FASCISMO (XIV, p. 847; App. I, p. 571)
Con la creazione della Camera dei fasci e delle corporazioni (1938-39) ebbe compimento la "fascistizzazione" dello stato italiano: struttura e organi del partito coincisero con struttura e organi dello stato, cioè i primi presero anche formalmente il posto dei secondi. Tuttavia il cambiamento fu formale molto più che sostanziale. Il fatto che la Camera dei deputati - nel prefascismo organo primario dello stato - fosse composta in gran parte direttamente dalle gerarchie del partito non cambiò veramente il carattere della Camera stessa, già completamente fascista, i cui membri erano scelti per la lista unica dal partito e da Mussolini, né le infuse nuova vita: al contrario, segnò la fine di una sua qualsiasi importanza politica, annullata anche con il metodo di ridurre il lavoro parlamentare abituale nelle commissioni, riservando le sedute plenarie alle parate. Nel momento stesso in cui la fascistizzazione dello stato toccava il culmine, la burocratizzazione del partito toccava il massimo: i gerarchi (e quindi i deputati) non erano che funzionarî dello stato fascista, cioè di Mussolini, rinominati, traslocati, revocati da lui, a suo piacimento, attraverso il funzionario capo: il segretario del partito. Fu il periodo di Starace, durato per anni (1931-39) in quella carica non per altro che per essersi adeguato perfettamente a questo ufficio di semplice esecutore della volontà del duce.
Prima di questa completa burocratizzazione del partito si erano potute distinguere - adoperando un poco la lente di ingrandimento - talune correnti diverse nel partito fascista. Sostanzialmente due: la conservatrice-legalitaria tendente a svalutare il partito stesso e a ricondurre almeno parzialmente lo stato nei quadri costituzionali; e la corporativistico-socialistica (si sarebbe potuto parlare anche di filocomunismo), tendente a sviluppare le virtualità rivoluzionarie. Ambedue queste correnti inclinavano, per vie diverse, a un certo ripristino di libertà politica e quindi a un certo ritorno al pluripartitismo. Ma all'inizio delle grandi crisi internazionali (1938) esse sembravano scomparse, confuse nel conformismo ufficiale. Emergeva appena da questo l'isolato Farinacci, con il suo Regime fascista, portavoce di una rozza intransigenza, imbevuta di nostalgia del manganello. Occorre rilevare come il gruppo degli ex nazionalisti entrati nel fascismo avesse sempre più perduto influenza.
L'ideologia ufficiale del partito si compendiava in tre termini: mussolinismo o "ducismo", nazionalismo, autarchia. Più incerto era l'atteggiamento nel campo ecclesiastico-religioso. Il rispetto dei patti del Laterano era naturalmente il principio ufficiale; e la tendenza più diffusa - e più ortodossa - quella di utilizzare le forze e il prestigio della Chiesa a profitto del regime, concedendo in compenso minuti favori alla Chiesa stessa. Al disotto di questa superficie ufficiale, non mancavano residui o nuovi spunti di anticlericalismo, a cui facevano riscontro, da parte della Chiesa, talune resistenze, diffidenze, e ostilità, e soprattutto l'opera dell'Azione cattolica, intenta a preservare una sua zona autonoma.
La novità ideologico-politica, per il fascismo, fu in quest'ultimo periodo l'introduzione del razzismo e dell'antisemitismo. Ma fu novità proveniente da fuori, per ragioni di politica internazionale. Essa rappresentò un gran passo verso la conformazione (Gleichschaltung) del fascismo al nazismo: conformazione, tuttavia, che non superò mai un certo limite, oltreché per volontà di Mussolini, geloso della sua individualità e primogenitura, per resistenza naturale dei fascisti, non tanto in quanto fascisti, ma in quanto italiani. Si moltiplicarono bensì i contatti e le fraternizzazioni, rappresentati soprattutto dalle frequentissime gite da una nazione all'altra, ma più dall'Italia in Germania che viceversa: queste, però, furono piuttosto occasione di svaghi che fusione di spiriti. L'antigermanesimo rimase sempre vivo in Italia anche nel fascismo; ed è altresì noto come il "pietismo" filosemitico fosse anche nei ranghi del partito, e fin nelle sommità (Balbo, per esempio), largamente diffuso.
Al carattere conformista ufficiale, apolitico, burocratico del partito, fece riscontro una sua sempre maggiore influenza nell'attività quotidiana. Funzionamento delle amministrazioni statali e parastatali - cioè, allo stato delle cose, del 90% degli affari in Italia - e influenza del partito fascista divennero quasi tutt'uno. Il partito così si trasformava in consorteria, "cricca", o consorzio di affari. Naturalmente, sotto questo aspetto il partito unico si scindeva in una molteplicità di gruppi, "clan", o clientele, facenti capo alle personalità maggiori: G. Ciano, Grandi, Balbo (scomparso alla fine del giugno 1940 per un incidente di guerra), Bottai, Rossoni, ecc. questo il tempo in cui la corruzione della vita burocratico-statale raggiunse il massimo della intensità e dell'impudenza. Essa penetrò largamente anche nell'esercito, e in ciò consisté principalmente la sua "fascistizzazione" che ebbe allora larghissimo sviluppo. Sebbene l'argomento non sia stato ancora oggetto d'indagini sistematiche ed obiettive, non par dubbio che il contrasto impressionante fra le diecine di miliardi spesi per gli armamenti e lo stato di "disarmo" in cui si trovò l'Italia nella seconda Guerra mondiale, sia da spiegarsi in buona parte con questa corruzione.
La guerra portò in seno al partito un rimescolamento produttore di effetti politici non indifferenti, e anzi può dirsi che essa abbia contribuito sostanzialmente alla caduta del regime.
La proclamazione della neutralità (così fu intesa in un primo tempo da quasi tutti, anche fascisti, la non belligeranza) produsse un grave disorientamento. Il partito e il regime della guerra e delle conquiste, mentre gli altri erano in guerra, rimaneva in pace; il fascismo, fratello del nazismo e nemico delle grandi democrazie, si trovava in posizione tale che - si pensava - poteva portare a un "rovesciamento delle alleanze". Dopo questo primo disorientamento si delinearono due correnti, con una certa ripresa di movimento politico in seno al partito. La prima era per la solidarietà a fondo con la Germania e il nazismo, e poteva dirsi del fascismo puro, o intransigente. Essa era adatta a convogliare i residui dell'antico corporativismo socializzante. L'altra tendeva al distacco completo dalla Germania, alla rottura dell'Asse e a una riconciliazione con le potenze occidentali; e, per connessione inevitabile, in politica interna mirava a una evoluzione del fascismo in senso costituzionale e liberale, o, meglio, moderato-conservatore. Quella che prese più rilievo, e quasi figura di "frazione" in seno al partito, fu la seconda, di cui erano esponenti Ciano e Grandi.
Le due correnti si contrastarono in seno allo stesso governo (di cui facevano parte ambedue i leaders ricordati, e anzi il primo era ministro degli Esteri). La corrente antitedesca parve avere il sopravvento con il rimaneggiamento ministeriale (detto significativamente "ministero Ciano") del 31 ottobre 1939, e con la sostituzione di Starace con Muti, candidato di Ciano. Ma fu mera apparenza, perché a Ciano mancavano, in grado uguale, capacità e volontà. Tutto si ridusse a un cambiamento di persone. Mussolini poté, nella primavera seguente, condurre l'Italia nella guerra, senza ostacoli del partito e anzi coadiuvato da questo nella propaganda. Se la guerra fosse stata conclusa vittoriosamente in tre mesi (secondo il calcolo di Mussolini), l'unità del partito si sarebbe rifatta completa e trionfale intorno al duce. Poiché ciò non accadde, e la guerra, prolungandosi, volse al disastro, il partito si andò disgregando intimamente e arrivò a uno stato quasi comatoso. Un segno palpabile della crisi fascista fu il succedersi, dopo l'allontanamento di Starace, di una serie di segretarî che rappresentarono una successione di fallimenti: Muti, Serena, Vidussoni, Scorza. Nel paese esso divenne oggetto di sprezzo o almeno di indifferenza generale, a cominciare dagli stessi iscritti, il novanta per cento dei quali era totalmente estraneo alla vita del partito. Negli strati superiori di esso rinacquero le due tendenze del periodo non belligerante: la filotedesca e oltranzista, e la occidentalista e pacifista: nella prima l'unica personalità di un certo rilievo era Farinacci, mentre la seconda finì per raccogliere la élite del partito, nei suoi elementi più diversi. Tuttavia, non si può parlare di una vera e propria azione politica svolta da questa tendenza: tutto si ridusse a mormorazioni disfattistiche, a vaghi tentativi di contatti sia con gli antifascisti dell'interno, sia con diplomatici nemici. Ciano seguitò a servire per un certo tempo, come ministro degli Esteri, la politica di Mussolini. Dopo il rimpasto ministeriale del febbraio 1943 e l'assunzione in aprile di Scorza alla segreteria, Mussolini tentò una galvanizzazione del partito che fallì completamente. Il fallimento culminò nel famoso discorso del "bagnasciuga", pronunciato il 24 giugno 1943 al direttorio del partito. Contemporaneamente la corrente frondista tessé la trama di un vero e proprio pronunciamento, che sboccò nell'ordine del giorno Grandi presentato al Gran consiglio (24 luglio 1943), ordine del giorno che raccolse le firme non solo di Ciano, Grandi, Bottai, capi della tendenza occidentalistica e liberale, ma di Federzoni, De' Stefani, Acerbo, De Vecchi, Rossoni. Contatti con la Corte non erano certamente mancati da parte dei presentatori dell'ordine del giorno; se ci fossero state anche promesse regie, s'ignora. Incoraggiamenti, senza dubbio, ci furono; e questi bastarono, forse, a far credere che il risultato dell'allontanamento di Mussolini sarebbe stata la chiamata dell'opposizione fascista al potere, sia pure sotto una presidenza militare e con partecipazione di elementi politici antifascisti.
Il calcolo andò fallito: l'opposizione fascista rimase tagliata fuori dal regime regio badogliano, proprio quanto l'opposizione antifascista: con la differenza che questa, avendo raggiunto consistenza ed organizzazione politiche proprie, poté mantenersi ed agire, mentre quella andò disciolta e dispersa. Contemporaneamente, tutto il partito fascista crollò senza la minima resistenza, anzi con piena adesione al colpo di stato della massa dei gregarî e anche di molti gerarchi, a cominciare dal segretario del partito Scorza.
Il tentativo, restauratore e innovatore insieme, fatto con la creazione del partito fascista repubblicano, subito dopo la liberazione di Mussolini (12 settembre 1943), fu sostanzialmente dovuto alla pressione tedesca: il partito, cioè, sorse come un surrogato del partito nazista, perché Hitler e Himmler potessero tenere in pugno quella parte d'Italia in cui si mantenevano gli eserciti tedeschi. Tuttavia non potrebbe negarsi al fascismo "repubblichino" qualsiasi spontaneità e vitalità indigena. Insomma, esso non fu se non lo sbocco della corrente fascistica "rivoluzionaria", antiborghese, antimonarchica, socializzante. L'accentuazione ostile alla borghesia si era avuta già negli ultimi tempi anteriori al crollo del 25 luglio, per reazione alla resistenza passiva di questa all'eroicismo fascista. La "tendenzialità" repubblicana era stata affermata prima della marcia su Roma da Mussolini: la monarchia era poi stata accettata, ma sentita sempre dai fascisti più ardenti e dallo stesso Mussolini come un limite, un ostacolo, un complice infido e un nemico eventuale. Anche l'ostentazione filosocialistica, o meglio filoproletaria, faceva parte del bagaglio perpetuo del fascismo. Di nuovo ci furono un tentativo iniziale di atteggiamento più equanime, più liberale, di fronte agli antifascisti che si vollero distinguere vantaggiosamente dai fascisti "traditori"; l'abbandono in linea di principio del monopolio di partito per gl'impieghi di stato; l'ammissione, e quasi la richiesta, di una discussione, di un controllo degli atti governativi da parte non solo di individui isolati, ma anche di gruppi e di giornali.
Tutto questo, peraltro, non raggiunse nessuna consistenza, avendo trovato restii ugualmente il popolo (particolarmente l'indirizzo "sociale" non ebbe nessun successo nel mondo operaio) e la massa dei gregarî; mentre le circostanze (guerra esterna e civile, alleanza e occupazione tedesche) si allearono con le tendenze più profonde del fascismo nella creazione effettiva di un regime di polizia ben più oppressivo e spietato del vecchio fascismo. L'aspirazione a rinnovare il volto del fascismo con la creazione di un clima di discussione politica portò alla formazione autorizzata da Mussolini, a Milano, di un "raggruppamento nazionale repubblicano socialista" (febbraio 1945), capitanato da Edmondo Cione, che ebbe per suo organo l'Italia del popolo e fu secondato dalla Stampa di Torino, diretta da C. Pettinato. In sostanza Mussolini, a imitazione di ciò che è avvenuto due volte nella Turchia kemalista, vagheggiò di crearsi una "opposizione costituzionale". Il tentativo fallì per la inconsistenza intrinseca, per la situazione di guerra, per l'opposizione del fascismo puro, sferrata da Farinacci. Esso terminò con l'arresto di Pettinato (marzo) e con la soppressione dell'Italia del popolo (9 aprile). Due settimane dopo, il fascismo repubblicano crollava. Elementi residui di esso hanno tentato di farlo rivivere sotto le vesti di "Movimento sociale italiano".
Le sanzioni contro il fascismo.
Di sanzioni contro il fascismo si fa cenno, la prima volta, nel r. decr. legge 2 agosto 1943, n. 704, che soppresse il partito nazionale fascista e le sue istituzioni, e nel r. decr. legge 9 agosto 1943, n. 720, che dispose la devoluzione allo stato dei beni rapidamente conseguiti da chi ricoprì cariche pubbliche o esercitò attività politica dal 22 ottobre 1922 al 24 luglio 1943.
Ma una prima disciplina legislativa si ebbe solo con i provvedimenti emanati dal governo di Salerno coi rr. decr. legge 28 dicembre 1943, n. 29/B; 12 aprile 1944, n. 101; 13 aprile 1944, n. 110: 26 maggio 1944 n. 134. Ad essi seguirono - tornato il governo in Roma - gli altri provvedimenti - primo cronologicamente e fondamentalmente il decr. legge luog. 27 luglio 1944, n. 159 - che disciplinarono la repressione fascista nella distinzione dei delitti fascisti, della devoluzione dei profitti di regime e della epurazione della pubblica amministrazione.
Le sanzioni, per una più facile veduta di insieme, possono essere classificate in sanzioni penali, patrimoniali e amministrative. Per l'applicazione di esse furono istituiti speciali organi: l'Alto commissariato, istituito dal citato decr. legge luog., n. 159 e soppresso con il decr. legge luog. 12 aprile 1946, n. 201; l'Alta Corte di giustizia che, istituita con l'art. 2 del decr. legge luog. n. 159, andò man mano esaurendosi finché, perduta la competenza penale con il decr. legge luog. 5 ottobre 1945, n. 625. durò fino al 17 luglio 1946 per la dichiarazione di decadenza dei senatori e infine per l'avocazione dei beni degli stessi, fino al 28 febbraio 1947. A questi furono man mano sostituiti gli organi ordinarî preesistenti: il pubblico ministero, le corti d'Assise (sezione speciale), il consiglio di stato e, talora il consiglio dei ministri.
Sanzioni penali. - Il titolo I del decr. legge luog. n. 159, che sostituì il r. decr. legge 26 maggio 1944, n. 134, contiene le norme penali per la punizione dei delitti e degli atti illeciti del fascismo.
I delitti considerati possono essere così classificati:
a) delitti commessi contro il fascismo, e puniti in applicazione delle disposizioni emanate a tutela delle istituzioni e degli organi politici creati dal fascismo (espressamente abrogati): si dispose l'annullamento delle sentenze di condanna pronunciate in base a quelle disposizioni;
b) delitti commessi dai fascisti rimasti impuniti per causa di amnistia o per coercizione morale determinata dal fascismo sul giudice: essi non sono estinti per avvenuta prescrizione, salvo che siano punibili con pena non superiore ai tre anni;
c) delitti fascisti (creati dal decreto): annullamento delle garanzie costituzionali, distruzione della libertà popolare, creazione del regime fascista, compromissione e tradimento delle sorti del paese condotto alla guerra (elemento materiale del reato) da parte dei membri del governo fascista e dei gerarchi (presupposto del reato); organizzazione delle squadre fasciste che hanno compiuto atti di violenza o di dimostrazione, promovimento o direzione dell'insurrezione del 28 ottobre 1922, promovimento o direzione del colpo di stato del 3 gennaio 1925, atti rilevanti coi quali si è contribuito a mantenere in vigore il regime fascista, altri delitti determinati da motivi fascisti o valendosi della situazione politica creata dal fascismo (art. 3); delitti contro la fedeltà e la difesa militare dello stato dopo l'8 settembre 1943, purché commessi con qualunoue forma di intelligenza, corrispondenza, collaborazione, di aiuto o di assistenza a favore dei Tedeschi (art. 5). È il cosiddetto collaborazionismo (v. in questa App.).
Oltre queste, che hanno carattere speciale e temporaneo (concernente il passato), altre norme di carattere permanente, che si inquadrano nella difesa del nuovo regime democratico (se ne occupa anche la costituzione, art. 12 delle disposizioni transitorie), prevedono quali reati le manifestazioni di neofascismo. Difatti, prima con il decr. legge luog. 26 aprile 1945, n. 149, poi con la legge 3 dicembre 1947, n. 1 sono puniti il promovimento del partito fascista e la partecipazione ad esso; l'attività fascista con violenza o minaccia contro gli altrui diritti civili o politici; le bande armate; la propaganda e l'apologia del fascismo.
Norme processuali. - Quelle, che più delle altre subirono ulteriori notevoli modifiche, furono tratte dal vigente cod. proc. pen., che fu applicato in quanto applicabile in ogni fase del procedimento. Si ebbero due principali innovazioni circa la competenza e il potere di impugnazione. Organi preminenti furono dapprima l'Alto commissariato per la punizione dei delitti fascisti, che esercitava le funzioni del pubblico ministero (istruttorie e requirenti) avanti l'Alta corte di giustizia, con facoltà di avocare a questa la competenza a conoscere delitti non di sua competenza e di impugnare anche le sentenze delle corti di Assise; e l'Alta corte di giustizia, competente a conoscere i delitti di cui all'art. 2 e - nel caso di avocazione da parte dell'Alto commissariato - 3 del decr. n. 159.
I giudizî per gli altri delitti furono attribuiti al giudice ordinario secondo le regole del cod. proc. pen., anche a carico di militari, se non era necessario procedere a speciali indagini di carattere militare. Ma varia fu la costituzione della Corte di Assise. Infatti alle Corti di Assise (v. in questa App.), competenti a giudicare i delitti di cui all'art. 3 del decr. legge luog. n. 159, seguirono (decr. legge luog. 22 aprile 1946, n. 142) le corti straordinarie di Assise per giudicare i delitti di cui all'art. 5 del decr. legge luog. n. 159 ("collaborazionismo"). La competenza a conoscere dei ricorsi contro le sentenze di dette corti fu attribuita ad una sezione speciale della Corte di Cassazione (art. 16 decr. legge luog. 22 aprile 1945, n. 142) che ebbe sede a Milano. Con il decr. legge luog. 5 ottobre 1945, n. 625, le sezioni speciali di Corte d'Assise, inalterate nella composizione, sostituirono le corti straordinarie di Assise e l'Alta corte (che cessò la sua attività penale), e acquistarono la competenza a giudicare tutti i delitti fascisti non attribuiti al tribunale o al pretore. I termini processuali furono ridotti alla metà; stabilito il rito sommario e sommarissimo; ammesso il ricorso per Cassazione nella forma ordinaria, che prima era negato per le sentenze delle corti di Assise. Il termine per il funzionamento delle sezioni speciali di Corte d'Assise, già fissato al 13 ottobre 1945, fu poi prorogato al 31 marzo 1947 e con successivi provvedimenti al 31 dicembre 1947. Queste disposizioni furono trasfuse nel nuovo ed ultimo decr. 12 aprile 1946, n. 201, salvo modifiche di non molta importanza.
Sanzioni Patrimoniali. - Le sanzioni patrimoniali che hanno notevoli caratteri differenziali sono:
a) La confisca (da disporsi nella sentenza di condanna per i delitti di cui agli articoli 2,3 e 5 del decr. legge luog. n. 159, o dal tribunale competente ratione loci, se essi sono estinti, onde si è discusso della natura giuridica di essa), che colpisce anche i beni alienati nel quinquennio precedente al 25 luglio 1943 o acquistati dal coniuge del colpevole in quest'ultimo periodo;
b) L'avocazione allo stato dei profitti di regime (cioè gli incrementi patrimoniali derivati dalla partecipazione o adesione al regime fascista, e conseguiti dopo il 28 ottobre 1922 da chi ha rivestito cariche pubbliche o esercitato comunque attività politica come fascista, salva la prova contraria della lecita provenienza), disciplinata successivamente dai dd. legge luog. 9 agosto 1944, n. 720, 27 luglio 1944, n. 159, 22 settembre 1945, n. 623 e 26 marzo 1946, n. 134, il quale ultimo inquadrò nel sistema tributario il procedimento dell'accertamento (dapprima affidato a sezioni speciali delle commissioni provinciali delle imposte) e dell'esecuzione tributaria. L'avocazione colpisce tutti i beni acquistati da certe persone dopo il 3 gennaio 1925, anche se alienati in periodo sospetto: salva l'attribuzione di un assegno alimentare. All'esecuzione si provvede con il sistema dei debiti di imposte a mezzo dell'esattore, compreso il processo fallimentare L'avocazione si è conclusa con la formazione degli elenchi degli obbligati per la pubblicazione nella Gazzetta Ufficiale entro il 30 giugno 1946, poi prorogato al 30 giugno 1948, e al termine di prescrizione dell'azione della finanza (art. 50 decr. legge n. 134 e decr. legisl. 13 aprile 1948, n. 650). Come si scorge, essa prescinde dalla responsabilità penale;
c) La liquidazione dei beni del partito fascista e delle organizzazioni soppresse e la devoluzione di essi allo stato fu disposta dal r. decr. legge 2 agosto 1943, n. 704 e decr. legge luog. n. 159 (titolo IV) e fu affidata all'amministrazione finanziaria. Essa colpì obbiettivamente i beni, indipendentemente dal titolo di acquisto delle organizzazioni.
Sanzioni amministrative e disciplinari. - Anche l'epurazione ha avuta una legislazione minuta e laboriosa. Al r. decr. legge 28 dicembre 1943, n. 29/B (che dispose, per primo, la "defascistizzazione" entro tre mesi, con la rimozione dall'impiego di coloro che si trovassero in numerose determinate situazioni ivi previste, previa deliberazione - secondo i gradi o la qualità dell'impiegato - del consiglio dei Ministri, dei consigli di amministrazione o di speciali commissioni provinciali nominate dal prefetto) seguirono il r. decr. legge 12 aprile 1944, n. 101, che istituì la commissione unica presso ogni amministrazione centrale e prorogò i termini di altri tre mesi; e il r. decr. legge 13 aprile 1944, n. 110, che istituì l'Alto commissariato per l'epurazione.
La materia fu riordinata nel titolo II del decr. legge luog. 27 luglio 1944, n. 159: tra l'altro furono sostituite, nei casi meno gravi, alla dispensa o alla cancellazione dagli albi professionali, le sanzioni disciplinari; fu assicurato il contraddittorio; fu ammesso il ricorso per incompetenza al Consiglio di stato da parte dell'interessato e ad una commissione centrale da parte dell'Alto commissario che aveva ampî poteri istruttorî e requirenti; fu prorogato il termine di nove mesi per la definizione dell'epurazione. Per accelerare l'epurazione fu autorizzato il collocamento a riposo a domanda degli impiegati dei primi quattro gradi della classificazione del personale statale, e poi anche del quinto grado, indipendentemente dal procedimento di epurazione.
Ulteriore rimaneggiamento della materia si ebbe con il decr. legge luog. 9 novembre 1945, n. 702, che dispose la dispensa dal servizio degli impiegati delle pubbliche amministrazioni, anche se inamovibili, di grado non inferiore al settimo che - per l'attività svolta come fascisti, per le prove di faziosità fascista o per il titolo fascista della nomina - si trovassero in condizioni di incompatibilità con la permanenza in servizio; anche di grado inferiore al settimo se avessero dato prova di grave faziosità fascista, prestato servizio militare alle dipendenze dei Tedeschi dopo l'8 settembre 1943, aderito alla "repubblica sociale" ecc. La dispensa era pronunciata dall'amministrazione previa dichiarazione di incompatibilità (emessa dalle commissioni di epurazione già note) impugnabile, anche per il merito, al Consiglio di stato (sezione speciale). La dispensa era estesa ai dipendenti da enti pubblici locali o sottoposti a controllo dell'amministrazione pubblica, previa dichiarazione emessa dalla commissione provinciale ed impugnabile avanti la commissione presso la Corte d'appello. L'epurazione fu disposta anche per determinate categorie di impiegati privati (ad es. condannati per i delitti fascisti di cui al decr. legge luog. n. 159, art. 16). Fu fatto a tutti salvo il trattamento economico secondo le vigenti disposizioni, tranne la perdita della pensione nei casi di particolare gravità. Il termine definitivo per l'epurazione fu fissato al 1° marzo 1946 (art. 14).
Il decr. legge pres. 7 febbraio 1948, n. 48, ha disposto la revoca della dispensa dal servizio e la esenzione dal procedimento a carico degli impiegati fino al sesto grado, i quali su domanda possono essere riassunti; eguale trattamento è fatto al personale di enti pubblici non dipendenti dallo stato. Il decr. contiene altre norme favorevoli a coloro che in precedenza erano stati dispensati per incompatibilità fascista.
Con il decr. legge luog. 26 aprile 1945, n. 149, che integrò il decr. legge luog. 26 maggio 1944, n. 134, fu disposta - a carico di chi tenne condotta ispirata al malcostume fascista ed ora è pericoloso all'esercizio delle libertà democratiche o commette atti diretti alla ricostituzione del partito fascista, fa l'apologia del fascismo o ha appartenuto alle brigate nere - l'assegnazione, con ordinanza della commissione provinciale pel confino, ad una colonia agricola o ad una casa di lavoro da uno a cinque anni, al confino di polizia o in un campo di concentramento.
Per la decadenza dei senatori v. senato, in questa App.
Con decr. legge luog. 25 maggio 1946, n. 424, seguito dal decr. legge pres. 2 agosto 1946, n. 58, fu incaricata una commissione speciale di formare l'elenco - da pubblicare nella Gazzetta Ufficiale - dei confidenti dell'OVRA, fatta eccezione per i defunti e gli appartenenti ai corpi di polizia; contro tale pubblicazione l'interessato poteva ricorrere ad una commissione presso la presidenza del consiglio dei ministri che poteva, con decisione non impugnabile, disporre la cancellazione da quell'elenco. Tra le conseguenze giuridiche della pubblicazione vanno annoverate l'avocazione dei beni e la sospensione dell'eleggibilità.
Il decr. legge luog. 26 aprile 1945, n. 149, stabilì a carico di chi ha compiuto fatti illeciti di particolare gravità contrarî alle norme di rettitudine o di probità politica, o ha ricoperto cariche direttive nel periodo fascista, la sospensione dall'elettorato attivo e passivo per non oltre dieci anni, l'interdizione temporanea dai pubblici uffici, la privazione dei diritti politici per non oltre dieci anni da applicarsi con decisione impugnabile, presso la commissione centrale, di una commissione provinciale composta da un magistrato e da due membri scelti nell'albo dei giudici popolari. I provvedimenti predetti possono essere emessi fino al 30 giugno 1948 (decr. legge pres. 11 ottobre 1947, n. 1076). Più particolarmente l'eleggibilità e il diritto di voto sono stati esclusi per un quinquennio, rispettivamente con la legge 23 dicembre 1947, n. 1453, e - in applicazione dell'art. 12 delle disp. trans. della costituzione 20 gennaio 1948, n. 6 - per determinate categorie di persone che hanno rivestito cariche fasciste o esercitato attività fascista.
Bibl.: G. Vassalli-G. Sabatini, Il collaborazionismo e l'amnistia politica nella giurisprudenza della Corte di Cassazione - Il sistema processuale per la repressione dei crimini fascisti, Roma 1947; L. Conforti, Osservazioni sulla dichiarazione di inammissibilità in sede penale dei ricorsi dei senatori, in Riv. pen., 1946, p. 191; E. Battaglini, Commenti alle sentenze delle S.U. penali relative alla dichiarazione di decadenza dei senatori, in Giust. pen., 1946, iii, col. 376; P. Mirto, Un "novum genus" di confisca?, in Archivio penale, 1947, p. I, p. 381; R. Pannain, Per una più larga revisione delle condanne per delitti fascisti, in Archivio penale, 1947, p. I, p. 487; G. Saltelli, Il decreto legislativo 25 maggio 1946, n. 424, e il ricorso dei confidenti dell'OVRA, ibidem; L. Maroni, Alta Corte e della decadenza dei senatori, in Giust. pen., 1947, p. I, col. 744; F. Guarneri, I delitti del fascismo, Roma 1946; A. Boselli, I reati di collaborazione col tedesco invasore, Genova 1946; N. Martellucci, Le sanzioni contro il fascismo, Palermo 1946.