FANTASCIENZA
(App. IV, I, p. 759)
Cinema. - Popolata da figure di scienziati onnipotenti e folli e da rappresentazioni di mondi sconosciuti, spesso derivata da fonti letterarie più o meno apprezzate, la f. nel cinema conquista sin dagli inizi del secolo 20° i creatori e il pubblico. Il regista G. Méliès, nella Francia del 1902, ne avverte il potenziale di spettacolarità e allestisce un ingenuo e incantevole Le voyage dans la lune, che lascia presagire gli sviluppi di un genere destinato a imporsi lentamente.
Tranne rare eccezioni − in Germania, Metropolis (1926) e Die Frau im Mond (La donna sulla luna, 1928) di F. Lang; in Unione Sovietica, Aelita (1924) di J. Protazanov; negli Stati Uniti, Frankenstein (1931) e The invisible man (L'uomo invisibile, 1933) di J. Whale; in Gran Bretagna, Things to come (Nel 2000 guerra e pace, 1936) di W. C. Menzies − i film fantascientifici negli anni Venti, Trenta e nella prima metà degli anni Quaranta sono un territorio riservato alla produzione minore e ai serials sonori, che si ispirano agli eroi dei fumetti: Flash Gordon, Buck Rogers e Superman. Il salto di qualità − dall'originaria povertà dell'apparato decorativo si passa a una maggior consistenza industriale e a un meno fievole respiro nella messinscena − avviene nel secondo dopoguerra, principalmente a Hollywood. In questo periodo, che coincide con gli anni del maccartismo e con il conseguente diffondersi di un clima paranoico, i motivi prevalenti sono quelli della minaccia rappresentata dagli extraterrestri e da una loro possibile invasione, surrettizia o frontale, prevista in The thing (La ''cosa'' dall'altro mondo, 1951) di Ch. Nyby, in The day the earth stood still (Ultimatum alla terra, 1951) di R. Wise, in It came from outer space (Destinazione terra, 1953), in War of the worlds (Guerra dei mondi, 1953) di B. Haskin, in Invasion of the body snatchers (L'invasione degli ultracorpi, 1956) di D. Siegel.
Mentre alcuni film evocano la comparsa di mostri giganteschi che, prodotti dalle radiazioni atomiche, disseminano immani rovine, l'esplorazione di pianeti lontani genera in Destination moon (Uomini sulla luna, 1950) di I. Pichel, Conquest of space (La conquista dello spazio, 1955) di B. Haskin e Forbidden planet (Il pianeta proibito, 1956) di F. M. Wilcox un'epica pionieristica e coloniale proiettata nel futuro e nelle galassie. Alle soglie degli anni Sessanta, The world, the flesh and the devil (La fine del mondo, 1959) di R. Mac Dougall e On the beach (L'ultima spiaggia, 1960) di S. Kramer non escludono ipotesi catastrofiche circa l'avvenire della specie umana.
Svariate cause faranno temere che la f. e il cinema siano in procinto di divorziare a favore di un connubio che privilegia la serialità televisiva; avviene invece una rifertilizzazione inattesa, di cui è anticipatrice l'ariosa maestosità figurativa e la tensione poetica di 2001: a space odyssey (2001: odissea nello spazio, 1968) di S. Kubrick. Tornata a nuova vita, la f. cinematografica tende a riguadagnare credito sui grandi schermi, convertendosi a un'estetica degli effetti speciali, che questa volta poggia su imponenti cardini finanziari e su sofisticate apparecchiature elettroniche.
I macchinari più prodigiosi diventano i coprotagonisti di saghe rutilanti e manichee (Star wars, Guerre stellari, 1977, di G. Lucas, e Empire strikes back, L'impero colpisce ancora, 1980, di I. Kershner), e l'estro scenografico si applica a descrivere, per altri versi, l'angoscioso degrado delle metropoli (Escape from New York, 1997, Fuga da New York, 1981, di J. Carpenter, e Blade Runner di R. Scott, 1982), e creature mostruose proprie del genere ''horror'' (Alien, 1979, di R. Scott).
Gli elementi costitutivi della f. cinematografica sempre più si confondono con i tratti caratteristici di altri generi: nelle favole moderne di S. Spielberg, per es. (Close encounters of the third kind, Incontri ravvicinati del terzo tipo, 1977, ed E. T., 1982), traspare una bonaria filosofia dei rapporti con gli alieni. Negli anni Ottanta sopraggiungono a movimentare il panorama americano mutanti ed esseri per metà umani e per metà robot. Personificazione del Bene e del Male in lotta perenne, i nuovi eroi con i loro nomi metallici danno il titolo a film che, confortati da uno straordinario successo commerciale, generano sequels: Terminator (1984, 1991) di J. Cameron, Highlander (1986, 1990) di R. Mulcahy, Predator di J. Mc Tiernan (1987) e St. Hopkins (1990), Robocop di P. Verhoeven (1987) e I. Kershner (1990). Qui il ricorso a trucchi mirabolanti si accompagna alla violenza delle situazioni, a una forte carica di distruttività e a un impianto narrativo fumettistico. Degni di menzione sono alcuni film europei, lodevoli soprattutto per qualità artistiche: gli inglesi The damned (Hallucination, 1961) di J. Losey, The war game, 1966, di P. Watkins; i francesi Alphaville, une étrange aventure de Lemmy Caution (Agente Lemmy Caution: missione Alphaville, 1965) di J.P. Godard, e Fahrenheit 451 di F. Truffaut (1966); La jetée (La rampa, 1964) di K. Marker; gli italiani La decima vittima di E. Petri, e I cannibali di L. Cavani (1969); i sovietici Solaris (1972), Stalker (1979) e Sacrificatio (1987) di A. Tarkovskij, e Pis'ma mërtogo čeloveka (Lettera di un uomo morto, 1986) di K. Lopusănskij.
Bibl.: J. Siclier, A. S. Labarthe, Images de la science fiction, Parigi 1958; S. Sontag, L'immagine del disastro, in Contro l'interpretazione, Milano 1967; L. Gasca, Fantascienza e cinema, ivi 1972; C. J. Baxter, Science fiction in the cinema, New York 1974; G. Mongini, Cinema e fantascienza, Roma 1977; C. Asciuti, F. Carlini, G. Fumagalli, Effetto macchina, Milano 1978; B. Vian, Cinema e fantascienza, ivi 1980.