fast fashion
<fàast fäšn> locuz. sost. ingl., usata in it. al masch. – Capacità di alcune aziende di immettere sul mercato un prodotto in tempi molto brevi (detto anche moda veloce). Tradizionalmente, dalla selezione delle tendenze e delle materie prime fino alla vendita dell’abito nel negozio passano circa due anni, eppure il ciclo di vita dei prodotti è solo di poche settimane. Con il f. f. prodotti nuovi arrivano nei negozi anche con frequenza settimanale. Il f. f. è uno dei fenomeni più interessanti della nuova cultura della moda ed è diventato un comparto di grande vitalità. Lo dimostrano non solo i casi più noti, come le catene spagnole Zara e Mango e quella svedese H&M, ma anche altri esempi in diversi paesi, come Top Shop in Inghilterra e Promod in Francia, Uniqlo che dal Giappone e dal resto dell’Asia si è espansa in molti paesi in Europa e negli USA. Zara rappresenta per molti aspetti il caso emblematico di fast fashion. La ragione del suo successo è il fatto che sia stata pioniera di una formula produttiva e distributiva completamente nuova, che richiede una strettissima integrazione tra fasi di progettazione, produzione e distribuzione. I tempi di reazione all’individuazione di un trend moda sono rapidissimi, il concept è tradotto in modelli e quindi portato in produzione e realizzato industrialmente in 15 giorni. Il f. f. ha messo in crisi la programmazione stagionale della moda su cui era incentrato il modello del prêt-à-porter, a sua volta adattato da quello della haute couture. Nel caso del f. f. ideazione, produzione e distribuzione della moda sono completamete ripensati in termini sia organizzativi sia di comunicazione. In un primo tempo snobbato dalla cultura del prêt-à-porter, oggi il f. f. è parte integrante del sistema moda, come si può evincere dal posizionamento delle pagine pubblicitarie delle riviste di settore. Da modello gregario a traino del prêt-à-porter esso ha infatti assunto un profilo autonomo. Talvolta confuso con il fenomeno del cosiddetto low cost – cioè con il desiderio generalizzato di risparmiare, secondo un comportamento virtuoso che i consumatori sarebbero stati spesso forzati a praticare come conseguenza e antidoto alla crisi economica – il f. f. va invece ben oltre il contesto contingente e deve essere trattato come un sistema produttivo e culturale a sé. Una caratteristica dei grandi marchi di f. f. è quella di presentare piccole produzioni firmate da grandi stilisti, ma a poco prezzo, per esempio Stella Mc Cartney per H&M. Queste realizzazioni hanno il vantaggio di accrescerne il valore senza incrinare quello del grande stilista. Gli acquirenti di f. f. costituiscono un pubblico eterogeneo, poiché non è più solo un modo per spendere poco, ma uno stile vestimentario. I criteri del consumo sono infatti cambiati e quello che le persone ricercano sul punto vendita è soprattutto un’esperienza positiva e un intrattenimento. La corsa al piccolo pezzo prezioso ottenuto a basso prezzo è una di queste esperienze gratificanti, molto di più che uno sconto su un prodotto di fascia alta. Il f. f. non è un unico modello di produzione e distribuzione, al suo interno è molto segmentato; per esempio Zara possiede in larga misura le sue fabbriche, mentre H&M fa produrre interamente ad aziende terziste dislocate in varie parti del mondo. Il f. f. italiano costituisce un caso a sé con una storia e una valenza specifica. Il modello pronto moda affonda le sue radici nel decentramento produttivo di Carpi (produzione di maglieria di qualità meno elevata del distretto di Biella), ed è molto diversificato al suo interno. I diversi modelli – pronto alla stanga, pronto veloce, pronto semiprogrammato – sono accomunati dalla flessibilità, dalla capacità di cogliere in anticipo le oscillazioni del mercato, ma la produzione è organizzata in modi assai diversi. I centri più importanti di f. f. italiano sono a Bologna (Centergross), a Napoli e a Cernusco sul Naviglio (Milano). Si va dalle piccole produzioni ‘al buio’, cioè senza sapere quanti capi effettivamente si venderanno, a produzioni molto più rilevanti, come nel caso delle aziende di semiprogrammato. Uno dei primi esempi di f. f. italiano è il marchio Laltramoda, oggi peraltro prodotto secondo le modalità del prêt-à-porter. Oltre una certa crescita, a differenza dei grandi prontomodisti come Zara e H&M, i marchi di f. f. italiano tendono infatti a diventare sempre più simili ad aziende di pret-à-porter, pur mantenendo lo spirito e la cultura del fast fashion. Alcuni esempi sono LiuJo, Patrizia Pepe, Celyn B., Carpisa, Pinko, Imperial, Phard e altri che competono con le seconde linee degli stilisti. Diversamente dalle catene internazionali il f. f. italiano opera a livello nazionale o locale. Ci sono inoltre aziende che sono organizzate in modo simile a Zara, per esempio Oviesse di proprietà Coin, che era caratterizzato solamente dal presso basso e che da qualche anno si è riconvertito in un grande magazzino di moda veloce. Il sistema del f. f. italiano sta crescendo grazie alla trasformazione delle aziende di alta gamma e di quelle storiche del pronto moda.