Fantascienza
Che la Forza sia con te
Evoluzione di
un genere cinematografico
di Mario Sesti
24 maggio
Si apre al Museo nazionale del cinema di Torino, allestito all'interno della Mole Antonelliana, l'esposizione Cose da un altro mondo, che raccoglie 300 manifesti e locandine originali di film e più di 600 giocattoli da collezione relativi alla saga di Guerre stellari. La mostra ripercorre i principali filoni di un genere unico per fascino e suggestione, che grazie a registi come Steven Spielberg e George Lucas sta attraversando un periodo di grande successo.
Continuità e rischio di logoramento
La spiccata vocazione verso l'immaginario avventuroso e fantastico delle masse di adolescenti, che costituiscono da tempo la fascia più consistente di consumatori dello spettacolo cinematografico in sala, ha implicitamente determinato una sensibile egemonia di generi come quelli della fantascienza nel vasto territorio del racconto cinematografico popolare degli ultimi decenni. A ciò hanno contribuito anche il trionfo delle capacità di generare immagini non fotografiche che il cinema ha ormai fatte proprie grazie alle tecnologie del digitale e la conseguente liberazione da ogni forma di vincolo posto sulle possibilità di immaginare mondi diversi dal nostro.
Il 2005 e la stagione che lo ha preceduto non sembrano negare questa tendenza, anche se, in controluce, un'attenta lettura della filmografia prodotta all'interno del genere fantascientifico e delle sue periferie produce dei segni di tendenza più originali di quanto si sospetti: del resto, il dominio al botteghino delle saghe tratte dai libri di Harry Potter e della fantasy epica del Signore degli anelli testimoniano sia quanto la narrativa del 'meraviglioso' alimenti la produzione e il consumo del cinema di oggi, sia quanto il bisogno di nuove forme rilanci una dinamica interna di selezione e cambiamento che è il primo indizio della vitalità di un genere.
A un primo, rapido sorvolo, i due massimi eventi della fantascienza cinematografica della stagione (La guerra dei mondi di Steven Spielberg e Guerre stellari: Episodio III- La vendetta dei Sith di George Lucas) non fanno che inscriversi nelle due forme più popolari della fantascienza dell'ultimo decennio: la saga-serial (alcuni esempi: quelle di Star Trek, Matrix, Men in black) e il remake (da Godzilla di Roland Emmerich, 1998, a Solaris di Steven Soderbergh, 2002, a Perduti nello spazio di Stephen Hopkins, 1998, a Rollerball di John McTiernan, 2002). Altrettanto solida appare la tendenza ad attingere dall'immaginario dei fumetti eroi e tipologie di racconto fantascientifici (Spiderman 2 di Sam Raimi, 2004) o a costruire action movies (Resident Evil: Apocalypse di Alexander Witt, 2004) che riproducono sul grande schermo la rappresentazione reiterata dello scontro fisico e la centralità di uno spazio, segni piuttosto evidenti dell'influenza dei videogame nell'immaginario cinematografico. In particolare, la tendenza del cinema a trasferire personaggi, grafica e mondi narrativi del fumetto nelle proprie inquadrature è uno dei segni più forti della produzione ma anche dello stile visivo del grande schermo oggi. Per tali ragioni non è un caso che, in questo andamento generale della natura iconografica del grande schermo che è stata definita la 'cartoonizzazione' di Hollywood, una delle più brillanti e inventive riflessioni sui protagonisti emblematici del fumetto (i supereroi) venga proprio da un cartoon
(Gli incredibili di Brad Bird, 2004), nel cui humour si annida una lettura non banale dei rapporti tra mentalità ordinaria e immaginario fantascientifico, normalità quotidiana e fantasia del futuro e dello straordinario.
Ancor più significativo è il fatto che la più interessante sperimentazione di linguaggio della stagione, Sin city, di Robert Rodriguez e Frank Miller - non priva di elementi di fantascienza - affondi le sue radici proprio nel fumetto e ne sia coautore uno dei nomi di maggiore personalità del mondo dei comics americani. A questi segnali di continuità, tuttavia, si contrappongono riflessioni di natura opposta.
Le ultime stagioni, comprese quelle in esame, hanno accumulato una massa di prodotti di science fiction cinematografica privi di efficacia che nascono dalla semplice ripetizione di schemi narrativi e stili visivi affermatisi in stagioni precedenti. È una massa che forse ha raggiunto le dimensioni critiche necessarie a rendere imminenti innovazioni di forme e struttura. Film come Sky captain and the world of tomorrow di Kerry Conran, Immortal di Enki Bilal o Natural city di Ming Byung-Chun dimostrano che dall'America alla Francia alla Corea quella formula del film di fantascienza che puntava su innovativi design visivi di società del futuro, spesso attratta dall'idea dell'esistenza artificiale di simulacri umani, si è logorata in una ripetizione estenuata. Ancor più singolare il fatto che la sua controparte estetica, la sua opposizione linguistica e commerciale, ovvero la fantascienza come messaggio che agisce attraverso un'utopia negativa o come pratica d'autore, che negli anni Sessanta e Settanta aveva visto al lavoro anche registi di incontestabile statura come Stanley Kubrick, non sembra godere di una salute migliore (come è evidente in Codice 46, di Michael Winterbottom, ricostruzione di un futuro inquietante e disumano, realizzata con la stessa svogliata alienazione che condanna i suoi personaggi).
Un ulteriore segno di logoramento delle formule produttive e delle strutture narrative e linguistiche che dominano il genere dalla prima metà degli anni Ottanta può essere considerato il modesto esito di due film tratti da due autori 'feticcio' della letteratura fantascientifica, ovvero Isaac Asimov (Io, Robot di Alex Proyas, 2004) e Philip K. Dick (Paycheck di John Woo, 2003). Nonostante si tratti di due autori chiave della fantascienza contemporanea, fonte nel caso di Dick di significative riduzioni cinematografiche (come Blade runner, 1982, Atto di forza, 1990, Minority report, 2002) e benché alla regia di questi film si trovino personalità dotate di tecnica e stile, essi non vanno al di là di una solida confezione spettacolare immersa nella routine tematica e visiva del genere. È una valutazione che si può ripetere con ancor maggiore severità per prodotti di puro sfruttamento commerciale come Alien vs predator di Paul W.S. Anderson (che cerca, nella sintesi delle due serie coniugate nel titolo e nella trama del film, di rinnovare e rilanciare entrambi). Analoghe considerazioni possono applicarsi a un film come The chronicles of Riddick di David Twohy (2004) che fa compiere una discutibile sterzata nell'universo della fantasy ai personaggi del bel film originario (Pitch black, 2000, forse l'unico film di fantascienza delle ultime stagioni all'altezza delle rielaborazioni dei classici del genere tipiche dei primi film di John Carpenter). Si tratta di tentativi di 'sincretismo' dell'immaginario cinematografico, generati a freddo nel laboratorio dell'industria e come tali spesso destinati già in partenza al fallimento.
Immaginario tecnologico e pulsioni sociopolitiche
Più convincente, da questo punto di vista, un film come The day after tomorrow. L'alba del giorno dopo di Roland Emmerich (2004). Il regista, servendosi del potere creativo degli effetti speciali per dar vita a paesaggi di originale suggestione apocalittica, mette in scena l'autentico timore della catastrofe ecologica e climatica innervando di popolare drammaturgia un copione dal tipico schema del film 'catastrofico' (un'intera comunità deve affrontare una minaccia di letale potenza distruttiva, il racconto segue diversi personaggi e le avversità che devono affrontare secondo una struttura corale). Qui, forse, tocchiamo il cuore della dinamica che si instaura tra vitalità dei generi e immaginario collettivo. La fantascienza, che tecnicamente è sempre stata definita con un numero limitato e vago di tratti specifici (una narrativa ambientata in un mondo, presumibilmente futuro, radicalmente condizionato da un sapere scientifico più avanzato, o diverso, dal nostro), affonda le sue radici in alcune pulsioni diffuse che hanno con la scienza e la concezione positiva del progresso un rapporto squisitamente dialettico: non è un caso che la fase aurea, di consolidamento e maturazione, del genere cinematografico prenda le mosse negli anni Cinquanta, in un periodo di tremende tensioni politiche internazionali e di profonde angosce (come quella della distruzione atomica). La fantascienza ha bisogno di queste ultime non meno che dell'immaginario tecnologico o di un sapere scientifico di sofisticato livello per prendere vita. Lo dimostra ancor meglio The Manchurian candidate, che è ufficialmente un remake dell'omonimo film di John Frankenheimer del 1962 (Va' e uccidi) ma che nelle mani del regista Jonathan Demme diventa una summa di tutte le fobie da 'cospirazione' e 'lavaggio del cervello' su cui il cinema americano ha lavorato anche negli anni Settanta (in film come Perché un assassinio? di Alan J. Pakula, 1974). L'invenzione scientifica e tecnologica dello script è qui al servizio di una visione terrorizzata del controllo sociale e politico in dotazione alle massime autorità istituzionali.
È un'inquietudine che descrive meglio di qualsiasi altra cosa l'ansia profonda dell'inconscio collettivo americano di oggi, diviso fra il timore per la minaccia terroristica e la richiesta di potere assoluto che la classe dirigente presume di ritenere necessaria per combatterla.
La migliore fantascienza, insomma, è stato scritto più volte, usa il futuro, o la congettura sociologica e scientifica, per parlare del presente.
Libertà di immaginazione
Ciò non significa che la semplice, sfrenata libertà dell'immaginazione narrativa, che è alla sua base, non debba costituirne anche oggi una delle risorse o uno dei bisogni fondamentali che stimolano la sua produzione. Sono proprio le forme più tradizionali di tale libertà, tuttavia, a risentire della necessità di una nuova elaborazione e codifica di discorso e intreccio.
Un caso esemplare, a riguardo, è il tema dei viaggi nel tempo e della possibilità di manipolarne direzione e irreversibilità. La messa in scena tradizionale di tali tematiche, come in Timeline di Richard Donner, affidate a una trama avventurosa e a un'articolazione convenzionale di personaggi e intreccio, appare più che deludente e, benché basata sul best-seller di uno degli autori più inventivi e fortunati della narrativa fantascientifica contemporanea (Michael Crichton), risulta assai meno interessante di La macchina del tempo di Simon Wells (2002, remake del film tratto dal libro di Herbert G. Wells, diretto da George Pal nel 1960), che invece punta proprio su un accumulo, quasi decadente, di dettagli e scenografie d'epoca, a sottolineare la nostalgia della vecchia, tradizionale fantascienza. Rientra senza ombra di dubbio nella gravitazione di questo tema un film come Donnie Darko, oggetto oltreoceano di un culto alimentato soprattutto da un tam tam sviluppatosi via Internet, tale da spingere la distribuzione a una riedizione (2004) ad alcuni anni dalla sua uscita (2001).
La resistenza a includerlo nel genere fantascientifico è perfettamente comprensibile, anche se l'intreccio renderebbe legittima tale inclusione. Il protagonista matura gradualmente la consapevolezza che la propria esistenza, e soprattutto la sopravvivenza
di persone a lui molto care, è legata a una sorta di incomprensibile quanto affascinante enigma spaziotemporale. Tale maturazione è la premessa di un gesto estremo, imbevuto di contestazione, rimpianto e rifiuto dell'esistente, il cui significato ha permesso a un vasto pubblico una piena identificazione generazionale.
Di nuovo, la fantascienza o segmenti narrativi che le sono da sempre congeniali vengono usati in modo improprio rispetto all'universo di significati che essa ha battuto in passato (addirittura disegnando un mito che ha il romanticismo tipico del ribellismo adolescenziale): questo vorrà dire che essa si è dispersa altrove, in quel movimento di deriva dei generi in atto sin dalla fine degli anni Sessanta e dal quale nessuno di essi può ritenersi immune, o che la sua egemonia è ormai così forte da infiltrarsi senza difficoltà nell'area specializzata di contesti narrativi una volta completamente estranei a essa? Forse, entrambe le ipotesi sono egualmente plausibili, anche se è la seconda che appare più convincente se prendiamo in considerazione un film della scorsa stagione come Se mi lasci ti cancello di Michel Gondry, scritto dallo sceneggiatore di maggior personalità e talento del cinema americano di oggi, Charlie Kaufman. Partendo da un intreccio di pura ortodossia fantascientifica (il racconto gravita interamente intorno a un'invenzione che consente di cancellare tutta la parte dei ricordi di una persona legati a un rapporto sentimentale causa di profonda infelicità), Kaufman libera una drammaturgia dell'interiorità, una problematicità esistenziale e una penetrante concezione del mondo, che sono da sempre i requisiti e il privilegio del cinema degli autori.
Si tratta, in ogni caso, di uno dei film di maggiore originalità delle più recenti stagioni del cinema americano in cui lo spunto 'fantastico', peraltro, consente soluzioni narrative che mettono costantemente sotto pressione la tradizionale linearità della commedia sentimentale, cui il cast, la messa in scena, i valori produttivi, omogenei al mainstream hollywoodiano, sembrerebbero necessariamente ascriverlo.
Gli attuali studi sui generi, del resto, hanno messo in luce il fatto, decisivo, che qualsiasi importante riforma di struttura ed evoluzione si realizzi all'interno di uno di essi finisce per avere delle conseguenze sugli altri. Non è un caso che alcuni elementi del western, un genere in uno stato di agonia già alla fine degli anni Settanta, siano stati 'metabolizzati' prontamente dalla fantascienza di maggior successo come quella della saga di Star Wars (il manicheismo di bene e male, il finale con l'arrivo, nella fase decisiva dello scontro tra opposte fazioni, delle forze militari legate agli eroi positivi, il mito della frontiera e della natura selvaggia e da colonizzare esteso all'infinità della galassia).
Variabili e invarianti
Esistono alcuni elementi variabili che determinano la storicità di un genere o addirittura una sua archeologia - alcuni tratti appartengono a forme ormai estinte, proprio come linee evolutive abbandonate - e altri che invece definiscono delle invarianti di base del genere stesso. La fantascienza cinematografica fondamentalmente è sempre stata caratterizzata dalla semplicità dell'intreccio, vicino a strutture di racconto mitiche ed elementari, e dalla complessità dell'informazione visiva contenuta nell'inquadratura, frutto di un investimento formale non comune nelle scenografie, nei costumi, negli effetti visivi (non a caso, era proprio questa asimmetria che affascinava Luis Buñuel in un classico del genere come Metropolis di Fritz Lang). La letteratura di fantascienza si è sviluppata secondo linee quasi opposte che privilegiano la complessità di narrazione e scrittura, spesso con tratti sperimentali.
La fantasy, che molti considerano una particolare 'regione' della fantascienza, tende a un'accentuazione barocca del dettaglio visivo e a una configurazione più 'romanzesca' ed 'epica' della sua narrativa. Fino a che punto l'evoluzione della fantascienza cinematografica è destinata a sottoporre a radicali cambiamenti questi caratteri che da sempre definiscono il set, lo stile di racconto e l'universo immaginario del genere? Ancora una volta George Lucas e Steven Spielberg, ovvero gli autori che più di qualsiasi altro hanno dato nuova forma e impulso alla fantascienza a partire dagli anni Settanta, possono offrire, con le loro opere, gli spunti più significativi per tentare di rispondere a questa domanda.
Guerre stellari: Episodio III- La vendetta dei Sith di Lucas porta al massimo di asimmetria possibile il rapporto tra l'elaborazione visiva dell'inquadratura, grazie alle possibilità di invenzione formale del digitale che dà vita a stupefacenti mondi immaginari, e lo schema mitico dell'intreccio, la cui unica meta è quella di chiudere il cerchio con la definitiva trasformazione del personaggio di Anakin Skywalker in quello di Darth Fener e con la messa in scena di quella tragedia edipica e ancestrale fatta di gemelli dispersi, padri oppressori e pericoli d'incesto così diffusi in tutti i cicli mitici di ogni cultura: la storia parla la lingua antichissima della fiaba, le immagini sono affollate di pure e avveniristiche forme tecnologiche. Nel suo ultimo episodio, quello uscito in sala quest'anno, la saga fantascientifica di maggior successo della storia del cinema finisce con un crescendo melodrammatico e uno scenario tetro, fosco e carico di pathos come in un libretto d'opera.
La guerra dei mondi di Spielberg, invece, sposta ancora più in là il livello tecnologico che dà origine al film stesso: per la prima volta le più importanti sequenze del film sono state previsualizzate non da un tradizionale storyboard, ma da un'animazione tridimensionale sia delle scene sia delle creature extraterrestri, che ha consentito al regista e ai suoi attori di concepire con maggiore accuratezza e precisione il proprio lavoro (solitamente, il grande limite degli effetti visivi, realizzati in post-produzione, è quello di costringere gli attori a lavorare sul set senza alcuna interazione con i personaggi creati al computer e aggiunti alla scena successivamente durante il montaggio). Il regista, cui si devono la creazione e la teorizzazione più note di extraterrestri pacifici e disponibili al dialogo, a più di vent'anni di distanza da E.T. e Incontri ravvicinati del terzo tipo rivisita questa figura decisiva della fantascienza cinematografica in maniera esattamente antitetica, ricorrendo a una nuova versione per il grande schermo del popolare romanzo di H. G. Wells (di cui esisteva un precedente adattamento per la regia di Byron Haskin del 1953).
Ma l'aspetto più interessante, in un cinema, come quello di Spielberg, autore di Lo squalo, Jurassic Park, Schindler's list, che ha identificato sempre nella caccia tra specie diverse il paradigma di un dramma originario (allegoria ricorrente della memoria dell'olocausto che fa parte del background familiare del regista), è il fatto che tale avventura sia vissuta essenzialmente in prima persona da un padre difettoso, che nel cercare salvezza per i propri figli riconquista una dignità e un'identità che non possedeva in partenza.
Insomma, se parte della fantascienza migra là dove non è mai stata (Donnie Darko, Se mi lasci ti cancello), buona parte di essa, quella che più conta negli incassi, continua a perpetuare senza dubbi il suo copione e a parlare dei valori più antichi - gli stessi delle tribù del Neolitico - a una civiltà in cui l'immenso e totalizzante sapere scientifico e tecnologico non ha inciso in maniera significativa in quel linguaggio di rapporti familiari e legami di sangue che ha caratterizzato l'umano da sempre, sin dalla prima alba sulla Terra.
repertorio
Storia del cinema di fantascienza
Definizioni
Il cinema di fantascienza è uno dei filoni del fantastico, che comprende vari altri sottogeneri come l'avventura, la fantasy, l'horror. Una definizione più circoscritta vede la fantascienza come il luogo narrativo dove l'ordinario e lo straordinario si incontrano dando esito al soprannaturale. Sicuramente si può parlare di genere fantascientifico nel cinema ogni volta che il fantastico si proietta in ambiti scientifici o parascientifici, proponendo per es. scenari di laboratori dove gli scienziati sfidano la natura, cercando di controllarla con gli esperimenti più arditi, come nel caso di Frankenstein del 1931 e The invisible man del 1933, entrambi di James Whale, film che, secondo definizioni più rigorose, rientrerebbero nel filone horror o fantastico gotico. Anche Le voyage dans la lune (Il viaggio nella luna) del 1902 di Georges Méliès è fantascienza, sebbene Méliès, maggior precursore del genere e inventore di una serie di trucchi cinematografici, i primi effetti speciali, resti legato soprattutto al genere del fiabesco, attingendo dal repertorio della favola e del magico, preoccupato di destare stupore negli spettatori senza curarsi troppo del confine tra realtà e spettacolo.
Nel corso del 20° secolo, grazie agli sviluppi della tecnologia che consente una riproduzione fotografica sempre più sofisticata della realtà, la fantascienza va consolidandosi in una sorta di 'immaginario tecnologico' cui sia il cinema sia la letteratura ricorrono per esprimersi in molteplici forme e con reciproci scambi. In questa ottica si può affermare che la nascita del cinema di fantascienza coincide in qualche modo con quella del cinematografo stesso (è del 1895 Charcuterie méchanique dei fratelli Lumière), che da subito porta sugli schermi non solo storie tratte dalla realtà quotidiana ma anche i sogni, le fantasie e le paure proprie di ogni essere umano.
I primordi
Agli inizi del Novecento si sviluppò in Europa, e con particolare forza in Germania, la corrente dell'espressionismo che dagli ambiti della pittura, della letteratura e del teatro si estese presto anche al cinema, influenzandolo profondamente. Negli anni Venti la cinematografia espressionista tedesca si impose con Peter Wegener e Fritz Lang. Tutti e due, il primo in Der Golem (1920), il secondo in Die Spinnen (I ragni, 1919), fecero ricorso alla fantascienza come metafora del destino umano, per raccontare il difficile rapporto dell'uomo con la scienza e con il progresso tecnologico, che da una parte offrono sempre nuove risorse, dall'altra proiettano ombre inquietanti sull'esistenza individuale e collettiva. Ispirato all'antica leggenda medievale del Golem (un fantoccio di argilla che grazie a una magia si anima di vita propria fino a minacciare il suo creatore), riproposta da vari autori in successive versioni letterarie, il film di Wegener, ancora muto, visionario e fantastico, è un capolavoro assoluto e già contiene le premesse dei classici del genere, primo fra tutti Frankenstein. Die Spinnen racconta invece di una misteriosa città inca sotterranea, dove è nascosto un diamante dagli straordinari poteri, oggetto di contesa tra un milionario senza scrupoli, che vuole assicurarsi il dominio del mondo, e un ricco playboy che intende servirsene per far trionfare la giustizia. Il film, con scene di treni lanciati in corse forsennate, inseguimenti a cavallo, passaggi segreti che si aprono improvvisamente e inghiottono i personaggi, stanze che si trasformano in camere della morte, anticipa Metropolis dello stesso Lang (1926), considerato il vero prototipo del cinema di fantascienza. Lang propone, per la prima volta nel cinema, il tema dello sfruttamento capitalistico dell'uomo sull'uomo attraverso il progresso tecnologico, sullo sfondo di complotti orditi segretamente da personaggi assetati di potere. Già in questa sua prima fase, ancora quasi embrionale, la fantascienza, al di là dei contenuti rappresentati, si imponeva come una brillante macchina spettacolare capace di esercitare un notevole impatto sugli spettatori e offrire loro un intrattenimento di sicuro successo.
Gli anni Trenta furono un periodo fecondo per la produzione di film di fantascienza, ispirati spesso ai classici della letteratura. È questo il caso del già citato Frankenstein di Whale, tratto dal romanzo del 1818 di Mary Shelley Frankenstein, ovvero il moderno Prometeo. Il successo del film nel 1935 indusse il regista a riproporne il tema in The bride of Frankenstein (La moglie di Frankenstein). Il barone Frankenstein è il modello, poi sfruttato e rielaborato in molteplici versioni, dello scienziato pazzo, assorbito totalmente dalle proprie ricerche e dai propri esperimenti, attraverso i quali cerca invano di controllare la natura solo per comprendere, alla fine, che è la natura a controllare l'uomo. Nella serie delle pellicole ispirate a questo tema, che da allora non si è mai interrotta, arricchendosi ogni volta di nuove invenzioni e contaminazioni, rientra The invisible man (L'uomo invisibile, 1933), sempre di Whale, tratto dal romanzo del 1897 di Herbert George Wells, che narra degli effetti delle ricerche sull'invisibilità condotte dal dottor Griffin su sé stesso. Il film rappresenta una delle prime riflessioni sul tema del delirio di onnipotenza, in seguito ripreso abbondantemente dal cinema. Al genio di Wells si devono molti dei temi classici della narrazione fantascientifica, quali il viaggio nel tempo, l'invasione degli alieni, l'invisibilità, la sperimentazione genetica.
Tra i più significativi esempi di adattamento cinematografico di opere letterarie è da ricordare Dr. Jekyll and Mr. Hyde, realizzato nel 1932 da Rouben Mamoulian e poi nel 1941 da Victor Fleming. Pur appartenendo, secondo gli schemi tradizionali, al cinema fantastico, che spesso, soprattutto alle origini, si confonde con quello del terrore, il film rientra nel genere della fantascienza e anticipa, inoltre, per molti versi il giallo. Tratta dal racconto di Robert Louis Stevenson, Lo strano caso del Dr. Jekyll e Mr. Hyde, pubblicato nel 1886, la pellicola ha per protagonista il dottor Jekyll, scienziato onesto e giusto, desideroso di liberare i suoi simili dalle loro innate tendenze violente. A tale scopo sperimenta su sé stesso una pozione chimica che lo traforma in Hyde, uomo aggressivo e vizioso. È la lotta del bene contro il male, in termini niente affatto semplicistici, dove lo stesso Jekyll non emerge come completamente virtuoso e dedito al bene, così come Hyde nelle sue fragilità e contraddizioni rivela sfumature positive.
Indimenticabile espressione del genere fantastico, in cui convergono ora l'avventura ora la fantascienza e l'horror, è King Kong (1933), per la regia di Merian C. Cooper ed Ernest B. Schoedsack, metafora spettacolare dell'irrazionalità e dell'animalità che la società occidentale, tutta proiettata verso la scienza e la tecnologia, tende a escludere e isolare. Da menzionare in quegli stessi anni, in coincidenza con l'uscita dei popolari fumetti sulle avventure spaziali, Flash Gordon (1936) e Buck Rogers (1939).
Nel 1936 William Cameron Menzies realizzò Things to come (La vita futura), con la sceneggiatura di H.G. Wells: storia ambientata nel futuro, con ipotesi riferite addirittura al 2040, e incentrata sulla nuova umanità che sarebbe sorta dopo le guerre e le devastazioni provocate dagli uomini. Il film è stato visto da molti come funesta profezia della Seconda guerra mondiale.
Gli anni Cinquanta e Sessanta
Nel dopoguerra, con l'affinarsi dei mezzi tecnologici, la fantascienza si affermò nel cinema come genere autonomo. La Guerra fredda e la paura del pericolo atomico diedero notevole impulso all'immaginario fantascientifico, con una proliferazione di film ispirati a quelle tematiche. Opere come Invasion of the body snatchers (L'invasione degli ultracorpi, 1956) di Don Siegel, o Forbidden planet (Il pianeta proibito, sempre del 1956) di Fred McLeod Wilcox, considerati tra i capolavori del cinema di fantascienza, sono frutto di questo clima particolare. Siegel illustra l'angoscia e il senso di insicurezza derivanti dal timore di un'invasione comunista, sviluppando l'idea di orribili e misteriosi baccelli che, arrivati non si sa da dove, si impadroniscono, durante il sonno, del corpo degli esseri umani, per usurparne la personalità e sostituirsi a essi. È invece un desolato e lontano pianeta a rappresentare nel film di Wilcox il favoloso immaginario interplanetario dell'epoca: in quella cornice si aggira, studiando in compagnia di un robot e di sua figlia i complessi macchinari appartenuti agli antichi abitanti del pianeta, i Krell, lo scienziato dottor Morbius, tormentato da un invisibile mostro che scoprirà essere la proiezione del suo stesso subconscio.
Nella produzione di quegli anni vanno citati The day the Earth stood still (Ultimatum alla Terra) di Robert Wise, The thing (La cosa da un altro mondo) di Howard Hawks, entrambi del 1951, Red planet Mars di Harry Horner (1952), The war of the worlds (La guerra dei mondi, 1953) di Byron Haskin, The Quatermass experiment (L'astronave atomica del dottor Quatermass, 1955) di Val Guest, The incredible shrinking man (Radiazioni BX: distruzione uomo, 1957) di Jack Arnold. Anche in Giappone il cinema di fantascienza cominciò a diventare popolare con Gojira (Godzilla, 1954) e Radon, 1956, entrambi di Ishiro Honda.
Con il mutamento del panorama politico internazionale e il diffondersi di una generale sfiducia nelle istituzioni, le tematiche legate agli extraterrestri, al viaggio interplanetario, alla clonazione dell'uomo come robot o androide e alla rappresentazione di civiltà future, che avevano alimentato il cinema di fantascienza negli anni Cinquanta, pur rimanendo presenti come elementi ormai consolidati del genere, lasciarono spazio a problematiche più immediatamente connesse con la realtà storica, dando luogo all'affermazione della fantapolitica, un'ulteriore sottocategoria che incontrò il favore del pubblico. In conseguenza del legame venutosi a creare tra narrazione fantascientifica e concreta preoccupazione per lo scenario sociopolitico internazionale, il genere fantascienza da una parte guadagnò spessore e profondità, dall'altra perse il fascino e la leggerezza che erano stati caratteri salienti della dimensione ingenua e 'neomitologica' dei suoi primordi. On the beach (L'ultima spiaggia, 1959), dove Stanley Kramer descrive gli effetti devastanti di una guerra nucleare che ha colpito l'Australia, la cui popolazione sopravvive ma solo per morire nel giro di poco tempo per le radiazioni subite, è forse il primo film a rivelare il cambiamento sostanziale cui va incontro il cinema di fantascienza. The Manchurian candidate (Va' e uccidi, 1962) di John Frankenheimer, che prefigura l'assassinio del presidente degli Stati Uniti un anno prima della morte di Kennedy, e Fail safe (A prova di errore, 1964) di Sidney Lumet sono poi gli esempi più significativi di un filone che si innesta in un genere che sembrava nato più per distrarre il pubblico dalle urgenze del quotidiano che per farlo riflettere su di esse.
Nella stessa tendenza si inseriscono alcuni autori europei, che si cimentano nel fantascientifico, attratti dalle nuove tematiche, come Jean-Luc Godard con Alphaville (Agente Lemmy Caution - Missione Alphaville, 1965), Alain Resnais con Je t'aime, je t'aime (Je t'aime, je t'aime - Anatomia di un suicidio, 1968), Marco Ferreri con Il seme dell'uomo (1969) e soprattutto François Truffaut con Farhenheit 451 (1966), che descrive un'orribile società del futuro dove la televisione regna sovrana, mentre è severamente vietato leggere, al punto che viene messa in atto un'operazione di sistematica distruzione dei libri. In Italia il genere fantascientifico più classico trova in Mario Bava e Antonio Margheriti i registi di maggiore sensibilità, il primo con Terrore nello spazio del 1965, il secondo con Space men (1960) e con I criminali della galassia e I diavoli vengono da Marte, entrambi del 1966.
Dopo la serie televisiva Star Trek e alcune pellicole di autori nuovi, come Fantastic voyage (Viaggio allucinante, 1966) di Richard Fleischer, Planet of the apes (Il pianeta delle scimmie, 1967) di Franklin J. Schaffner rappresenta una pietra miliare per il cinema di fantascienza. Il film racconta il viaggio nello spazio di tre uomini e una donna, ibernati, e del loro comandante che, prima di ibernarsi egli stesso, registra un messaggio in cui spiega che la missione che sta per avere inizio durerà molti anni e li porterà in un pianeta lontanissimo. Nel finale si scoprirà in realtà che il pianeta sul quale l'astronave viene catapultata è la Terra stessa, dove la razza umana è regredita a uno stadio primitivo, lasciandosi sopraffare dalle scimmie.
Ma è Stanley Kubrick, nel 1968, a imporre la fantascienza come laboratorio del cinema d'autore, completando un percorso che si era snodato nel corso degli anni Sessanta e approdando a un'affermazione assoluta con 2001: A space odissey (2001: Odissea nello spazio), che rappresenta una vera e propria rivoluzione nel genere fantascientifico. Kubrick innesta nell'iconografia della fantascienza spaziale dei primordi la tecnologia più moderna, con il trionfo degli effetti speciali, realistici e curati in ogni dettaglio, e porta alle estreme conseguenze la ricerca sperimentale che in tutto il decennio aveva prodotto esiti importanti. Il film, tratto dal racconto La sentinella di Arthur Clarke, che lo sviluppò per adattarlo alla trama immaginata da Kubrick, narra della missione verso Giove di cinque astronauti, sollecitata da un misterioso monolito nero, apparso in epoca remota sulla Terra e poi ricomparso alle soglie del 2001 sulla Luna. Durante il viaggio solo uno degli astronauti riesce a sopravvivere - dopo aver disattivato il computer di bordo HAL 9000 che ha ucciso tutti gli altri - per poi a sua volta perdere il controllo su sé stesso e confondersi nello spazio. La storia complessa si snoda con ritmi lentissimi, dando spunti di riflessione profonda, quasi filosofica.
Dagli anni Settanta a oggi
Dopo aver universalmente consolidato la sua posizione di genere cinematografico la fantascienza dovette trovare fonti ulteriori di arricchimento e rielaborazione, rispecchiando nelle nuove proposte e nei remakes i cambiamenti degli scenari storici e sociali.
Nella prima metà degli anni Settanta la riflessione 'fantasociologica' sulle sorti dell'uomo sempre più violento e irresponsabile al punto di rischiare di smarrire la propria umanità, già anticipata da Schaffner nel Pianeta delle scimmie, fu ripresa in numerose pellicole con lo stesso soggetto rielaborato e corretto. Soylent green (2022 I sopravvissuti, 1973) di Richard Fleischer, Zardoz (1973) di John Boorman, Rollerball (1975) di Norman Jewison raccontano, con toni fiabeschi o comunque in termini metaforici, storie di utopie sociali che si trasformano in sistemi totalitari e, anche se l'ambientazione è quella di un ipotetico futuro, il riferimento alla realtà e le preoccupazioni sulla natura umana emergono con chiarezza. L'elemento che accomuna questi film è la visione apocalittica e negativa del futuro dell'uomo: I sopravvissuti si svolge in un mondo squallido e devastato dalla fame, dove solo pochi superstiti conducono un'esistenza normale; Zardoz, ambientato nel 2293, rappresenta un'umanità divisa fra un gruppo di pochi eletti, che la scienza ha reso immortali, e tutti gli altri, ridotti allo stato brutale e schiavizzati dai primi; Rollerball, infine, descrive un mondo apparentemente senza più guerre e violenze, ma dove in realtà nessuno può sottrarsi o ribellarsi al controllo dei pochi che costituiscono la classe dirigente e che utilizzano il rollerball, gioco di squadra simile all'hockey, per anestetizzare il popolo e tenerlo sottomesso.
Alla fine degli anni Settanta l'erosione delle ideologie di ispirazione totalitaria e la crisi irreversibile del modello comunista determinano una crescente e generalizzata inquietudine circa i rischi di una guerra come estremo rimedio all'incombente implosione del sistema che faceva riferimento all'Unione Sovietica. Nel 1977 esce Star wars (Guerre stellari) di George Lucas, il primo dei tre film (del 1980 e del 1983 i successivi) che costituiscono la trilogia originale, cui seguirà poi una seconda con uscite nel 1999, 2002 e 2005. Star wars rappresenta, in maniera piuttosto manichea, la lotta tra un gruppo di cattivi, guidati da un tenebroso e risoluto braccio destro del leader di una potente base spaziale, e una eterogenea schiera di individui bene intenzionati, tra i quali spicca il contrabbandiere Han Solo. Nella rappresentazione dei due schieramenti che si contrappongono per impadronirsi della 'Forza', un misterioso potere grazie al quale sarebbe possibile controllare cose e persone, Lucas sembra farsi interprete della dicotomia ormai inconciliabile fra il mondo libero e i paesi ancora sottomessi al regime comunista.
Nello stesso 1977 Steven Spielberg, con Close encounters of the third type (Incontri ravvicinati del terzo tipo), descrive in maniera originale il tema dell'incontro dell'uomo con gli alieni. Gli umani appaiono questa volta come i cattivi, in molti casi impegnati a perseguitare extraterrestri buoni. Solo pochi hanno la sensibilità, quasi la premonizione, che l'alieno sia avvicinabile, che si possa accoglierlo e, soprattutto, che così facendo sarà possibile evitare ogni inutile guerra tra mondi diversi ma conciliabili. Gli extraterrestri, dunque, sono percepiti non più con inquietudine ma anche con curiosità, suscitando in coloro che li incontrano il desiderio di imbarcarsi sulle loro astronavi in una sorta di riconciliazione. Spielberg riesce a cogliere nel pubblico un cambiamento di gusto e il desiderio di interpretare l'eterna lotta fra bene e male in una chiave meno antagonistica, lasciando che il bene e il male dimorino sia tra gli umani sia tra gli alieni senza soluzione di continuità. Il suo successivo film, E.T. The extra-terrestrial (E.T. L'extra-terrestre, 1982), svilupperà ulteriormente il tema dell'alieno buono e indifeso.
Nel 1979 è da ricordare il capolavoro di Ridley Scott, Alien, un classico della fantascienza-horror. Nello stesso anno Robert Wise diede inizio con Star Trek a una gloriosa saga di avventure intergalattiche che, riallacciandosi alla fortunata serie TV, ottenne in tutto il mondo uno strepitoso successo di pubblico. Seguiranno Star Trek 2 di Nicholas Meyer nel 1982, Star Trek 3 nel 1984 e Star Trek 4 nel 1986, questi ultimi di Leonard Nimoy.
Gli anni Ottanta videro la fantascienza al primo posto tra i successi commerciali del cinema, con film quali Blade runner (1982) di Ridley Scott, The thing (La cosa, 1982) di John Carpenter, The tron (Tron, 1982) di Steven Lisberger, Terminator (1984) di James Cameron, The fly (La mosca, 1986) di David Cronenberg, Robocop (1987) di Paul Verhoeven. Blade runner, ispirato al romanzo Do androids dream of electric sheep? di Philip K. Dick, introduce la figura del replicante, umanoide clonato e dotato di una durata di soli quattro anni, icona di un mondo in cui la tecnica ha preso completamente il sopravvento sull'umanità. Al viaggio nel tempo, altro tema tipico del racconto fantascientifico, si ispira la fortunata trilogia di Robert Zemeckis Back to the future (Ritorno al futuro), iniziata nel 1985 e continuata nel 1989 e 1990.
Gli anni Novanta sono segnati dal trionfo degli effetti speciali, i cui costi grazie alle tecniche digitali diventano alla portata di diverse società di produzione. Tra i numerosi successi del periodo vanno ricordati nel 1994 Twelve monkeys (L'esercito delle 12 scimmie) di Terry Gilliam, nel 1995 Screamers (Urla dallo spazio) di Christian Dubai, nel 1996 Independence Day di Roland Emmerich, nel 1997 Gattaka (Gattaka: la porta dell'universo) di Andrew Niccol, nel 1998 Dark city di Alex Proyas.
Nel 1999 The matrix (Matrix) di Andy e Larry Wachowski propone la novità dei temi cyberpunk, che coniugano il sentimento del disagio rispetto alla società contemporanea e l'influsso delle nuove tecnologie digitali e informatiche per raccontare il tentativo da parte della razza umana di riappropriarsi del mondo, dopo che il suo controllo è stato assunto dalla macchina ribellatasi al suo creatore. Significativi l'utilizzo di un linguaggio di tipo pubblicitario e il ricorso al kung fu per imprimere un ritmo particolare alla storia. Al primo Matrix hanno fatto seguito nel 2003 il secondo e il terzo capitolo della trilogia, intitolati Matrix reloaded e Matrix revolutions.
Matrix ha rappresentato un'anticipazione dei fenomeni di tendenza del genere fantascientifico del nuovo millennio, che ha visto la riscoperta da una parte del supereroe, dall'altra della carica profetica e visionaria propria, per es., delle opere di Dick, scrittore già noto al grande pubblico grazie a Blade runner e da cui sono state tratte altre importanti realizzazioni come nel 2002 Minority report di Spielberg e, seppur di minore impatto, Paycheck (2003) di John Woo.
La fantascienza, nelle sue espressioni migliori, continua a proporsi come commento in termini simbolici ma estremamente efficaci dei pericoli della realtà quotidiana. È il caso di The Truman show (1998) di Peter Weir, esempio di un cinema che spietatamente analizza una società o un sistema, in questo caso quello del business televisivo, per metterne in evidenza i limiti e i rischi in modo macroscopico e angosciante. Al tempo stesso, però, i film di fantascienza non rinunciano alla caratteristica originale del genere, che è quella di stupire lo spettatore, che la storia sia buona o meno, con effetti visivi spettacolari, che si avvalgono delle infinite possibilità offerte dalle tecniche di grafica computerizzata.