VALLARESSO, Fantino
VALLARESSO (Valaresso), Fantino. – Figlio di Vittore, di nobile famiglia veneziana, nacque a Venezia, con ogni probabilità negli anni 1392/1393. L’identità di sua madre non è conosciuta. Fu zio di Maffeo, arcivescovo di Zara (1450) e di suo fratello, Jacobo Vallaresso, vescovo di Capodistria (1482).
Le prime notizie su Fantino risalgono al 1412, quando è ricordato come studente di arti (scolaris artium) dell’Università di Padova. Tra Venezia e Padova, si trovò nelle condizioni ideali per frequentare esponenti dell’umanesimo veneto, come Guarino Veronese, del quale fu verosimilmente allievo, apprendendo la lingua greca e latina nella scuola fondata da Guarino a Venezia nel 1414. Quale clericus diocesis Castellanensis, e prima di raggiungere l’età di ventitré anni, il 28 aprile 1415, Vallaresso fu promosso dall’antipapa Giovanni XXIII, con dispensa super defectu aetatis (il che suggerisce la sua nascita negli anni 1392/1393; Degli Agostini, 1752, pp. 269 s.), al vescovado di Parenzo, nomina che fu poi confermata da Martino V il 21 novembre 1417. Con questo titolo Fantino è infatti citato nel periodo 1417-19 come testimone di lauree dagli Acta graduum academicorum Gymnasii Patavini (a cura di C. Zonta - G. Brotto, I, Padova 1970, ad ind.).
Negli anni successivi, Vallaresso cercò senza successo di essere nominato vescovo di Torcello (1418), di Zara (1420) e di Traù (1423). Per quest’ultima sede ottenne i voti del Senato veneziano, ma Martino V decise invece di trasferirvi da Arbe (in Dalmazia) il vescovo Marino Carnota. Tuttavia, qualche anno dopo, il 5 dicembre 1425, lo stesso papa promosse Vallaresso all’arcivescovado di Creta al posto di Pietro Donà, a sua volta trasferito alla sede vescovile di Castello a Venezia. L’arrivo a Creta, avvenuto nella primavera del 1426, è attestato dai registri del Senato, che in quell’occasione raccomandò al duca di Candia di favorire l’installazione e la sistemazione di Vallaresso nella nuova sede.
Durante il pontificato del papa veneziano Eugenio IV (1431-47), Vallaresso intraprese un’importante carriera diplomatica. Quale legato a latere, egli fu inviato al Concilio di Basilea (1434), dove si schierò con la posizione dei conciliaristi in merito alla supremazia del Concilio sul papa. Egli celebrò anche la messa dedicata allo Spirito Santo nella diciassettesima sessione. Successivamente, si recò presso l’imperatore Sigismondo di Lussemburgo, in Borgogna e ad Avignone (1435-38), con il compito di convincere le corti europee ad appoggiare il progetto del papa di spostare il Concilio in una nuova sede. Vallaresso godette della stima di Eugenio IV che nello stesso periodo (1437) gli conferì il titolo di penitenziere maggiore (Summe Penitentiarie officium), solitamente concesso ai soli cardinali (così come quello di legato a latere).
Sempre nella veste di legato pontificio, Vallaresso prese parte al Concilio di Ferrara-Firenze (1438-39) e firmò il Decreto dell’Unione delle Chiese († Ego Fantinus Archiepiscopus Cretensis subscripsi: Mansi, 1901, col. 1698).
La considerazione della quale Vallaresso godeva presso Eugenio IV si riflette anche nelle Memorie di Silvestro Syropoulos, grande ecclesiarca della Chiesa di Costantinopoli, quando lo cita come uno dei più intimi consiglieri del papa durante il Concilio.
Subito dopo la conclusione dei lavori conciliari, il 18 settembre 1439, Eugenio IV nominò Vallaresso legato apostolico per tutta l’isola di Creta, affidandogli l’incarico della divulgazione delle decisioni conciliari e dell’applicazione del decreto fiorentino. Lo stesso papa doveva essere consapevole delle reazioni che l’Unione avrebbe provocato in Oriente, dato che l’8 marzo 1440 gli scrisse di gestire la situazione con prudenza, flessibilità ed efficacia. Con tale intento e invitato dal patrizio veneziano Marino Falier e da Paolo Dotti di Padova, nel 1442 Vallaresso scrisse l’opera De ordine generalium seu oecumenicorum conciliorum et comprobatione sanctae unionis ecclesiarum Christi.
L’opera è ispirata dal trattato dottrinale del padre domenicano Filippo De Pera ed è articolata in 73 capitoli che hanno come asse centrale le cinque decisioni prese da greci e latini al Concilio di Firenze: a) la processione dello Spirito Santo anche dal Figlio; b) la liceità dell’aggiunta del Filioque nel simbolo di fede; c) la pari validità del pane azimo e fermentato ai fini della transustanziazione; d) l’esistenza del Purgatorio; e) il primato pontificio. Vallaresso non mancava di sottolineare le difficoltà incontrate nel corso della sua missione, dovute a certe persone «maligne», «manipolatori della verità» (Schultze, 1944, p. 3), che esortavano i locali a negare l’Unione. L’opera, che si conclude con un epinicio dell’Unione raggiunta tra greci e latini, non rientrava nella vasta tradizione di testi polemici di argomento teologico pubblicati in quel periodo da entrambe le parti, ma intendeva essere un trattato di apologetica pastorale, con il fine di favorire un’autentica pacificazione religiosa tra i cristiani.
D’altra parte – contrariamente a quanto Vallaresso avrebbe voluto – i problemi che la sua missione provocò inizialmente a Creta emergono in una lettera inviatagli da un prete cretese di nome Gratianos che aveva aderito all’Unione, ma che ben presto si era trovato ad affrontare seri problemi economici e una vera e propria discriminazione sociale.
Grazie alla presenza di Vallaresso e poi alla successiva missione del padre domenicano Simon De Candia (1437-57) a Creta, il papa Pio II negli anni 1462-63, e per mediazione del cardinale Bessarione, approvò il sussidio economico di trecento ducati annui per dodici preti unionisti dell’isola, con il compito di mantenere viva l’Unione.
Vallaresso morì a Creta il 18 maggio 1443. L’iscrizione funeraria (oggi scomparsa) della sua tomba nella cattedrale di S. Tito in Candia riassumeva così i suoi meriti: «Ossa | Fantini Valaressi, Veneti patricii, archiepiscopi Cre | tensis et Legati apostolici, cuius virtutem atque doctrinam | due sensere sinodi, Basiliensis et Ferrariensis. Certis | sima quoque testis insula hec, cuius incommoda velut optimus | parens liberalitate, veteres errores scriptis et lingua, | mores tam exemplo quam predicationibus emendavit. | Decessit autem ipse presul in M CCCC XLIII, die XVIII Maii». Questa iscrizione era stata poi ricopiata nel codice Taurin. lat. H. III. 8 – andato distrutto nell’incendio della Biblioteca Universitaria di Torino nel 1904 – insieme all’orazione commemorativa tenuta a Candia dal frate minore Giacomo di Alessandria (Oratio in funere reverendissimi patris et domini domini Fantini Valaressi Veneti patritii, archiepiscopi Cretensis et legati apostolici, per venerabilem virum et sacre theologie magistrum Fratrem Jacobum de Alexandria ordinis minorum).
Gli succedette nella carica arcivescovile Fantino Dandolo (1379-1459), cui per lungo tempo – a partire da Giovanni Degli Agostini (1752) – fu attribuito a causa dell’omonimia un opuscolo di catechismo (Compendium pro instructione fidei), composto da Vallaresso. Ci si era basati infatti soltanto sull’incipit delle edizioni quattrocentesche a stampa (Incipit compendium reverendissimi in Christo patris et domini domini Fantini Dandulo, archiepiscopi Cretensis, pro catholice fidei instructione...). Tuttavia, come dimostrato in base al codice Rossiano 372 (copiato all’inizio del XV secolo), il proemio dell’opera rivela il nome del vero autore (Ego Fantinus Valaresso Archiepiscopus Cretensis licet indignus hoc pro fidei catholicae instructione breve compendium compilavi; Peri, 1983, pp. 57-62). L’opera contiene 43 capitoli (tra i quali anche trattazioni de articulis fidei, de sacramentis ecclesie, de 7 peccatibus mortalibus, de virtutibus e altre ancora) e rientra nella tradizione manualistica per la cura pastorale (come il contemporaneo, e simile per il contenuto, Confessionale, o Summula confessionis, di Antonino Pierozzi, arcivescovo di Firenze (1389-1459).
Vallaresso godette della stima di diversi personaggi di spicco, quali Bessarione, Niccolò Da Cusa, Giuliano Cesarini, Bartolomeo Zabarella, Ambrogio Traversari. Della sua corrispodenza epistolare sono conservate le copie di alcune lettere nei codici Barb. lat. 878 e Barb. lat. 1809 della Biblioteca apostolica Vaticana.
Come mittenti o destinatari, troviamo il papa Eugenio IV, l’arcivescovo di Taranto Giovanni Berardi di Tagliacozzo, un misterioso metropolita di Costantinopoli ancora da identificarsi (B. AB. [...] Graecus quidam Metropolitanus de Constantinopoli) e il nipote Maffeo. Le lettere più note riguardano le missioni come legato pontificio di Eugenio IV presso le corti francesi e a Creta.
Il suo nome e le riforme del clero latino che egli promosse durante la sua carica arcivescovile sono più volte citati nel primo dei sinodi (1467) convocati da Girolamo Lando a Creta, riforme ora conservate nel codice 1211 (2707) del Civico Museo Correr di Venezia.
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