fanteria
Dai testi di cancelleria fino agli scritti della maturità, M. ha sempre considerato la f. come «il fondamento e il nervo dello esercito» (Discorsi II xviii 11). Questa convinzione gli viene sia dall’esempio dei Romani sia da quello, moderno, degli svizzeri. Nell’Arte della guerra svilupperà un accenno già presente in Principe xxvi 22: è necessario, per superare le f. svizzere e spagnole, trovare «uno ordine terzo» della f., che «potrebbe non solamente opporsi loro, ma confidare di superargli».
Nella Cagione dell’ordinanza, M. spiega quale ragione spinga a cominciare dai fanti del contado:
sanza dubbio egli è più facile introdurre milizia a piè che a cavallo, e è più facile imparare ad ubbidire che a comandare. E perché la vostra città e voi avete ad essere quelli che militiate a cavallo e comandiate, non si poteva cominciare da voi, per essere questa parte più difficile; ma bisognava cominciare da chi ha ad ubbidire e militare a piè: e questo è el contado vostro (§§ 9-10).
L’argomento della maggiore facilità è chiaramente volto a convincere i cittadini che diffidano dell’ordinanza; la certezza di M. è appunto che, quando, «sanza confusione e sanza pericolo» (§ 8) «questo ordine [sarà] bene ordinato nel contado» (§ 40) sarà facile introdurlo nella città e, rivolgendosi ai fiorentini, egli dichiara: «vi avvedrete ancora a’ vostri dì che differenzia è avere de’ vostri soldati per elezione e non per corruzione, come avete al presente» (§ 40). Nella Provisione della ordinanza, l’argomento è fondato sulle reiterate esperienze di quanto siano inaffidabili le «armi esterne», e in particolare le f. (§ 1). Ma l’analisi di fondo di M. è di ordine storico e militare e viene sviluppata a più riprese.
Nel Principe, M. spiega la ragione storica dell’abbandono della f. a opera dei condottieri italiani:
L’ordine che gli hanno tenuto è stato prima, per dare reputazione a loro proprii, avere tolto reputazione alle fanterie: feciono questo perché, sendo senza stato et in sulla industria, e pochi fanti non davano loro reputazione e gli assai non potevano nutrire; e però si redussono a’ cavagli, dove con numero sopportabile erano nutriti et onorati (xii 32).
Affidarsi alle armi mercenarie, invece di mettere in ordine le necessarie armi proprie, ha prodotto questo risultato: ha «tolto reputazione alle fanterie», che invece erano per i Romani e, nei tempi moderni, per gli svizzeri (e per i francesi con l’ordinanza delle f. di Carlo VII, purtroppo spenta da «Luigi suo figliuolo»: Principe xiii 18-19), il fondamento stesso di un buono esercito («chi vuole fare uno esercito buono, [...] si debbe fondare più in su le fanterie che in su’ cavagli»: Discorsi II xvii 34).
L’idea avanzata nel Principe viene ripresa in modo chiarissimo nei Discorsi, dove l’espressione «peccati de’ principi italiani», adoperata in Principe xii 9 per indicare genericamente il rifiuto di munirsi di armi proprie, ritorna e viene esplicitata a proposito della supremazia della cavalleria (→) sulla f.:
Ed infra i peccati de’ principi italiani, che hanno fatto Italia serva de’ forestieri, non ci è il maggiore che avere tenuto poco conto di questo ordine, ed avere volto tutta la sua cura alla milizia a cavallo (Discorsi II xviii 12).
Tutto il capitolo xviii, intitolato Come per l’autorità de’ Romani, e per lo esemplo della antica milizia, si debba stimare più le fanterie che i cavagli, tende a dimostrare come «i romani in tutte le militari azioni estimassono più la milizia a piede che a cavallo, e sopra quella fondassino tutti i disegni delle forze loro». E M. dà una serie di ragioni tecnico-militari della giustezza di questa scelta: il fante può andare in posti in cui il cavallo non potrebbe andare; i fanti possono «servare l’ordine», il che non possono fare i cavalieri. Quest’analisi è corroborata, scrive M.,
dalla autorità di coloro che danno delle cose civili regola: dove ei mostrano come in prima le guerre si cominciarono a fare con i cavagli, perché non era ancora l’ordine delle fanterie; ma come queste si ordinarono, si conobbe subito quanto loro erano più utili che quelli (xviii 10).
L’«autorità» è probabilmente Aristotele (Politica 1297b), come suggerisce Francesco Bausi (ed. nazionale, 2001, ad loc.), ma il ruolo determinante della f. è comunque provato da esempi antichi e moderni. L’esempio più spesso ‘allegato’ da M. è la vittoria degli svizzeri a Novara contro l’esercito francese. Lo cita in II xvii 40, xviii 27 e xix 3 dei Discorsi:
Quando si sarebbe potuto persuadere uno Italiano, da trenta anni in dietro che diecimila fanti potessono assaltare in un piano diecimila cavagli ed altrettanti fanti, e con quelli non solamente combattere ma vincergli, come si vide per lo esemplo da noi più volte allegato, a Novara? (xix 3).
Gli svizzeri sono, nei tempi moderni, l’esempio da seguire, e ci si ricorderà che la Provisione della ordinanza prevedeva che i fanti del contado venissero esercitati dai loro connestabili «secondo la milizia e ordine de’ Tedeschi» (Provisione § 38). È da notare però che nel Ritratto delle cose della Magna M. metteva in evidenza alcune debolezze dell’ordine tedesco, a proposito del loro rifiuto di proteggersi con armature («Le fanterie sono bonissime [...]; ma non si armono o pochi, con altro che con la picca o daga, per essere più destri, espediti e leggeri»: § 46) e della loro incapacità a espugnare e difendere una città («Sono ottime gente in campagna a fare giornata, ma per espugnare terra non vagliono, e poco nel defenderle»: § 48).
L’exhortatio finale contenuta in Principe xxvi a liberare l’Italia dai barbari definisce il compito dell’auspicato «redentore d’Italia», che saprà appunto «redimere» i peccati politici e militari dei principi italiani. Ora, M. esprime in modo chiarissimo tale compito: «è necessario innanzi a tutte le altre cose, come vero fondamento d’ogni impresa, provedersi d’arme proprie, perché non si può avere né più fidi, né più veri, né migliori soldati» (§ 20). Ma appunto questa definizione in universali non basta; il capitolo definisce più precisamente cosa significhi «provedersi d’arme proprie» nel momento storico considerato e non a caso si tratta di ordinare una fanteria nuova, «uno ordine terzo» che eviti le debolezze delle fanterie spagnole e svizzere:
E benché la fanteria svizzera e spagnuola sia essistimata terribile, nondimanco in ambedua è difetto per il quale uno ordine terzo potrebbe non solamente opporsi loro, ma confidare di superargli. Perché gli spagnuoli non possono sostenere e’ cavagli, e e’ svizzeri hanno ad avere paura de’ fanti quando gli riscontrino nel combattere obstinati come loro: donde si è veduto, e vedrassi, per esperienza, li spagnuoli non potere sostenere una cavalleria franzese e e’ svizzeri essere rovinati da una fanteria spagnuola (§§ 22-23).
Un saggio di quest’ultima ipotesi è stato dato, secondo M., dalla sanguinosa battaglia di Ravenna (→), combattuta l’11 aprile 1512, durante la quale l’esercito francese comandato da Gaston de Foix, i cui fanti erano tedeschi, ebbe la meglio sulle truppe della lega Santa, la cui forza principale era formata da truppe spagnole: nonostante la sconfitta finale, la f. spagnola riuscì a ritirarsi in ordine e lo stesso de Foix perse la vita durante una carica della cavalleria francese eseguita per tentare di disordinare appunto i fanti di Pedro Navarra. L’analisi di M. e il confronto tra fanti tedeschi e fanti spagnoli evidenziano la forza superiore degli iberici:
E benché di questo ultimo non se ne sia visto intera esperienza, tamen se ne è veduto uno saggio nella giornata di Ravenna, quando le fanterie spagnuole si affrontorno con le battaglie tedesche, le quali servano el medesimo ordine che e’ svizzeri: dove li spagnuoli, con la agilità del corpo e aiuto de’ loro brocchieri, erano entrati tra le picche loro sotto, e stavano sicuri ad offendergli sanza che e’ tedeschi vi avessino remedio; e se non fussi la cavalleria che gli aiutò, gli arebbono consumati tutti (§ 24).
Lo svolgimento della battaglia di Ravenna sarà ripreso in termini simili in diversi luoghi dei Discorsi (II xvi 26, xvii 22) e dell’Arte della guerra (II 66), e anche Francesco Guicciardini, in Storia d’Italia X xiii (ed. S. Seidel Menchi, 2° vol., 1971, pp. 1030-41), darà una descrizione molto simile del combattimento tra le due fanterie. Bisogna però ricordare che nel § 50 del Ritratto delle cose della Magna M. parla della battaglia di Ravenna per dimostrare la bontà delle f. tedesche («se, nella giornata di Ravenna tra e’ Franzesi e ’ Spagnuoli, e’ Franzesi non avessino avuto e’ lanzcheneche, arebbono perso la giornata»). Ma ciò che qui maggiormente interessa è la conclusione nel Principe:
Puossi adunque, conosciuto il difetto dell’una e dell’altra di queste fanterie, ordinarne una di nuovo la quale resista a’ cavalli e non abbia paura de’ fanti: il che lo farà la generazione delle arme e la variazione delli ordini (xxvi 25).
Per M., il modello iniziale per la f. è indubbiamente quello, storico, degli svizzeri, ma l’insegnamento tratto dal confronto della milizia alla tedesca con la moderna f. spagnola porta M. a una certa evoluzione nella propria riflessione che ridà maggior vita al modello romano in una prospettiva tutta contemporanea e ben lungi dall’essere ‘antiquaria’: si tratta, infatti, di pensare un’ibridazione delle qualità delle f. settentrionali, iberiche e romane al servizio dell’auspicata nascita di una f. tutta italiana. In che cosa effettivamente consistano «la generazione delle arme e la variazione delli ordini» sarà quindi spiegato nell’Arte della guerra.
Qui, nel secondo libro, M. evoca ancora la battaglia di Ravenna e risponde molto precisamente alla questione della «generazione delle arme»:
FABRIZIO [...] Ciascuno sa quanti fanti tedeschi morirono nella giornata di Ravenna; il che nacque dalle medesime cagioni: perché le fanterie spagnuole si accostarono al tiro della spada alle fanterie tedesche, e le arebbero consumate tutte, se da’ cavagli franzesi non fussero i fanti tedeschi stati soccorsi; nondimeno gli Spagnuoli, stretti insieme, si ridussero in luogo securo. Concludo, adunque, che una buona fanteria dee non solamente potere sostenere i cavagli, ma non avere paura de’ fanti; il che, come ho molte volte detto procede dall’armi e dall’ordine.
COSIMO Dite, pertanto, come voi l’armeresti.
FABRIZIO Prenderei delle armi romane e delle tedesche, e vorrei che la metà fussero armati come i Romani e l’altra metà come i Tedeschi. Perché, se in seimila fanti, come io vi dirò poco di poi, io avessi tremila fanti con gli scudi alla romana e dumila picche e mille scoppiettieri alla tedesca, mi basterebbono; perché io porrei le picche o nella fronte delle battaglie, o dove io temessi più de’ cavagli; e di quelli dello scudo e della spada mi servirei per fare spalle alle picche e per vincere la giornata, come io vi mostrerò. Tanto che io crederrei che una fanteria così ordinata superasse oggi ogni altra fanteria (§§ 66-71).
Si nota innanzitutto che la finzione del dialogo riprende raccomandazioni logistiche già presenti nella Provisione del 1506 nella quale si chiedeva che vi fossero sempre nel palazzo «almeno dumila petti di ferro, 500 scoppietti e 4 mila lance» (§ 30). Si vede anche che le due questioni fondamentali per ordinare una buona f. procedono, esattamente come nel Principe, «dall’armi e dall’ordine». Se la questione delle armi è posta con chiarezza e sviluppata lungo tutto il secondo libro, quella della «variazione delli ordini», benché meno ovvia da spiegare militarmente, è anch’essa presente in diversi luoghi del testo e uno di questi è molto vicino a quello che abbiamo appena citato, quando Fabrizio Colonna spiega appunto (riprendendo argomenti che abbiamo già letti in Discorsi II xviii 79) «quale ordine o quale virtù naturale fa che i fanti superano la cavalleria»:
Sono più tardi a ubbidire, quando occorre variare l’ordine, che i fanti; perché, s’egli è bisogno o andando avanti tornare indietro, o tornando indietro andare avanti, o muoversi stando fermi, o andando fermarsi, sanza dubbio non lo possono così appunto fare i cavagli come i fanti (Arte della guerra II 88).
Un altro passo è importante per capire il significato della «variazione delli ordini»: si tratta di uno scambio di battute tra Luigi Alamanni e Fabrizio Colonna dopo la descrizione della battaglia modello del terzo libro. Alla domanda di Luigi che vuole sapere se l’esercito si deve sempre disporre nello stesso modo quando si prepara a combattere («Useresti voi sempre questa forma di ordine [...]?»), Fabrizio risponde: «No, in alcun modo: perché voi avete a variare la forma dell’esercito secondo la qualità del sito e la qualità e quantità del nimico» (§§ 172-73). Potrebbe anche trattarsi (è ciò che pensa Plinio Carli nel commento al Principe, in Le Opere maggiori di Niccolò Machiavelli, 1928) del modo in cui Romani e Greci rifacevano le loro righe durante la battaglia, modo descritto da Fabrizio, all’inizio del libro terzo; ma bisogna notare che in questo caso M. utilizza sistematicamente l’espressione «modo di (a) rifarsi» (§§ 18, 20, 21, 30) e mai «variazione» o «variare delli ordini». Tuttavia, e questo può forse indurre a prendere per buono anche quest’ultimo senso, troviamo un passo il cui parallelismo con quello del Principe xxvi 25 è notevole e dove M. spiega che, quando i Romani ebbero a combattere contro le falangi greche «sempre queste furono consumate da quelle, perché la generazione dell’armi, come io dissi dianzi, e questo modo di rifarsi, poté più che la solidità delle falangi» (§ 30).
Un ultimo punto è da sottolineare. Per M. i fanti sono «il fondamento e il nervo» di ogni buon esercito, tesi logicamente connessa a quella della potenza delle popolazioni armate, ed è necessario rompere con la tradizione della milizia italiana, che ha sminuito il loro ruolo, e ordinarli in modo che possano far prova della loro virtù. Ma non bisogna pensare per questo che M. ignori l’importanza della cavalleria:
Non è per questo però che i cavagli non siano necessarii negli eserciti, e per fare scoperte, per iscorrere e predare i paesi, per seguitare i nimici quando ei sono in fuga, e per essere ancora in parte una opposizione ai cavagli degli avversari (Discorsi II xviii 11).
o quella dell’artiglieria (compresi gli ‘scoppietti’ di cui bisogna appunto munire i fanti).
Bibliografia: M.L. Lenzi, Fanti e cavalieri nelle prime guerre d’Italia (1494-1527), «Ricerche storiche», 1977, 7, 1, pp. 7-92 e 1978, 8, 2, pp. 359-41; V.D. Hanson, The western way of war, infantry battle in classical Greece, Oxford 1990; B. Wicht, L’idée de milice et le modèle suisse dans la pensée de Machiavel, Lausanne 1995; T.J. Lukes, Martialing Machiavelli: reassessing the military reflections, «The journal of politics», 2004, 66, pp. 1069-1108; D. Potter, Renaissance France at war: armies, culture and society, C.1480-1560, Woodbridge 2008; A. Guidi, Dall’Ordinanza per la Milizia al Principe: “ordine de’ Tedeschi” e “ordine terzo” delle fanterie in Machiavelli, intervento al seminario Machiavelli tra politica e storia, Firenze 2013, in corso di stampa.