fashion victim
<fäšn vìktim> locuz. sost. ingl., usata in it. al masch. e al femm. – Espressione utilizzata per descrivere persone spesso prive di senso critico nell’ambito delle mode in generale e, più specificatamente, nell’abbigliamento. I f. v. possono essere persone insicure che acquistano capi d’abbigliamento e accessori di moda nella stagione corrente solo per sentirsi integrate nella società. È un fenomeno esistente da molto tempo prima che nascesse la locuzione, coniata negli anni Ottanta del 20° sec. dal designer Oscar de La Renta. In passato numerosi sociologi hanno compreso che l’uomo seguiva le mode per essere considerato parte di un gruppo. Già Georg Simmel (1858-1918), filosofo e sociologo di origine tedesca, nel suo scritto La moda sosteneva che le tendenze si conseguissero sotto il processo dell’imitazione. Prima infatti le mode erano divise per classi: le più povere cercavano di emulare le più benestanti. Queste ultime, non accettando che le inferiori vestissero come loro, cercavano di conseguenza nuove fogge. Oggi, dove nella moda occidentale non esiste più la divisione in classi, esiste ancora il fenomeno della simulazione, ma in maniera diversa: un f. v. acquista, senza personalità, ciò che vede sulle passerelle o sulle riviste di moda, copiando i look di cantanti e attori famosi solo per immaginarsi come loro. Il fenomeno dei f. v. è cresciuto soprattutto con l’avvento delle catene di negozi di fast fashion che, imitando le tendenze dalle passerelle, hanno dato la possibilità a chiunque di indossare le ultime fogge. L’arrivo di questa novità ha però, nel contempo, soffocato le scelte personali nel campo dell’abbigliamento. Lo street style è infatti cambiato rispetto al passato, tanto che la famosa stilista inglese Vivienne Westwood sostiene che Londra, una delle città più influenti per quanto riguarda gli stili di strada, si sia venduta all’omologazione. Quando un f. v. ha la possibilità di acquistare un indumento o un accessorio di un brand famoso, spesso sceglie prodotti con il logo del marchio in evidenza, a dimostrare che può possedere quell’oggetto che la società riconosce come qualcosa per pochi eletti. Si tratta di quello che l’economista Thorstein Veblen, nella sua Theory of the leisure class (1899), già definiva «sperpero ostentato», dal momento che il bisogno di abbellirsi e agghindarsi è diventato più importante del semplice vestirsi. Un f. v. non cerca dunque di sperimentare cose nuove e individuali nell’ambito vestimentario, ma indossa soltanto ciò che in quel periodo è in voga, anche se risulta poco pratico e oggettivamente antiestetico. Il non saper valutare quale vestito e quali linee siano più adeguate al proprio fisico, è uno degli errori più comuni del f. v., il quale per questo motivo acquista capi non adatti al proprio corpo, che indossa ugualmente perché seguono la moda. Nel passato era un caso che colpiva più le donne, oggi sono sempre di più gli uomini che cadono vittime di questo fenomeno. Un f. v. non è uno shopaholic, cioè un compratore compulsivo. Quest’ultimo, che spesso soffre di depressione e mancanze di vario genere, è un fanatico che cerca di colmare dei vuoti con lo shopping, poiché dopo l’acquisto prova una sensazione di benessere pari a quella che può apportare qualsiasi altra sostanza stupefacente. Il tratto comune tra i f. v. e i compratori compulsivi è che spesso entrambi non riconoscono il limite delle loro possibilità d’acquisto e il più delle volte infatti comprano abiti o accessori costosissimi, al di sopra delle loro disponibilità economiche, arrivando anche a indebitarsi. L’espressione f. v. non viene quasi mai colta nella sua accezione negativa: la totale assenza di scelta e il continuo mutamento del proprio stile, rendono queste persone vittime del sistema moda che dall’alto detta legge, stagione per stagione. Un f. v. può essere talmente ossessionato dalle tendenze da avere come obiettivo solo quello di seguire alcuni modelli estetici proposti dalla moda e dalla società, tanto da poter arrivare a soffrire, nei casi più estremi, anche di disturbi alimentari, proprio per sentirsi parte di quel sistema.