di Matteo Verda
La Russia è il principale fornitore di gas naturale dell’Eu, con volumi annui che superano i 100 miliardi di metri cubi, ossia un quarto dei consumi finali, e con una rete di gasdotti che fin dall’epoca sovietica raggiunge tutti i paesi dell’Europa centrale e orientale.
In una congiuntura storica che vede il gas naturale destinato a rimanere una componente essenziale del paniere energetico e, allo stesso tempo, vede una produzione europea destinata a contrarsi, fare a meno del gas russo rappresenta per l’Eu un’ipotesi con profonde implicazioni, economiche e di sicurezza.
Nel breve periodo, fare a meno del gas russo sarebbe soprattutto un tema di sicurezza. Come messo in evidenza dallo stress test condotto nell’estate 2014 dalla Commissione Europea, l’impatto di un inverno senza gas russo sarebbe in realtà piuttosto diverso da paese a paese, a seconda del livello di dipendenza e della disponibilità di capacità di stoccaggio.
I due principali mercati finali del gas russo, Germania e Italia, potrebbero importare il gas da altri fornitori, dalla Norvegia al Nord Africa, grazie alle infrastrutture diversificate. Un discorso simile varrebbe per la Francia, che peraltro ha consumi di gas più contenuti.
All’estremo opposto si collocherebbero invece le repubbliche baltiche, la Finlandia e i paesi dell’Europa orientale. Per questi paesi fare a meno del gas russo per tutto un inverno sarebbe impossibile senza ridurre significativamente i consumi di gas. In caso di freddo intenso, ci sarebbero seri disagi per la popolazione, oltre a danni alle attività economiche. L’unica parziale eccezione sarebbe la Polonia, che consuma molto carbone e relativamente poco gas.
L’impatto potenzialmente elevato per questi paesi è dovuto al fatto che le vie di approvvigionamento sono, con l’eccezione polacca, le stesse dell’epoca sovietica e non sono diversificate. Nei decenni scorsi l’integrazione delle reti nazionali del gas è stata molto limitata, col risultato che far arrivare gas da altri paesi europei non è tecnicamente possibile, o lo è in misura limitata.
Il mercato europeo, complice la crisi, non vedrà nei prossimi anni nuove grandi infrastrutture di importazione in grado di offrire un’alternativa al gas russo per i paesi dell’Europa orientale. La risposta alla loro vulnerabilità sta dunque proprio nello sviluppo delle interconnessioni tra le reti europee che, insieme a nuova capacità di stoccaggio, possano creare un sistema integrato, in grado di sfruttare in caso di emergenza tutte le fonti alternative.
Nel lungo periodo, il tema della sicurezza diventa invece un tema di costi e di competitività. Fare a meno del gas russo sarebbe una scelta di politica energetica con forti ripercussioni economiche. In ultima analisi, il gas russo rappresenta la prima fonte dell’approvvigionamento europeo perché è competitivo per costi di produzione e di trasporto.
Sostituire i volumi di gas russo vorrebbe dire aumentare le importazioni da altri fornitori. Via tubo, per l’Eu le opzioni sono il Nord Africa e il Medio Oriente, due regioni con potenziali problemi sia in termini di capacità produttiva a costi competitivi, sia in termini di sicurezza. Via gas naturale liquefatto, l’offerta globale è destinata a crescere e potrebbe indirizzarsi verso i rigassificatori europei, ampiamente sottoutilizzati. In questo caso però bisognerebbe competere con gli acquirenti asiatici, abituati a prezzi molto superiori a quelli medi europei.
Entrambe le opzioni, tubo e gas liquefatto, pongono dunque un problema di costo del gas più alto. Senza considerare il fatto che, soprattutto nel caso dei nuovi gasdotti, la necessità di sostegno pubblico per finanziare investimenti che gli operatori di mercato oggi non fanno sarebbe nell’ordine delle decine, se non centinaia, di miliardi di euro. Due aspetti – costi elevati e necessità di spesa pubblica – attualmente molto difficili da affrontare per le economie europee.
Il gas russo, peraltro, non è in competizione solo con gas di diversa origine, ma anche con altre fonti energetiche, soprattutto il carbone, con cui perde in termini di costo, ma vince in termini di emissioni di CO2 e di inquinanti locali. Senza ricorrere al nucleare, fare a meno del gas russo vorrebbe anche dire ricorrere di più al carbone per fornire elettricità affidabile, necessario complemento delle rinnovabili discontinue. Una scelta economicamente necessaria per contenere i costi, ma potenzialmente in conflitto con le politiche europee di riduzione delle emissioni di CO2 al 2030. Nel complesso, fare a meno del gas russo nel breve periodo costituirebbe dunque un problema di sicurezza per la parte più orientale e meno interconnessa dell’Eu, fintanto che non sarà realizzata una maggiore integrazione tra le reti europee. Nel lungo periodo, sarebbe invece una scelta di politica economica, con conseguenze negative in termini di sostenibilità degli obiettivi ambientali e soprattutto di costo dell’energia per i consumatori europei.