farmacogenetica
L’individualizzazione delle terapie
Quando si somministra una dose uguale dello stesso farmaco a due pazienti, si ottengono generalmente risposte diverse, non solo in termini di effetto terapeutico, ma anche di effetti indesiderati. La differenza interindividuale può dipendere da fattori fisiologici (età, sesso, peso), patologici (per es., patologie epatiche o renali) e ambientali (dieta, assunzione di alcol, fumo, altri farmaci), ma anche dal polimorfismo di singoli nucleotidi (SNP), ossia da una variazione della sequenza del DNA che non dà origine a modificazioni patogenetiche, e pertanto è frequente in quanto non determina una selezione negativa. Circa l’1% dei casi di SNP interessa regioni del DNA che codificano proteine, dando origine a proteine modificate che possono mostrare diversi livelli di affinità per i loro ligandi endogeni, o interagire in maniera differente con farmaci e xenobiotici. I geni influenzano sia la farmacogenetica sia la farmacodinamica tramite i geni che codificano i recettori o, in generale, le proteine bersaglio.
I geni che codificano molti enzimi responsabili del metabolismo dei farmaci mostrano un forte polimorfismo. Il caso più importante è rappresentato dagli enzimi del sistema del citocromo P450 (CYP), che sono i principali responsabili (circa nell’80% dei casi) del metabolismo epatico di fase I dei farmaci. Essi sono localizzati principalmente nel fegato, ma anche in altri organi e tessuti quali polmoni, reni, cervello, intestino, leucociti. Gli isoenzimi del CYP principalmente coinvolti nel metabolismo dei farmaci sono CYP1A2, CYP2C9, CYP2C19, CYP2D6 e CYP3A4. Il polimorfismo dei geni che codificano CYP2C9, CYP2C19 e CYP2D6 può avere notevole influenza a livello clinico. Le diverse varianti alleliche possono avere differente attività, per cui si hanno due fenotipi: metabolizzatori lenti o rapidi. Poiché il sistema del CYP è responsabile sia dell’inattivazione sia della bioattivazione di farmaci e xenobiotici, nel caso di metabolizzatori lenti si potrà avere una maggiore permanenza nell’organismo di farmaci che vengono inattivati dal CYP, con possibili effetti tossici. D’altra parte, se il farmaco viene bioattivato a metaboliti attivi o tossici, i metabolizzatori rapidi saranno più facilmente esposti a concentrazioni tossiche del metabolita attivo.
Anche i geni degli enzimi responsabili delle reazioni di fase II (coniugazione) possono essere polimorfici. In partic., possono essere interessati gli enzimi responsabili delle reazioni di coniugazione (con l’acido glucuronico, con il glutatione, con il solfato), della metilazione, dell’acetilazione. A questo proposito, la differente capacità di acetilazione dell’isoniazide è stata il primo esempio documentato di controllo genetico del metabolismo dei farmaci e ha segnato di fatto la nascita della farmacogenetica. L’acetilazione dipende dall’enzima N-acetiltransferasi 2 (NAT2) e si possono distinguere acetilatori lenti e rapidi. In Europa, gli acetilatori lenti e rapidi sono egualmente distribuiti, mentre in alcune popolazioni asiatiche gli acetilatori lenti rappresentano meno del 10% dei soggetti. Questo ha importanti implicazioni cliniche, in quanto gli acetilatori lenti sono più suscettibili di neuropatia periferica da isoniazide, e sembra che anche il lupus eritematoso sistemico indotto da isoniazide sia più frequente negli acetilatori lenti. Per contro, gli acetilatori rapidi sono maggiormente soggetti al danno epatico indotto da isoniazide, probabilmente dovuto alla formazione di un metabolita acetilato epatotossico.
Effetti farmacologici diversi si possono avere anche nel caso degli enzimi idrolitici. Un esempio è l’idrolisi della succinilcolina, un bloccante neuromuscolare, a opera dell’enzima pseudocolinesterasi. L’azione di blocco neuromuscolare indotta dalla succinilcolina in genere dura pochi minuti, ma nei soggetti in cui l’enzima pseudocolinesterasi è atipico, e ha minore affinità per la succinilcolina, la paralisi può essere molto prolungata.
Alcune classi farmacologiche sono caratterizzate da un’estrema variabilità della risposta terapeutica. Ad esempio, gli ACE inibitori, gli antagonisti dell’angiotensina II, gli antidepressivi inibitori della ricaptazione della serotonina, i betabloccanti, gli agonisti beta-2 adrenergici mostrano elevate percentuali di pazienti che rispondono in maniera insufficiente al trattamento, raggiungendo percentuali del 20÷50% nel caso dei triciclici e addirittura del 40÷70% nel caso degli agonisti beta-2 adrenergici. Quest’ultimo dato non sorprende poiché il polimorfismo genetico per il recettore beta-2 adrenergico è molto comune. I soggetti omozigoti per un determinato allele possono presentare una risposta agli agonisti beta-2 circa 5 volte inferiore rispetto ai soggetti omozigoti per alleli normali.
È evidente che la variabilità genica può influenzare l’efficacia, la sicurezza e la scelta del dosaggio dei farmaci. Tuttavia, le indagini farmacogenomiche sono costose e non sono scevre da problemi etici quali la riservatezza. Pertanto, esse sono per ora limitate ad alcuni casi nei quali si rivelano particolarmente utili, per es. ai farmaci con indice terapeutico ristretto e con elevata variabilità individuale ai loro effetti terapeutici. Un tipico esempio di questo è il warfarin, farmaco anticoagulante il cui metabolismo di inattivazione è influenzato dalla variabilità genetica del CYP2D6, mentre la risposta terapeutica dipende dal polimorfismo del gene VKORC1, che codifica la proteina bersaglio. L’applicazione dello screening farmacogenomico potrebbe contribuire all’ottimizzazione delle dosi e a evitare emorragie gravi. Tuttavia, va considerato che la variabilità di risposta al warfarin dipende anche da vari altri fattori come età, peso e dieta.