Famiglie e affermazione politica
La scarsità e la frammentarietà della documentazione (1) fino alla seconda metà del secolo X costituiscono un grave ostacolo a conoscere un numero che non sia assai esiguo di famiglie veneziane per l'età altomedievale. Anche per le poche famiglie note, in posizione politica e sociale elevata - famiglie ducali e tribunizie -, ben poco è possibile dire, se non in relazione, prevalentemente, alle vicende politiche, sulla scorta, più che della scarsissima documentazione, pubblica e privata, soprattutto delle fonti cronachistiche, che si riducono nella sostanza, in quanto ad affidabilità, alla sola cronaca di Giovanni diacono (2). Alcune caratteristiche di questa documentazione aumentano le difficoltà, anche per l'individuazione delle famiglie maggiori. Tale è, ad esempio, l'assenza, fin verso la fine del secolo XI, dei titoli di funzione o di ufficio - a parte quello di duca -, sia che indichino l'esercizio politico effettivo sia che rappresentino un titolo onorifico ormai ereditario. Solo i tribuni si fregiano del loro titolo, vieppiù onorifico, che di fatto scompare nel secolo IX.
Oggetto da lungo tempo di indagine e di discussione sono l'esistenza eventuale e il processo di formazione di una 'nobiltà' veneziana nell'alto medioevo. Non riteniamo opportuno ripercorrerne le tappe: la moderna storiografia medievistica ha superato tali impostazioni rigide, le quali, se pur valide, in certa misura e in situazioni specifiche, per alcune regioni dell'Impero carolingio, risultano difficilmente applicabili nell'area mediterranea e nel Regno Italico (3), certo non applicabili per Venezia, ove, come abbiamo potuto occasionalmente notare nel primo nostro contributo, in questo stesso volume, e meglio ora vedremo, l'evoluzione sociale e il conseguente ricambio avvengono in continuazione.
Il punto di partenza per sostenere l'esistenza di una nobiltà antica e consolidata è dato, più che dall'analisi della documentazione superstite, dalla considerazione delle cronache, particolarmente degli elenchi di famiglie veneziane di origine tribunizia, che sarebbero trasmigrate da Equilo e da Cittanova a Rialto (4) e da confronti, sempre occasionali, fra questi elenchi e singole famiglie veneziane.
L'opera recentissima del Rösch, che abbiamo potuto consultare quando i nostri contributi per la presente Storia erano già stati da tempo elaborati nella sostanza, si propone un confronto più articolato tra fonti cronachistiche e fonti documentarie (5), particolarmente fra gli elenchi delle antiche famiglie, elaborati in tempi diversi nelle redazioni dell'Origo, e le presenze delle stesse famiglie nei documenti ducali, raggruppati secondo tre periodi per facilitare i confronti. Lo studioso non procede ad un esame particolareggiato in senso diacronico (6), per cui manca l'approfondimento della dinamica sociale, che si svolse, come vedremo, assai intensamente.
Noi abbiamo qui tralasciato di esaminare gli elenchi dell'Origo, un 'passo' tradizionalmente obbligato per chi si interessa del problema della 'nobiltà' veneziana. Né ci siamo proposti di illustrare, nei pochi casi in cui pur fosse stato possibile, i fondamenti economici dell'affermazione sociale e politica delle singole famiglie (7). Ci limitiamo a sottolineare che anche nella società veneziana, come in quelle dell'Occidente europeo altomedievale, per quanto fossero diverse le condizioni - è sufficiente rammentare per le società occidentali la trasmissione degli uffici pubblici e dei titoli connessi e la detenzione di basi locali di potere politico, quali i castelli e le clientele vassallatiche, ed altro ancora, un confronto che abbiamo tratteggiato sommariamente nel primo contributo -, la famiglia rimane la base essenziale per l'affermazione dell'individuo in ambito sociale e politico (8): attraverso la famiglia si trasmettono ricchezza, posizione ed eventuale prestigio sociale, tradizione di partecipazione alla vita pubblica e a quella politica, in altre parole un'aspettativa di affermazione per i discendenti, che spetta ai singoli, certo, realizzare di volta in volta.
Il porre in luce, sia pure in questa sede in modo assai sommario (9), la presenza delle famiglie nella documentazione pubblica o di interesse pubblico, particolarmente nelle attività politiche, permette di seguire la dinamica dell'evoluzione sociale e politica dalla prima età ducale alle soglie dell'età comunale, facendo emergere i momenti di frattura e quelli di continuità (10), confermando, rettificando o smentendo quanto conosciuto e sostenuto dalla storiografia, sulla scorta prevalente, finora, delle fonti cronachistiche (11).
Nel contributo presente, per ovvie ragioni di spazio, ci limiteremo ad esporre solo alcuni dei risultati conseguiti: ci soffermeremo con maggiore ampiezza sui primi periodi, il secolo IX e la seconda metà del secolo X, che appaiono assai significativi; potremo nel contempo mostrare in concreto il metodo seguito; procederemo poi rapidamente fino alla metà del secolo XII, includendo i primi anni del periodo comunale.
Una prima esperienza di successione familiare ai vertici politici del ducato è costituita da Orso, che la tradizione vuole sia stato il primo duca 'autonomo' negli anni 726-737 circa (12), e dal figlio Deusdedit, che, già terzo dei cinque "magistri militum" degli anni 737-742 (13), assunse poi il ducato, trasferendone nel contempo la sede in Malamocco (14): fu vittima di una congiura, senza lasciare, per quel che sappiamo, eredi diretti (15).
Con il ducato di Maurizio - anni 764/65-797 -, succeduto al metamaucense Domenico Monegario - anni 756-764 -, si verifica il primo vero esperimento di continuità nella detenzione del potere ducale da parte di una famiglia: a Maurizio succede il figlio Giovanni, che si associa il figlio Maurizio (16): entrambi vennero spodestati nell'803 da una congiura, che aveva a capo il tribuno Obelerio di Malamocco (17), il quale assunse il ducato fino all'811 (18).
Oltre alle vicende politiche, tramandateci dal cronista, assai poco conosciamo dei Maurizi: la notizia, sempre di fonte cronachistica, che il primo Maurizio fosse "cittadino eracleese" (19), è confermata da un documento più tardo, il testamento del duca Giustiniano, su cui appresso ci soffermiamo.
Il duca Obelerio fu deposto, poi fatto giustiziare da Agnello, che diede inizio alla stirpe ducale dei Partecipazi, così conosciuti nella tradizione storiografica (20). Anche questi duchi si proposero di trasmettere il potere ducale per via ereditaria: il duca Agnello associò a sé il figlio Giustiniano e il nipote suo omonimo, Agnello II, tuttavia premorto al nonno e al padre; dopo Giustiniano divenne duca il fratello Giovanni fino all'836.
Il testamento del duca Giustiniano dell'829 fornisce indicazioni relative al patrimonio familiare, generiche per quanto concerne la componente di capitale 'mobile', più concrete per quella immobile (21). Numerosi i riferimenti alle nuove acquisizioni, più o meno recenti, riferimenti che ci permettono di conoscere, oltre all'intensa attività di acquisti della famiglia ducale, l'esistenza, in via indiretta, di famiglie cospicue residenti in località minori del ducato, particolarmente nella regione settentrionale: in una decina di casi le cessioni sono state compiute da famiglie di Equilo, in due casi di Torcello.
I beni nel territorio, "fines", di Cittanova provengono dalla donazione di Agata, figlia di Maurizio, "magister militum" e già "dux Veneciarum", a lei rimasti dopo la divisione effettuata con la sorella Suria; altri eredi non sono nominati. Il Cessi (22) avanza l'ipotesi che Agata sia figlia del primo Maurizio, poiché il secondo non è mai chiamato "magister militum"; il che è vero, ma anche del primo l'appellativo risulta solo dal nostro documento, poiché nell'altro documento che lo menziona - la lettera dell'arcivescovo Giovanni di Grado al pontefice Stefano II (23) - egli è denominato quale "consul et imperialis dux Venetiarum provinciae". Il nipote omonimo Maurizio si spense, come il padre Giovanni, in esilio (24). L'argomento non vuole essere, nemmeno per il Cessi, risolutivo: Agata e Suria potrebbero essere state figlie del secondo Maurizio. In ogni caso la donazione della prima sembra anche rappresentare un consenso politico all'azione dei Partecipazi, nemici di Obelerio, colui che aveva congiurato contro i Maurizi.
Rilevante appare nel testamento di Giustiniano la menzione di numerosi tribuni, ben otto, di cui cinque abitanti nella sola Equilo, e uno in Torcello: ne riparliamo nel paragrafo seguente.
Non sono provati i rapporti di parentela, attribuiti dalla tradizione (25), dei Partecipazi con il vescovo di Olivolo, Orso, che testa nell'853, e con il duca Orso, che regge il ducato negli anni 864-881, cui succede il figlio Giovanni. Ancor meno accettabile è l'attribuzione alla stessa famiglia di Orso (II), duca negli anni 911-932, definito invero, oltre che Partecipazio (26), anche Paureta (27) e Badoer (28), mentre al figlio Pietro, duca dal 939 al 942, la tradizione è concorde nell'attribuire il nome di Badoer (29). Di tale appartenenza familiare mancano le prove e, secondo noi, non sono sufficienti nemmeno gli indizi, a meno che non si voglia identificare un Orso Badoer, presente ad un atto pubblico dell'anno 900, con il futuro duca Orso, ipotesi difficilmente accoglibile (30).
Dobbiamo concludere che la famiglia dei Partecipazi, dopo il ducato di Giovanni, si sia estinta: se eredi sopravvissero, non hanno lasciato traccia nella documentazione, pubblica oltre che privata, segno di una loro, questa sì certa, scomparsa politica e sociale. Anche il duca Giovanni, figlio di Orso, non lascia eredi diretti; né conosciamo la discendenza dei suoi tre fratelli, Badoer, Orso e Pietro: il primo muore in una spedizione contro Comacchio (31); il terzo, designato alla successione, premuore al fratello e il secondo rinuncia al ducato, mentre Giovanni è infermo. I "Venetici" designarono quale duca, di propria iniziativa, secondo il cronista (32), Pietro (I) Candiano, il cui ducato fu assai breve, poiché egli morì pochi mesi dopo nel corso di una spedizione militare contro gli Slavi (33). Invitato a riprendere il governo, il duca Giovanni rimise al "populus" la facoltà di designare il duca; fu eletto, in modo unanime (34), Pietro, figlio di Domenico Tribuno, la cui madre, Agnella, era nipote del duca Pietro assassinato nell'864 (35). La tradizione (36), accettata sostanzialmente dalla storiografia (37), gli assegna il cognome di Trundomenico, chiara derivazione dal nome e cognome paterno: un suo figlio, Domenico, sarebbe stato patriarca di Grado (38); un suo nipote, Pietro figlio di suo figlio Pietro, sarebbe stato vescovo di Olivolo (39). La sua famiglia, come altre ducali - l'osservazione è del Cessi (40) -, si spense senza discendenti. Ma, se accettiamo il cognome Trundomenico, possiamo constatare la presenza di una famiglia di tale nome, partecipe della vita pubblica del secolo XII, un cui membro, Pietro, è giudice nella seconda metà del secolo (41).
Non spetta a noi, in questa sede, soffermarci sul ruolo svolto dai tribuni, sui loro rapporti con il potere centrale del duca, sui problemi dell'autonomia e della federazione (42). Ci proponiamo di accertare e 'quantificare', pur con le gravi limitazioni imposte da una documentazione inadatta a 'quantificazioni', la presenza loro e delle loro famiglie nel secolo IX e, soprattutto, l'eventuale persistenza delle seconde oltre questo secolo.
Poiché quasi tutta la documentazione del secolo IX, come dell'VIII (43), è costituita da documenti indirizzati da imperatori e pontefici al duca, al patriarca e ai vescovi o in direzione inversa, ed ancor più carente appare quella del secolo seguente fino all'anno 96o escluso - di quest'anno è il primo lungo elenco di sottoscrittori ad un atto pubblico -, i documenti utilizzabili sono assai pochi; per i nostri fini si riducono a quattro: la donazione dell'819 del duca Agnello al monastero di S. Ilario (44), il testamento del duca Giustiniano dell'829 (45), il testamento del vescovo Orso dell'853 (46), la convenzione tra il duca Orso e il patriarca di Aquileia dell'880 (47). I tribuni sono presenti fra i testi sottoscrittori; nel documento dell'829 essi sono nominati anche nel testo dell'atto. In tutto ci sono noti venti tribuni, più quattro loro padri definiti tali, ai quali si aggiungono tre menzionati nella cronaca di Giovanni diacono (48).
Oltre ai Pascaligo di Equilo, sui quali ci siamo soffermati nel contributo precedente (49), continuano ad essere documentati i Mastalico: poco tempo prima, secondo il diacono Giovanni (50), avevano svolto un ruolo decisivo nella deposizione del duca Giovanni Partecipazio nell'anno 836. Due Mastalico, senza titolo, sono testimoni alla convenzione dell'880; altri appaiono nei documenti pubblici verso la fine del secolo X.
Alla fine del medesimo secolo compare la famiglia Caroso, che potrebbe avere assunto il nome dal noto tribuno e duca; in questa famiglia la tradizione tribunizia parrebbe continuare è solo un indizio, si badi, per nulla probante da solo nell'adozione del nome proprio Tribuno (51).
Migliore è la nostra possibilità di accertare la persistenza delle famiglie relativamente alle persone, che sono presenti, senza qualifica, ma frequentemente con il cognome, nella documentazione del secolo IX e nei passi della cronaca giovannea relativi allo stesso periodo.
Nel privilegio dell'819 si sottoscrivono tre Talonico; due nel privilegio del 982 per il monastero di S. Giorgio. Assenti nella documentazione pubblica del secolo seguente, vi ritornano dalla metà del secolo XII. Sono presenti allo stesso atto due Clentesio, Bono ed Agnello; conosciamo solo un altro della famiglia, Pietro, implicato nella congiura dell'864 ed esiliato (52).
Andrea Contarini sottoscrive l'atto dell'853 (53): per quanto ci consta, è questa la prima notizia della famiglia, da cui proviene Domenico, duca negli anni 1041-1071: torneremo a soffermarci sui Contarini trattando delle famiglie ducali. L'altro sottoscrittore è Patrizio figlio di Vitale: troppo debole la traccia del nome per collegarlo ai Patrizio, già nome di famiglia, che nominiamo appresso.
Alla convenzione dell'880 assiste, elencato dopo il figlio del duca e i due tribuni, Iubiano Aulibado, "primato" di Luprio: non disponiamo di alcun documento sulla famiglia.
Fra i rimanenti già ci siamo soffermati sui Mastalico, di ceto tribunizio. Leo Patrizio appartiene probabilmente alla famiglia di Marino Patrizio, seguace del duca Caroso, ucciso dopo la deposizione di questo: un Pietro Patrizio è presente all'atto ducale del 982. Dei Granzarolo, cui appartiene l'ultimo teste, Giovanni, abbiamo notizie per il secolo XII, quando appaiono sporadicamente nella documentazione pubblica (54).
Al privilegio ducale del 900 sono presenti Giovanni Gradenigo, omonimo di uno degli assassini del duca Pietro nell'864, e Orso Badoer, con cui avviene la prima comparsa documentaria sicura della nota famiglia, una delle poche, se non la sola, studiata con criteri moderni (55), per la quale è possibile avanzare l'ipotesi di una discendenza dal Badoer, fratello del duca Giovanni: inviato nell'881 a Roma con lo scopo di ottenere dal pontefice la concessione di Comacchio, fu catturato dal conte comacchiese; ferito, imprigionato e poi rilasciato, morì subito dopo (56).
Le indicazioni fornite dalla cronaca del diacono Giovanni non sono molto più numerose. Fra i "Venefici maiores" che nell'anno 803 si rifugiano nel Regno Italico, "Italia", oltre ai due tribuni Obelerio e Felice e ad altri due menzionati con il solo nome, Dimitrio e Mariniano, si trova Foscaro Gregorio (57). Non abbiamo notizie di altri Gregorio fin verso la fine del secolo XI, quando due Gregorio, Giovanni e Facio, appaiono nei documenti pubblici degli anni 1089, 1090 e 1094.
Fra coloro che vengono giustiziati nel terzo decennio del secolo IX in seguito ad una fallita congiura contro i Partecipazi sono ricordati Giovanni Tornarico e Bono Brandanisso, mentre Giovanni Monetario fugge (58). Alla famiglia Monetario appartiene anche Domenico, giustiziato nell'831 per una congiura contro il duca Giovanni (59). I Monetario assistono ad atti pubblici, in modi non frequenti ma regolari, dalla fine del secolo X al XII.
La reazione contro il duca Caroso nell'832 da parte dei fedeli ai Partecipazi è condotta dal tribuno Basilio, da Giovanni Marturio (60) e da una trentina di "nobiles", come li chiama il cronista, o maggiorenti, dei quali non sono forniti i nomi.
Undici personaggi, con il nome di famiglia o il patronimico che si avvia a divenire tale, sono elencati nell'864 quali autori dell'assassinio del duca Pietro, a loro volta giustiziati o esiliati, taluno con propri parenti (61).
Giovanni Gradenigo, che agisce con un suo nipote e che verrà giustiziato con due figli, mentre il nipote andrà in esilio, è il primo noto della famiglia. Un suo omonimo, come abbiamo ricordato, assiste al privilegio ducale dell'anno 900. Molti della famiglia sono presenti agli atti pubblici ad iniziare da un altro Giovanni in quello del 960, forse lo stesso che nel 976 dà sepoltura ai corpi del duca Pietro IV Candiano e del figlio (62) e che nel 979 lascia Venezia con il duca Pietro I Orseolo (63). Un Pietro Gradenigo appare nella documentazione pubblica dal 982 al 998.
Anche Stefano e il figlio Pietro Candiano furono implicati nella congiura ed esiliati: si tratta delle prime notizie relative alla famiglia. Due decenni dopo, nell'887, il duca Giovanni, il figlio del duca Orso, designerà un Pietro Candiano quale duca, che tale rimase per pochi mesi, come sappiamo. Non dovrebbe trattarsi dello stesso Pietro dell'864, se è vero quanto dice di questo il cronista, che non sarebbe cioè più rientrato in patria (64).
Domenico figlio di "Faletrus" o Domenico "Faletro", ovvero Falier, è, anch'egli, il primo conosciuto di una famiglia o, forse meglio, di un gruppo di famiglie assai note: basta rammentare i due duchi fra XI e XII secolo. La comparsa nella documentazione pubblica avviene nel 971 con un Giovanni, che ricompare, lui o un suo omonimo, nel 1024.
Anche Giovanni Flabianico risulta il primo noto della sua famiglia, che non va confusa con quella dei Flabiano (65). Nel 927 un Giovanni Flabianico è legato del duca presso il re Ugo (66); risultano poi assenti dalla documentazione fino al 998 quando un Domenico Lorenzo giura il divieto sui tumulti armati; lo stesso, probabilmente, testimonia sul commercio dei "pallia" durante il ducato di Ottone Orseolo (67). Tre Flabianico Giovanni, Lorenzo e Maurizio sono presenti al privilegio ducale del 1024; Pietro Fiolario a quello del 1090.
Per la prima metà del secolo X rare sono le persone nominate nella cronaca (68).
I dati presentati nei due paragrafi precedenti sono presto commentabili: tra le famiglie tribunizie individuabili con un nome e pertanto 'seguibili' nel tempo, la maggior parte non lascia tracce dopo il secolo IX.
Di quelle rintracciabili nei periodi posteriori, i Pascaligo di Equilo, come abbiamo visto, svolgono un ruolo modesto sul piano pubblico. I Mastalico, attivi ancora, sia pure ad un piano inferiore, nel secolo X, scompaiono nel successivo. Rimangono i Caroso, che mantengono viva la loro tradizione tribunizia nell'uso del nome proprio di Tribuno e quella politica, impersonata dal tribuno-duca Caroso, nel cognome appunto di Caroso, fino a fondere le due tradizioni nel cognome aggiuntivo di "Truncarosus", il cui impiego risulta tuttavia assai limitato nel tempo: le tradizioni, per quanto illustri, non bastano ad assicurare alla famiglia una posizione politica di rilievo.
La documentazione, pubblica, soprattutto, e privata poco offre circa la possibilità di constatare la continuità delle famiglie dei "maiores": quasi tutti quelli nominati nel secolo IX, tranne Andrea Contarini del documento dell'853, non hanno lasciato traccia o, in caso positivo, di scarso rilievo. La situazione cambia con le presenze nel privilegio dell'anno 900, di Giovanni Gradenigo e Orso Badoer.
Essa trova un'anticipazione notevole nella narrazione degli avvenimenti politici della seconda metà del secolo IX offertaci dalla cronaca del diacono Giovanni. Anche qui i protagonisti delle vicende della prima metà del secolo non lasciano traccia o tracce scarse, come i Monetario. Dall'anno 864, invece, iniziano ad essere documentati protagonisti politici appartenenti a famiglie che svolgeranno ruoli attivi, anche di primo piano, nel periodo posteriore. Fra i congiurati di quell'anno figurano Candiano e Falier, dalle cui famiglie usciranno i duchi del secolo X, nel primo caso, e i duchi fra XI e XII nel secondo; ed ancora, sia pure ad un livello politicamente inferiore, Gradenigo e Flabianico.
Possiamo proporre alcune osservazioni. Nel corso del secolo IX, come accade per le famiglie ducali, in contatti frequenti, sociali, politici, patrimoniali e anche parentali, con il ceto tribunizio - in alcuni casi il legame è comprovato -, le famiglie tribunizie si avviano ad inarrestabile decadenza politica, anzitutto, ma anche sociale e, a quanto pare, biologica. Nel corso dello stesso secolo altre famiglie si affacciano sulla scena politica, quelle che convenzionalmente abbiamo denominato dei "maiores", che assumono un ruolo determinante in specifici frangenti politici. Il cronista ricorda il nome di alcuni dei "maiores" o "nobiles", ma erano certamente più numerosi: basta rammentare i trenta "nobiles" che nell'832 sostengono l'azione del tribuno Basilio per cacciare l'usurpatore Caroso, un tribuno, si badi, e il ripristino del governo del duca legittimo Giovanni.
Nella seconda metà del secolo IX il diacono Giovanni ci ha lasciato un gruppetto di nomi di personaggi e con loro di famiglie, che ci permette, ora sì, di intravedere i protagonisti futuri delle vicende politiche del ducato e che i pochi documenti fra IX e X secolo confermano: valga per tutti il nome dei Candiano.
Quanto siamo venuti dicendo può rendere ragione anche di un problema che da tempo è al centro dell'attenzione degli storici veneziani: la 'scomparsa' dei tribuni, una scomparsa politica più che biologica, aspetto che pur non manca per taluni. Il ricambio sociale e quindi politico nel ducato veneziano avviene intenso nel corso del secolo IX e appare, almeno ai vertici, compiuto nella seconda metà del secolo. A farne le spese sono le famiglie ducali - un fenomeno, come vedremo, che tenderà a ripetersi - e le famiglie già di maggior peso politico e sociale, quelle cioè di tradizione tribunizia. In una società come quella veneziana, nella quale, prescindendo dal titolo onorifico di tribuno, nessuno, oltre al duca, trasmette ai discendenti, attraverso il conseguimento di funzioni pubbliche, una posizione consolidata che si possa concretizzare nella trasmissione di un ufficio o almeno di un titolo pubblico, come avviene nel Regno Italico, ove pur si assiste a processi più o meno rapidi di trasformazione economica ed evoluzione sociale e politica, la detenzione e la trasmissione di un titolo onorifico, avulso da tempo dalla realtà politica, non trova più ragione di conservazione, tanto più che i pochi indizi raccolti sembrano mostrare in atto anche una decadenza economica del ceto tribunizio : si rammentino i passaggi numerosi di proprietà da famiglie tribunizie, ed in più da quella ducale dei Maurizi, alla famiglia ducale dei Partecipazi, che ci autorizzano a supporre che un ruolo notevole in questo processo abbia assunto anche il fattore economico ovvero la crisi economica di molte famiglie del ceto tribunizio. In direzione inversa, la crisi politica, nel caso specifico anche biologica, di una famiglia ducale, quella dei Maurizi, porta al dissolvimento del suo patrimonio e alla confluenza dello stesso in una famiglia ducale posteriore, sempre quella dei Partecipazi.
Nei tre documenti ducali del secolo IX, più volte ormai considerati, i duchi agiscono senza denunciare la presenza, accanto a sé, di uno o più ceti: nel privilegio dell'819, ad esempio, è menzionata, dopo il patriarca e il vescovo di Olivolo, solo la popolazione, "plebs", a Dio "dilecta", costituita. dai "populi universi" di Venezia.
Il ceto tribunizio, in particolare, non viene mai nominato in quanto tale; i duchi non dichiarano di agire con il consenso dei tribuni o di altri, con formule del tipo "cum nostris tribunis etc.": i tribuni e con loro alcuni maggiorenti, più o meno numerosi, sottoscrivono gli atti e sono elencati nella "notitia testium". Per quanto la loro presenza non vada sottovalutata, essa non è una presenza `istituzionalizzata'.
La situazione cambia a partire dal privilegio dell'anno 900. Accanto a "primates" e "populus" appare una componente nuova, quella dei giudici, dei quali, avvertiamo subito, non conosciamo il nome di alcuno prima della seconda metà del se-colo XI, non senza motivazioni, come vedremo.
Un riferimento indiretto ai giudici si trova già nel privilegio dell'anno goo, ove essi sono ricordati nell'atto di emanazione di un precedente privilegio ducale, rimasto allo stato di abbozzo, per la morte nell'881 del duca Orso.
Menzioni dirette, accanto ad altre ancora indirette, si leggono nel privilegio duca-le del 919 al monastero dei SS. Felice e Fortunato, nel quale si era traslato quello di S. Stefano di Altino, ormai rovinato (69). Dapprima il duca dichiara di agire con l'assistenza e il consenso dei suoi primati e alla presenza dei fedeli e di una parte del popolo (7°); poi, durante lo svolgimento della controversia fra il vescovo di Altino e l'abate del monastero dei SS. Felice e Fortunato, il duca è assistito dai vescovi, dai giudici e dai fedeli (71)
Il confronto fra questi ed altri passi (72) induce a ritenere che primati e giudici esprimano realtà equivalenti : la differenza consiste, a parer nostro, nel rilievo che il termine giudice assegna alla funzione, appunto, giudicante, che i primati possono essere chiamati, all'occorrenza, a svolgere in modo specifico, rispetto a quella genericamente politica svolta con le componenti 'istituzionali', duca e popolo. Non ci sembra verosimile supporre che accanto al duca siano presenti, oltre al patriarca, ai vescovi, ai fedeli e al popolo, in alcune fasi dell'atto i primati, ovvero all'inizio e alla fine, e in altre fasi, durante cioè lo svolgimento della controversia, siano presenti i giudici.
Risulta ora maggiormente comprensibile il riferimento, nel privilegio del 900, al privilegio abbozzato dal duca Orso, con i vescovi, i giudici e il popolo: si vuole sottolineare non tanto l'emanazione del precetto in sé, quanto il fatto che si trattò di un privilegio emesso dopo una controversia giudiziale, quindi nella sostanza si trattò di una sentenza (73) - come quelle del 900 e del 919 -, come appare dal richiamo esplicito all'esenzione dalla contribuzione di un censo per la "silva Cese" nei confronti del vescovo torcellense-altinate, verso il quale il monastero era anche sottratto alla giurisdizione ordinaria.
I "primates" ricompaiono, soli, senza i giudici - tralasciamo per il momento la presenza, frequente nei primi tempi, di patriarca e vescovi (74) -, nei documenti ducali degli anni 960, 978, 978-979, 979-991 e 982: nell'ultimo documento viene ricordata anche la presenza, e quindi il consenso, del "populus" di Venezia, una parte del quale si sottoscrive nelle persone degli "obtimi". Parrebbe che "primates" ed "obtimi" fossero distinti; ma noi riteniamo che nella sostanza essi potessero coincidere. Una distinzione, caso mai, può essere dovuta alla consistenza dei due gruppi: con il primo il duca fa riferimento, come nei documenti precedenti, ad un gruppo mai determinato e probabilmente poco numeroso; con i secondi egli fa riferimento ad un gruppo più vasto coloro - che appongono la loro firma o il loro "signum manus" al documento del 982 superano il centinaio -, ma che comprende certamente anche i primi.
In pressoché tutti i documenti pubblici, dall'anno 983 in poi, accanto al duca sono menzionati i giudici - i primati spariscono, non senza ragione -, seguiti spesso dal popolo, variamente definito nelle sue componenti, dai maggiori ai minori (75).
Se in un primo tempo la qualifica di giudici viene assunta dai primati o maggiorenti, in quanto essi in occasioni determinate svolgono una specifica attività giudiziaria accanto al duca, presso il quale si trovano di regola per ogni importante atto politico, lo stabilizzarsi della qualifica di giudici per i primati, sempre applicata in modo generico, porta al processo parallelo per cui ora accanto al duca, negli atti politici, oltre che ovviamente in quelli giudiziari, si trovano di regola i giudici.
Proprio l'ambivalenza delle funzioni dei giudici, politiche e giudiziarie insieme un fatto caratterizzante la società veneziana (76) -, fa sì che la qualifica di giudice non si accompagni per lungo tempo a persone singole, come avveniva e continuerà ad avvenire, ad esempio, nel Regno Italico. A Venezia i giudici non sono per antonomasia gli esperti di diritto, "iuris prudentes" o "legis doctores", ma gli uomini politici maggiormente autorevoli, costituenti un gruppo fluido ed aperto, che con difficoltà possiamo qualificare anche come 'ceto di governo' e del quale non conosciamo, né possiamo conoscere composizione e numero dei membri, caratteristiche che, a nostro parere, non dovevano essere definibili chiaramente nemmeno da parte dei contemporanei. Solo lentamente e a distanza di due secoli dalla prima apparizione della qualifica, genericamente impiegata, si inizia ad incontrare nella documentazione veneziana, in modo non costante, persone singole che siano connotate dalla funzione di giudice (77). Con l'affermazione della nuova pratica documentaria, che prende avvio nella seconda metà del secolo XI e si consolida verso il terz'ultimo decennio, è possibile ravvisare con maggiore concretezza un 'ceto di governo', composto da famiglie alle quali appartengono appunto i singoli giudici che appaiono nella documentazione (78).
Gli storici delle istituzioni politiche veneziane hanno posto in luce il mutamento avvenuto nel penultimo decennio del secolo IX, quando il duca Giovanni, dopo la scomparsa o la rinuncia dei fratelli al ducato (79), permette per due volte che il "populus" scelga il duca. Si interrompeva in questo modo l'istituto della coreggenza, che verrà ripreso solo dal terzo Candiano, duca dal 942 al 959, che associò al governo il figlio Pietro. Questi si ribellò al padre, sostenendo, a quanto pare, una politica di collaborazione attiva con il re e la nobiltà più alta del Regno, mentre il padre propendeva per una politica più prudente, sostanzialmente di equidistanza fra il Regno di Germania, in fase di potente spinta espansiva, il Regno Italico, ove Berengario II tentava di imporre la sua autorità, sottraendosi alla pesante tutela del suo "senior", Ottone I, e l'Impero di Bisanzio, in fase di ripresa nell'Italia meridionale.
I contrasti culminarono nel 959 in un tentativo del figlio di esautorare il padre, cui si oppose la "maior pars populi"; condannato a morte, fu esiliato per intercessione del padre stesso. Imparentatosi, oltre che alleatosi, con la potente famiglia ducale di Toscana - sposò in un momento indeterminato Waldrada, figlia di Uberto, marchese di Toscana -, nonostante le azioni ostili condotte contro Venezia, alla morte del padre fu proclamato duca e richiamato dall'esilio.
Indizi di varia natura inducono a ritenere che Pietro IV abbia cercato di attuare una politica di rafforzamento del potere ducale (80), ricorrendo anche a mezzi e suggestioni provenienti dal Regno, soprattutto dopo la pacificazione con l'imperatore Ottone I, sancita dai due privilegi del 967 e rafforzata dalla nomina, avvenuta probabilmente poco tempo dopo (81), di un suo fratello, Vitale detto Ugo, a conte di Padova e di Vicenza.
La sua politica 'estera' insieme alla durezza del suo governo, indussero i "Venetici" alla congiura: costretto ad uscire dal suo palazzo fortificato per l'incendio appiccatovi dai rivoltosi, il duca e il figlio furono uccisi in S. Marco da "nonnulli Veneticorum maiores", compresi alcuni loro parenti (82).
Dal penultimo decennio del secolo IX, come abbiamo potuto notare, il "populus" assume, nella narrazione del diacono Giovanni, un rilievo via via maggiore. Proprio l'azione dell'ultimo Candiano che in sé non era del tutto nuova, dal momento che anche il secondo Candiano, duca dal 932 al 939, aveva iniziato o, meglio, si era sforzato, secondo il cronista, di trattare il "populus" quale "subditus sibi": una caratteristica di famiglia, dunque - avrebbe spinto il "populus" ad essere protagonista delle vicende politiche salienti, alla vigilia e alla fine del suo mandato.
La difficoltà consiste nel comprendere in che cosa consistesse il "populus", non tanto e non solo attraverso le parole del cronista, che lasciano trasparire, controvoglia, vorremmo affermare, che l'azione del "populus", nei momenti cruciali, si risolveva alla fin fine nell'azione dei "Venefici maiores" o "nobiles", quanto attraverso la documentazione pubblica, che inizia ad apparire in modo non del tutto esiguo proprio per il periodo di ducato di Pietro IV.
I sottoscrittori del privilegio ducale dell'anno 900 sono pochissimi; se ve n'erano per quello dell'anno 919, non ci sono stati tramandati dalla copia pervenutaci. In entrambi è nominato come presente il popolo.
Solo al divieto ducale del 960 relativo al commercio con i Saraceni, nel quale, accanto al duca, sono nominati il patriarca, i vescovi e i primati, si sottoscrive o appone il "signum manus" un gruppo consistente di persone, circa sessantacinque, che si riducono per i nostri fini a cinquantotto, poiché di alcune non è leggibile il nome di famiglia. Da questo momento è possibile cogliere la partecipazione, se non alla politica attiva, alla vita pubblica di alcune decine di famiglie del ducato - non solo della città di Rialto, si badi -, al cui interno un posto di rilievo occupano certamente i primati, che tuttavia non si distinguono dagli altri. Noi ci limiteremo per ora a segnalare la presenza ripetuta di persone e di famiglie, accettando per scontati gli errori di identificazione inevitabili, dovuti anzitutto alle omonimie frequenti dei nomi di famiglia e di persona, a volte di entrambi (83), non limitate al periodo più antico che stiamo considerando, quando, come è già stato osservato dal Folena (84), tre nomi propri - Domenico, Giovanni e Pietro - assorbivano circa i due terzi dell'onomastica, poiché esse sono chiaramente presenti anche nel secolo XII, come alcuni esempi portati ed altri che incontreremo mostrano con facilità.
I nomi di famiglia che si rinvengono fra coloro che si sottoscrivono o appongono il loro "signum manus" al documento pubblico del 960 sono poco più di quaranta; le persone identificabili sono cinquantotto.
Poche persone portano nomi di famiglie già incontrati, che ritornano anche nella documentazione pubblica posteriore: oltre ai Candiano - Stefano, figlio del duca Pietro III, un altro Stefano e Vitale -, Stefano Coloprino, legato presso il re Ugo nel 927, Pietro Badoer, Giovanni Contarini, probabilmente il medesimo che nel 967 è inviato presso l'imperatore Ottone I, Domenico e Giovanni Gradenigo, omonimo il secondo dei Gradenigo dell'864 e del 900.
I nomi di famiglia di dieci persone non ritornano più nella documentazione pubblica posteriore: Giovanni Bassani, Lorenzo Calpino, Domenico Calpinomo, Bono Deusdato, Domenico Godico, Truno Pigianico, due Domenico Taralesso - potrebbe trattarsi di una registrazione duplice della stessa persona, ma potrebbero costituire anche due persone omonime: come tali per ora le assumiamo -, Martino Teodoro, Domenico Trusdali.
La maggior parte delle famiglie appare nella documentazione pubblica per la prima volta, ma vi rimane con altre persone, alcune volte con le stesse - salvi sempre i margini di errate identificazioni, cui abbiamo accennato -, per periodi più o meno lunghi, come sarà possibile constatare nella considerazione dei documenti pubblici successivi.
Diamo l'elenco delle quaranta persone, ponendole, per comodità, in ordine alfabetico, avvertendo che alcune differenze di nomi ci sembrano costituire solo delle varianti: Giovanni Albano, Giovanni Antolino, Pietro Atticar, Pietro Baffoni, Marino Barbadigo, Foscari e Leone Bonaldo, Orso e Domenico Bragadino, Giovanni Calbo, Vitale Capello, Domenico Casiolo, Marino Cospario, due Giovanni "de Dulcio", Ioanneceni Eliadi, Domenico e Giovanni Flabiano, Pietro Graussone, due Giovanni Longo, Pietro Memo, Giovanni da Molino, Domenico, Giovanni, Pietro e Stefano Morosini, Pietro Orseolo, Domenico e Leone Pietrolongo, Martino Rapedello, Giovanni Scutario, Giorgio di Saccogullo e Leone di Succogallo, Bono, due Leone e Valentino Sgaudario, Domenico Zapulo e Stefano Zopulo.
Assai forte è la sproporzione fra le famiglie i cui membri continueranno ad apparire nella documentazione pubblica e quelle i cui membri non vi riappaiono, non solo nei decenni, ma anché nei secoli seguenti: quarantotto individui su cinquantotto per le prime, dieci per le seconde. In pratica le prime riappaiono in larghissima misura, per oltre quattro quinti del totale.
Conosciamo nome e cognome di settantadue persone delle circa ottanta che nel 971 sottoscrivono o appongono il "signum manus" alla promessa compiuta dal "populus" nei confronti del duca circa il divieto di commercio con i Saraceni.
Stefano Coloprino, Giovanni da Molino, Domenico Morosini e Pietro Orseolo erano già presenti nel 960. Appartengono a famiglie che hanno già fatto la loro comparsa nella documentazione pubblica Domenico e Orso Barbadigo, Pietro Bragadino, Giovanni Caisolo, Leo Cospario, Truno ovvero Tribuno Menio, che potrebbe corrispondere al duca degli anni 979-991, Domenico Orseolo, Leone Rosso, Domenico di Succugullo. In tutto assommano a tredici persone e a undici famiglie. A loro possiamo aggiungere la famiglia di Giovanni Falier, nota per avere un suo membro partecipato alla congiura dell'864, ma della quale nessun membro compare nel documento del 96o o in documentazione anteriore.
Appaiono per la prima volta, ma né essi né i loro nomi di famiglia riappaiono nei documenti posteriori, dal 982 in poi, ben trentacinque persone, per trenta famiglie: Ioannace Baio, Pietro figlio di Bondanino, Giovanni Cavallo, Domenico Feolo, Giovanni da Figario, Giovanni e Pietro Fumaria, Domenico Ioanaceni, Domenico Iubiani, Leo Liberto, Lorenzo Magiscoli, Domenico Maliani in Cuco, Marano figlio di Giovanni Marano, Domenico e Giusto Marignoni, Vitale Marineschi e Domenico Marnesco, Turdo Matalardo, Marino Memnoni, Marino Molani, i fratelli Domenico e Giovanni Occonico, Ioanneceni Partegado, Vitale Partegori, Giovanni Plaseghi, Marco Raganario, Pietro Reni, Giovanni di S. Paolo, Tino Sartore, Giovanni Spesso, Vitale Tentoresso, Bono Teodani, Leo "Torcellensis", Giovanni "Vestoris", Nello Vigilio.
Ventitré persone compaiono per la prima volta, ma loro stessi o le loro famiglie sono presenti nella documentazione pubblica posteriore: Giovanni Andreadi, Domenico Barbano, Nello Barino, Giustiniano di Castello, Domenico e Pietro Fiorenzio, Domenico Fuschello, Lupario figlio di Giovanni Lupareno, Giovanni Marino, Giovanni figlio di Giovanni Martino, Pietro figlio di Pietro Magistro, Giovanni Mauro, Domenico Natale, Domenico Navigaioso, Domenico Paulo o Polo di Dorsoduro e il figlio Giovanni, Vito figlio di Giovanni Pepo, Domenico Stornato, Domenico e Lorenzo Storlado, Giovanni Tarvisano, Martino di Martino Vitaliano, Domenico Zusto.
Dalla narrazione del diacono Giovanni apprendiamo che un distacco progressivo si sarebbe verificato tra il duca, il cui governo diveniva sempre più autoritario, e la società veneziana socialmente e politicamente più rilevante, compresi i parenti Candiano, per i quali potevano costituire motivi ulteriori di ostilità il matrimonio con una principessa del Regno Italico e la nascita di un figlio, presumibile successore nel ducato. Scoppiata una rivolta, costretto il duca alla fuga dal palazzo in fiamme, si trovarono ad attenderlo a piè fermo e ad ucciderlo "nonnulli Veneticorum maiores", e tra questi, come già riferito, alcuni suoi parenti (85).
Una conferma indiretta, ma importante, alla narrazione del cronista proviene dal nostro documento. Nel confronto con l'elenco delle presenze del 960 - e, possiamo anticiparlo, anche con quelli dei documenti degli anni 982 e 998 - una particolarità balza subito evidente: dei cinquantotto individuabili nel documento del 960 solo quattro ricompaiono fra i settantadue individuati del 971; relativamente ad altri nove ricompaiono persone che sembrano appartenere alla stessa famiglia.
Ben cinquantotto non erano presenti undici anni prima - tantomeno nella scarsa documentazione anteriore -, né lo erano altre persone recanti lo stesso cognome: esse corrispondono a quattro quinti del totale. Oltre la metà di queste ultime, trentacinque su cinquantotto, che costituisce quasi la metà del totale delle presenze, non riappare più nella documentazione pubblica posteriore.
I dati, nella loro crudezza, non possono non suggerire alcune riflessioni. Molti di coloro che, in occasione del divieto del commercio con i Saraceni, richiesto dagli imperatori di Costantinopoli, si impegnano nei confronti del duca in prima persona, 'nominalmente' e 'palesemente' fra il "populus" amorfo, non solamente sono uomini 'nuovi' alla vita pubblica, ma in larga parte torneranno nella condizione precedente dopo la fine violenta di Pietro IV Candiano.
Negli ultimi anni del suo governo il duca, di propria volontà o quale conseguenza della sua politica, trova sostegno per larga parte in famiglie nuove alla vita pubblica: non può essere frutto della casualità che solo un quinto degli elencati fosse stato presente nel 960 di fronte ai quattro quinti di 'nuovi'. Ed ancor più che la metà di questi ultimi non riappaia più, né come persone singole, né come famiglia nei documenti pubblici posteriori.
I dati sono tanto più significativi al cospetto dei quattro quinti ed oltre di persone e famiglie presenti nel 960 che riappaiono nei documenti posteriori: assai pochi, ovviamente, in questo del 971, in tutto tredici.
Possiamo constatare, infine, a conferma ulteriore della narrazione del cronista, il quale sottolinea la partecipazione di alcuni parenti all'eccidio del duca e del figlio, che, mentre fra i sottoscrittori dell'atto del 960 si trovavano tre Candiano - Stefano, figlio del duca Pietro III (86), un altro Stefano e Vitale -, fra quelli del 971 nessun parente è nominato, eccetto il figlio, Vitale, patriarca di Grado, che in ogni caso sarebbe stato presente per dovere di ufficio.
Non sono, per questo, del tutto assenti esponenti delle famiglie maggiori: è sufficiente ricordare un Coloprini, due Orseolo, un Falier, un Morosini.
Dopo un breve ducato di un altro Candiano, Vitale, segue quello di Tribuno Menio dal 979 al 991. Il nuovo duca, Tribuno Menio/Memo, che aveva sposato una figlia di Pietro IV Candiano (87), era già apparso fra i sottoscrittori del documento del 971, mentre un Pietro Memo era presente nel 960. Durante il suo ducato gli scontri politici divennero cruenti: particolarmente grave fu l'ostilità fra Morosini e Coloprini, "Venetiae proceres" (88), che si contendevano il favore ducale. Le offese dei primi giunsero fino all'uccisione di un giovane Morosini, Domenico. Negli anni seguenti il favore ducale inclinò verso i Morosini. Nel giugno del 983 l'imperatore Ottone II elargì un privilegio a Venezia, che migliorava le condizioni imposte dal padre nel 967 (89).
Nello stesso tempo Stefano Coloprini, temendo la vendetta dei Morosini per il loro parente assassinato anni prima, andò in esilio con i figli, sollecitando ed ottenendo l'aiuto dell'imperatore, che giunse a decretare un "assedio economico" (90) verso il ducato. Da parte loro i Coloprini e seguaci bloccarono militarmente le vie prossime di accesso (91): Stefano Coloprini con il figlio Domenico si installò a Padova; Orso Badoer lungo l'Adige; Domenico Silvo e Pietro Tribuno a Mestre; Marino Coloprini nel Mestrino; Stefano, altro figlio di Stefano Coloprini, a Ravenna; manteneva i collegamenti un certo Giovanni Bennato "Nugigerulus".
La morte di Ottone II contribuì a fare svanire la minaccia. Morto anche Stefano Coloprini, gli altri Coloprini - certamente assieme ai loro seguaci, che il cronista non menziona -, per intercessione anche di Ugo marchese di Toscana e dell'imperatrice Adelaide, ma non senza sospetto nonostante le assicurazioni fornite, tornarono in patria; poco dopo incorsero nella vendetta dei Morosini: tre figli di Stefano - il figlio probabilmente già accanto al padre Stefano nel 983 - furono assassinati, mentre tornavano dal palazzo ducale (92).
Null'altra notizia ci fornisce la cronaca, fino al 994, quando il duca depose il potere, non di sua volontà, ma per costrizione del popolo, "populo cogente", la quale espressione va riferita, al solito, alla parte politicamente attiva della popolazione.
La presenza, fra i sottoscrittori del privilegio elargito nel 982 al monastero di S. Giorgio Maggiore, nella persona dell'abate Giovanni Morosini, dei membri delle famiglie maggiori, soprattutto degli esponenti delle fazioni in lotta, Coloprini, cioè, e Morosini, accanto al duca Tribuno Menio, con il patriarca, i vescovi, i primati e il "populus" di Venezia, appare come un momento di tregua momentanea nel divampare delle discordie interne (93), che l'anno seguente culmineranno nelle ostilità dei fuorusciti Coloprini e loro seguaci contro il ducato.
Noi utilizziamo, come per gli elenchi precedenti, quello dei sottoscrittori al documento del 982 per cogliere le presenze delle persone e delle famiglie nell'attività pubblica (94). Oltre al duca e a due vescovi, sottoscrivono il documento o appongono il loro "signum manus" centoventisei persone. Appaiono numerosi personaggi di famiglie già note, per quasi la metà del totale, in tutto sessantuno su centoventisei, tralasciando al solito i nomi non seguiti dal cognome; di quasi tutti costoro le famiglie continuano ad essere documentate: cinquantuno su sessantuno, oltre i quattro quinti. Consistente la presenza di persone 'nuove', poco più della metà, dovuta anche all'ampio numero di partecipanti rispetto ai documenti precedenti; ma, a differenza del 971, nomi di famiglia di quarantotto persone su sessantacinque, quasi tre quarti, continuano ad apparire nella documentazione posteriore. Per concludere, consideriamo le cifre totali: le famiglie di centouno persone su centoventisei presenti, quattro quinti, torneranno ad essere partecipi degli atti pubblici o ducali; una proporzione analoga a quella deducibile dal documento del 960, a significare il ritorno nel solco di una pratica 'tradizionale' della partecipazione, vecchia e nuova, alla vita pubblica, dopo la crisi dell'ultimo periodo del ducato di Pietro IV Candiano.
L'esame degli elenchi dei documenti dell'anno 998, sottoscritto da ottantasette persone individuabili, e dell'anno 1024, sottoscritto da quarantatré persone, conferma che con gli Orseolo non avvengono grossi rivolgimenti sociali nelle presenze e partecipazione alla vita pubblica e a quella politica, e che queste si inseriscono in un processo 'naturale' di evoluzione sociale e politica. Rinviando ad altra sede un esame dettagliato, ci limitiamo a sottolineare per il primo documento che oltre la metà delle famiglie dei presenti era già comparsa e che oltre i due terzi continuano ad essere documentati; per il secondo che oltre i due terzi erano già comparsi e che oltre i quattro quinti torneranno nella documentazione posteriore.
Anche coloro che si recano, in difesa degli interessi degli abitanti di Cittanova e del ducato in genere, ai placiti svoltisi nella Marca Veronese alla fine del secolo (95), appartengono, nella quasi totalità, a famiglie conosciute.
La documentazione utilizzabile per accertare la frequenza e la qualità delle presenze pubbliche nel pieno secolo XI è assai scarsa; prima del 1074 non sono disponibili, soprattutto, elenchi, più o meno nutriti, di sottoscrittori ad atti compiuti dal duca, quali privilegi, donazioni, placiti ecc. Ci limitiamo perciò a delineare scarni profili delle famiglie dalle quali provengono i singoli duchi.
Pietro Centranico, il duca che succede ad Ottone Orseolo intorno al 1026, è, secondo il Cessi (96), un "uomo nuovo". La sua designazione sarebbe stata la conseguenza di un rivolgimento interno - "furia popolare", la chiama il Cessi, esagerando al solito nella sua compartecipazione ai toni della fonte, il tanto da lui criticato e in effetti criticabile Chronicon Affinate (97) -, a capo del quale sarebbe stato Domenico Flabiano, il futuro doge, che conduce alla deposizione di Ottone Orseolo e al suo esilio. Pochi anni dopo anche il Centranico venne deposto e, dopo un'effimera restaurazione orseoliana (98), fu eletto duca lo stesso Domenico Flabiano. Con il suo ducato si sarebbe accentuato "il rinnovamento [...> del costume politico", con l'abbandono nei fatti dell'istituto della coreggenza e l'elezione del duca nel placito (99), un metodo invero non nuovo e che continuava a rivelare tutta la sua inefficienza, rimanendo ancora l'elezione ducale frutto del prevalere degli interessi dei maggiorenti, che di volta in volta riescono ad affermarsi nel placito 'popolare', che non è in fondo nient'altro - sono parole del Cessi - che una "tumultuosa acclamazione". Non si comprende pertanto come egli possa nel contempo affermare che la fine dell'istituto della coreggenza segna il superamento delle prerogative delle fazioni (100).
Non un rinnovamento della vita politica veneziana avviene in questi decenni, ma il tramonto, non definitivo, delle possibilità di instaurazione dell'egemonia di una famiglia ducale. Si tratta di un'altra tappa importante verso un controllo sempre più accentuato del potere centrale da parte delle famiglie dei maggiorenti, vecchie e nuove.
Anche nell'ambito di definizioni caute e generiche, come quella appena impiegata di famiglie 'vecchie' e 'nuove', difficile è attribuire la qualifica di 'uomo nuovo' a Pietro Centranico e tanto meno, come vedremo, a Domenico Flabiano.
I Centranico appaiono nella documentazione pubblica a partire dal 982 con Domenico e Giovanni; il secondo riappare nel 998. Un Pietro - potrebbe trattarsi del duca stesso - partecipa a tre placiti svoltisi negli anni 996 e 998 nella Marca Veronese per la controversia con la chiesa vescovile di Belluno per i confini di Cittanova (101). Se accettiamo l'identificazione, proposta da un documento posteriore, dei Centranico con i Barbolani (102), possiamo aggiungere le presenze di un Giovanni Barbolani negli anni 982, 998 e 1024 e di un Pietro nel 982: dopo il 1024 i Barbolani non riappaiono nella documentazione pubblica. I Centranico potrebbero costituire un ramo familiare dei Barbolani, che assume il nuovo nome per opportunità di distinzione all'interno delle frequenti omonimie (103). Essi continuano ad essere presenti nei secoli seguenti, con una frequenza complessivamente scarsa: non sono documentati, ad esempio, membri che assumano le funzioni di giudice.
Il fatto che quella dei Centranico non sia stata una famiglia di grande rilievo sociale e politico prima dell'elezione ducale né in seguito, non ci autorizza a definirla come una famiglia 'nuova' poiché i suoi membri erano partecipi agli atti della vita pubblica da quasi mezzo secolo.
Presente nell'attività pubblica da un tempo anteriore è la famiglia dei Flabiano. Fin dal 960 sono noti Domenico e Giovanni, nel 982 altri due Giovanni, ancora un Domenico nel 998 e nel 1024. La sua presenza si interrompe all'inizio del secolo XII: verso il 1064 un Pietro Flabiano è giudice (104),
Ben più nota e di tradizione antica la famiglia da cui proveniva Domenico Contarini, duca dal 1041 al 1071: è sufficiente rammentare il primo noto della famiglia, Andrea, testimone al testamento del vescovo Orso nell'853.
La novità più rilevante ai nostri fini è costituita dalla comparsa di singole persone che sono connotate dalla qualifica di giudice, dopo due secoli che i giudici venivano nominati solo in termini generici, il che è dovuto alla crescente attività che i maggiorenti, già primati, dedicano all'amministrazione della giustizia, un'attività che, pur rimanendo in Venezia una prerogativa aperta ai gruppi socialmente e politicamente influenti e che prescinde da una specializzazione tecnica, richiede sempre più per la sua amministrazione, e quindi tende a formare, apparati più stabili (105).
I primi nominativi di giudici sono giunti a noi in modo indiretto. Se si eccettua la menzione, isolata, di un figlio di un giudice in un elenco della fine del secolo X (106), bisogna attendere la seconda metà del secolo XI.
Nel corso di un processo dell'anno 1064 un testimone riferisce che in un tempo anteriore, imprecisabile, ma che non sembra lontano, vertendo la controversia tra Maurizio Memo e l'abate del monastero della SS. Trinità e di S. Michele Arcangelo di Brondolo con Pietro Orseolo e Domenico Roso, tutti costoro si presentarono in giudizio - per il suo carattere 'tecnico' l'espressione "venire ad legem [...> ante presentiam [...>" non lascia dubbi circa il suo significato - al cospetto di Florenzio Flabianico, Pietro Flabiano e Agostino Aurio. Il teste non attribuisce loro la qualifica di giudici; precisa, però, che, visti i documenti presentati dall'abate, "predicti iudices" investirono lui e Maurizio Memo della proprietà contesa (107).
Le famiglie dei tre giudici ci sono note. I Flabianico appaiono sulla scena politica fin dalla seconda metà del secolo IX. Un Fiorenzo, in particolare, sottoscrive il privilegio del 1024 ed è nel 1041 fra gli arbitri della controversia tra patriarca e vescovo di Olivolo: potrebbe essere il medesimo qui nominato. Dei Flabiano è sufficiente ricordare il duca Domenico: Pietro compare solo nel nostro documento, come Agostino Aurio, appartenente ad una famiglia presente nella documentazione pubblica dal 982.
I giudici, che l'anno seguente si pronunciano sulla controversia - "Nos hec omnia audientes [...> iudicavimus per veram legem [...>" -, dichiarano di averla sottoscritta con una parte dei "boni homines". Fra i dieci nominativi dei sottoscrittori sono compresi certamente i giudici, ma di uno solo è indicata la qualifica, Domenico Mauro (108), il solo del quale non vi è la sottoscrizione autografa, ma la segnalazione del notaio che egli ha apposto il "signum manus". Riteniamo che proprio per questo fatto sia stata indicata la funzione di giudice svolta, poiché documentazione immediatamente successiva - un altro atto del 1072 relativo alla medesima controversia e il privilegio ducale al patriarca di Grado dell'anno 1074 mostra che singole persone, le quali hanno sottoscritto documenti pubblici senza alcuna qualifica, sono connotate dalla qualifica di giudice nella "notitia testium" redatta dal notaio - la sola eccezione è di nuovo costituita da Domenico Mauro che appone il "signum manus" ed è qualificato giudice, come nel 1065 -, a testimonianza delle resistenze che ancora incontra l'uso di indicare la funzione esercitata, una consuetudine che è accolta dai singoli dopo che essa è invalsa nella pratica documentaria, la cui introduzione può essere dovuta all'iniziativa dei notai per meglio certificare gli atti dell'amministrazione della giustizia.
E appena il caso di sottolineare che quanto delineato si accorda con la condizione dei giudici in Venezia, non professionisti del diritto né giudici a vita, limitati nel numero in genere non sono più di cinque, una sola volta sono sei (109) - e nella durata della funzione, anche se non sembra che la qualifica venga abbandonata, una volta conseguita.
La famiglia del duca Silvo è già attiva nella vita politica nell'ultimo quarto del secolo X: Domenico Silvo, presente al privilegio ducale del 982, l'anno seguente, alleato dei Coloprini e di altri, si oppone al governo ducale occupando Mestre (110). Due Silvo sono compresi nell'elenco del 1024.
Per il periodo del suo ducato la scarsa documentazione pubblica non mostra alcun segno di novità, se non la presenza, ormai regolare, dei giudici, appartenenti tutti a famiglie che risalgono almeno al secolo X: una, quella degli Orseolo, è di discendenza ducale; le meno antiche sono quelle dei Mauro e Zusto.
Deposto il duca Domenico Silvo, dopo le sconfitte subite in Oriente (111), venne eletto Vitale Falier Deodoni/Dedoni, appartenente probabilmente ad un ramo dell'antica famiglia dei Falier, partecipe della lotta politica fin dalla seconda metà del IX secolo (112).
La documentazione relativa al periodo del suo ducato conferma aspetti sociali tradizionali, compresa la presenza dei giudici. Di rilievo notevole appare un documento del 1090, la donazione del duca di beni in Costantinopoli al monastero di S. Giorgio Maggiore. L'atto è sottoscritto da cinque giudici e da altre centotrenta persone, sei delle quali senza indicazione di cognome.
Applicando a questo elenco nutrito criteri analoghi a quelli usati nella considerazione degli elenchi precedenti, possiamo constatare che il gruppo più numeroso di persone, sessantasei su centoventinove, compresi i cinque giudici, appartiene a famiglie presenti nella documentazione pubblica dalla seconda metà del secolo X; otto a famiglie presenti nel secolo XI; in tutto settantaquattro. Assai consistente il numero di persone appartenenti a famiglie 'nuove', ben cinquantacinque, oltre due quinti; di queste quarantasette tornano ad essere presenti in seguito: segnaliamo fra loro almeno Mapeo e Stefano Ziani.
Il dato di maggiore rilievo è costituito dalla comparsa di persone appartenenti a famiglie 'nuove', una comparsa in larga parte non occasionale, poiché la maggiore parte di esse, quasi i nove decimi, continua ad essere presente nella documentazione pubblica posteriore, non solo nei due elenchi assai numerosi, come vedremo, degli anni 1122 e 1152, ma anche in elenchi scarni, per cui non è possibile supporre che la causa sia da rintracciare nel numero elevato di sottoscrittori alla donazione ducale del 1090: tale aspetto è indubbio, soprattutto se confrontato con gli elenchi anteriori del secolo XI; è meno rilevante se confrontato con quelli del secolo X. Non si tratta pertanto di una comparsa dovuta ad un avvenimento improvviso e contingente o all'azione politica di un duca, come quella di Pietro IV Candiano negli anni settanta del secolo X, ma di una più larga e duratura partecipazione alla vita pubblica di persone e famiglie finora rimaste in disparte.
Difficile proporne le motivazioni, se non quelle, necessariamente generiche e 'scontate', di una crescita, oltre e più che demica, economica e sociale della popolazione veneziana, una crescita che già è stata additata dagli storici dell'economia veneziana, che hanno però individuato verso la metà del secolo XII il momento del decollo commerciale di Venezia (113), che invero trova i suoi fondamenti nei privilegi degli imperatori bizantini, a partire dal 1082 (114), e nella prima crociata. L'accesso, pur ancora così limitato nelle forme, alla vita pubblica di una più larga parte della popolazione, documentabile appunto a partire dal nostro documento del 1090, rappresenta, secondo noi, un indizio che anticipa l'avvio dell'evoluzione economica, sociale e politica, finora ravvisata dagli studiosi solo sugli elementi dell'economia e delle vicende politiche.
La considerazione dell'elenco, ben più scarno, presente nel documento ducale del 1094, conferma le osservazioni ora svolte. Le presenze completamente 'nuove' nel 1094, dodici, possono invero essere aumentate, se vi aggiungiamo le dieci che risalgono a pochi anni prima, ai documenti cioè degli anni 1089 e 1090: il totale è di ventidue su cinquanta, una proporzione vicina a quella del 1090. L'analogia appare tanto più rilevante dal momento che nel documento anteriore il numero dei sottoscrittori identificati è assai più elevato, quasi il triplo: centoventinove di fronte a cinquanta.
L'avvenimento che caratterizza il ducato di Vitale Michiel è la partecipazione di Venezia alla crociata (115), con la flotta guidata dal figlio del duca, Michele.
I primi membri della famiglia a noi noti sono Marino, che sottoscrive l'atto ducale del 998, e Giovanni, che nello stesso anno è con altri Veneziani nel Cenedese per uno dei placiti relativi alla controversia con il vescovo di Belluno (116). Un Giovanni è capitano della flotta nel 1096 (117); nel 1090 appare un Domenico, forse il futuro duca; ma nel 1107 i Michiel di tale nome sono due. Ad una famiglia collaterale a quella ducale appartiene il giudice Andrea, attivo anche politicamente fra XI e XII secolo (118). Molti Michiel, difficilmente identificabili nei vari rami familiari, rimangono attivi per tutto il secolo XII, rivestendo anche le funzioni di giudice: nel 1156 un altro Vitale diviene duca.
Del periodo di ducato del primo Vitale conosciamo solo tre documenti pubblici che rechino elenchi, poco ampi invero, di nomi. La loro considerazione rivela una presenza massiccia, quasi totalizzante, delle famiglie antiche, che non sembra possa essere spiegata semplicemente con lo scarso numero dei sottoscrittori: non ci si sottrae all'impressione di una 'restaurazione' sociale, in ogni caso di una tendenza conservativa nell'ambito delle presenze nella vita pubblica.
Non si modifica la situazione durante il ducato di Ordelaffo Falier Dedoni dal 1102 all'inizio del 11 17. Il Falier fu assai attivo, conducendo guerre difensive ed offensive all'esterno e procedendo ad atti di rilievo per la sistemazione di questioni interne. Ad alcuni di tali atti sono connessi i documenti pubblici del periodo, che, al solito, esaminiamo sommariamente.
L'atto della donazione ducale del settembre 1107 al patriarca di una chiesa in Costantinopoli è sottoscritto, oltre che dal duca e dai vescovi, da alcune decine di ecclesiastici, sui quali non ci soffermiamo, e da centosette laici, fra i quali due giudici, Giovanni Falier e Pietro Marcello. Appartengono a famiglie già dal secolo X partecipi della vita pubblica sessantacinque persone, compresi i due giudici, corrispondenti a tre quinti del totale, mentre altre ventotto appartengono a famiglie del secolo XI. Solo diciassette sono i nomi 'nuovi'. Inferiore, ma sempre consistente, il gruppo di ottantacinque persone, fra le quali sei giudici, che sottoscrivono la vendita di una terra pubblica effettuata dal duca nel 1112. La metà porta nomi di famiglie note dal secolo X, meno di un terzo dal secolo XI, solo un quinto quelle 'nuove', comprendendovi anche i nomi apparsi già nel 1107. I giudici sono Pietro Badoer, Domenico Badoer da Spinale, Domenico da Canale, Pietro Mauro, Andrea Michiel, ai quali va aggiunto Giovanni Falier, che appare confuso fra i sottoscrittori.
Dal nostro punto di vista concernente gli aspetti sociali la situazione non presenta novità rispetto a quella precedente, anzi sembra apparire ancor più conservativa rispetto alla situazione 'media'.
Il duca Ordelaffo Falier Dedoni scompariva tra la fine del 1116 e l'inizio del 1117 durante la campagna dalmata. Il successore Domenico Michiel ricorreva ai negoziati politici per porre fine al conflitto (119) e inviava al re d'Ungheria quale suo legato il giudice Andrea Michiel.
La crisi orientale induceva il duca dapprima a richiamare in patria entro la Pasqua del 1121 tutti i sudditi che si trovavano in Oriente e ad allestire una flotta, che salpava nell'agosto del 1122. Connessi ai due avvenimenti ci sono giunti due documenti pubblici: il primo del novembre 1121 concerne la confisca dei beni di Enrico Zusto, che non aveva obbedito all'ordine di rimpatrio; il secondo, del maggio 1122, riporta la promessa compiuta dal duca e giurata da centinaia di Veneziani, la quale garantiva l'incolumità delle persone e dei beni dei Baresi, un accordo inteso a facilitare e rendere più sicura l'azione veneziana.
Cinque giudici, gli stessi certamente che pronunciano la sentenza, sottoscrivono l'atto di confisca dei beni di Enrico Zusto: 'antiche' le famiglie di Tribuno Adradi ovvero Andreadi, Giovanni Michiel e Domenico Stornato. Domenico Basilio e Domenico Bassedello appartengono a famiglie che partecipano da un tempo relativamente recente alla vita pubblica, ad iniziare dal 1090: mentre altri membri della famiglia del primo continuano ad essere presenti numerosi nel secolo XII, la presenza di familiari eventuali del secondo cessa dopo di lui.
L'elenco dei Veneziani che giurano nel maggio 1122 la promessa ducale ai Baresi è il più lungo fra i documenti consimili che ci sono pervenuti: sono enumerate trecentosessantotto persone, dieci delle quali tralasciamo di prendere in considerazione perché prive dell'indicazione del cognome.
I giudici presenti sono tre o forse quattro, se accettiamo la proposta dell'editore che assegna tale qualifica anche ad Adamo Bono (120), che appartiene ad una famiglia che appare per la prima volta nella documentazione pubblica. I tre giudici - Domenico Stornato, Domenico Basilio e Domenico Bassedello - erano presenti nel documento del 1121, poco sopra considerato.
Un terzo dei sottoscrittori appartiene a famiglie risalenti - non senza incertezze, come è ovvio - al secolo X, mentre poco più di due quinti portano nomi di famiglia mai comparsi nella documentazione pubblica anteriore. I nomi 'nuovi' si avvicinano alla metà del totale, se li sommiamo con quelli apparsi per la prima volta negli anni 1107-1112. Una tale 'novità' è però mitigata nella sua portata da almeno due fattori: molti Veneziani, anche dei centri minori del ducato, oltre che dell'area realtina, erano già stati probabilmente 'mobilitati' per l'allestimento e la prossima partenza della flotta, come suggerisce, d'altronde, l'ordine di rientro in patria impartito l'anno precedente, per cui essi si trovavano a disposizione dell'autorità pubblica, in ogni caso interessati, se non coinvolti direttamente, alla preparazione 'diplomatica' dell'impresa; quasi due terzi dei nomi 'nuovi' non riappaiono più nella documentazione pubblica posteriore, il che conferma l'eccezionalità dell'elenco considerato. I cinquantadue nomi 'nuovi' che continuano ad essere documentati corrispondono ad un settimo del totale, una proporzione che possiamo considerare la più bassa, se rapportata a quelle anteriori, anche a quella del documento del 971.
Rimangono a nostra disposizione due documenti degli anni 1124-1125: nel primo, che concerne un processo, agiscono come viceduchi Leachim, figlio del duca, e Domenico Michiel, assistiti dai giudici Giovanni Michiel, Domenico Bassedello e Domenico Stornato; nel secondo, che concerne la riassegnazione in livello di terra presso le Fogolane da parte dell'abate del monastero di Brondolo ai figli del defunto giudice Andrea Michiel, che ne era già stato investito, assistono all'atto e si sottoscrivono il duca Domenico Michiel e i giudici Domenico Michiel, Giovanni Michiel e Domenico Bassedello.
Nel 1130 divenne duca Pietro Polani, genero del suo predecessore. La sua famiglia, come abbiamo avuto più volte occasione di sottolineare, appare nella documentazione pubblica con un Vitale dall'anno 1074 in poi. Pietro è, forse, da identificare con Pietro, figlio di Domenico Polani, entrambi imbarcati sulla nave che condusse in patria le spoglie di s. Stefano (121). Domenico, mercante, era investito di una dignità bizantina; intorno al 1112 prestò 900 lire al duca Ordelaffo Falier per le necessità pubbliche: "pro nostro comuni debito". Fu forse anche giudice nel 1088: in quell'anno un Domenico Polani fu testimone in Chioggia ad un atto di donazione compiuto da un Veneziano nei confronti del monastero di S. Giorgio Maggiore; ma sussiste il dubbio che questo giudice potesse appartenere alla famiglia omonima locale (122). Nel 1116 si trova in Arbe a fianco del duca Ordelaffo Falier, nella spedizione in cui quest'ultimo incontra la morte (123). Un Pietro Polani assiste agli atti pubblici degli anni 1098, 1112 e 1122: al solito, difficile è proporre identificazioni specifiche. Numerose sono poi le presenze nei primi decenni del secolo XII.
Si tratta di una famiglia di tradizione pubblica relativamente recente, inseritasi fra i notabili del tempo, probabilmente in forza di ricchezza acquisita con i traffici, che ad uno di loro aveva recato anche un titolo aulico bizantino. A parte il caso dubbio di Domenico giudice, nessun altro membro risulta avere rivestito la funzione di giudice.
Un primo documento pubblico del ducato del Polani concerne una lite svoltasi nell'anno 1134 per una selva, nel quale vengono ricordati i giudici Domenico Badoer e Ottone Gradenigo.
Negli anni 1140 e 1143 agiscono quali giudici Giovanni Aurio e Stefano Sanudo. Il primo potrebbe essere identificato con il giudice del 1112. Il secondo era già menzionato in un documento privato dell'inizio del 1140 (124): della sua famiglia, apparsa nella documentazione pubblica nell'anno 1024, egli è il primo a rivestire tale ufficio.
Un rilievo maggiore ai nostri fini assume l'atto del 1144, con cui il duca dona al monastero di S. Cipriano un appezzamento in Chioggia Maggiore: sottoscrivono l'atto tre giudici e trenta altre persone. Già conosciamo i giudici Giovanni Aurio e Stefano Sanudo. Il terzo, Aurio Dauro, attivo anche nei decenni seguenti, appartiene ad una famiglia che può essere forse identificata con quella di due "de Auro" presenti nell'atto ducale del 998 e poi con quella di un Dauro, presente nel 1090: in complesso una partecipazione saltuaria, che non si intensifica in seguito, se si eccettua il nostro giudice.
Delle altre trenta persone, ventuno, poco più dei due terzi, portano nomi di famiglia presenti nella documentazione pubblica dal secolo X: ricordiamo fra loro tre Giovanni Badoer, due Bonoaldo, quattro Michiel. Fra le quattro persone le cui famiglie sono note dal 1074 segnaliamo ben tre Polani, una presenza consistente da attribuire, probabilmente, all'influenza ducale. Tre risalgono al 1090, uno al 1107; forse una sola persona porta un nome 'nuovo'. Possiamo concludere che la presenza all'atto ducale, ristretta per numero, lo è ancor più per quanto concerne eventuali presenze 'nuove'.
Nell'anno 1145 sottoscrivono una donazione ducale al monastero di S. Giorgio Maggiore due giudici, Giovanni Aurio e Domenico Badoer, di famiglie ormai ben note, e altre nove persone. Cinque risalgono al secolo X; due alla fine del secolo XI; una, quella dei Willari, cessa dopo questa occasione di apparire nella documentazione pubblica (125); una infine, quella degli Acotanto, era apparsa negli anni 1112 e 1122 e continua sporadicamente. Nel 1147 per il duca, ora Domenico Morosini, sono legati in Oriente un altro Domenico Morosini e Andrea Geno: la famiglia del secondo, dopo una presenza isolata nell'anno 982, è presente intensamente nel secolo XII.
L'ultimo documento che prendiamo in considerazione nel presente contributo è dell'inizio del 1152, a quattro anni di distanza dall'elezione del duca Domenico Morosini.
I Morosini costituiscono uno dei più antichi lignaggi veneziani, partecipi attivamente della vita politica del ducato fin dall'anno 960, protagonisti di lotte politiche violente durante il ducato di Tribuno Menio, rappresentanti del duca in controversie con potenti del Regno Italico (126), incaricati di missioni diplomatiche presso l'Impero d'Occidente (127) e in Oriente (128), investiti di titoli aulici bizantini (129), ricoprenti l'ufficio di giudice fin dai primi giudici a noi noti (130). Eppure proprio con il Morosini si avvia la pratica del giuramento prestato dal duca al comune e al popolo, pratica innovativa rispetto ai probabili tradizionali giuramenti prestati al cospetto del popolo ovvero dell'assemblea che procedeva, spesso tumultuosamente, all'elezione del duca. In tale prospettiva non sorprende la vasta partecipazione del 'popolo' - l'ultima di tale estensione, come abbiamo notato -, che è chiamato, insieme ai giudici e ai "preordinati", a confermare una carta di sicurtà rilasciata dal duca a nome del comune veneziano ai fratelli Baseggio per un prestito di lire 1375.
Il documento viene sottoscritto da duecentosessantatré persone, una sola delle quali non è connotata da un cognome. Applicando all'elenco i criteri finora adoperati, possiamo constatare che ben centodieci persone, corrispondenti a poco più di due terzi del totale di duecentosessantadue, portano nomi di famiglia risalenti al secolo X. Di queste famiglie cento, che equivalgono a poco meno dei due terzi - vi sono comprese quelle dei due giudici, Domenico Michiel e Pietro Ruibulo -, continuano ad essere documentate in seguito. I nomi di dieci famiglie non ritornano nella documentazione pubblica posteriore. Sei risalgono alla prima metà del secolo XI; quarantasette, cioè meno di un quinto del totale, al periodo 1074-1098; ventidue, ovvero meno di un decimo, al periodo 1107-1112, fra cui il giudice Domenico Celso; venticinque, quasi un decimo, all'anno 1122, fra cui il giudice Pietro Trundomenico (131). Un quinto, ovvero cinquantadue, dei sottoscrittori dell'atto appare nella documentazione pubblica per la prima volta. Trenta, poco più di un decimo, continuano ad essere documentati, sia pure parecchi in modo occasionale, al limite con una sola presenza posteriore. Ventidue nomi 'nuovi' di famiglia non riappaiono nel mezzo secolo posteriore, compresa, ricordiamo, la documentazione pubblica dell'anno 1207.
Durante il ducato di Pietro Polani si formò il comune veneziano, che appare costituito all'inizio del 1143, e si rafforzò durante il ducato di Domenico Morosini. Poiché il periodo della prima età comunale esula dai termini cronologici assegnati al volume presente e quindi al nostro contributo, di tale processo, particolarmente in relazione all'evoluzione sociale e politica, tratteremo in un contributo che apparirà nel secondo volume della presente Storia. Abbiamo ritenuto opportuno in questa sede oltrepassare almeno di un decennio i limiti cronologici per potere, se non concludere, almeno tratteggiare rapidamente la partecipazione dei membri delle famiglie veneziane agli uffici e, in generale, alla vita pubblica, basandoci su una documentazione affine a quella finora considerata. L'ultimo documento che abbiamo preso in considerazione, quello del 1152, rappresenta anche l'ultimo grande 'placito' del 'popolo' veneziano, prima che la formazione e la stabilizzazione di strutture articolate di governo rendano obsoleto il placito stesso.
Alcune osservazioni conclusive possono emergere da quanto finora siamo venuti dicendo. Iniziamo da una prima constatazione, non certo nuova: tra VIII e X secolo si assiste ad una falcidia politica, sociale e fors'anche biologica delle famiglie più potenti, ad iniziare proprio da quelle che erano riuscite a conquistare il potere ducale. Analoga la vicenda delle famiglie del ceto tribunizio, che scompaiono quasi tutte, con il loro titolo onorifico, nel corso del secolo IX. Nello stesso secolo divengono protagoniste dell'azione politica altre famiglie, alcune delle quali sopravviveranno per lungo tempo. Inizia a formarsi un 'ceto di governo', che concretizza le basi della sua azione nell'esplicazione di attività politiche accanto al duca e nell'amministrazione della giustizia: da primati a giudici.
Con la seconda metà del secolo X la possibilità di utilizzazione di ampi elenchi di presenti agli atti ducali permette di seguire la partecipazione alla vita pubblica di numerose famiglie e, nel contempo, di cogliere alcuni momenti di evoluzione sociale e politica. Sottolineiamo la 'crisi' del secondo periodo di governo del duca Pietro IV Candiano, posta in luce dalla narrazione di Giovanni diacono e confermata in modo evidente dall'esame degli atti ducali degli anni 960, 971 e 982. Segue un periodo di 'restaurazione' che coincide con l'età degli Orseolo e che non sembra interrotta per lunga parte del secolo XI. Il 'ricambio' sociale avviene in modo, per così dire, fisiologico: la presenza di nuove famiglie e singole persone nella documentazione pubblica si aggira di volta in volta fra un quarto ed un terzo del totale delle presenze. Un'impennata si verifica nel 1090, quando la presenza di nomi 'nuovi' sale a oltre due quinti del totale, dato confermato quattro anni dopo. Tra la fine del secolo e il secondo decennio del seguente si torna a percentuali decisamente basse, da un quarto ad un ventesimo del totale, effetto della massiccia immissione precedente di nomi nuovi, che permangono nella documentazione pubblica.
L'atto del 1122 rivela la comparsa di elementi nuovi per oltre due quinti del totale; ma di quest'atto abbiamo sottolineato i caratteri specifici di eccezionalità, confermati, nella nostra prospettiva, dal fatto che quasi due terzi delle nuove presenze non ricompaiono nella documentazione posteriore. Nell'ultimo atto ducale del 1152, caratterizzato, come il precedente, da un'amplissima partecipazione, la proporzione delle nuove presenze torna ad essere un quinto del totale: poco più della metà continua, poco meno cessa.
Non siamo stati in grado di individuare rapporti eventuali tra la 'storia' di singole persone, elevate al ducato, e delle loro famiglie con l'evoluzione sociale e politica sommariamente delineata. L'antichità di una famiglia ducale non comporta di certo una politica conservatrice, come non sembra possa essere sostenuta la posizione opposta. Se si eccettua il periodo di Pietro IV Candiano e la 'restaurazione' degli Orseolo, famiglie entrambe antiche, che agiscono per fini di rafforzamento del potere ducale nella propria stirpe, secondo probabili modelli stranieri, come i Candiano, o in accordo con le famiglie egemoni, come gli Orseolo, nel periodo seguente non siamo riusciti a scorgere nessi eventuali tra i due aspetti. Il momento di maggiore apertura politica dell'ultimo decennio del secolo XI avviene durante il ducato di un Falier Dedoni, un ramo, con buona probabilità, dei Falier, attivi politicamente fin dal secolo IX: abbiamo ritenuto di spiegare il fatto non tanto con la volontà o una politica specifica del duca, quanto con l'accettazione di una realtà economica e sociale evolutasi sostanzialmente, soprattutto per il decollo del commercio a largo raggio. Né abbiamo ravvisato nell'atto del 1122 l'espressione di una nuova realtà sociale ed economica. Così l'esperimento del regime comunale che prende avvio durante il ducato del Polani non è certo la conseguenza della politica di un duca appartenente ad una famiglia che possiamo definire relativamente recente, in quanto a partecipazione all'attività pubblica e politica; tanto più che, a parer nostro ma ne daremo dimostrazione in altra sede -, la comparsa del comune è frutto dell'affermazione ulteriore delle famiglie eminenti, costituenti il 'ceto di governo', nei confronti del potere ducale e riflette più un intento di 'chiusura' che di 'apertura' sociale e politica. L'atto del 1152, infine, che rappresenta, per quanto passiva, secondo la tradizione, l'ultima ampia partecipazione del 'popolo' nel placito ducale, avviene durante il ducato di un Morosini, una famiglia già fra le più potenti nel secolo X.
Le nostre osservazioni si presentano invero sparse e, soprattutto, parziali, per motivi molteplici. In primo luogo per la ristrettezza dello spazio: è sufficiente ricordare il mancato esame sistematico delle presenze fra i giudici, documentabili a partire dall'ultimo terzo del secolo XI. Ma la deficienza di maggiore rilievo consiste nell'impossibilità in questa sede di proseguire la trattazione almeno fino agli inizi del secolo XIII, includendo il primo periodo dell'età comunale, al fine di porre in luce i nessi tra l'evoluzione politica ed istituzionale e la partecipazione di singoli e famiglie agli atti pubblici ed ora, particolarmente, all'attività politica, quale diviene possibile cogliere attraverso la presenza nelle istituzioni comunali e la detenzione degli uffici pubblici.
1. Si veda il contributo di Attilio Bartoli Langeli, in questo volume.
2. Giovanni Diacono, Cronaca veneziana, in Cronache veneziane antichissime, a cura di Giovanni Monticolo, Roma 1890 (Fonti per la storia d'Italia, 9).
3. Renato Bordone, L'aristocrazia: ricambi e convergenze ai vertici della scala sociale, in AA.VV., La storia. I grandi problemi dal Medioevo all'età contemporanea, I, Il Medioevo. I quadri generali, Torino 1988, pp. 152-153 e 162.
4. Origo civitatum Italiae seu Venetiarum (Chronicon Altinate et Chronicon Gradense), a cura di Roberto Cessi, Roma 1933 (Fonti per la storia d'Italia, 73), pp. 46-47: famiglie di tribuni da Cittanova e da Equilo; l'elenco è ripreso nella terza redazione: pp. 157-158; pp. 142-145: fondatori di chiese; pp. 146-153: tribuni "anteriores". Per la datazione si veda ibid., Introduzione, pp. XIII e XLIII. Cf. Roberto Cessi, Le origini del patriziato veneziano, in Id., Le origini del ducato veneziano, Napoli 1951, pp. 323-339.
5. Gerhard Rösch, Der venezianische Adel bis zur Schlief ung des Großen Rats, Sigmaringen 1989, capp. 1-3. L'autore, attento soprattutto al problema della 'nobiltà', si sofferma (ibid., pp. 11-12) sui criteri di definizione della stessa, elaborati criticamente da qualificati studiosi, ad iniziare da Merores attraverso Cessi e Cracco fino a Tabacco, Haverkamp, Werner, per soffermarsi alla fine (ibid., p. 12, n. 15) sulla definizione della nobiltà o meglio patriziato veneziano data da Jean - Claude Hocquet, Oligarchie et patriciat à Venise, "Studi Veneziani", 17-18, 1975-1976, p. 405 (pp. 401-410), che, invero, si riferisce prevalentemente al secolo XIV: il patriziato è caratterizzatile soprattutto in base alla detenzione di uffici pubblici. Anche G. Rösch, Der venezianische Adel, p. 13, dichiara di adottare quale procedimento per l'individuazione della nobiltà la detenzione continua di uffici e critica le innumerevoli storie della nobiltà veneziana, che non si basano sulla documentazione, in particolare sui documenti ducali, alla cui analisi egli si dedica, in modi che tuttavia risultano, pur nella raccolta totale dei dati, sostanzialmente sommari.
6. G. Rösch, Der venezianische Adel, p. 42 e tabelle pp. 65-69.
7. Possiamo rinviare per ora, oltre ai saggi in materia che appaiono nel volume presente, alla sintesi delineata da G. Rösch, Der venezianische Adel, pp. 73-78.
8. Oltre alla letteratura citata sul tema della famiglia, si vedano le recenti osservazioni di Giorgio Cracco, Un "altro mondo". Venezia nel medioevo dal secolo XI al secolo XIV, Torino 1986, pp. 23-24 relative alla famiglia di Pietro Enzo Maior.
9. Daremo i dati completi solo per il secolo IX e i primi documenti ducali degli anni 960 e 971, nei quali appaiono lunghi elenchi di sottoscrittori; per il periodo posteriore i dati analitici completi e la loro elaborazione saranno forniti in un nostro prossimo studio. Nell'Appendice al contributo presente sono elencati in ordine cronologico i documenti utilizzati, dei quali non daremo perciò i singoli riscontri in nota.
10. Una prospettiva analoga è presente anche nell'elaborazione del nostro primo contributo alla presente Storia, una parte consistente del quale, appunto, è dedicata alle forme di partecipazione alla vita pubblica e politica delle famiglie dei centri minori: in un primo periodo, famiglie e singoli che partecipano alla vita pubblica ed anche, in senso stretto, a quella politica, risiedono in più centri del ducato; in un secondo periodo, famiglie e singoli esponenti di rilievo, in ambito anzitutto politico, ma anche economico e sociale in senso lato, sono ormai concentrati in Rialto. Ne consegue come uno degli aspetti fondamentali per la storia della società veneziana nel periodo considerato sia quello dei rapporti fra 'centro' e 'periferia' che diversamente si articolano in periodi diversi, rapporti che incidono profondamente nell'ambito sociale e politico tanto che possiamo delineare due periodi nei quali le famiglie eminenti sono diversamente caratterizzate nel loro radicamento territoriale. L'affermazione politica delle famiglie si intreccia così in modo assai stretto con il processo dei rapporti fra 'centro' e 'periferia', che a noi sembra per certi aspetti analogo a quello fra 'città' e 'contado'. La concentrazione delle famiglie maggiori in Rialto è stata sostenuta da tempo, se non altro per suggestione di quanto affermato nell'Origo civitatum (sopra, n. 4) ma nessuno, per quanto ci consta, si è assunto il compito di darne una dimostrazione documentaria: ad esempio, l'afferma più volte e per periodi diversi Roberto Cessi, Venezia ducale, I, Duca e popolo, Venezia 1963, pp. 221, 243, 284, 286, 296; II, 1, Commune Venetiarum, Venezia 1965, p. 132; Si vedano anche G. Cracco, "Un altro mondo", p. 13, e G. Rösch, Der venezianische Adel, p. 56, che si limitano nella sostanza ad affermare il fenomeno.
11. Nessuno studioso, per quanto ci consta, si è proposto la semplice operazione di schedare e 'contare' i tribuni, che effettivamente appaiono nella documentazione veneziana del secolo IX, scarsa, ma non inesistente, un punto di partenza invero assai più affidabile dell'altro; ancor meno, di compiere la medesima operazione per tutte le persone presenti nella documentazione pubblica dei secoli IX-XII, quasi tutta edita. Un'eccezione è costituita ora da G. Rösch, Der venezianische Adel, che procede tuttavia in forme e con intenti differenti dai nostri: anzitutto il suo studio si propone come periodo iniziale il secolo X, l'autore non si sofferma a lungo sul secolo IX, né sui tribuni, dei quali non fornisce un elenco completo (ibid., pp. 38-39); in secondo luogo, l'autore, considerando la documentazione della seconda metà del secolo X in modo unitario con quella dei primi decenni del secolo seguente, fornisce un prospetto di tutte le famiglie menzionate nei documenti pubblici o ducali, riunendole in un solo gruppo, il primo, che va dall'inizio del ducato di Pietro IV Candiano alla fine del ducato dell'ultimo Orseolo (ibid., p. 22), un periodo di sette decenni che è caratterizzato dalla tendenza al dominio ereditario di una stirpe ducale - l'autore parla di "Herrschaft", secondo la tradizione tedesca degli studi in merito (ibid., p. 29) -, tendenza che nel secolo IX era stata impersonata dai Partecipazi. I dati cumulativi tratti dal primo gruppo sono utilizzati nelle varie tabelle (ibid., pp. 65-69) con quelli degli altri due gruppi, concernenti i periodi che vanno dal 1032 al 1099 e dal 1100 al 1141, e con altri dati, come quelli dedotti dagli elenchi dell'Origo civitatum e dalla presenza nelle famiglie di duchi e giudici: nell'ultimo caso - l'elenco delle famiglie di duchi e di giudici, illustrato nella tabella di p. 65 -, l'assenza di elementi diacronici si mostra particolarmente evidente, non essendo operata alcuna disaggregazione interna per tutto il periodo che va dal 960 al 1141.Osserviamo infine che, per quanto il lavoro del Rösch sia stato certamente analitico, egli non offre al lettore i risultati dell'esame dei singoli documenti ducali, ma solo prospetti sintetici, che non facilitano riscontri e controlli.
12. R. Cessi, Venezia ducale, I, p. 101.
13. Ibid., p. 103; Gherardo Ortalli, Venezia dalle origini a Pietro II Orseolo, in AA.VV., Storia d'Italia, diretta da Giuseppe Galasso, I, 2, Longobardi e Bizantini, Torino 1980, p. 367 (pp. 339-438).
14. Giovanni Diacono, Cronaca, pp. 97-98; R. Cessi, Venezia ducale, I, pp. 106 ss:
15. Giovanni Diacono, Cronaca, p. 98.
20. Il nome dei Particiaci/Partecipazi non si riscontra nella documentazione, pubblica e privata, né in Giovanni Diacono, Cronaca, ove esso è attribuito solo al duca Orso II (ibid., p. 132). La famiglia ducale è definita da Antonio Carile, La formazione del ducato veneziano, in Antonio Carile - Giorgio Fedalto, Le origini di Venezia, Bologna 1978, p. 231, che ne pone giustamente in luce le aspirazioni all'ereditarietà del potere, quale appartenente ad "un clan tribunizio": può ben essere, ma non abbiamo rinvenuto indizi concreti in merito.
21. R. Cessi, Venezia Ducale, I, pp. 167-168; Gino Luzzatto, Les activités économiques du Patriciat vénitien (Xe-XIVe siècles), in Id., Studi di storia economica veneziana, Padova 1954, pp. 126-127 (pp. 125-165); G. Ortalli, Venezia dalle origini, p. 393.
22. R. Cessi, Venezia ducale, I, p. 119, n.
23. Documenti relativi alla storia di Venezia anteriori al Mille, a cura di Roberto Cessi, I - II, Padova 1942: I, nr. 30, anni 770-772; regesto in Paul F. Kehr, Italia pontificia. VII. Venetia et Histria, II, Berlin 1925, p. 39, nr. 24, anni 768-772.
24. Giovanni Diacono, Cronaca, p. 101.
25. Origo civitatum, pp. 117, 125; cf. R. Cessi, Venezia ducale, p. 256, n. I.
26. Giovanni Diacono, Cronaca, p. 132.
27. Venetiarum historia, a cura di Roberto Cessi - Fanny Bennato, Venezia 1964, p. 52; R. Cessi, Venezia ducale, I, p. 307, n. 4, ipotizza una discendenza da Giovanni Paureta.
28. Citazioni delle fonti in Marco Pozza, I Badoer. Una famiglia veneziana dal X al XIII secolo, Abano Terme 1982, p. 30, n. 8.
29. Ibid., p. 10 e p. 30, n. 9.
30. Ibid., pp. 30-31, n. 12.
31. Giovanni Diacono, Cronaca, p. 127.
32. Ibid., p. 128.
33. Ibid., pp. 128-129.
34. Ibid., p. 129.
35. Ibid., pp. 129-131.
36. Origo civitatum, pp. 118 e 134.
37. R. Cessi, Venezia ducale, I, riferimenti sub Indice.
38. Origo civitatum, p. 125.
39. Ibid., p. 138.
40. R. Cessi, Venezia ducale, I, p. 307 n. 2 ex.; II, pp. 29-30.
41. Cf. avanti, testo corrispondente alla n. 131.
42. Sia sufficiente il rinvio alle osservazioni di G. Ortalli, Venezia dalle origini, pp. 370-372.
43. Un tribuno Costanzo è menzionato in una lettera del presule di Grado al pontefice: doc. citato sopra, n. 23.
44. Iohannaci tribuno. Viene nominato anche Dimitrio tribuno notaio capelle primicerius, ma secondo R. Cessi, Venezia ducale, I, p. 219, n. I, il passo è frutto di interpolazione.
45. Dodici tribuni: Donato cata Barbalata di Equilo e il figlio Grausone; Iohannaci, forse fratello del duca; Iohannaci figlio di Dominico tribuno; Caroso figlio di Bonizo tribuno e primato; Iohannes cata Marcianigo di Torcello; Dulciolo e Vitale del "vicus" di Equilo; Primollo di Equilo; Giovanni e Lorenzo figli di Marconi; Rosaly con il genero Pietro tribuno; Basilio cata Trazamundo (Basilio congiura contro Caroso nell'832: sotto, n. 60).
46. Cinque tribuni: Deusdedit, Domenico, [Vitaliano> cata Lupranico, Giovanni cata Magistraco, Domenico cata Mastalico.
47. Due: Armato di Luprio e Vigilio di Gemine.
48. Giovanni Diacono, Cronaca, pp. 101 e 103: Obelerio e Felice; p. 129: Andrea; altri tribuni, come Caroso, Giovanni e Basilio, possono essere identificati con quelli presenti nella documentazione citata.
49. Andrea Castagnetti, Insediamenti e "populi ", in questo volume, par. 8.
50. Giovanni Diacono, Cronaca, p. 112.
51. Un Tribuno Caroso, intorno al 1070, si sottoscrive, in due documenti privati (S. Giorgio Maggiore. II. Documenti 982-1159; III. Documenti 1160-1199 e notizie di documenti, a cura di Luigi Lanfranchi, Venezia 1968: II, nr. 27, 1069 agosto, e nr. 29, 1072 gennaio), assieme al fratello Giovanni, con un nome di famiglia aggiunto: "Tribunus Carosus Truncarosus", il che equivale a "Tribuno Caroso Tribunocaroso ".
52. Giovanni Diacono, Cronaca, p. 118. Nulla sappiamo di Giorgio Catuni.
53. Nell'853 compaiono anche Andrea figlio di Ioannaceni Cigullo di Equilo e Orseceno Sartarico: non abbiamo ritrovato le loro famiglie; permane invece fino al secolo XII, sempre in Equilo, la famiglia delle due donne Betegani di Equilo, su cui ci siamo soffermati.
54. Atti ducali degli anni 1107 e 1122. Un Enrico Granzarolo è vescovo di Malamocco-Chioggia nel 1110.
55. M. Pozza, I Badoer.
56. Giovanni Diacono, Cronaca, p. 127; M. Pozza, I Badoer, p. 9 e pp. 228-29, n. 4: non è stata studiata ancora a sufficienza la formazione del cognome veneziano, non tanto e non solo in relazione ai sostrati etnici e linguistici, quanto in relazione agli aspetti sociali; molti nomi di famiglia veneziani rinviano ad un nome proprio, attestando la formazione del cognome da un patronimico, secondo un processo che è ampiamente documentato due-tre secoli dopo nella società dei comuni cittadini. Il nome di Badoer non è limitato alla funzione di cognome; non solo torna nell'ambito della famiglia, ma anche è portato da membri di altre famiglie: oltre agli esempi citati da M. Pozza, I Badoer, p. 29, n. 5, segnaliamo Badoer Matonno di Murano: Documenti del commercio, nr. 298, 1179 marzo; Badoer Staniario: ibid., nr. 68, 1136 aprile. Esemplificazione analoga può essere reperita con facilità per altre famiglie, ad esempio i ben noti Aurio e Michiel o i meno noti Foscari, Marco, Marino, Martino, Vitali, Ziani ecc.
57. Giovanni Diacono, Cronaca, p. 101.
58. Ibid., p. 108; R. Cessi, Venezia ducale, I, p. 183, pone la congiura fra gli anni 824 e 827. Sui Brandanisso non conosciamo documentazione. Alla famiglia dei Tornarico potrebbe appartenere un Giovanni, la cui moglie o vedova è fra i contribuenti della decima fra X e XI secolo, definita "de Gradensi urbe".
59. Giovanni Diacono, Cronaca, p. 112.
60. Nessuna notizia traiamo dalla nostra documentazione circa i Marturio. Il cronista ricorda anche quattro seguaci di Caroso uccisi in seguito alla sua deposizione: di Domenico Patrizio e di Domenico Monetario abbiamo detto; degli altri due, Deusdedo Gruro e Tritolo Gradense nulla sappiamo.
61. Giovanni Diacono, Cronaca, pp. 11 7- 118.
62. Ibid., p. 140.
63. Ibid., p. 142.
64. Rammentiamo solo i nomi di altri congiurati - Stefano di "Sabulo", Orso Grugnario, i due figli di Salbiano e Giovanni Labresella - poiché ci manca una documentazione che li concerna. Di Pietro Clentesio già abbiamo detto (sopra, testo corrispondente alla n. 52).
65. La confusione avviene anche in R. Cessi, Venezia ducale, II, p. 4, nn. 1 e 2, specialmente n. 2 ex.
66. I diplomi di Ugo e di Lotario, di Berengario II e di Adalberto, a cura di Luigi Schiaparelli, Roma 1924 (Fonti per la storia d'Italia, 38), nr. 8, 927 febbraio 26 = Documenti relativi, I, nr. 33.
67. Cronache veneziane antichissime, p. 179.
68. Le ultime annotazioni della cronaca concernono la spedizione contro gli Slavi verso la metà del secolo X (Giovanni Diacono, Cronaca, p. 136), comandata da Orso Badoer, della famiglia cui abbiamo fatto cenno, e Pietro Rosolo, con il cui cognome non abbiamo rinvenuto altre persone.
69. R. Cessi, Venezia ducale, I, p. 308.
70. Doc. anno 919 (citato in Appendice): "in publico placito una cum nostris primatibus et ibique circumstantibus fidelibus et una parte populi terrae nostrae".
71. Ibid.: "cum omnibus nostris episcopis et iudicibus et dictis fidelibus ".
72. Nel riferimento al privilegio emanato nel 900 dal duca Pietro, sopra utilizzato, il testo iniziale è riportato nella sostanza, ma non nella lettera, sia per la forma contratta - manca la menzione di abati e di popolo - sia per la sostituzione di un termine: il duca Pietro appare agire con il patriarca, i vescovi e i giudici "et cunctis episcopis et iudicibus, qui eodem tempore nostrae patriae fuerant". È facile constatare che il termine "primates", impiegato nel documento del 900, è stato sostituito, nel passo ripreso nel 919, da quello di "iudices". Si potrebbe supporre una svista o una sostituzione voluta dai redattori delle copie - entrambi i privilegi ci sono giunti in copie tarde -, ma due passi successivi del documento del 919 confermano che per quegli anni l'impiego dei due termini era considerato equivalente: nel primo il duca dichiara di esaminare la documentazione addotta dal vescovo altinate con i giudici e il popolo della sua terra: "providente me et contrastante me [scil. duca Orso> [...> cum iudicibus et populo terrae nostrae"; subito dopo, al momento dell'emanazione formale del privilegio per il monastero, egli dichiara di confermare con il patriarca, i vescovi, i primati e parte del popolo - "statuentes et confirmantes nos [...> una cum [...> cunctis episcopis, qui subtus adscripti sunt, pariterque primatibus et parte populi terrae nostrae" - quanto stabilito dal privilegio emanato dal suo predecessore con i vescovi e i giudici, ripetendo la formulazione già impiegata: "[...> anteriorem scriptum per antecessorem meum ducem vel episcopis et iudicibus, qui in eodem tempore fuerant [...> ".
73. Analogo parere esprime R. Cessi, Venezia ducale, I, pp. 302-303, n. 6.
74. R. Cessi, Venezia ducale, II, p. 126; G. Cracco, Un "altro mondo", pp. 19-20.
75. Dal terzo decennio del secolo XII duca e giudici assumono, nelle loro funzioni giudiziarie, la configurazione di una "curia". Ma la situazione ai vertici politici, come vedremo in un altro contributo, sta ormai mutando: non più solo duca e giudici, ma duca, giudici e "sapientes".
76. Melchiorre Roberti, Le magistrature giudiziarie veneziane e i loro capitolari fino al 1300, I, Padova 1906, pp. 38 ss.; R. Cessi, Venezia ducale, I, pp. 259 ss.; II, pp. 125 ss., pp. 151 ss.; Carlo Guido Mor, Aspetti della vita costituzionale veneziana fino alla fine del X secolo, in AA.VV., Le origini di Venezia, Firenze 1964, p. 136 (pp. 121-140); G. Ortalli, Venezia dalle origini, p. 402.
77. Sotto, par. 10. La prima menzione accidentale di un giudice, che precorre di oltre mezzo secolo quelle considerate più avanti, appare nell'ultimo elenco dei contribuenti al pagamento della decima: Adamo figlio di Caro giudice.
78. Non possiamo procedere in questa sede al raffronto, da un lato, fra le famiglie dei giudici e quelle dei duchi, dall'altro lato, con quelle che hanno partecipato, partecipano e continuano a partecipare alla vita pubblica, individuabili attraverso i metodi finora applicati, né possiamo continuare a segnalare, come finora abbiamo fatto, le famiglie 'nuove'.
79. Giovanni Diacono, Cronaca, pp. 128-129.
80. Ibid., pp. 137-140; R. Cessi, Venezia ducale, I, pp. 320-331; Margherita G. Bertolini, Candiano, Pietro (IV), in Dizionario biografico degli Italiani, XVII, Roma 1974, pp. 764-772; G. Ortalli, Venezia dalle origini, pp. 409-416.
81. Andrea Castagnetti, I conti di Vicenza e di Padova dall'età ottoniana al comune, Verona 1981, p. 23.
82. Giovanni Diacono, Cronaca, p. 139.
83. Vittorio Lazzarini, Originali antichissimi della cancelleria veneziana (1904), poi in Id., Scritti di paleografia e diplomatica, Padova 19692, p. 166.
84. Gianfranco Folena, Gli antichi nomi di persona e la storia civile di Venezia, "Atti dell'Istituto veneto di scienze, lettere ed arti. Classe di scienze morali, lettere ed arti", 129, 1970-1971, p. 455 (pp. 445-484)
85. Giovanni Diacono, Cronaca, p. 139.
86. M. G. Bertolini, Candiano, Pietro, p. 763.
87. R. Cessi, Venezia ducale, p. 340.
88. Giovanni Diacono, Cronaca, p. 143.
89. M.G.H., Diplomata regum et imperatorum Germaniae, I, 0ttonis I. Diplomata, a cura di Theodor Sickel, 1879-1884, n. 350, 967 dicembre 2; Ottonis II. Diplomata, nr. 300, 983 giugno 7; Documenti relativi, II, nr. 47 e 62. Cf. R. Cessi, Venezia ducale, I, p. 344
90. Ibid., pp. 345-347.
91. Giovanni Diacono, Cronaca, pp. 146-147.
92. Ibid., p. 148.
93. R. Cessi, Venezia ducale, I, p. 343; G. Ortalli, Cronaca, p. 417.
94. Ricordiamo che a partire dal documento ducale del 982 forniamo in questa sede solo dati e proporzioni in modo sommario, senza procedere ad illustrazioni analitiche, per le quali rinviamo ad uno studio prossimo.
95. A. Castagnetti, Insediamenti e "populi", testo corrispondente alla n. 82.
96. R. Cessi, Venezia ducale, I, pp. 389-390.
97. Origo civitatum, p. 139.
98. Vittorio Lazzarini, Doge di un giorno. Gli ultimi Orseolo, "Atti dell'Istituto veneto di scienze, lettere ed arti. Classe di scienze morali, lettere ed arti", 112, 1953-1954, pp. 51-61.
99. R. Cessi, Venezia ducale, II, pp. 13-14.
100. Ibid., p. 114.
101. Documenti relativi, II, nr. 74, 996 marzo 25, e nr. 84, 998 luglio 18, Verona; nr. 82, 998 maggio 21-31, comitato di Ceneda; i placiti sono riediti in Cesare Manaresi, I placiti del "Regnum Italiae", I-III, Roma 1955-1960 (Fonti per la storia d'Italia 92, 96, 97): II/1, nrr. 224, 238 e 240.
102. Documento attribuibile agli anni 1026-41, edito in Cronache veneziane, pp. 175-176. L'identificazione tra Centranico e Barbolani è proposta anche in Origo civitatum, p. 140.
103. Cf. il caso dei Badoer: M. Pozza, I Badoer, p. 13.
104. Sotto, par. 10.
105. Sopra, par. 6. Gli elenchi dei giudici sono forniti
da M. Roberti, Le magistrature, I, pp. 140-154, e da G. Rösch, Der venezianische Adel, pp. 59-60.
106. Sopra, n. 77.
107. Ancora vengono impiegate espressioni 'tecniche' o, forse meglio, l'esposizione del teste è trasposta in tali termini giuridici ad opera del notaio verbalizzatore: "[...> predicti iudices, dum audierunt legem [...>, iudicaverunt per veram legem [...>". Un altro testimone dichiara che egli stesso assistette all'investitura dei beni "per iudices, ut supra legitur".
108. Il giudice Domenico Mauro, che appartiene ad una famiglia presente nella vita pubblica fin dal 971, è definito ancora giudice in un documento del 1068 ove è ricordato quale fondatore della chiesa di S. Salvatore in Murano: A. Castagnetti, Insediamenti e "populi ", testo corrispondente alle nn. 215 ss.
109. M. Roberti, Le magistrature, I, pp. 46-48.
110. Cf. sopra, Testo Corrispondente Alla N. 91.
111. R. Cessi, Venezia ducale, II, p. 115.
112. Sopra, testo seguente alla n. 64. Il nome di Deodoni/Dedoni, che caratterizza il ramo familiare del nuovo duca, non appare prima del periodo del suo ducato, né si incontra con regolarità nella documentazione: alcuni membri della famiglia, ad esempio, si sottoscrivono nell'anno 1117 quali Falier Dedoni, mentre il notaio, nella "notitia testium", li indica semplicemente quali Falier (Documenti del commercio, I, nr. 39, 1117 agosto 27; Nuovi documenti del commercio veneto dei sec. XI-XII, a cura di Raimondo Morozzo della Rocca, Venezia 1953, nr. 55, 1169 dicembre).
113. Un bilancio in Silvano Borsari, Venezia e Bisanzio nel XII secolo. I rapporti economici, Venezia 1988, pp. 64 ss.
114. Ibid., pp. 3 ss.
115. R. Cessi, Venezia ducale, II, pp. 174 ss.
116. Documenti relativi, II, nr. 82, riedito in C. Manaresi, I placiti, II/1, nr. 238, 998 maggio 21-31.
117. Venetiarum historia, p. 86.
118. Marco Pozza, Il testamento di Andrea Michiel ambasciatore veneziano in Ungheria, "Studi Veneziani", n. ser., 7, 1983, pp. 223-232.
119. Roberto Cessi, Politica, economia, religione, in AA.VV., Storia di Venezia, II, Dalle origini del ducato alla IV crociata, Venezia 1958, p. 360 (pp. 67-476).
120. Giovanni Monticolo, Il testo del patto giurato dal doge Domenico Michiel al comune di Bari, "Nuovo Archivio Veneto", 9, 1899, p. 138, n. 1 (pp. 96-140): propone di leggere nel testo Adam Bon "iudex" invece che "iudeus".
121. Traslatio Sancti Stephani in S. Giorgio, III, pp. 504-505: Domenico Polani è qualificato come "imperialis protonobilissimus".
122. S. Giorgio, II, nr. 65, 1088 marzo.
123. R. Cessi, Venezia ducale, II, p. 205.
124. M. Roberti, Le magistrature, I, pp. 153-154, n. II, 1140 gennaio.
125. Sui Willari si veda A. Castagnetti, Insediamenti e "populi ", testo seguente alla n. 201.
126. Maurizio alla fine del secolo X è avvocato del duca nei placiti della Marca: ibid., n. 82.
127. Maurizio menzionato nel privilegio di Ottone II del 983 (cit. sopra alla n. 89), Giovanni legato presso Corrado II nel 1025 (M.G.H., Diplomata regum et imperatorum Germaniae, IV, Conradi II. Diplomata, 1909, nr. 46, 1025 novembre 1).
128. Giovanni Morosini legato ducale in Armiro nel 1112: Documenti del commercio, I, nr. 35, 1112 marzo.
129. Giovanni Morosini "pro(to)spatario": S. Giorgio, II, nr. 38, 1079 maggio.
130. Giovanni Morosini è giudice in documenti pubblici verso la fine del secolo.
131. Pietro Trundomenico è giudice dal 1122; la famiglia può essere riallacciata a Pietro Tribuno duca: cf. sopra, testo corrispondente alla n. 41.
Appendice
Documenti pubblici o di interesse pubblico (anni 819-1152)
‒ 819: Documenti relativi alla storia di Venezia anteriori al Mille, I-II, Padova 1942: I, nr. 44, 819 maggio, riedito in SS. Ilario e Benedetto e S. Gregorio, a cura di Luigi Lanfranchi e Bianca Strina, Venezia 1965, nr. 1;
‒ 829: Documenti relativi, I, nr. 53, riedito in SS. Ilario, nr. 2, 828 dicembre 25-829 agosto 31;
‒ 853: Documenti relativi, I, nr. 60, 853 febbraio, p. 114, riedito in S. Lorenzo, a cura di Franco Gaeta, Venezia 1959, nr. 1;
‒ 880: Documenti relativi, II, nr. 15, 880 gennaio;
‒ 900: ibid., nr. 25, 900 febbraio;
‒ 919: ibid., nr. 31, 919 febbraio;
‒ 960: ibid., nr. 41, 960 giugno;
‒ 971: ibid., nr. 49, 971 luglio;
‒ 978: ibid., nr. 57, ante 31 agosto 978;
‒ 978-979: ibid., nr. 58, ante 31 agosto 978-979;
‒ 979-991: ibid., nr. 59;
‒ 982: ibid., nr. 61, 982 dicembre 20, riedito in S. Giorgio Maggiore. II. Documenti 982-1159, a cura di Luigi Lanfranchi, Venezia 1968, nr. 1;
‒ 983: Documenti relativi, II, nr. 66, 983 giugno 15;
‒ 998: ibid., nr. 81, 998 febbraio;
‒ 1024: Samuele Romanin, Storia documentata di Venezia, I-X, Venezia 1853-1861: I, nr. 17, pp. 388-390, e Venetiarum historia, a cura di Roberto Cessi - Fanny Bennato, Venezia 1964, pp. 72-73. Per la datazione si veda la discussione in Marco Pozza, I Badoer. Una famiglia veneziana dal X al XIII secolo, Abano Terme 1982, p. 32, n. 27;
‒ 1064: SS. Trinità e S. Michele Arcangelo di Brondolo, II. Documenti 800-1199, a cura di Bianca Lanfranchi Strina, Venezia 1981, nr. 24, 1064 marzo;
‒ 1065: ibid., nr. 26, 1065 giugno;
‒ 1074: S. Giorgio, II, nr. 31, 1074 settembre;
‒ 1089: SS. Secondo ed Erasmo, a cura di Eva Malipiero Ucropina, Venezia 1958, nr. 1, 1089 settembre;
‒ 1090: S. Giorgio, II, nr. 69, 1090 luglio;
‒ 1094: S. Romanin, Storia documentata, I, nr. 19, pp. 392-395, e Venetiarum historia, pp. 84-85;
-1098: Vittorio Lazzarini, Originali antichissimi, nr. 2, 1098 marzo;
‒ 1099: Walter Lenel, Un trattato di commercio fra Venezia ed Imola dell'anno 1099, "Nuovo Archivio Veneto", n. ser., 8, 1908, pp. 66-67 (pp. 62-67), 1099 novembre;
‒ 1107 maggio: Scritti di Carlo Cipolla, a cura di Carlo Guido Mor, I-II, Verona 1978: II, pp. 569-574 (I ediz. 1898), riedito in Andrea Castagnetti, La società veronese nel Medioevo. I. La rappresentanza veronese nel trattato del 1107 con Venezia, Verona 1983, pp. 30-37 ed ora in Id., Mercanti, società e politica nella Marca Veronese - Trevigiana (secoli XI - XIV), 1990, pp. 167-173;
‒ 1107 settembre: Gottlieb L. F. Tafel - Georg M. Thomas, Urkunden zur älteren Handels- und Staatgeschichte der Republik Venedig mit besonderer Beziehung auf Byzanz und die Levante, I-III, Wien 1856-1857: I, nr. 32;
-1110: Venetiarum historia, pp. 90-92, 1110 aprile;
- 1112: Bartolomeo Cecchetti, Programma dell'i.r. scuola di paleografia in Venezia pubblicato alla fine dell'anno scolastico 1861-1862, Venezia 1862, pp. 33-36, 1112 settembre;
- 1121: Famiglia Zusto, a cura di Luigi Lanfranchi, Venezia 1955, nr. 8, 1121 novembre;
- 1122: Le vite dei dogi di Marin Sanudo, a cura di Giovanni Monticolo, in R.I.S. 2, XXII, 4, 1900-1911, pp. 195-216, doc. 1122 maggio;
- 1124: S. Giorgio, II, nr. 145, 1124 ottobre;
‒ 1125: SS. Trinità, nr. 67, 1125 ottobre;
‒ 1134: S. Giorgio, II, nr. 177, 1134 aprile;
- 114o: Melchiorre Roberti, Le magistrature giudiziarie veneziane e i loro capitolari fino al 1300, I, Padova 1906, p. 143, 1140 dicembre, doc. inedito;
‒ 1143: Deliberazioni del Maggior Consiglio di Venezia, I, a cura di Roberto Cessi, Bologna 1950, pp. 235-236, doc. 1143 febbraio;
- 1144: Codice diplomatico veneziano, a cura di Luigi Lanfranchi, dattiloscritto, Archivio di Stato di Vene-zia, 1144 aprile;
‒ 1145: S. Giorgio, II, nr. 216, 1145 settembre;
‒ 1147: ibid., nr. 224, 1 147 settembre;
‒ 1152: Le vite dei dogi, pp. 238-256, 1152 gennaio.