FANTONI (De Elefantonibus, De Faritonibus, De Fantonis)
Famiglia di intagliatori e scultori di Rovetta in Val Seriana (Bergamo), che dette origine ad una bottega attiva dal sec. XV al XIX nella produzione di arredi sia di chiese sia di ricche case borghesi. Alla base della ricerca documentaria sui vari membri della famiglia sono le numerose carte dell'archivio conservato nel Museo Fantoni a Rovetta (a questo archivio e al Museo si fa pertanto riferimento, anche per i disegni citati, quando non sia indicato diversamente).
A parte la presenza più antica di un Pagano, vivente nel 1310 (I. F. [cat.], 1978, p. 69), di cui non si sa nulla di più, il primo ricordato dalla tradizione è Bertulino, attivo negli anni 1460-62, membro dell'antica corporazione di legnaioli detta dei "capi novanta"; l'unica opera, peraltro molto rimaneggiata in seguito, che gli viene attribuita sono gli intagli e i bassorilievi lignei nella copertura del fonte battesimale della parrocchiale di Rovetta (già restaurata attorno al 1787 da Donato Andrea: ibid., p. 106).
La bottega restò attiva nei secc. XVI e XVII, ma dei membri della famiglia si hanno poche notizie e non sempre si conoscono le opere. Fra essi è ricordato Andrea detto Andriano (1563-1633), figlio di Donato, capo della bottega dove lavoravano anche i fratelli GiovanniAntonio e Ghidino (di ambedue non si conoscono le date di nascita e di morte; il 24 marzo 1596 firmavano un contratto per l'ornamento - perduto - della pala di S. Maria Maddalena nella pieve di Clusone: ibid., p. 107) e i figli Donato (1594-1664), che alla morte del padre gli subentrò nella direzione della bottega, e Grazioso.
La loro attività di scultori e intagliatori, per una vasta clientela nelle valli bergamasche, è testimoniata da vari documenti e da alcuni disegni per altari, ancone, organi e cori, ecc. Per Donato in particolare sono documentati pagamenti relativi a un'ancona per l'altare di S. Rocco nella parrocchiale di Onore (1633) e a un'altra per l'altare della Madonna del Suffragio nella parrocchiale di Gorno (1656): opere perdute (ibid., p. 108).
Dopo Donato di Andrea ereditò la bottega il figlio di lui e della moglie Caterina Marinoni (ibid., pp. 77 s.). Grazioso il Vecchio (nato a Rovetta il 28 nov. 1630), che troviamo citato nelle carte di Rovetta nel 1656 per lavori eseguiti con il padre e con il fratello Giambettino. Poco si conosce della sua formazione e della sua attività giovanile: soggiornò a Parma negli anni '70 presso il cugino don Andrea Fantoni, segretario economo del vescovo. Si ignora se durante questo periodo abbia eseguito dei lavori; comunque ottenne privilegi dai duchi Farnese e riuscì ad avere facilitazioni nei contatti con il mondo artistico e culturale parmense. Sono opere certe della sua maturità la cantoria della parrocchiale di Castione della Presolana (1683-84) e gli armadi della prima sacrestia della basilica di S. Martino in Alzano Maggiore (1679-80), opere di gusto barocco, apprezzate dal Tassi (1793, p. 51), che risentono stilisticamente sia della cultura milanese sia di quella degli intagliatori della Valcamonica, fra i quali Pietro Ramus, suo amico. Restano inoltre di lui numerosi disegni, di gusto raffinatissimo, per altari, armadi di sacrestia, cori. Morì a Rovetta il 5 apr. 1693.
Con Grazioso il Vecchio si verificò una svolta decisiva nella vita artistica della bottega: fino ad allora l'attività dei F., sempre citati come fabri lignarii, era stata limitata ad un ristretto ambito geografico e culturale, mentre con Grazioso il Vecchio, il primo ad essere definito magister, la produzione artistica ricevette un impulso tale da permettere alla bottega di operare per oltre un secolo in un'area più vasta, stringendo relazioni sempre più intense con Venezia e Milano, ma anche con Parma e, da qui, tramite i Farnese, con la cultura artistica romana. Questo allargarsi di orizzonti è testimoniato anche dalla cospicua collezione di disegni che cominciò a formarsi a Rovetta proprio con Grazioso il Vecchio.
È vero però che il nuovo corso da lui iniziato e poi sviluppato da suo figlio Andrea non si potrebbe spiegare senza il lavoro e la lunga tradizione familiare nella scultura e nell'intaglio ligneo.
Un cambiamento ancora più radicale si verificò con il passaggio dalla generazione di Grazioso il Vecchio a quella dei figli suoi e della moglie Bramina. Per Andrea, il più notevole artista dell'intera famiglia, cfr. la voce in questo Dizionario. Donato (Rovetta, 19 luglio 1662 - ivi, 15 apr. 1724), sposato con Giovanna Maria Pedrocchi di Rovetta, collaborò con un ruolo di piena responsabilità prima con il padre e poi con il fratello Andrea che egli sostituì, durante le sue assenze, nella direzione della bottega. Anch'egli, come Andrea, fu mandato a studiare dallo zio don Andrea Fantoni a Parma, città con la quale mantenne rapporti costanti, tornandovi spesso. Fu anche appassionato interprete musicale oltre che abile e stimato costruttore di strumenti.
GiovanniAntonio (Rovetta, 12 genn. 1669 - ivi, 7 apr. 1748), a causa delle scarse notizie d'archivio, è figura difficilmente delineabile, anche se è qualificato come "intagliatore".
Di Giovanni Bettino (Giambettino), nato a Rovetta il 26 nov. 1672, non si hanno notizie circa la formazione artistica, ma risulta che egli aveva iniziato a lavorare molto giovane nella bottega, dove mantenne sempre un posto di rilievo fino a divenirne il capo alla morte di Andrea (1734). Il Tassi (1793, p. 56) lo definisce "dopo Andrea il migliore nella franchezza del disegno e nel maneggio dei marmi". Se i ruoli delle varie personalità si confondono spesso nel voluto anonimato dei F., tuttavia da alcune carte risulta che Giambettino fu molto apprezzato per l'esecuzione di crocifissi: nel 1725 firmò insieme con Andrea quello di Vertova. Gli vengono attribuite le tre sculture in legno policromo per il santuario della Madonna della Neve presso Adro (1730); insieme col figlio Francesco Donato e col nipote Grazioso il Giovane, e in collaborazione con i Caniana eseguì il pulpito in legno della prepositurale di Sorisole (1746), sulla falsariga di quello di Andrea e di G. B. Caniana per S. Martino ad Alzano (1746). Morì a Rovetta il 20 luglio 1750.
Giovanni (Rovetta, 21 dic. 1674 - ivi, 15 maggio 1745) fu sicuramente tra i più validi collaboratori di Andrea, non solo nell'attività artistica ma anche nella gestione della bottega e nei rapporti con i committenti. Egli stesso in un documento si definisce "capomastro dell'arte di scoltore di pietra seu fabro petraro", ma non è possibile attribuirgli opere specifiche; nel suo testamento provvide a disporre lasciti particolari per fare studiare i nipoti, consigliando loro di allargare il raggio di azione "anco fuor di patria nell'arte di nostra professione". L'ultimo dei numerosi figli di Grazioso il Vecchio, Francesco (Rovetta, 2nov. 1677 - ivi, 8 maggio 1724), fu sacerdote e coltivò soprattutto le lettere.
Il patrimonio avito, anche se largamente superato in qualità dalla produzione di Andrea, non fu certo abbandonato, ma costituì la base essenziale per la costruzione del nuovo corso artistico e organizzativo della bottega alla fine del sec. XVII. La vastissima raccolta di disegni (oltre seimila: Rovetta, Museo Fantoni) aiuta a ricostruire l'ampia gamma di opere che la bottega era in grado di eseguire: altari, pulpiti, macchine per Quarant'ore, sepolcri, baldacchini, armadi da sacrestia, cantorie, cori, candelieri, reliquiari, cornici, ancone, crocifissi e persino disegni per paramenti liturgici. In pratica non vi era oggetto di arredo sacro che i F. non potessero produrre in legno, in marmo, in avorio, o in stucco.
È estremamente difficile e a volte impossibile distinguere le diverse personalità e attribuire con certezza la paternità delle singole opere, là dove manchino i documenti, in quanto la produzione è intenzionalmente di équipe, come tra l'altro confermano i contratti firmati indifferentemente dall'uno o dall'altro membro della famiglia e sempre anche a nome dei rispettivi fratelli. Le opere della bottega peccano talvolta di scarsa originalità, di soverchio cromatismo, di enfatizzazione dei caratteri propri del maestro Andrea; tuttavia va detto che l'eccezionale vitalità che caratterizzò la bottega sotto la sua direzione si deve anche alla costante collaborazione dei fratelli, giustamente scrive il Tassi (1793, p. 56): "le lodi però che si danno alla singolare virtù di Andrea, non diminuiscono punto il merito dei fratelli".D'altra parte, sempre più rilevante divenne l'intervento della bottega a partire dal terzo decennio del Settecento. Quasi esclusivamente di mano dei fratelli di Andrea sono i due altari per Brignano (1724-27), l'ancona per l'altare del Rosario di Capriolo (1724-25), il pulpito-confessionale di Clusone (1727), l'altare del Sacramento in S. Alessandro della Croce a Bergamo. Nelle opere del quarto decennio intervengono anche i nipoti: gli altari maggiori di Angolo (1731) e di Adro (1733), la statua del Sacro Cuore di Clusone (1732), la cassa d'organo di Ome (1735), l'altare della Madonna di Rovetta, iniziato da Andrea.
Va anche tenuta presente l'influenza dei committenti che spesso condizionavano le scelte e a volte la stessa riuscita di un lavoro; ciò spiega anche la ripetitività di molte opere, gli eccessi decorativi, certi ritardi sul gusto del momento. Questi aspetti si accentuano ulteriormente dopo la morte di Andrea (1734), tanto che può dirsi che la sua scomparsa segnò l'inizio di un costante declino.
Figlio di Donato di Grazioso il Vecchio e di Giovanna Maria Pedrocchi era Grazioso il Giovane (Rovetta, 30 apr. 1713 - ivi, 21 marzo 1798); dopo la morte del padre (1724) fu allevato dallo zio Andrea, che nutriva per lui una particolare predilezione, come è confermato dal testamento nel quale ricorda il nipote alla pari dei propri fratelli. Il suo ruolo nella bottega divenne molto importante subito dopo la morte di Andrea; egli continuò il rapporto di collaborazione con i Caniana e ne iniziò uno nuovo, con Carlo Girolamo Rusca, marmoraro e quadratore della Valcamonica, e alla morte dello zio Giambettino (1750), come dimostrano le carte d'archivio, si pose a capo della bottega, relegando i cugini Francesco Donato (Rovetta, 4 giugno 1726 - ivi, 22 febbr. 1787) e Giuseppe Grazioso (Rovetta, 19 febbr. 1731 - ivi, 15 febbr. 1781), figli di Giambettino e di Paola Bonicelli, in posizione di dipendenza, lasciando loro compiti marginali e avocando a sé il ruolo di scultore. La tensione fu tale che determinò una rottura ed ebbe un riflesso negativo sull'attività della bottega, come documentano, tra l'altro, le lettere scritte da Grazioso il Giovane al figlio Donato Andrea (cfr. voce in questo Dizionario) durante la permanenza di questo a Roma (1766-70). Di fatto la bottega si divise in due rami, con Grazioso il Giovane e Francesco Donato a capo dei rispettivi nuclei familiari. Tuttavia i due cugini, che già avevano collaborato con Giambettino e i Caniana al pulpito in legno di Sorisole, eseguirono insieme i rilievi in marmo per il pulpito della parrocchiale di Alzano (1751), dai bozzetti in creta di Andrea, e i lavori per completare la Via Crucis, già portata a buon punto da Beniamino Simoni, nella parrocchiale di Cerveno. Fu questa la commissione più importante della bottega dopo la morte di Andrea, accettata da Grazioso e Francesco Donato nel 1763; riguardava la realizzazione della cappella IX (Terza caduta), la statuaria in legno della VII (Gesù incontra le pie donne) e il compimento della X (Gesù abbeverato di fiele), dove il Simoni aveva abbozzato una sola figura (cfr. G. Ferri Piccaluga, in Atti del Convegno..., 1980, nota 51 a pp. 173 s., che riferisce di documenti dei Libri mastri della parrocchiale di Cerveno). Sono riferibili alla bottega fantoniana di quegli anni anche due ancone lignee per la parrocchiale di Ogna (1748 e 1753), due sculture lignee per l'altar maggiore di Sale Marasino (1753) e, assai più tardi, il Sepolcro di Ardesio (1770).
Il figlio secondogenito di Francesco Donato, Luigi (Rovetta, 30 luglio 1759 - ivi, 1788), dopo aver lavorato alcuni anni nella bottega paterna, "... portossi ... a Milano, e stette vari anni colà ad approfittarsi degli insegnamenti del celebre sig. Franchi [Giuseppe], direttore di quella Imperiale Accademia, il quale avendo in lui riconosciuta un'indole ottima ... lo prese ad assistere particolarmente. Quindi dopo le ore della consueta Accademia egli lo coltivava nel rimanente del giorno nel privato del suo studio. In questo tempo lavorò Luigi, come principiante, intorno al deposito del fu conte di Firmiano, opera bellissima del sig. Franchi, e da lui fu condotto a Mantova [1784] ... a ristorare e ad ordinare i marmi antichi di quell'Accademia" (Tassi, 1793, p. 56 n. 1). Nel 1785, per il concorso a un posto di statuarius nella fabbrica del duomo di Milano, eseguì come prova un bassorilievo in marmo "per ornamento sopra una delle portine delle andadore superiori" (I. F. ... [cat.], 1978, p. 96), ma non ottenne un incarico fisso.
Personalità tutt'affatto singolare fu Luigi, nato a Rovetta il 14 luglio 1789 dallo scultore Donato Andrea e dalla cugina di lui Paola Rosa Fantoni. Questi non praticò la tradizionale attività familiare e seguì invece per volontà del padre, dopo gli studi classici, quelli di giurisprudenza. Conseguita la laurea, esercitò quindi la professione di avvocato, ma di fatto si era formato una cultura di stampo, in certo modo, ancora illuminista, raffinata e versatile, con preminenza degli interessi letterari, filosofici e storico artistici (Rigon-Terzi, 1988, p. 21).
Bibliofilo appassionato, durante un soggiorno a Parigi (1811-1814) scovò fra i preziosi esemplari manoscritti e a stampa provenienti dalle spoliazioni francesi in Italia un manoscritto (Vat. 3199) della Divina Commedia, ritenuto di mano del Boccaccio, poi posseduto e postillato dal Petrarca e passato infine a Pietro Bembo, la cui autenticità è stata peraltro messa in dubbio da più di uno studioso (cfr. P. Colomb de Batines, Bibliografia dantesca, II, Prato 1848, pp. 161-165, che del codice dà una minuziosa descrizione).
Basandosi su questo codice, Luigi stampò qualche anno dopo (1820) nella tipografia da lui impiantata nella casa di Rovetta un'edizione della Commedia (3 voll. in 8°, 1820-23), cui ne affiancò un'altra singolarissima, a livello sperimentale, usando carte e inchiostri di diverso colore per ciascuna delle tre cantiche (un esemplare di questa è conservata nel Museo Fantoni di Rovetta). Dalla stamperia di Luigi, che aveva come stemma un elefante con una torre sul dorso, furono pubblicate in seguito diverse opere, per lo più poetiche ma anche di argomento storico e scientifico (cfr., per i titoli, Rigon-Terzi, 1988, pp. 32 s.; per la tipografia fantoniana, cfr. anche Rota, 1934, pp. 269-277).
Animato dal desiderio di conservare e tramandare la memoria storica dell'immensa e secolare produzione della famiglia, ne affrontò sistematicamente lo studio, esaminò e riordinò le carte dell'archivio della bottega, redasse le Note di famiglia, conservate nell'archivio del Museo Fantoni a Rovetta, "un dettagliato manoscritto ... che riporta tutti i riferimenti documentari della propria famiglia partendo dalle origini" (I F.... [cat.], 1978, p. 69).
Si deve a lui anche un catalogo ragionato, assai prezioso, benché incompleto, che insieme con le Note costituisce il primo razionale tentativo di storicizzazione dell'opera fantoniana. Inoltre si adoperò con molta dedizione e molti personali sacrifici, anche economici, per l'arricchimento del patrimonio librario della casa di Rovetta nonché della "raccolta fantoniana di scoltura e d'intagli", tramite oculati acquisti di opere fantoniane sparse nelle valli bergamasche o in altri luoghi (Rigon-Terzi, 1988, p. 39).
Luigi morì a Bergamo il 25 ott. 1874.
Si deve perciò a Luigi se la casa-bottega di Rovetta, nella quale la famiglia visse e operò costantemente attraverso i secoli, cominciò a prendere la fisionomia, attualmente conservata, di "casa museo". Già il Tassi (1793, pp. 54 s.) scriveva: "ma che dirò io delle opere eccellenti, che ornano alcune stanze della loro abitazione in Rovetta, le quali certamente paragonar si possono ad una celebre galleria". La casa, che con il suo arredamento offre quasi un campionario della produzione "laica" dei F., ospita l'archivio di famiglia, strumento indispensabile per qualsiasi ricerca sull'attività della bottega e dei singoli, e inoltre una ricchissima raccolta di disegni che comprende sia i numerosi fogli, bozzetti, ecc., dei F. stessi sia i disegni di altri artisti di varie epoche da loro raccolti in acquisizioni successive (cfr. Corpus graphicum Bergomense, 1969-70, U. Ruggeri, I F. collezionisti di disegni antichi, in Atti, 1980, pp. 231-243; per il significato particolare dei disegni a carattere architettonico cfr. G. Colmuto Zanella, in I F. ... [cat.], 1978, pp. 414 ss.).
Rami collaterali della famiglia F. sono documentati già agli inizi del '400 in altri centri lombardi e altrove nell'Italia settentrionale. Un ramo, staccatosi con tutta probabilità dal nucleo di Rovetta, si stabilì a Rosciano dove rimase fino alla metà del '700. Tra gli artisti dì questo gruppo - nessuno di grossa levatura - si ricordano in particolare Donato, scultore attivo a Bergamo tra la fine del '400 e gli inizi del '500 (cfr. ibid., pp. 71 s., 106, 173 ss.), e Antonio, anch'egli scultore, attivo a Bergamo agli inizi del sec. XVII (ibid., pp. 72 s.).
Un altro ramo si stabilì a Venezia, dove è memoria di Venturino di Giovanni, ivi attivo tra il 1517 e il 1524 con i figli Giovanni, Bernardo e Giacomo detto Colonna o delle Colonne (Venezia 1504-Bologna 1540): viene loro attribuito, ma senza appoggio di documenti, l'altare maggiore della chiesa di S. Rocco a Venezia (ibid., pp. 74 s., 106). Giacomo è citato da G. Vasari (Le vite ... [1568], a cura di G. Milanesi, VII, Firenze 1881, pp. 510, 514 s.) fra gli allievi del Sansovino; sembra aver collaborato fino al 1532 anche alla decorazione della Scuola di S. Rocco (I F.... [cat.] 1978, pp. 74, 106). Su disegno del Sansovino eseguì una statua in pietra, S. Lorenzo, per la tribuna della cantoria della chiesa del Salvatore (1530); per S. Croce della Giudecca scolpì in marmo un Cristo risorto (1530-32), poi disperso; nel 1533 eseguì due statue in stucco, S. Antonio e S. Daniele, per la cappella di S. Antonio nella basilica del Santo a Padova. È poi documentata la sua collaborazione all'altare maggiore della chiesa della Madonna di Galliera a Bologna, negli anni 1538-40, sempre nella bottega del Sansovino (distrutto). Il Vasari ne loda le capacità artistiche e gli attribuisce altre opere, disperse o non rintracciate, a Venezia (cfr. anche Thieme-Becker, pp. 261, per Giacomo, 262 per Venturino).
Fonti e Bibl.: Fondamentale è il catalogo della mostra (tenutasi a Bergamo) I F., quattro secoli di bottega di scultura in Europa, Vicenza 1978 (con spoglio del materiale documentario conservato a Rovetta nell'archivio del Museo Fantoni, e la bibl. fino al 1974). Cfr. inoltre e in particolare: A. M. Pedrocchi, Donato Andrea Fantoni. Diario di viaggio e lettere (1766-1770), Bergamo 1977, passim; M. F. Tassi, Vite de' pittori, scultori e architetti bergamaschi, Bergamo 1793, II, pp. 51-57; G. Rota, Andrea Fantoni..., Bergamo 1934, pp. 1-30, 181-223, 260-285 e passim; Corpus graphicum Bergomense, I-II, Bergamo 1969-1970, ad Indices; G. Ferri Piccaluga, La vita di una bottega di intagliatori e scultori ... nei secoli XVIII-XIX. I. F. di Rovetta, in Indice per i beni culturali del territorio ligure, III (1978), 12-13, pp. 22-25; Atti del Convegno di studio "I. F. e il loro tempo" (1978), Bergamo 1980; G. Cirillo-G. Godi, Il mobile a Parma ... 1600-1860, Parma 1983, ad Indicem; M. Lorandi, Le "rappresentazioni" macabre nella prima e nella seconda sacrestia di Alzano e nella cultura figurativa dei F., in Secondo Convegno internaz. di studi sulla danza macabra. Relazioni, Clusone 1987, pp. 117 s.; L. Rigon-T. Terzi, La bottega dei F . .... Clusone 1988 (dove, alle pp. 11-54, uno studio particolareggiato è dedicato alla personalità e all'attività di Luigi di Donato Andrea, con la relativa bibl.); M. Lorandi, Addenda fantoniana, in Osservatorio delle arti, 1989, 3, pp. 64-71; V. Terraroli, in Settecento lombardo (catal.), Milano 1991, pp. 292, 305-312; U. Thieme-F. Becker, Künstlerlexikon, XI, pp.259-262, ad voces.