FARDOLFO (Fardolfus, Fardulfus)
Longobardo di stirpe, senza dubbio nato in Italia ed appartenente a nobile famiglia, probabilmente ecclesiastico di condizione, per volontà di Carlo Magno divenne nel 792 abate del monastero regio di St-Denis presso Parigi, succedendo al defunto abate Maginario. Ponendolo al governo di uno dei più prestigiosi cenobi del Regno, il sovrano franco avrebbe inteso premiarlo per l'opera da lui svolta in un momento di grave pericolo per il suo governo e per la sua stessa persona: "ipse ob merituin fidei servatae monasterio Sancti Dionysii donatus est" (Annales qui dicuntur Einhardi, ad ann. 792, p. 93).
I cosiddetti Annales Einhardi e le altre compilazioni, che da essi dipendono, riferiscono che nel 792 a Ratisbona, dove Carlo Magno si trovava allora per passarvi l'estate, alcuni nobili franchi, insofferenti in particolare dell'autoritarismo della regina Fastrada, si erano accordati segretamente per uccidere il sovrano: a capo del complotto vi era Pipino il Gobbo, figlio del re e della concubina di questo, Imiltrude. La congiura, la cui storicità è confermata dalla Vita Karoli di Eginardo (Einhardi Vita Karoli Magni, a cura di G. Waitz, in Mon. Germ. Hist., Script. rer. Germanic. in usum schol., XXV, Hannoverae 1911, cap. 20, p. 25), fallì, secondo gli Annales, proprio grazie a F., che la denunciò alle autorità. In seguito a ciò Carlo - affermano gli Annales - per dimostrare a F. la propria gratitudine lo elevò alla dignità di abate di St-Denis. Una fonte di parecchi decenni posteriore, i Gesta Karoli attribuiti a Notkero di San Gallo, racconta questo stesso episodio arricchendolo di particolari romanzeschi e non senza una vena umoristica, ma non fa il nome di F. e non fa cenno a ricompense per la persona che rivelò il complotto. Secondo Notkero, infatti, i congiurati convennero, per definire il loro piano d'azione, nella chiesa di S. Pietro; al termine della riunione, ispezionando l'edificio, trovarono, nascosto sotto un altare, un chierico, che aveva evidentemente sentito tutto; gli fecero giurare il silenzio e gli concessero salva la vita. Il chierico nonostante il giuramento - "sacrilego", dice Notkero - si recò ugualmente a palazzo, dove si introdusse superando gravi difficoltà. Avuta ragione dell'ostilità e della diffidenza delle dame di compagnia della regina, che furono le prime ad incontrarlo, riuscì a conferire col re, avvisandolo del pericolo.
La notizia degli Annales Einhardi e il racconto dei Gesta Karoli si riferiscono certo al medesimo episodio e non sono in contraddizione fra loro; ma pare difficile accordare piena fiducia alla narrazione di Notkero, se non altro per la parte in cui l'anonimo chierico è descritto come persona oscura, sconosciuta a corte, di basso rango e di aspetto modesto o addirittura triviale, perché è difficile pensare che ad un uomo del genere Carlo affidasse, immediatamente dopo, un incarico strategicamente così importante come il governo di St-Denis. Sembra forse più probabile che F. abbia in un primo momento fatto parte dei congiurati e che li abbia poi traditi; o che egli si fosse appositamente infiltrato tra loro per ordine di Carlo al fine di scoprire una trama di cui già si sospettava: ipotesi, quest'ultima, che meglio di ogni altra si accorderebbe con quanto sappiamo circa i rapporti successivamente intercorsi fra il re e Fardolfo. Questi si dimostrò infatti degno della grande fiducia che Carlo gli accordò, e svolse per conto del sovrano compiti di notevole delicatezza.
Nulla sappiamo di sicuro circa le vicende di F. anteriormente al 792. Che fosse di estrazione nobiliare è suggerito dal nome, relativamente comune - anche nelle varianti Farolfus e Faolfus - nei documenti longobardi. Che fosse probabilmente un ecclesiastico, sembra potersi dedurre dall'ottima istruzione che egli ebbe, come dimostrano i pochi suoi scritti sino a noi pervenuti. Che in gioventù fosse vissuto alla corte di Desiderio, l'ultimo re longobardo, è probabile ma non dimostrato.
Si è voluto anche istituire un parallelo fra la vicenda di F. e quella di un altro nobile longobardo, che fece poi fortuna alla corte franca: quel Pietro, cui Carlo Magno concesse il vescovado di Verdun, per compensarlo - si disse - del tradimento grazie al quale i Franchi avevano potuto impossessarsi di Pavia nel 774. Però l'oscurità che circonda il periodo italiano di F. non permette di giungere a conclusioni precise; e, d'altro canto, che vi sia un nesso immediato fra la conquista, da parte dei Franchi, della capitale longobarda e il passaggio di F. al di là delle Alpi, non è più che un'ipotesi. Anzi, se si può interpretare come riferito a questi eventi l'accenno contenuto nei vv. 5-6 del primo dei suoi epigrammi ("Attamen hic fidei dominis servavit honorem, / His regni quamvis ultima meta foreu), si dovrebbe concludere che F. fosse rimasto fedele ai sovrani longobardi anche dopo la loro sconfitta. Di certo si può solo dire che fu uno di quei nobili longobardi che, presto o tardi, giunsero ad un accordo con Carlo Magno e vennero da questo utilizzati al proprio servizio. L'elevata posizione da lui in seguito raggiunta fu senza dubbio favorita anche dalla sua notevole preparazione culturale.
Quando F. ne assunse il governo, l'abbazia di St-Denis era già una delle più importanti istituzioni ecclesiastiche del Regno franco. Un preciso progetto politico, avviato da Pipino il Breve e proseguito dal di lui figlio Carlo, ne aveva fatto il simbolo dell'unità politica dei popoli della Austrasia e della Neustria, espressione e strumento dell'autorità regia. Tutti i suoi abati, dai tempi di Pipino, vennero nominati direttamente dal sovrano e fecero parte della cappella di corte.
Che pure F. abbia fatto parte della cappella di corte è circostanza non testimoniata dalle fonti anche se appare quanto mai verosimile.
F. svolse un ruolo di particolare importanza nella strategia carolingia nei confronti di St-Denis. Durante il suo governo, infatti, l'abate assunse con maggiore nettezza il carattere di stretto collaboratore del sovrano ed il suo stesso cenobio si vide attribuire anche funzioni pubbliche (come quella di essere sede di una zecca). F. fu al seguito di Carlo in una spedizione contro i Sassoni, probabilmente nel 795, portando con sé le reliquie di s. Dionigi, di enorme importanza nella simbologia carolingia (in quella circostanza, secondo la leggenda, tali reliquie scamparono miracolosamente ad un incendio). Nel 798 fu ambasciatore di Carlo a Roma presso il papa Leone III: "religiosus abbas", "fidelissimus vester" viene definito nella lettera regia di cui era latore. A Roma chiese e ottenne l'elevazione della sede di Salisburgo al rango arcivescovile e il relativo titolo per il vescovo Arnone. Nell'802 gli venne conferito il missaticum per la parte settentrionale dell'arcivescovato di Sens, in parallelo a Stefano, conte di Parigi.
F. fu altresì attento amministratore dei beni dell'abbazia, di cui difese con vigore l'integrità e che riuscì ulteriormente ad ampliare. Così nell'806 intentò e vinse una causa, che fu discussa davanti a Carlo ad Aquisgrana, contro il camerarius di corte Everardo, per il possesso di due mansi nella zona di Chartres; e cospicue donazioni di proprietà fondiarie in varie regioni del Regno ricevette nel 797 dal conte Teudaldo, nel 799 da Gisela, sorella di Carlo Magno e nell'805 da Nevelong di Brabante. Sembra che egli abbia avuto una parte importante anche nella promozione e nella diffusione del culto di s. Dionigi, del resto incoraggiato e sostenuto dalla monarchia franca: indicativo, in proposito, è il fatto, che la Vita Dionysii registri ai tempi dell'abbaziato di F. diversi miracoli avvenuti in presenza delle reliquie del santo; e che uno di questi (la morte improvvisa dei soldati di Pipino, colpevoli di aver violato un terreno consacrato) si sia verificato in una località dell'Italia di cui non viene riferito il nome, dopo la fondazione di una nuova chiesa, dedicata appunto a s. Dionigi.
A St-Denis F. curò e promosse lo sviluppo della cultura. Particolarmente significativa pare infatti essere stata l'attività dello scriptorium di quel cenobio durante il suo abbaziato. Anche se conosciamo un solo codice (Parigi, Bibl. nat., Lat. 17371) con sottoscrizione in cui viene citato in modo esplicito il nome di F., le caratteristiche paleografiche e codicologiche permettono di attribuire alla sua epoca e all'ambiente del suo cenobio una decina di altri manoscritti contenenti per lo più testi di argomento sacro ed esegetico, ma anche grammaticali, i quali testimoniano la presenza di un'attiva scuola a St-Denis. Seguendo l'esempio di uno dei suoi predecessori, Fulrado, il quale aveva curato l'edificazione di una nuova basilica in onore di s. Dionigi, F. non trascurò l'attività artistica ed edilizia. Dei quattro epigrammi che gli vengono attribuiti, tre sono il testo di epigrafi collocate in tre costruzioni erette da F.: una cappella dedicata a s. Giovanni Battista, un ciborio e un edificio (forse arricchito con affreschi raffiguranti le arti liberali) annesso all'abbazia e destinato agli eventuali soggiorni del sovrano. All'epoca di F. risale anche la cosiddetta Descriptio Sancti Dionysii, databile al 799, breve testo latino ricco di volgarismi, nel quale si descrive, in modo sintetico ma particolareggiato, la chiesa abbaziale. In essa non vi è alcun cenno delle opere fatte eseguire da F., che sono forse da assegnare agli anni immediatamente successivi alla redazione dell'opera. Si ha notizia che ai tempi di F. sarebbe stato anche forgiato un reliquiario a forma di mano; secondo la leggenda, se portato nel luogo dove si celebrava un processo o un arbitrato, esso si muoveva miracolosamente, ad indicare la parte che aveva la ragione.
F. ebbe altresì relazioni con i letterati della corte carolingia. A lui è indirizzato uno fra i più singolari carmi di Teodolfo, vescovo d'Orléans (in Poëtae Latini Medii Aevi, I, a cura di E. Dümmler, in Mon. Germ. Hist., Berolini 1881, pp. 523 ss.), nella cui allocuzione iniziale l'amicizia fra i due è ricordata con espressioni che non sembrano soltanto topiche. F. compose alcuni epigrammi (ne conosciamo quattro, per un totale di una ventina di distici, editi dallo stesso Dümmler, ibid., pp. 353 ss.): si tratta dei testi delle tre epigrafi già ricordate e di un breve carme d'augurio indirizzato a Carlo Magno. Stilisticamente questi componimenti non si discostano dalla produzione consueta dei poeti carolingi.
Generalmente accettata è oggi la tesi che a F. sia da attribuire la forma attuale del registro noto come Formulae sancti Dionysii, una raccolta di 25 fra lettere e altri documenti conservata nel manoscritto di Parigi, Bibl. nat., Lat. 2777. Molta incertezza vi è ancora sull'esatta interpretazione di vari pezzi della raccolta: solo con una certa cautela si può avanzare l'ipotesi di una paternità diretta di F. per uno dei testi che ne fanno parte (il n. 18, indirizzato a un Pipino che è stato identificato, non senza contestazioni, con il re d'Italia). Più sicuro è che la lettera n. 19 sia legata a F., il quale ne sarebbe il destinatario: in essa infatti si trova inserita una parte del carme a lui indirizzato da Teodolfo, che potrebbe esserne il mittente. Anche i pezzi nn. 23 e 24 sono stati messi in relazione con le vicende dell'abate. Se, come è stato ipotizzato, l'ultimo documento delle Formulae (una lettera di Carlo Magno a Fastrada dell'autunno del 791) provenisse davvero dall'archivio personale di F., che l'avrebbe portato con sé da Ratisbona a St-Denis, avremmo un indizio dell'esistenza di stretti rapporti fra lui e il sovrano già prima della congiura del 792.
In passato F. venne messo in relazione anche con la redazione dei pretesi Annales Sancti Dionysii, una compilazione ora perduta che sarebbe stata elaborata intorno all'805 e che avrebbe avuto grande importanza come fonte dell'annalistica successiva; oggi tale ipotesi può dirsi abbandonata.
L'ultimo documento in cui F. appaia ancora vivente ed attivo nelle sue funzioni di abate è quello - già ricordato - relativo alla causa da lui promossa contro il camerarius Everardo, che reca la data del 17 ag. 806. Il Chronicon di Ermanno di Reichenau segnala come già insediato nell'806 il suo successore Valdone, già abate di Reichenau, e, d'altro canto, nell'antico obituario di St-Denis (oggi perduto, ma di cui possediamo la trascrizione fatta dal Félibien), la morte di F. è indicata al 22 dicembre. Se queste due notizie sono fededegne, F. morì alla fine dell'806, appunto il 22 dicembre, e la nomina del suo successore avvenne immediatamente dopo; il che probabilmente significa che la scomparsa di F. non era evento inatteso.
Di F. è rimasto l'epitaffio, opera forse di Dungal. Se dobbiamo credere alla notizia della Translatio sanguinis Domini, F. lasciò al suo successore Valdone un monastero in pessime condizioni dal punto di vista religioso e morale, tanto che il nuovo abate fu costretto a restaurare manu militari l'osservanza della regola. La notizia (di fonte augiense, cioè favorevole a Valdone) esagera probabilmente le responsabilità dei monaci (e, indirettamente, di F.) in una contestazione nei confronti del nuovo abate che certamente ebbe luogo, anche se è verosimile che l'accresciuta importanza dell'abbazia come centro politico, alla quale F. aveva portato un sostanzioso contributo, abbia effettivamente condotto a una maggiore elasticità, poco apprezzata dai religiosi più conservatori, nella conduzione della vita monastica.
Fonti e Bibl.: Translatio sanguinis Domini, a cura di G. H. Pertz, in Mon. Germ. Hist., Scriptores, IV, Hannoverae 1841, p. 447*; Hermanni Contracti Chronicon de sex aetatibus mundi, a cura di G. H. Pertz, ibid., V, ibid. 1884, p. 101; Annales qui dicuntur Einhardi, in Annales Regni Francorum..., a cura di F. Kurze, ibid., Scriptores rerum German. in usum scholarum..., VI, ibid. 1895, p. 91, ad annum 792; Notkeri Balbuli Gesta Karoli Magni imperatoris, a cura di H.F. Háfele, ibid., Scriptores rerum Germanicarum, n.s., XII, Berolini 1959, pp. 71 s.; Mon. Germ. Hist., Poétae Latini Medii Aevi, I, a cura di E. Dümmler, ibid. 1884, pp. 352 ss., 404; Formulae Sancti Dionysii, a cura di K. Zeumer, ibid., Legum sectio V, I, Hannoverae 1886, pp. 493-511; Epistolae Karolini aevi, a cura di E. Dümmler-K. Hampe, ibid., Epistolae, Berolini 1898, pp. 59 s.; Ibid., Diplomata Karolinorum, I, a cura di E. Mühlbacher, Hannoverae 1906, pp. 273 s., 482 s.; Vita sancti Dionysii episcopi Parisiensis, in J. Mabillon, Acta sanctorum Ordinis sancti Benedieti, III, 2, Venetiis 1734, pp. 317ss.; Miracula sancti Dionysii, in Acta sanctorum Octobris..., IV, Parisiis 1865, p. 933; Monuments historiques, a cura di J. Tardif, Paris 1866, pp. 72, 74; Obituarium Sancti Dionysii, a cura di M. Félibien, in Obituaires de la province de Sens, a cura di A. Molinier, I, Paris 1902, p. 334; Une description contemporaine de la basilique carolingienne de St-Denis, près de Paris, a cura di A. Stoclet, in Latomus, XXXIX (1980), pp. 191 s.; M. Félibien, Histoire de l'abbaye royale de St-Denisen-France, Paris 1706, pp. 47, 61-64; E. Düminler, in Mon. Germ. Hist., Poetae Latini Medii Aevi, I, cit., pp. 352 ss.; B. von Sinison, Die wiederaufgefundene Vorlage der Annales Mettenses, in Neues Arch. der Ges. für ält. deutsche Geschichtskunde, XXV (1899), pp. 181 s.; A. Hauck, Kirchengeschichte Deutschlands, II, Leipzig 1900, pp. 157 s.; M. Buchner, Ein Brief des Ermoldus Nigellus an Pippin I. von Aquitanien, in Historisches Jahrbuch, XXXV (1914), pp. 1-25; W. Levison, Das Formularbuch von St-Denis, in Neues Arch. der Ges. für ält. deutsche Geschichtskunde, XLI (1917-19), pp. 283-304 Passim; M. Manitius, Geschichte der lateinischen Literatur des Mittelalters, II, München 1923, p. 811; E. Munding, Abt-Bischof Waldo, Begründer des goldenen Zeitalters der Reichenau, Beuron-Leipzig 1924, pp. 71 s., 98 ss.; [H. Löwe] Wattenbach-Levison, Deutschlands Geschichtsquellen im Mittelalter. Vorzeit und Karolinger, II, Weimar 1953, pp. 261ss.;. S. M. Crosby, L'abbaye royale de St. Denis, Paris 1953, pp. 17 s.; W. A. Eckhardt, Die Capitularia missorum specialia von 802, in Deutsches Archiv für Erforschung des Mittelalters, XII (1956), p. 505; J. Fleckenstein, Die Hofkapelle der deutschen Känige, I, Stuttgart 1959, p. 74; H. Büttner, Mission und Kirchenorganisation des Frankenreiches bis zum Tode Karls des Großen, in Karl der Große, I, Düsseldorf 1965, p. 484; A. D'Haenens, Fardulfe, in Dict. d'hist. et de géogr. eccl., XVI, Paris 1967, coll. 502-505; D. Nebbiai-Dalla Guarda, La bibliothèque de l'abbaye de St-Denis en France du LVe au XVIIIe siècle, Paris 1985; J. Semmler, St-Denis: von der bischöflichen Coemeterialbasilika zur königlichen Benediktinerabtei, in La Neustrie. Les pays au nord de la Loire de 650 à 850, Sigmaringen 1989, pp. 105 s.; J. Vezin, Lo scriptorium de St-Denis, in Un village au temps de Charlemagne. Moines et paysans de l'abbaye de St-Denis du VIII siècle à l'an Mil, Paris 1989, p. 81; Repertorium fontium historiae Medii Aevi..., IV, pp. 432, 513.