturali (prolungamento dell'iter degli studi, elevata disoccupazione giovanile, sottoccupazione, precarietà del lavoro) quanto culturali (maggiore forza dei legami familiari): rispetto alla metà degli anni Novanta del 20° sec. è aumentata ancora la quota di giovani da 18 a 34 anni celibi e nubili che vivono con i genitori (dal 56,5% del 1993-94 al 60,2% del 2003). Mentre nel biennio 1993-94 la maggioranza delle giovani donne di 25-34 anni vivevano in coppia con figli, nel 2003 la maggior parte di loro vivono ancora come figlie nella casa dei propri genitori. Questo esempio rende ben manifesta la profonda trasformazione dei rapporti ormai avvenuta tra le diverse generazioni.
Per quanto riguarda la formazione della f., anche in Italia, come negli altri Paesi economicamente progrediti, prosegue il declino del matrimonio, più accentuato nelle regioni centro-settentrionali rispetto a quelle meridionali: la nuzialità (numero di matrimoni per 1000 ab.) continua a calare progressivamente, collocandosi ormai da tempo al di sotto della media europea, mentre l'età al matrimonio continua a crescere in maniera decisamente evidente.
Una conseguenza del calo e del ritardo dei matrimoni è la riduzione della fecondità (numero di figli per donna). Anche la fecondità si è attestata in Italia su valori che sono tra i più bassi in Europa, benché negli anni più recenti si sia notata una lieve ripresa. Le cause della bassa fecondità italiana, molteplici e complesse, sono oggetto di ampio dibattito tra gli studiosi. Ci si limita qui a osservare che in Italia, come mostrano numerose ricerche, il valore attribuito ai figli è molto elevato e il numero di quelli desiderati è superiore alla fecondità effettiva, il che lascia supporre il forte peso di limiti e vincoli esterni.
Se da un lato viene attribuito un grande valore alla genitorialità biologica (va in questa direzione, oltre ai dati delle ricerche, anche il rafforzamento giuridico del legame tra genitori e figli), dall'altro si tende ad allargare la sfera della genitorialità sociale, non fondata sul vincolo di sangue. È il caso dell'adozione, anch'essa in fase di profondo cambiamento, sotto la spinta del mutamento sociale e familiare. La legge attualmente in vigore risale al 1983 e richiede agli aspiranti genitori adottivi requisiti di età e di matrimonio che l'evoluzione del costume rende sempre più difficile accettare. Una legge del 2001 ha introdotto un parziale aggiornamento: la differenza massima di età tra adottanti e adottando, fissata a 40 anni fin dal 1967, è stata portata a 45, con possibilità di numerose eccezioni. Il requisito di almeno tre anni di matrimonio è stato modificato, permettendo di comprendere nel calcolo anche gli anni di un'eventuale precedente convivenza.
Un fenomeno di particolare interesse, che testimonia come anche in Italia il processo di secolarizzazione stia rapidamente avanzando, è il forte aumento dei matrimoni civili, sia pure con grandi differenze territoriali: essi erano appena il 2% delle nozze celebrate tra il 1961 e il 1970, sono saliti al 18% nel 1993 e hanno raggiunto il 28,5% nel 2003, concentrandosi nelle grandi città centro-settentrionali.
Tuttavia il segnale più forte della crisi del matrimonio e della sua secolarizzazione è costituito dall'imponente aumento delle separazioni e dei divorzi. È anche vero che in Europa, l'Italia, insieme all'Irlanda, ha il più basso tasso di divorzialità (numero di divorzi per 1000 ab.), ben al di sotto della media europea. Tuttavia bisogna ricordare che in Italia lo scioglimento del matrimonio è un processo a due stadi, che deve passare attraverso la separazione per arrivare poi, eventualmente, al divorzio (la l. 6 marzo 1987 nr. 74 ha ridotto da cinque a tre anni l'intervallo di tempo tra il provvedimento di separazione e la domanda di divorzio). Per avere una corretta rappresentazione del fenomeno della rottura coniugale in Italia occorre quindi tener conto anche del numero delle separazioni, che non sempre si trasformano in divorzi. Dalla metà degli anni Ottanta il numero delle separazioni è più che raddoppiato, mentre quello dei divorzi è più che triplicato. Benché il numero dei divorzi sia sensibilmente inferiore a quello delle separazioni, il loro ritmo di crescita è maggiore e ha subito un'accelerazione dalla metà degli anni Novanta.
Anche in Italia i processi di secolarizzazione, individualizzazione e privatizzazione del rapporto di coppia hanno provocato lo sviluppo di una pluralità di forme di vita familiare diverse dalla f. tradizionale. Aumentano le unioni di fatto e altri tipi di f. o di stili di vita che traggono origine dalla rottura coniugale: separati e divorziati che vivono soli o che tornano a vivere con la f. d'origine, f. con un solo genitore, f. ricomposte in cui almeno un partner proviene da una precedente esperienza matrimoniale. Si è calcolato che nel 2003 tutte queste situazioni rappresentavano oltre cinque milioni di f., quasi un quarto del totale, con un sensibile incremento rispetto a dieci anni prima.
Tra le persone non vedove che vivono sole, circa un terzo è costituito da separati o divorziati, prevalentemente uomini, nelle età centrali; le donne separate o divorziate nelle stesse fasce di età più raramente si trovano a vivere da sole, in quanto nella maggior parte dei casi sono affidatarie dei figli. Esse hanno inoltre, rispetto agli uomini, una minore propensione, o minori opportunità, di formare una nuova unione. A differenza di quanto avviene in molti altri Paesi europei, in Italia la vita da soli riguarda in piccola parte i giovani, per le ragioni sopra indicate.
L'aumento delle rotture coniugali ha come conseguenza anche quello delle f. con un solo genitore, per lo più la madre, a cui sono affidati nella maggioranza dei casi i figli minori. Per effetto di una crescente precocità delle separazioni, i nuclei monogenitore con figli minori tendono ad aumentare. Anche se, come si è detto, nella maggior parte dei casi i figli vengono affidati in modo esclusivo alla madre, tuttavia tende ormai a farsi strada, sia pure con lentezza, l'affidamento congiunto, analogamente a quanto è avvenuto già in altri Paesi europei. Questo tipo di affidamento (introdotto in Italia con la l. nr. 74 del 1987) prevede che l'esercizio della potestà genitoriale rimanga a entrambi i genitori, come durante il matrimonio, indipendentemente dalla convivenza con la madre oppure con il padre. Esso cerca di rispondere all'esigenza di salvaguardare il superiore interesse dei figli minori a mantenere rapporti continuativi e validi sul piano affettivo ed educativo con entrambi i genitori. Con la l. 8 febbr. 2006 nr. 54 sull'affidamento condiviso, questo principio, in precedenza rimesso alla facoltà del giudice, diventa regola generale.
Un'altra forma familiare che tende a crescere come conseguenza della rottura matrimoniale è la f. ricomposta, in cui almeno uno dei partner proviene da una precedente esperienza coniugale. Tra il 1993 e il 2003 le coppie ricomposte sono aumentate dal 4,2% al 5% di tutte le coppie e, nella grande maggioranza dei casi, uno o entrambi i partner hanno una separazione o un divorzio alle spalle. È aumentata anche la quota di quelle in cui è presente almeno un figlio di un solo partner, per lo più della donna. Queste f. devono affrontare problematiche relazionali piuttosto complicate, tra le quali emergono i rapporti tra i figli di primo matrimonio di uno dei partner e il compagno o compagna del genitore biologico.
Non è ormai più del tutto vero quello che è stato sostenuto dai più autorevoli studiosi, ossia il fatto che in Italia il calo dei matrimoni non sia compensato dalle unioni di fatto. In realtà, benché in misura ancora sensibilmente minore rispetto agli altri Paesi dell'Europa occidentale, anche in Italia aumenta la tendenza a vivere in coppie non coniugate. Le unioni libere hanno assunto un peso sempre più rilevante dalla metà degli anni Ottanta. Esse sono diffuse specialmente nel Nord del Paese, dove rappresentano circa il 6% delle coppie, mentre rimangono al di sotto del 2% nel Meridione. Aumenta in particolare la quota di unioni costituita da celibi e nubili, a causa della crescente propensione dei giovani alla convivenza, che controbilancia in parte la loro tendenza a uscire sempre più tardi dalla f. di origine. Mentre in Italia la convivenza ha rappresentato finora prevalentemente una fase di transizione verso il matrimonio, o 'matrimonio di prova', ormai, come in altri Paesi in cui il fenomeno è di più antica data, mostra una tendenza a diventare una forma stabile e, in una certa misura, alternativa al matrimonio. Da un'indagine ISTAT realizzata nel 2003 risulta che le intenzioni per il futuro manifestate dalle donne conviventi sono sensibilmente cambiate rispetto a cinque anni prima: è in calo la quota di quelle che intendono certamente sposarsi, mentre aumenta molto quella di coloro che si dichiarano indecise o che escludono il matrimonio. Un indizio di questa tendenza a fare della convivenza uno stile di vita stabile è anche l'aumento dei figli che nascono fuori del matrimonio, la cui quota è più che raddoppiata dalla metà degli anni Novanta.
Relativamente nuove per l'Italia sono le f. formatesi in conseguenza delle migrazioni provenienti dall'estero, in particolare del forte flusso migratorio dai Paesi in via di sviluppo. Le f. con almeno un componente straniero sono quasi triplicate tra il censimento del 1991 e quello del 2001, principalmente in seguito all'aumento dei ricongiungimenti familiari, ma anche per la creazione di nuovi nuclei composti da partner entrambi stranieri o da coppie miste (in cui uno dei partner è cittadino italiano). Il ricongiungimento familiare è la motivazione che più spesso compare nel permesso di soggiorno delle donne straniere che vivono nel nostro Paese e costituisce un efficace indicatore del processo di progressiva stabilizzazione degli immigrati in Italia. Le aree geografiche di provenienza degli immigrati che raggiungono i loro familiari sono profondamente cambiate nel corso degli anni: la crescita maggiore è quella dei cittadini provenienti dall'Europa centro-orientale (soprattutto provenienti dall'Albania, dall'ex Iugoslavia e dalla Romania), cui seguono quelli provenienti dai Paesi africani.
Tra i matrimoni con almeno un cittadino straniero celebrati in Italia, la quota maggiore è costituita da coppie miste, in cui uno dei partner è italiano. L'aumento dei ricongiungimenti familiari, dei matrimoni fra stranieri e di quelli misti sono importanti segnali del crescente livello di stabilizzazione del fenomeno migratorio in Italia e di integrazione tra la popolazione autoctona e quella immigrata.
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