FATA-FATUM
Personificazioni divine del destino, sia dei singoli individui (ogni uomo fin dalla nascita è sotto il dominio di un Fatum), che delle famiglie, delle città, delle nazioni.
Raggruppati in trinità sull'esempio delle Mòirai, finiscono praticamente per confondersi con queste e con le Parche, con cui le Mòirai sono identificate. Procopio (Bell. Goth., i, 2520) menziona alcune statue di Tria Fata situate nel Foro, presso il tempio di Giano. Nella tarda età imperiale dovettero avere grande importanza, tanto che diedero il nome a tutto il Foro o a una parte di esso: ancora in pieno Medioevo servivano come indicazione topografica, in Tribus Fatis. Pare che siano le stesse che Plinio (Nat. hist., xxxiv, 22) definisce come statue delle Sibille iuxta rostra restaurate una da Sesto Paquio Tauro edile della plebe, due da Marco Messalla, riferendole all'epoca di Tarquinio Prisco. A una notizia di Tertulliano (De anima, 39) secondo cui, trascorsa una settimana dalla nascita di un bimbo, si invocavano in suo favore i Fata Scribunda, cioè in atto di scrivere il suo destino, si può ricollegare la raffigurazione di una stele funeraria, su cui si vede una figura femminile, di profilo a destra, col piede appoggiato su una ruota, in atto di scrivere. Col nome di Fata Divina, i Tria Fata sono rappresentati come tre figure femminili ammantate e velate in un tardo affresco pagano (prima metà IV sec.) in cui si avverte l'influsso di idee cristiane. Si tratta di una scena di giudizio: la defunta, Vibia, accompagnata da Mercurius e Alcestis, si presenta al tribunale di Dis Pater ed Aeracura, in trono al centro della scena, mentre i F. assistono sulla sinistra. Allo stesso modo essi appaiono anche presso l'iscrizione C. I. L., iii, 4151 (cfr. anche C. I. L., ii, 3727). Infine su monete di Diocleziano con la leggenda Fata Victricia sono rappresentate tre figure femminili con timone e cornucopia, attributi abituali di Fortuna, mentre altre monete dello stesso imperatore e di Massimiano Ercole mostrano tre figure femminili, senza attributi, che si danno la mano.
Monumenti considerati. - Stele funeraria: G. Zoega, I bassorilievi antichi di Roma, Roma 18o8, i, tav. xv; Roscher, i, c. 1445. Affresco: L. Perret, Catacombes de Rome, Parigi 1851-1855, I, tav. lxxiii; R. Garrucci, Storia dell'Arte Cristiana, Prato 1873, vi, tav. 493-94 (la figura di mezzo è erroneamente un uomo barbato); G. Wilpert, Le pitture delle Catacombe Romane, Roma 1903, p. 362, tav. 132, 2. Monete: H. Cohen, Monn. Emp., vi, p. 422, n. 56-57; p. 503, n. 90.
Bibl.: R. Peter, in Roscher, I, c. 1444 e 1446 ss.; W. F. Otto, in Pauly-Wissowa, VI, cc. 2047 ss., s. v. Fatum; J. A. Hild, Dict. Ant., II, 2, p. 106 ss.; M. Guarducci, Tre cippi latini arcaici con iscrizioni votive, in Bull. Com., LXXII, 1946-48, pp. 3-10.