CERRITO, Fanny (Francesca)
Nacque l'11 maggio 1817 a Napoli. Il padre Raffaele, secondo luogotenente di un reggimento di fanteria e veterano delle campagne napoleoniche, e la madre Marianna d'Alife diedero alla piccola Francesca Teresa Giuseppa una educazione conforme alla loro estrazione borghese e, com'era consuetudine, la affidarono ad un maestro di danza senza tuttavia pensare di farne una ballerina professionista. Del resto, pur essendo dotata di straordinaria forza e vitalità, la C. non sembrava affatto destinata a intraprendere questa carriera: Pier Angelo Fiorentino, un amico di famiglia poi divenuto a Londra celebre critico musicale, ricordava anni dopo come le prime lezioni di quella che era ormai una diva internazionale fossero state insoddisfacenti per l'incorregibile indisciplina della giovane allieva (in Guest, F. C., p. 10). Il suo carattere fantasioso e impulsivo fu comunque imbrigliato dal tirocinio professionale che cominciò con i corsi alla scuola di ballo del S. Carlo, dove era maestro di perfezionamento S. Taglioni e dove insegnava in quegli anni anche P. Hus; il temperamento artistico appassionato della fanciulla, non offuscato né dall'impostazione di una rigida tecnica virtuosistica né dalla preoccupazione di un debutto forse un po' precoce, le accattivò subito le simpatie del suo pubblico che la vide apparire in un "pas de deux" nell'Oroscopo, un balletto comico di G. Galzerani, rappresentato al teatro del Fondo il 28 luglio 1832.
Questo successo le procurò una scrittura a Roma, dove la C. apparve nella stagione di carnevale del 1833 al teatro Tordinona, come interprete di alcuni balli del Galzerani (I tre gobbi di Damasco, Gli empirici e Buondelmonte), avendo una tale conferma della sua crescente popolarità da ottenere la metà degli introiti della recita a beneficio degli stessi artisti in cui danzò un "passo a carattere inglese". Poco dopo la ritroviamo al S. Carlo dove partecipò a due nuovi balli di S. Taglioni: L'ombra di Tsen-Ven, rappresentata il 30 maggio, in cui si esibì in una "danza delle ombre", e Bianca di Messina (24 luglio), in cui apparve in un "pas de cinq". La sua crescente fama le aprì le porte del teatro della Pergola a Firenze con un contratto per tutta la stagione autunnale del 1833 e per quella del carnevale 1833-34 e qui, per la prima volta, la C. incontrò la quattordicenne Carlotta Grisi, che già si profilava, per le sue doti interpretative, come una formidabile rivale (la C., nonostante l'originalità del suo stile e il sottile fascino della sua figura minuta ma armoniosa, non possedeva quelle doti di attrice che avrebbero reso immortale la Giselle della Grisi). Essa stessa dové rendersene amaramente conto quando, nello stesso anno, fu costretta a rinunciare a un contratto di "prima ballerina assoluta" al teatro Valle di Roma in quanto non avrebbe potuto sostenere i quattro atti del gran ballo Il bardo del torrente, in cui era necessaria anche una mimica di grande potenza espressiva.
Dal giugno del 1834 alla fine della successiva stagione di carnevale la C. danzò nella sua città natale apparendo in numerosi nuovi balli come L'eredità di S. Taglioni (2 settembre) al teatro del Fondo, L'assedio di Negroponte di A. Monticini (30 settembre) al S. Carlo, Tolomeo Evergete di S. Taglioni (14novembre), cui partecipò anche la Grisi, I due prigionieri di S. Taglioni (22 febbraio) al Fondo. Riapparve sulle scene del S. Carlo il 30 maggio 1835 col ballo Amore e Psiche dello stesso Taglioni nel ruolo di Iride, mentre la Grisi sosteneva la parte di Amore, e il 10 giugno al Fondo nella Selvaggina nell'isola deserta di G. Bianchi.
È a questo periodo, come risulta dalla stampa contemporanea inneggiante alla diva "quattordicenne", che risale la consuetudine della C., forse dettata dalla nascente competizione con la più giovane Grisi, di alterare la sua data di nascita dal 1817 al 1821, cosa che ha tratto in inganno non pochi biografi.
Le successive tappe della sua carriera furono prima Torino, dove danzò sia al teatro Carignano sia al Regio, in balli come Cunegonda,Ildebrando duca di Spoleto di L. Astolfi, Gli automi dello stesso coreografo, Arsinoe regina di Cassandrea e Le nozze senza la sposa di G. Serafini, e subito dopo Vienna, dove una ristrutturazione del locale corpo di ballo aveva convogliato anche altri giovani elementi della danza italiana. Qui ella debuttò il 4 apr. 1836 al Kärntnerthortheater in un "pas de trois" nell'opera Mosè di G.Rossini e in seguito apparve in numerosi balli del Galzerani come Der Korsar (26 apr. 1836), Die Waise aus Genf (30 maggio 1836), Die Charlatane (21 luglio 1836), dove per la prima volta comparve in cartellone col nome di Fanny che i viennesi le avevano dato per avvicinarla all'altra Fanny, la Elssler. Dopo aver danzato come prima ballerina in Die lustige Jagdpartie (15 ott. 1836) ed aver interpretato il ruolo di Louise in Liebe staerker als Zaubermacht, con un successo che resse pienamente il confronto con quello allora riscosso a Vienna dalla Grisi, e dopo aver mostrato il suo talento di coreografa arrangiando un "pas de cinq" per il "divertissement" di P. Campilli Die wohltaetige Fee, la C. dové cedere il primo posto alla Elssler, ma non per molto: con un coraggio che rasentava la temerità osò usurparle, quando la rivale era ancora a Vienna, uno dei suoi ruoli più famosi, quello di Amalia nell'OttavioPinelli di P. Samengo e, come se non bastasse, danzò sulle stesse scene del Kärntnerthor la stessa "cachucha" uno dei pezzi più applauditi del repertorio della ballerina viennese.
L'atteggiamento volutamente provocatorio della C. e la sua aperta competitività con quella che era una gloria nazionale, se eccitò il gusto contemporaneo per la querelle, con grande scalpore e indignazione da parte dei partigiani della Elssler, non alienò per altro alla C. l'animo dei viennesi, che fino allo scadere del suo contratto la fecero oggetto della loro simpatia e ammirazione. Il soggiorno a Vienna fu determinante per l'evoluzione dello stile della C. che vi ebbe occasione di prendere lezioni dal grande ballerino e coreografo francese J. Perrot, giunto in quella città assieme alla Grisi che avrebbe sposato poco dopo.
La notizia del successo a Vienna arrivò ben presto nella capitale del Lombardo-Veneto cosicché la C., dopo aver danzato al teatro Comunale di Trieste in Emma di Salerno di G. Albini il 26 dic. 1837, fu scritturata al teatro alla Scala, dove debuttò nel "gran ballo" di A. Monticini dal titolo I Veneziani a Costantinopoli, il 16 aprile 1838, mentre era ancora fresco, il ricordo della Elssler apparsa per la prima volta alla Scala nella precedente stagione di carnevale. Destinata a diventare l'idolo dei milanesi, la C. non ebbe difficoltà nel conquistare a poco a poco un vero monopolio al teatro scaligero: apparve infatti tra agosto e settembre in un altro ballo del Monticini, dal titolo Meleagro, ed in una creazione di A. Cortesi, I figli di Edoardo. Tuttavia la conquista di una posizione predominante a Milano non fu scevra da lotte ed antagonismi, che esacerbarono gli animi al punto da rendere irrealizzabile il progetto che prevedeva di riunire, in occasione dei festeggiamenti per Ferdinando I, la C. e la Grisi in un "pas de deux". La stagione che si aprì il 26 dic. 1838 vide comunque la C. dominatrice incontrastata: ella cominciò col prendere parte alla serata inaugurale, sostenendo il ruolo di protagonista nella prima esecuzione italiana della Muta di Portici di D. Auber, interpretazione che, a detta del Rossi (p. 82), "Moltiplicò smisuratamente le schiere dei suoi ammiratori" i quali poterono rendersi conto della maturità interpretativa della loro beniamina che, oltre adesibirsi come attrice, ebbe l'opportunità di danzare nella stessa serata nel ballo di F. Rugali, Il bosco incantato. Nei mesi seguenti il suo nome apparve in cartellone tutte le volte che vi era qualche lavoro di rilievo come I viaggiatori all'isola di Amore del Monticini (9 genn. 1839), Esmeralda, dello stesso coreografo (15 aprile), La rivolta delle donne del Serraglio di B. Vestris (4 maggio), che ebbe ben quarantacinque repliche, La conquista di Granada del Galzerani (19 ottobre). Nello stesso anno la C. risulta aver ballato anche a Padova nella stagione della fiera dove apparve nelle Sette reclute di L. Astolfi, ottenendo un enorme successo specie in una "cachucha", mentre nella stagione di carnevale del 1840 apparve di nuovo alla Scala, dove fu interprete de Il cambio del coscritto del Galzerani (4 gennaio) e di due opere di S. Taglioni, Romanow (25 gennaio) e L'assedio di Schiraz (29 febbraio).
Il successo milanese, la fiducia nelle proprie capacità di interprete e di virtuosa, senz'altro affinate dall'assiduità con cui la C. aveva potuto frequentare le lezioni di un grande maestro come C. Blasis, e inoltre la risonanza che il suo nome ormai aveva acquistato sulla stampa internazionale le aprirono le porte dell'Her Majesty's Theatre di Londra, dove ella si recò nella primavera del 1840, con una scrittura di P. Laporte. Per quanto il Monaldi (p. 139) affermi che già il 18 marzo del 1840 la C. era stata messa a confronto con la "divina" Maria Taglioni in "una di quelle circostanze in cui il teatro assume l'aspetto di un'arena di combattimento" (p. 140), sembra più attendibile la notizia, del resto seguita dalla maggior parte delle fonti, secondo cui il debutto londinese della C. avvenne il 30 aprile di quell'anno, una data memorabile nella storia del teatro inglese. Ebbe allora inizio la spontanea e immediata resa dei "ballettomani" locali di fronte al fascino irresistibile che emanava dallo stile personalissimo della C., il cui successo ebbe un'ulteriore conferma il 14maggio con il nuovo ballo in due atti di A. Guerra Le lac des fées. L'arrivo di Maria Taglioni, avvenuto il 27 maggio, mise fine al breve periodo che aveva visto la C. unica protagonista della stagione londinese. L'11 giugno la Taglioni fu l'interprete dell'opera paterna La gitana, in cui fu inserito un "pas de deux" con la C. e N. Guerra, riscuotendo il successo che le era dovuto come indiscussa diva del balletto internazionale, e se la C. ebbe la presunzione di far notare quanto la infastidissero gli omaggi tributati alla più anziana e famosa rivale, tuttavia non mancò di essere presente con un "pas de trois" di sua composizione alla rappresentazione della Gitana fatta in beneficio della stessa Taglioni. La C. apparve ancora il 16 luglio in Le brigand de Terracina di P. D. Deshayes (tratto dal Fra' Diavolo di D. Auber) e ottenne la sua beneficiata il 6 agosto con Le toréador di A. Guerra, balletto che non riscosse alcun successo per la sua artificiosità e la mancanza di un'idea ispiratrice che giustificasse la meccanica successione delle danze, ma che non impedì alla ballerina di raccogliere le deliranti espressioni di ammirazione del suo pubblico.
Nell'autunno dello stesso anno la C. compì una breve tournée in Italia, toccando Bergamo, Verona, Soresina, Bologna, dove partecipò al nuovo ballo del Monticini Il genio e la maga (17 novembre), e Venezia, prima di recarsi a Milano. Qui le manifestazioni parossistiche di quella che si andava configurando come la "cerritomania" l'accompagna durante tutta la stagione di carnevale-quaresima, che si inaugurò con L'ebrea di Toledo di A. Cortesi il 26 dicembre e che la vide poi protagonista della Sylphide, un balletto indissolubilmente legato al nome della Taglioni, la quale sarebbe apparsa per la prima volta alla Scala solo nella primavera successiva.
Anche se la versione rappresentata a Milano il 27 genn. 1841 era opera del Cortesi, lo scandalo dell'usurpazione del ruolo irritò certamente il partito "taglionista", di cui si fece portavoce il biografo L. Vaillat, con una stizzosa lettera pubblicata sulla Revue de Paris, in cui affermava che alla Taglioni sarebbe bastato un colpo d'ala per infrangere come vetro il fragile scettro della Cerrito (Rossi, pp. 182 s.).
Dopo aver partecipato al ballo La figlia dell'aria di A. Monticini, rappresentato al Carlo Felice di Genova, e dopo aver legato il suo nome al lavoro di A. Guerra Le lac des fées (18 maggio), la C. con La Sylphide di F. Taglioni (10 giugno) sostenne felicemente anche a Londra il confronto con la rivale, confermando la sua sfida con una ripresa sia del balletto Alglaë,ou l'élève d'Amour, sia del famoso primo atto della Gitana, ambedue cavalli di battaglia della "divina Maria". Finita la stagione londinese, visitò Liverpool e Manchester per poi recarsi a Vienna con un contratto dal 25 ottobre a tutto il marzo 1842 per il Kärntnerthortheater. Durante questo periodo partecipò a numerosi balli: Die Wiederbelebte Sylphide di B. Vestris (25 ottobre), Le diable boiteux di P. Aniel, dove ballò con Arthur Saint-Léon, Der Pakt mit der Unterwelt di A. Vestris (2 dic. 1841), Das Schloss Kenilworth di A. Hus (6 dicembre), Le lac des fées del Guerra (18 genn. 1842), oltre ad offrire alcuni saggi della sua creatività, componendo il suo primo balletto Amors Zögling, tratto liberamente dall'Aglaë di F. Taglioni, e il passo a due di carattere Die Marketenderin in Steiermark, da cui sarebbe derivato il "divertissement" della Vivandière. Tornata a Londra si esibì, il 14 maggio, proprio nella sua versione dell'Elève d'Amour, ma l'evento più importante fu quello che la vide protagonista di un lavoro che avrebbe segnato l'inizio di un periodo aureo nella storia del balletto inglese con l'avvento del geniale coreografo J. Perrot, che era stato scritturato da B. Lumley, l'impresario succeduto al Laporte. Da un'idea del coreografo Deshayes, ma con la collaborazione del Perrot e della C., che ne furono anche gli interpreti, nacque Alma ou la fille du feu, rappresentata con unanimi consensi di stampa e pubblico il 23 giugno, balletto che permise alla C. col suo famoso "valse de fascination" di superare brillantemente il confronto con la Grisi, apparsa alla inaugurazione della stagione con la prima produzione londinese di Giselle. A sottolineare maggiormente la sua supremazia la C., in assenza della Taglioni, interpretò a sua volta La gitana, oltre a due nuovi "pas de caractère": una "double cachucha" del Perrot e la "varsovienne" probabilmente di sua composizione.
A Milano si aspettava la stagione di carnevale del '43 e la contemporanea comparsa delle due dive: le manifestazioni di entusiasmo dei partigiani dell'una o dell'altra ballerina degenerarono al punto di incutere non poche preoccupazioni alla polizia austriaca, sempre impegnata nel sedare sommosse che potevano avere implicazioni politiche. La C. apparve per prima il 17 genn. 1843 in una versione di Giselle, completamente rielaborata da A. Cortesi su nuove musiche di F. Vicci e di G. Verdi, adattate da G. Bajetti. La Giselle milanese, anche se destò non poche perplessità, ebbe comunque più successo de La Peri di F. Taglioni, che vide Maria nel ruolo principale; tuttavia la discutibilità delle opere (La Peri era un rifacimento del lavoro originale di J. Coralli) non inficiò minimamente il successo delle interpreti che, la sera del 20 marzo, apparvero per l'ultima volta nella stessa serata, in cui ebbe anche luogo la rappresentazione de ILombardi diVerdi, ottenendo entrambe un memorabile trionfo. La stagione londinese del '43 rappresenta l'apice della carriera della C. con la creazione di Ondine, che ancor oggi sopravvive in repertorio, e, un mese dopo, con l'allora ancor più famoso "pas de deux" con la Elssler, oscurato e dimenticato in seguito con la creazione del "pas de quatre". La C. apparve dapprima al Her Majesty's Theatre nei "divertissements" che accompagnarono il Barbiere di Siviglia il 9 maggio (Les houris, il "pas de quatre" da Le lac des fées ed il "pas Styrien") e ancora nella beneficiata di A. Saint-Léon, il prodigioso primo ballerino-violinista che era stato scritturato dal Lumley per quella stagione. La prima di Ondine ou la Naïade per la coreografia del Perrot avvenne il 22 giugno del '43 e il balletto fu considerato dalla stampa superiore alla media dei lavori analoghi visti in Europa negli ultimi trenta anni.
La maestria del Perrot aveva determinato una perfetta fusione della coreografia e delle necessità espositive della trama, definendo, così quella consequenzialità narrativo-coreica che fa della sua opera, nella unità di danza e pantomima rimaste famose, ad esempio, nel "pas de l'ombre" di Ondine, il poetico coronamento del "ballet d'action". Questo grande balletto in sei scene non costò al Perrot tanta fatica quanto ne richiese il mettere insieme in un passo a due la C. e la Elssler.
La prima riuscì a spuntarla ottenendo il posto d'onore, ma la gara si risolse in parità avendo avuto la Elssler la possibilità di eseguire quei bis che la C. non poteva concedere, dato il maggior dispendio di energie richiesto dalla sua variazione.
Nell'autunno del '43 la C. continuò a mietere straordinari successi anche di fronte al pubblico romano, tradizionalmente refrattario ad eccessi di entusiasmo per i divi del momento, apparendo al teatro Alibert il 30 ottobre, nella ripresa da lei stessa curata del Lago delle fate, ed il 6 novembre, nell'Allievad'Amore, oltreche nella beneficiata a suo favore dove raccolse consensi, gioielli e anche l'onore di un'improvvisato trionfo che provocò non pochi risentimenti: il fatto successivamente ricordato in un sarcastico sonetto in dialetto romanesco di G. G. Belli, dal titolo La Cerriti, ed anche se lo stesso poeta, secondo I. Guest (1956), si doleva poco dopo con un affranto sonetto in lingua de La partenza della ballerina, probabilmente lo faceva non senza una nota d'ironia. Insignita a Roma del titolo (assai raro per una danzatrice) di membro dell'Accademia di S. Cecilia, la C. danzò nel gennaio del '44 a Parma nella Gitana del Galzerani, nel febbraio successivo a Firenze nell'Allieva d'Amore ed ed il 1º aprile a Bruxelles (una delle roccaforti della Elssler) in La Sylphide e La gitana, seguite il 16 aprile da Giselle, per poi ritornare a Londra, dove fu applaudita il 23 maggio nella Vivandière, di cui le si attribuì anche la coreografia, e l'8 giugno in Ondine, alla presenza della regina Vittoria e dei suoi ospiti: lo zar Nicola I ed il re di Sassonia. Il 25 giugno, dopo solo due settimane di prove, la C. apparve nel nuovo "divertissement" di Perrot, che nelle intenzioni degli organizzatori avrebbe dovuto eguagliare il successo della Esmeralda, ma che ebbe invece vita brevissima: Zélia non le diede quindi l'occasione di una decisa rivalsa sulla Grisi.
Alla chiusura della stagione londinese, la C. e il Saint-Léon effettuarono una serie di spettacoli in altre città dell'Inghilterra, cui seguì, in autunno, un viaggio in Italia dove, nello Stato della Chiesa, la C. apparve dapprima a Bologna nella Sylphide (4 nov. 1844) e nella Vivandiera, ottenendo dal suo pubblico ormai tradizionalmente delirante un immenso successo, cui non fa estraneo del resto il Saint-Léon, che ebbe occasione di esibirsi anche come virtuoso del violino. In seguito si trasferì a Roma, dove, sebbene gli entusiasmi teatrali fossero assai più contenuti, riuscì ad affascinare di nuovo la città (e, a detta di un fantasioso contemporaneo, anche l'intero Collegio cardinalizio). Al teatro Apollo apparve in una versione ridotta di Alma il 26 dicembre, nella Vendetta d'Amore il 4 genn. 1845 e in due "divertissements", La festa in maschera e La vincita al lotto, di cui fu anche coreografa, per poi concludere, con la sua beneficiata, il soggiorno romano tra tripudi di fiori e serenate improvvisate. Le stesse accoglienze trionfali le furono tributate prima a Firenze, dove apparve ancora al teatro della Pergola con Aglaja ossia il Lago delle fate, e poi a Venezia, dove si produsse in L'allieva d'Amore e nel Lago delle fate.
Il Saint-Léon intanto, sull'onda dei successi che la coppia aveva ottenuto in Italia, era riuscito a ottenere la sua mano. Il matrimonio avvenne a Les Batignolles il 17 apr. 1845. Poco dopo la C. riapparve al suo fedele pubblico londinese in Ondine. Quell'anno al Her Majesty's Theatre si promettevano grandi cose, dato che l'impresario Lumley vi aveva riunito le più grandi stelle del balletto contemporaneo e contava di ritentare l'esperimento Cerrito-Elssler di due anni prima, riunendole tutte in un "divertissement" (impresa rischiosa, ma che avrebbe fatto epoca). Dapprima avvicinò L. Grahn alla C. in una riedizione di Un bal sous Louis XIV e poi, dopo il ritorno della C. che aveva avuto un incidente in Rosida ou Le mines de Syracuse, uno scialbo balletto in cui lo sforzo coreografico della stessa C. non fu sostenuto dall'originalità della trama, tentò la grande avventura del Pas de quatre. Maria Taglioni era, delle quattro, la più grande senza discussioni e la Grahn non pare accampasse diritti, ma la rivalità tra la C. e Carlotta Grisi diede non poco filo da torcere al coreografo Perrot e alla direzione, i cui sforzi vennero infine premiati quando il 12 giugno 1845 il sipario si levò, tra due atti dell'AnnaBolena, su questo "divertissement", che avrebbe rappresentato l'apoteosi del divismo ottocentesco e segnato contemporaneamente i limiti del discorso portato avanti dall'Occidente europeo, nel campo del balletto.
Dopo la chiusura della stagione londinese la C. si recò in Germania con il marito per un breve ciclo di rappresentazioni allo Stadttheater d'Amburgo, cui seguì un ingaggio a Firenze e a Torino per il carnevale; qui però non si poté soddisfare l'ansiosa aspettativa del pubblico torinese, in quanto la C. rimase vittima di una di quelle sue "défaillances" che già in passato avevano caratterizzato alcuni momenti della sua carriera particolarmente densi di fatiche e di tensioni emotive; così, invece che in Alma come previsto, la C. e Saint-Léon apparvero più tardi sulle scene del Regio nella Encantadora de Madrid di L. Astolfi. Il 17 marzo 1846 li vide invece a Berlino, dove l'interpretazione, che diede la C. dell'ormai classico ruolo di Giselle fu notata per la dolcezza e la tenerezza che ella seppe infondere nella scena della "pazzia", discostandosi assai dal modello realistico e fortemente drammatico della Elssler. Il successivo impegno dei due partners fu a Londra, dove era programmato per l'11 giugno un nuovo balletto del Perrot dal titolo Lalla Rookh, desunto dall'omon. poema di Th. Moore che, per la grandiosità dell'allestimento e l'enfasi posta sugli effetti generali, non diede alla C. ulteriori occasioni di mettersi in luce, anche se Théophile Gautier in un lungo articolo pubblicato su La Presse il 30 luglio del '46 esaltava le sue doti. Il pubblico parigino avrebbe aspettato tuttavia ancor più di un anno per vedere la C. calcare le scene dell'Opéra: questo avvenne solo nell'estate del '47, quando vi fu un cambiamento ai vertici della direzione del più ambito teatro d'Europa. H. Duponchel, che insieme con N. Roqueplan aveva da poco assunto le mansioni di direttore dell'Opéra, nonostante le riserve che aveva manifestato dopo aver visto ballare la C. a Milano nella primavera del '39, dovette alla fine convenire che il suo nome aveva ormai conquistato una risonanza internazionale, convalidata, oltre che dagli ultimi due successi londinesi creati dal Perrot sulla scia del Pasde quatre che furono Le jugement de Paris (23 luglio del '46), con la Taglioni e la Grahn, e Les eléments (26 giugno del '47) con C. Rosati e C. Grisi, anche dall'allargarsi crescente della sua fama dopo i trionfi a lei tributati sia in Ungheria alla fine dell'ottobre del '46 sia a Berlino durante i primi tre mesi del '47 (La Esmeralda, 19 gennaio; Das Blumenmädchen im Elsass, 27 febbraio). Le trattative furono portate a termine felicemente nell'ottobre del '47. Il debutto avvenne con Alma il 20 ottobre e fu coronato da un grande successo di pubblico, cui non fu pari peròil successo di critica in quanto alcuni dei cronisti intervenuti, come ad esempio C. Maurice, non mancarono di osservare quei difetti tecnici che pur si nascondevano sotto il dionisiaco vitalismo della danza della C.; tuttavia questo non impedì ai coniugi Saint-Léon di esibirsi il 4 novembre nella Fille de marbre al teatrino del palazzo di Saint-Cloud, davanti a re Luigi Filippo e alla corte, e confermare così l'alto grado di stima che avevano saputo conquistare nel più sofisticato ed esclusivo ambiente culturale europeo. Alla fine della loro prima stagione parigina la coppia fu scritturata per la stagione di carnevale 1848, alla Fenice di Venezia, dove apparve il primo gennaio nel ballo del Galzerani Giovanna Maillotte ossia il Trionfo del bel sesso che, nonostante lo spiegamento di mezzi, ebbe breve vita e fu sostituito poco dopo con un rifacimento della Vivandiera ed il postiglione, arricchito da una danza "siciliana" tratta dallo sfortunato balletto Rosida.
Mentre gli avvenimenti politici precipitavano e i fermenti si andavano trasformando in aperta ribellione, anche la C. non rimase insensibile al fremito di libertà che serpeggiava tra il suo pubblico la sera del 15 gennaio, quando il sipario si levò sulla Vivandiera ed ella comparve in scena con un costume in cui spiccavano i colori della risorgente nazione italiana. Il balletto, com'era prevedibile, fu oggetto anch'esso della repressione austriaca, ma il trionfo cheVenezia tributò alla C. fu forse per lei ancor più gratificante in quanto di lì a poco avveniva a Milano il crollo della popolarità della sua antica rivale, la Elssler, che il pubblico milanese, ormai sconvolto dagli odi politici fece quasi fuggire dalla città, dove non sarebbe mai più tornata. La C. intanto continuava a raccogliere i frutti della sua aperta adesione alla causa nazionale con i successi del 29 febbraio in Tartini il violinista e del 28 marzo nel "divertissement" L'Anti-polkista ed i Polkamani, che il Saint-Léon stesso aveva creato nello spirito del più assoluto modernismo e che ben si inseriva nella nuova atmosfera politica veneziana. La C. non attese tuttavia l'epilogo della rivoluzione, ma tornò al Her Majesty's Theatre dove riapparve, oltre che nell'abituale repertorio, nel ruolo della Primavera del nuovo "divertissement" di Perrot (Les quatre saisons), creato sempre per famose interpreti a confronto; in questo caso, C. Grisi: Estate, C. Rosati: Autunno, M. Taglioni: Inverno. Tuttavia, nonostante il successo sempre lusinghiero, il clima competitivo finì alla lunga per stancare la C. che, appoggiata del resto dal marito, il quale non era riuscito a conquistarsi un suo spazio a Londra come coreografo, preferì affrontare di nuovo il clima instabile e rivoluzionario della Parigi repubblicana, pur di riconquistare un pubblico tutto per sé. Dopo due apparizioni del 4 e del 20 ottobre la C. poté proseguire la stagione'48-'49 sotto gli auspici della rinnovata sicurezza politica e sociale che caratterizzò la Seconda repubblica, danzando in Tartini il violinista, rappresentato per la prima volta a Parigi con il titolo Le violon du diable il 19genn. 1849. L'estate dello stesso anno vide la C. a Stoccolma, dove l'infaticabile Saint-Léon allestì con il solito successo ben cinque balletti. La coppia non ricomparve all'Opéra che il 22 febbraio 1850 in Stella, per la coreografia dello stesso Saint-Léon, che ne aveva arrangiato in parte anche le musiche spesso, pare, senza porsi affatto il problema della loro originalità. La C. dal canto suo, nell'ambientazione napoletana del balletto, ebbe ancora una volta l'occasione di incantare il pubblico di Parigi con il suo charme e la sua garbata comicità. Ma proprio in quel periodo il ménage col Saint-Léon stava naufragando sotto il peso d'una accresciuta conflittualità fra i due artisti. Il fiasco di Pâquerette all'Opéra, giunto inaspettato sia al librettista Gautier sia al coreografo Saint-Léon, il quale non vi si rassegnò tanto da riprendere il balletto nove anni dopo, accrebbe probabilmente nella C. l'insofferenza per il legame matrimoniale che già era divenuta di pubblico dominio. La tournée a Madrid che vide per l'ultima volta impegnati i coniugi Saint-Léon, nel 1851, si concluse con la loro separazione quando, dopo il ritorno a Parigi nel giugno del '51, la coppia si sciolse e, mentre il Saint-Léon rimaneva a Parigi con un contratto triennale, la C. si recava a Londra per partecipare agli spettacoli lì programmati fino alla fine della stagione.
A novembre la C. tornò a Madrid più di un mese prima del suo debutto in Giselle, fissatoper il 12 dicembre, per rinforzare il legame col marchese Manuel Antonio de Acuna di Bedmar, un celebre personaggio dell'epoca, che era entrato nella sua vita. La relazione costò molto alla C. da un punto di vista professionale in un momento in cui la sua carriera volgeva già alla fine, rendendole difficile il reinserimento all'Opéra, dove intanto il Saint-Léon stava portando al successo la giovane N. Bogdanova. Solo con l'appoggio di amicizie influenti, la C. riuscì a riconquistare il ruolo di protagonista della vita teatrale parigina e del nuovo balletto Orfa, che andò in scena il 29 dic. 1852. Dopo una breve tournée a Vienna nella primavera del '53 fu costretta ad abbandonare le scene: il 6 ott. 1853 ella divenne madre di una bimba, Matilde, e dové quindi attendere che questa avesse tre mesi per poter tornare in palcoscenico quando ormai però, approfittando della sua assenza, Carolina Rosati era riuscita ad imporsi all'attenzione del pubblico parigino. La C. si rese conto di non poter rivaleggiare con la nuova stella e, dopo aver subito l'umiliazione di dover accettare una parte di mima accanto alla Rosati come "prima ballerina", cominciò a meditare la "grande rentrée". L'occasione le fu offerta dalla necessità di nuove produzioni per cui la direzione acconsentì alla proposta di dilazionare la sua beneficiata in cambio della realizzazione di un nuovo grande balletto in cui ella fosse sia coreografa sia interprete. Col titolo di Gemma, in due atti e cinque scene, esso fu rappresentato il 31 maggio 1854.
Come si è accennato, l'esperienza coreografica della C. già vantava alcuni precedenti tra cui un intero balletto Rosida, tuttavia è molto probabile che l'impostazione e la direzione dei movimenti e delle masse fossero più da attribuire all'inventiva e alle indubbie capacità organizzative del Saint-Léon, che non alle qualità puramente coreiche che la C., limitata del resto dallo scarso credito di cui il suo sesso godeva da un punto di vista direttivo, avrebbe potuto estrinsecare in una simile circostanza. Conscia forse dei suoi limiti, la C. puntò tutto sull'effetto costringendo il compiacente e galante Gautier, già autore di due famose opere come Giselle e La Peri, a inzeppare il libretto di occasioni che permettessero, alla coreografa di ricreare situazioni topiche del suo repertorio. Com'era prevedibile, le prove si svolsero in un'atmosfera di totale indisciplina e confusione peggiorate dal doppio ruolo creativo ed interpretativo a cui la C. si era sobbarcata senza l'appoggio del Saint-Léon. Il balletto, che doveva andare in scena entro la seconda metà di aprile del 1854, ebbe la sua prima rappresentazione solo il 31 maggio quando, sia dall'incasso al botteghino che dalle calorose accoglienze del pubblico, sembrò che il sospirato successo fosse stato raggiunto; la critica, tuttavia, anche se non fu del tutto impietosa, non mancò di rimarcare che la C. "...aurait pu être mieux inspirée comme choréographe en nous offrant l'occasion d'apprecier l'agilité, la vigeur er la morbidesse de ses pauses. On dirait que la fatique a un peu dourdi déja ses jarrets d'acier" (P. Scudo, in Revue des Deux Mondes, 15 giugno 1854, pp. 1289s). Il balletto ebbe solo sei repliche fino alla metà di giugno e, dopo la chiusura estiva, fu rappresentato ancora in autunno registrando uno degli incassi più esigui mai avuti all'Opéra, per poi scomparire dalle scene di quel teatro.
La posizione della C., dopo il fiasco del lavoro su cui aveva puntato tutto, fu ulteriormente aggravata da un cambiamento ai vertici direttivi dell'Opéra così che, su richiesta dello stesso Auber, ella poté solo sostenere il ruolo mimico di Fenella ne La muta di Portici (13 dic. 1854), mentre la Rosati otteneva uno strepitoso successo nel "divertissement". Il contratto che legava la C. al teatro parigino fu interrotto il 15 sett. 1855 con la clausola di procrastinare fino a data da destinarsi la beneficiata che ancora le spettava. La carriera della C. volgeva ormai alla fine: "deux hivers en Russie et trois étés à Londres n'ajoutèrent rien à une réputation en décadence" (Binney, p. 202). Infatti, tornando al Covent Garden con Eva (24 apr. 1855) e con La vivandière, ella dové rendersi inesorabilmente conto che nell'autunnale paesaggio della piena decadenza del balletto inglese, poteva essere tuttalpiù considerata "the last rose of summer" (Guest, 1956, p. 147), mentre, una volta svanita la speranza di poter organizzare una grande tournée in America, la Russia, che aveva sino allora rappresentato un traguardo dorato per le ballerine occidentali, le avrebbe riservato la sorpresa di una vivace contestazione nata sull'onda del crescente nazionalismo, impegnato a mettere in discussione non solo più di un secolo di colonizzazione ballettistica occidentale, ma la validità intrinseca delle stelle di importazione, vagliandone sopratutto le capacità tecniche alla luce degli eccezionali progressi della scuola russa che contava elementi validissimi come M. Murav'eva, L. Radina e la eccellente N. Bogdanova, ex pupilla di Saint-Léon. Era chiaro quindi che una ballerina come la C. che, ormai trentanovenne ed appesantita dalla recente maternità, aveva perso quella vivacità spumeggiante che faceva perdonare al suo stile le carenze e le lacune d'impostazione scolastica, non potesse più contare su un successo incondizionato, anche se l'aiuto dei suoi vecchi collaboratori Perrot e C. Pugni nonché l'appoggio degli intellettuali liberalizzanti filoccidentali le permisero di avere a Pietroburgo sempre buone accoglienze sia in Armida (20 nov. 1855), sia negli altri balletti. La sua beneficiata ebbe luogo il 19 febbr. 1856 registrando comunque il tutto esaurito.
Il 27 maggio ritroviamo la C. a Londra dove interpretò Eva al teatro Lyceum per poi tornare in Russia, dove poteva contare sul favore degli ambienti conservatori legati alla imperatrice madre, vedova di Nicola I. A Mosca ella partecipò alla cerimonia dell'incoronazione del nuovo zar Alessandro II, ballando nella Fille de marbre al nuovo teatro Bol'šoj. Poté poi comparire ancora a Pietroburgo dal novembre 1857; ritornò a Londra con La brésilienne, rappresentata al Lyceum il 2 maggio '57, per poi ritirarsi definitivamente dalla scena dopo un'ultima discreta apparizione nel minuetto del Don Giovanni rappresentato nello stesso teatro il 18 giugno '57 e dopo aver risolto, con l'accettazione del versamento di una somma a saldo, l'annoso problema della sua beneficiata all'Opéra di Parigi.
La C. visse agiatamente ancora mezzo secolo nella più assoluta estraneità alla vita teatrale. Solo per i primi anni dopo il suo ritiro ella rimase ancora legata al teatro, covando dapprima l'intenzione mai realmente perseguita di diventare una cantante e poi seguendo da vicino i progressi della giovane generazione; tuttavia la tragica morte della sua pupilla Emma Livry contribuì ad allontanarla ancora una volta dalla vita del palcoscenico. Il suo solido buon senso borghese e il senso della suprema realizzazione nell'educazione dei figli la portarono a dedicare senza rimpianti la sua vita a Matilde, che poté contare sempre anche sulla affettuosa vicinanza del padre che la lasciò erede di una cospicua fortuna.
Gli ultimi anni della C. trascorsero tranquilli a Parigi, nonostante ella fosse affetta da cecità e da una progressiva paralisi. Morì la sera del 6 maggio 1909 e venne sepolta nella tomba di famiglia al cimitero di Montmartre.
Per quanto il fenomeno C. sia rimasto isolato nell'arco dello sviluppo del linguaggio coreico non avendo lasciato traccia di sé alla fine della brillante carriera, lo si può inserire a buon diritto nel novero delle manifestazioni più squisitamente romantiche che la temperie internazionalistica, del balletto ottocentesco abbia saputo creare: per l'individualismo sfrenato, per la forza travolgente, per le contraddizioni stilistiche che distinguevano la sua danza da intendere più come un fatto schiettamente istintuale che come il distillato intellettualistico di quella spiritualizzazione che, per il pubblico borghese del tempo, era spesso solo una giustificazione estetizzante dei propri sogni proibiti, la personalità della C. si staglia come una forza della natura, l'unico vero Sturm che, per un inesplicabile Drang riuscì a trascinare dietro a sé le platee di tutta l'Europa senza avere del resto dalla sua né il carisma della tradizione che conferiva una aureola sacrale alla "divina Maria", né il vantaggio di avere per prima vellicato la passione dei contemporanei per l'esotismo culturale come aveva fatto la Elssler, né la capacità di competere sul piano tecnico con una Grisi ad esempio, allieva e moglie del grande Perrot. Tuttavia, pur con i limiti di una educazione coreica estemporanea e raccogliticcia (la frequenza saltuaria alle lezioni del Perrot ed a quelle di C. Blasis non poté che dare alla sua danza solo una patina di decoro scolastico), ella non solo resse il confronto con le sue temibili rivali, ma le batté di gran lunga in quanto a popolarità e simpatia come si può ben rilevare dalle critiche del tempo. D'altronde il motivo dei trionfi, come pure delle deliranti manifestazioni tributatele dai pubblici dei maggiori teatri europei di cui fanno cenno il Guest, il Monaldi ed altri autori, non è assolutamente imputabile ad una sensualità esasperata che alcuni detrattori come L. Vaillat (cfr. L. Rossi) volevano per forza vedere trasparire dalla danza della C., in quanto è facilmente arguibile quanto poco peso lei desse a quegli espedienti che ne potessero valorizzare la femminilità. Ella non seppe o non volle mai rivedere il suo ruolo di eterna bambina per cui la "voluttà", quando si mostrava, era solo "ingenua" (com'ebbe a dire il Blasis), mentre il languore e l'abbandono delle pose erano intesi unicamente come un contrasto necessario con la veemenza della danza. La conferma ci viene, ad esempio, dalla preferenza da lei accordata a un libretto come Gemma rispetto a quello sicuramente propostole dal Gautier (che l'aveva già creato) di Venus ou La statue amoureuse che con il magnifico doppio ruolo di Venere-donna Imperia le avrebbe dato l'opportunità di sfruttare al massimo il suo charme. Legata quindi solo allo slancio vitale della prima età arricchito dalla passione della danza e da quel caldo senso meridionale di abbandono e nello stesso tempo di esaltazione, l'arte della C. crebbe e decadde nell'arco di una giovinezza, incarnazione forse di quel ribellismo romantico che, come esperienza soggettiva, così poco posto ha avuto in un balletto "classico" per antonomasia.
Fonti e Bibl.:F. Regli, notizie in Strenna teatrale europea, 1842, p. 161; 1844, pp. 157-65; 1847, p. 174; 1848 pp. 89-99; A. de Pontmartin, in Revue des Deux Mondes, 1º genn. 1850, p. 159; P. Scudo, ibid., 1º marzo 1850, p. 956; G. G. Belli, I sonetti, a cura di G. Vigolo, Milano 1963, p. 2697; Th. Gautier, Histoire de l'art dramatique, Paris 1859, V, pp. 153 s., 156; VI, p. 7; G. Monaldi, Le regine della danza nel sec. XIX, Torino 1910, pp. 139-59, 172 s., 175, 213 s.; D. Lynham, Storia del balletto, Firenze 1951, pp. 110-17; I. Guest, F. C., London 1956; C. Gatti, Il Teatro alla Scala nella storia e nell'arte 1778-1958, II, Milano 1963, pp. 94 s., 120; F. Binney, Les ballets de T. Gautier, Paris 1965, pp. 185-204; P. Migel, The Ballerinas from the Court of Louis XIV to Pavlova, New York 1972, pp. 206-22; I. Guest, The Romantic Ballet in England, London 1972, pp. 76-82; L. Rossi, Il Ballo alla Scala 1778-1958, Milano 1972, pp. 45 s., 48, 75 s., 81 s.; F. Regli, Diz. biogr. ..., Torino 1860, pp. 126 s.; C. Schmidl, Diz. univ. dei musicisti, I, p. 321; Encicl. d. Spett., III, coll. 446-49.