Fare pace con Augusto
Mussolini aveva cercato di sfruttare il suo mito a beneficio del regime. Oggi, a 2000 anni dalla morte, è possibile collocare in una luce più obiettiva l’uomo che riuscì a consolidare il potere assoluto in una Roma sfiancata da decenni di guerre civili, dopo secoli di consuetudine repubblicana.
Il bimillenario della morte di Augusto, nel 2014, è in realtà anche un anniversario di anniversari. Si ricorda la morte del politico più astuto e fortunato della storia romana, la cui longevità – Augusto raggiunse i 77 anni, un’età allora veneranda – rappresentò un elemento di rilievo per consolidare un potere assoluto che a Roma giungeva dopo secoli di consuetudine repubblicana.
Cresciuta nell’orgoglioso rifiuto dello strapotere personale fin dalla cacciata dei re, precoce sperimentatrice di un sistema di checks and balances che sarà più volte preso a modello in epoche successive, Roma si affida al principe sfiancata da decenni di guerre civili e lotte tra maggiorenti.
Tacito sintetizza la transizione in un pugno di parole: «fu nell’interesse della pace conferire tutto il potere a un solo uomo».
In Italia, però, questo bimillenario ricorda prima di tutto quello, simmetrico, della nascita del principe, appunto 77 anni fa. Il calendario fu propizio al regime fascista. In poco più di un lustro Mussolini si trovò a poter celebrare una serie di bimillenari importanti: nel 1930 quello della nascita di Virgilio, e 5 anni dopo di Orazio; nel 1937, infine, Augusto. La serie storica consentiva lo svolgersi coerente di un programma celebrativo in cui la nascita del fondatore dell’impero era preparata da quella dei sommi poeti inevitabilmente ridotti a cantori e profeti del regime. Augusto come Mussolini, ovviamente, quel primo impero prototipo della ‘terza Roma’ che sarebbe nuovamente assurta a rango imperiale: analogie scontate, ma efficaci. All’appuntamento del 1937 il regime si apprestò con uno sforzo culturale e logistico di singolare portata, organizzando una Mostra augustea della romanità che travalicava la semplice celebrazione di Augusto e del suo regime e si prefiggeva una ricostruzione a largo raggio, scientificamente ben documentata, della cultura romana in tutti i suoi aspetti. Ne risultava l’immagine di una Roma non solo forte sul piano militare, ma all’avanguardia nella cultura e nella scienza, degna fonte di ispirazione per la nuova Roma moderna che intendeva coniugare il prestigio di un retaggio secolare con la coscienza della modernità. Su tutto presiedeva l’immagine di un principe, Augusto, che incarnava il precetto virgiliano dell’«usare clemenza a chi cede, ma sgominare i superbi».
Le devastazioni della guerra e dei regimi totalitari che di Augusto avevano sfruttato il valore simbolico hanno reso quasi inevitabile, nei decenni successivi, una forte connotazione negativa della sua immagine e, in parallelo, una ridefinizione dei rapporti tra il principe e i poeti del suo tempo in termini oppositivi. Non poteva essere altrimenti, se l’Eneide era stata promossa a manifesto dell’impero. Prevale da qualche tempo un’immagine più sfumata e complessa del concetto stesso di cultura augustea, che ha comportato anche la ridefinizione di quei rapporti. Anziché ragionare in termini di celebrazione del regime, o, al contrario, di malcelata e sistematica opposizione, molti preferiscono leggere quella particolare fase della letteratura romana come un laboratorio culturale particolarmente fortunato. Un momento in cui il fervore dell’innovazione creativa si accompagna a un radicale cambiamento delle forme di governo mentre queste, in un processo mai unidirezionale di influsso e causazione, influiscono, a loro volta, su temi, prospettive, ansie e rappresentazioni simboliche. Abbandonata l’idea di una monolitica cultura augustea che a un Virgilio o a un Orazio non restava che trasporre in versi (magari riservandosi di suggerire critiche sous rature), prevale oggi l’idea di uno scambio creativo in cui principe e poeti partecipano di un’atmosfera comune, ricca di tensioni e contraddizioni.
La mostra augustea del 2014 si è potuta quindi permettere un focus concentrato, anche letteralmente, sulla figura del principe, nella consapevolezza che ‘celebrare’ oggi Augusto comporta prima di tutto la necessità di confrontarsi con la complessa dialettica tra tradizione e innovazione, tra recupero del passato e rivoluzione, che furono al centro del progetto politico del primo imperatore di Roma.
I romanzi dell’imperatore
di Francesco Ursini
I due modi con i quali si è storicamente guardato al regime augusteo – nel segno l’uno della celebrazione, l’altro della demistificazione – hanno trovato espressione anche nella recente produzione letteraria di genere romanzesco e di ambientazione classica, che tra le opere più interessanti annovera Augustus: the memoirs of the emperor di Allan Massie (1986) e il meno riuscito Klatscht Beifall, wenn das Stück gut war. Die geheimen Tagebücher des Göttlichen Augustus di Philipp Vandenberg (1988), entrambi tradotti in italiano. Nel libro di Massie, autobiografia immaginaria dello stesso Augusto, è delineato un ritratto dell’imperatore che, pur tra mille chiaroscuri, si può considerare complessivamente benevolo: sulla scorta non dell’idealizzazione acritica di un’epoca o di un mondo nel loro insieme, ma piuttosto della consapevolezza della complessità non priva di dolorosi compromessi, e allo stesso tempo della oggettiva grandezza che sono state proprie del disegno augusteo. Un intento dissacratorio e risolutamente iconoclastico è presupposto invece dal omanzo di Vandenberg, immaginario diario segreto che l’imperatore, reso consapevole in anticipo della data della propria morte, tiene nei suoi ultimi 100 giorni di vita: qui Augusto diviene una figura tragica e insieme patetica, in progressivo declino fisico e spirituale, che non si perita di descrivere nei minimi dettagli quanto di più immorale trova nel proprio animo e quanto di più disgustoso vede nel proprio corpo; e così anche l’interpretazione degli eventi storici, e in generale della civiltà augustea, è ispirata a una sistematica volontà di disvelamento della verità che si cela dietro il ‘discorso’ ufficiale della propaganda di regime.
Letti in parallelo, i romanzi mostrano come anche la produzione narrativa rivolta al grande pubblico abbia saputo a suo modo riproporre quell’alternativa interpretativa che, da sempre, dividi i critici e gli storici in ‘augustei’ e ‘anti augustei’.
Una vita ‘eccelsa’
Nacque a Roma il 23 settembre del 63 a.C., con il nome di Caio Ottavio, da Caio Ottavio e Azia, figlia di Giulia, sorella di Cesare. La sua ascesa politica è segnata dall’adozione da parte di Cesare (con l’assunzione del cognomen Ottaviano) e dalla stipulazione di un’alleanza con Marco Antonio e Lepido (secondo triumvirato, dal 43 al 33 a.C.). Allo scadere del triumvirato, lo scontro con Marco Antonio lo portò a sconfiggere la sua flotta e quella di Cleopatra nella battaglia di Azio nel 31 a.C. All’età di 36 anni, nel 27 a.C., il Senato gli conferì l’epiteto Augustus (‘eccelso’), che sanciva la sua superiorità sugli altri senatori. Console dal 31 al 23 a.C., ebbe i più alti poteri, le più insigni cariche istituzionali (pontefice massimo nel 12 a.C.) e altisonanti titoli onorifici (pater patriae nel 2 a.C.). Riuscì così, laddove aveva fallito Cesare, a imporre una nuova forma di governo destinato a durare 4 secoli. Sposò nel 43 a.C. Clodia, figlia di primo letto di Fulvia (moglie di Marco Antonio); ripudiata Una vita ‘eccelsa’ Clodia 2 anni dopo, sposò Scribonia, figlia di Lucio Scribonio Libone e di Cornelia, pronipote di Gneo Pompeo Magno. Alla nascita della figlia, Giulia, ripudiò Scribonia a favore di Livia Drusilla, figlia di M. Livio Druso Claudiano. Il matrimonio con Livia durò per oltre 50 anni, fino alla morte del principe. Per una sorte infausta perse i suoi affetti più cari. Si spensero: l’adorato Marcello, figlio della sorella Ottavia Minore (23 a.C.), Marco Agrippa (12 a.C.), Ottavia Minore (11 a.C.), Druso Maggiore, figlio di Livia (9 a.C.), Lucio Cesare (2 d.C.) e Gaio Cesare (4 d.C.), figli di Agrippa e Giulia, nipoti destinati, nelle sue intenzioni, a succedergli. A questo si aggiunsero gli esili, mai revocati, che colpirono Giulia e altri 2 figli di questa e Agrippa, Agrippa Postumo e Giulia Minore. La scomparsa dei suoi eredi diretti portò il principe a nominare nel testamento proprio erede Tiberio, figlio di primo letto di Livia, che Augusto aveva adottato nel 4 d.C. Si spense a Nola il 19 agosto del 14 d.C.
Le mostre
A Roma, presso le Scuderie del Quirinale, e poi – con una diversa prospettiva storica e una differente scelta dei materiali – a Parigi (al Grand Palais), si è tenuta la mostra-evento Augusto, la prima grande esposizione italiana dopo quella del 1937, nella quale il filo conduttore è stato rappresentato dalla cultura figurativa. Alla ‘fortuna’ di Augusto da Carlo Magno a Mussolini è stata dedicata la mostra, allestita all’Ara Pacis, L’arte del comando. L’eredità di Augusto, mentre altre esposizioni che hanno accompagnato, soprattutto a Roma, il bimillenario augusteo sono state Classicità ed Europa al Quirinale, Adriano e la Grecia a Villa Adriana, La biblioteca infinita al Colosseo, La gloria dei vinti a Palazzo Altemps, Le chiavi di Roma. La città di Augusto ai Mercati di Traiano (e poi ad Amsterdam, Alessandria d’Egitto, Sarajevo). Un evento di genere diverso, ma legato anch’esso alla ricorrenza, è stato poi lo spettacolo Foro di Augusto. 2000 anni dopo. Molti anche i convegni, tra i quali quello organizzato nella Capitale dalla delegazione romana dell’Associazione italiana di cultura classica, presieduta da Michele Coccia, sul tema La pacificazione di Augusto tra realtà e propaganda.