ABISSALE, FAUNA
. Sino a poco meno di un secolo fa era opinione generalmente diffusa tra i naturalisti che le profondità marine, la cui estensione, ancora indeterminata, si supponeva anche maggiore di quanto non sia, fossero una regione desolata, immersa nelle tenebre più assolute e dove non esistesse alcuna traccia di vita. A questo concetto dette forma concreta Edoardo Forbes, che, nel 1844, dopo aver eseguito numerose ricerche nel Mare Egeo, giunse alla conclusione che nel mare esistessero, alle diverse profondità, quattro regioni caratterizzate dalla presenza di piante ed animali speciali. Esse erano: 1° la zona litorale compresa fra i limiti della marea; 2° quella delle Laminarie, cosi detta dalle alghe che vi abbondano e che giungerebbe a 30 m. di fondo; 3° quella delle Coralline, che andrebbe dai 30 m. a 150-200 m.; 4° la zona abissale, nella quale le manifestazioni della vita andrebbero gradatamente diminuendo sino a scomparire del tutto al di là dei 600 m.
Per parecchio tempo queste conclusioni furono universalmente adottate, quantunque già dapprima si conoscessero dati che le contraddicevano. A prescindere dal fatto che i pescatori di molte regioni calavano con successo i loro ami a profondità anche maggiori di quelle assegnate da Forbes al limite della vita animale, già verso la metà del sec. XVIII era descritto un celenterato (Umbellula groenlandica) estratto con uno scandaglio da 600 m. di fondo, e J. Ross aveva pescato un echinoderma (Astrophyton Liackii) a circa 1800 m. nella baia di Baffin. L'uso della draga per la raccolta di molluschi viventi sul fondo del mare fece aumentare la constatazione di fatti che infirmavano le conclusioni del Forbes, portando alla superficie animali viventi a profondità considerevole. Ciò indusse il prof. Wyville Thomson a farsi iniziatore della proposta di esplorazione, mediante un bastimento della marina da guerra inglese, di parte dell'Atlantico settentrionale; la proposta fu sostenuta calorosamente dalla Società reale di Londra e, per mezzo di essa, nel luglio 1868, fu posto a disposizione del Wyville Thomson il Lightning e nei due anni successivi il Porcupine e lo Shearwater, che esplorarono i fondi marini della parte orientale dell'Atlantico settentrionale sino alla profondità di 4000 metri circa, riportandone numerose specie di molluschi, crostacei, echinodermi ed altri invertebrati. Nel 1870 il Porcupine estendeva le sue ricerche al Mediterraneo occidentale, ove pure fu constatata la presenza di animali viventi a grande profondità, sino a 3000 metri, ma in quantità assai minore che nell'Atlantico.
In seguito a tali risultati, la Società reale di Londra ottenne che l'ammiragliato inglese stabilisse di armare una nave di maggior portata per eseguire un viaggio intorno al mondo, allo scopo di esplorare dal punto di vista fisico e biologico le maggiori profondità degli oceani. La nave destinata fu il Challenger e su questa fu imbarcato un numeroso personale scientifico, che aveva per capo il prof. Wyville Thomson. Il Challenger, provvisto dei più perfezionati mezzi di ricerca che allora si conoscessero, percorse per circa tre anni e mezzo, dal dicembre 1872 al maggio 1876, tutti gli oceani, spingendosi anche nelle regioni antartiche, e i risultati di quel viaggio furono realmente meravigliosi. L'esempio dato dall'Inghilterra fu ben presto seguito da altri paesi, e le esplorazioni dei fondi marini si andarono sempre moltiplicando. Le più importanti di queste esplorazioni furono quelle compiute dalla Francia col Travailleur e il Talisman, dal principe di Monaco con la Princesse Alice e l'Hirondelle II, dagli Stati Uniti d'America con l'Albatross e il Blake e dalla Germania con la Valdivia. L'Italia partecipò a queste ricerche per iniziativa del prof. E. H. Giglioli e dell'ammiraglio G. Magnaghi, allora comandante della r. nave idrografica Washington, compiendo, negli anni 1881 e 1882, ricerche talassografiche nel Mediterraneo e dimostrando, contrariamente a quanto si riteneva, dopo gli scarsi risultati ottenuti dal Porcupine, che nel nostro mare la fauna abissale non faceva difetto, essendo stata constatata la presenza di animali sino a 3624 m. di profondità. Pochi anni dopo un'altra nave italiana, la Vettor Pisani in un viaggio di circumnavigazione, aveva tra i suoi compiti l'effettuazione di ricerche talassografiche, che furono eseguite con grande competenza dal tenente di vascello Gaetano Chierchia.
I risultati di tutte queste spedizioni fecero conoscere che tutti i gruppi di animali marini sono, qual più qual meno, rappresentati nella fauna degli abissi, e dimostrarono che la vita animale si estende sino alle massime profondità, essendosi rinvenuti esseri viventi sino a circa 7200 metri di fondo.
Il perfezionamento dei mezzi d'indagine ha permesso di riconoscere, almeno nelle linee generali, quali siano le condizioni dell'esistenza a quella profondità. Con l'aumentare di questa, cresce in modo notevole, ossia in ragione di circa un'atmosfera per ogni dieci metri di discesa verticale, la pressione alla quale sono soggetti gli animali che vivono in essa. Questo aumento di pressione non è dannoso a quegli animali i cui tessuti sono imbevuti di acqua, perché in tal caso l'aumento si verifica tanto alla superficie che nell'interno del corpo e quindi viene ad essere compensato, mentre in altri, quali i pesci provvisti di vescica natatoria, lo squilibrio tra la pressione esterna e quella interna si fa sentire abbastanza presto. Mentre quei pesci che, come gli squali, mancano di vescica natatoria, possono con rapida corsa dalla superficie del mare scendere in breve tempo al disotto di quella e ritornarvi, quelli invece che ne sono provvisti hanno la loro esistenza vincolata ad una determinata profondità, la quale può anche variare entro certi limiti per la dilatazione o compressione dei gas contenuti in quell'organo, ma allorché si oltrepassano questi limiti l'animale viene ad essere grandemente danneggiato e muore. La dilatazione dei gas contenuti nella vescica natatoria e in altri organi determina la rottura di questi, respinge l'esofago nella cavità boccale e lo fa estroflettere da questa, come l'intestino dall'orificio anale, determina l'uscita degli occhi dalle orbite e il distaccarsi delle squamme dal corpo. Così avviene che, quando per una causa qualunque, probabilmente nello sfuggire all'inseguimento di un animale predatore, uno di questi pesci si spinge in alto, la decompressione ne tronca l'esistenza ed esso sale alla superficie boccheggiante o già morto.
Altro mutamento notevole nelle condizioni di vita nelle profondità marine è determinato dalla sempre crescente oscurità. La penetrazione della luce nell'acqua diminuisce rapidamente e cessa ad una profondità variabile tra 500 e 700 m., ma l'assorbimento dei raggi luminosi non è eguale per tutti. Primi ad essere assorbiti sono i raggi rossi e ultimi i violetti; ciò spiega come molti animali di grande profondità siano di colorito rosso che li rende quasi invisibili, come quelli di colore nero. L'oscurità dell'ambiente in cui vivono rende inutile la funzione visiva e quindi l'organo di questa si riduce fortemente e scompare anche del tutto; ma accanto ad animali con occhi piccolissimi o completamente ciechi, ne vivono altri con occhi enormi, il che porta a ritenere che questi siano capaci di utilizzare la scarsa luce che emana da loro stessi o da altri animali, in prevalenza invertebrati. Si può anche supporre che quelli che conservano la facoltà visiva siano anche capaci di estese migrazioni verticali.
È assai difficile spiegare come gli animali abissali, e specialmente quelli ciechi, riescano a nutrirsi, tanto più che nelle grandi profondità gli animali non sono accumulati in grandi masse. Quasi certamente gli organi di tatto, quali i barbigli e i raggi filamentosi delle pinne nei pesci o le antenne lunghissime nei crostacei, permettono ad essi, che son guidati anche dal senso dell'olfatto, di rintracciare il loro cibo.
La natura dei fondi abissali, quasi uniformemente ricoperti di fango molle e vischioso, e privi di rocce o di corpi solidi qualsiansi, determina anche speciali adattamenti nella struttura degli animali che vivono a contatto con essi. Quando non sono immersi nel fango, come alcuni crostacei, provvisti o di appendici lamellari o di lunghi filamenti che li sostengono, hanno forma appiattita o sono forniti di lunghi steli che li tengono sollevati. Mancano, invece, veri organi di fissazione sopra corpi solidi di qualsiasi specie.
Nella fauna abissale, il cui limite inferiore non può essere indicato con precisione, ma che, almeno per quanto è noto dalle ricerche e dagli studî fatti sinora, non supera i 7500 m., e non è da credere che sia lo stesso per le diverse classi di animali marini, queste sono tutte rappresentate.
Fra i Protozoi abbondano anzitutto i Rizopodi, i cui piccoli gusci, accumulati sul fondo degli oceani, danno origine a caratteristiche specie di fango costituito ordinariamente di avanzi d'un solo gruppo di Rizopodi, che possono essere Radiolarî a guscio siliceo, ovvero Foraminiferi a guscio calcareo del genere Globigerina (fig.1). Ma dalle massime profondità ove furono trovati animali, e propriamente nell'Oceano Pacifico, fu estratto un foraminifero a guscio siliceo (Miliolina subrotunda). I Radiolarî sono specialmente abbondanti nel centro del Pacifico, alla profondità di circa 4000 m. e 7500 m.; in un solo preparato microscopico di tale origine, il Haeckel riconobbe non meno di 50 specie nuove.
I Poriferi sono pure largamente rappresentati nella fauna abissale, e specialmente le eleganti specie degli ordini Tetractinellidae e Hexactinellidae a scheletro siliceo, con la ben nota Hyalonema dei mari del Giappone, specie presenti pure nell'Atlantico, e la Euplectella aspergillum delle Filippine. Specie dei generi Pheronema e Stannophyllum furono trovate a 4000 metri.
I varî gruppi di Celenterati hanno rappresentanti essi pure nella fauna abissale. Una specie di Antozoi, la Anteromorpha elegans, è stata pescata a circa 5000 m., profondità la quale è pure raggiunta da un madreporario, la Bathyactis symmetrica, mentre i veri coralli si arrestano a profondita molto minori. Le Gorgonie, invece, possono giungere con la Isidigorgia Pourtalesi sino a circa 4200 metri, e le Pennatule, anche più in basso poiché una specie, la Umbellula leptocaulis fu presa nelle acque della Nuova Guinea a circa 4500 metri.
Un'altra specie, la Umbellula encrinus Cuv. (fig. 2), è rappresentante della fauna artica ad una profondità di 600-800 m. nei mari della Norvegia.
Gli Idrozoi, invece, sono abitatori di acque più basse, ma una specie, Monocaulus imperator del Pacifico settentrionale, che può avere più di 2 m. di lunghezza, fu trovata a circa 5000 metri. Anche i Sifonofori, quantunque prevalentemente pelagici, hanno i loro rappresentanti nel mare profondo, poiché alcune specie di essi, dei generi Discalia e Disconalia, furono raccolte nell'Oceano Pacifico a profondità di 4500 m. Altrettanto avviene per le vere Meduse della classe delle Acalefe, ché dal Challenger ne furono raccolte due specie, la Tesserantha connectens e la Leonura terminalis nel Pacifico meridionale a 4000 m. Non si conoscono Ctenofori che scendano più in basso del nostro Cestus Veneris, trovato presso l'isola di Ponza a circa 1000 m. di fondo.
Gli Echinodermi sono forse, fra tutti gli animali, quelli rappresentati nella fauna abissale più largamente e da forme più caratteristiche. Vi sono presenti i Crinoidi, che ebbero il loro massimo sviluppo sia per frequenza sia per statura nel Silurico, parecchie specie dei quali vivono a 4500 m. di fondo. Sono poi specialmente caratteristiche delle profondità marine alcune Oloturie dell'ordine degli Elasipodi (Deima fastosum, D. atlanticum, Oneirophanta sp., Peniagone Wyvillii; fig. 3, A, B, C, D), provviste di appendici più o meno numerose, che furono trovate, come la Elpidia glacialis, a 4000 metri, mentre una vera Oloturia può giungere a 5000 m. Nelle profondità marine non mancano neppure i Cidaridi (Salenia hastigera; fig. 3, E) e gli Echinidi, ma il loro guscio non ha più che pochissime piastre calcaree, come avviene nel Phormosoma uranus,. trovato a circa 3000 m. e nel Cystechinus vesica, che vive a 4000 metri. Un genere di Echinidi irregolari, che si trova a profondità anche maggiori, Pourtalesia (Pourtalesia miranda; fig. 3, F, G), è provvisto di un'appendice analoga a quella degli Elasipodi. Gli Asteroidi sono, nel mare profondo, rappresentati dai generi Brisinga, noto per la sua grande fosforescenza, Pteraster, Archaster e Porcellanaster, che sono stati trovati anche a 5000 m. e più, come qualche Ofiuroide quale l'Ophyoglypha abdita e la Freyella sexradiata (fig. 3, H). Fra i Crinoidi una forma molto rara, il Rhyzocrinus lofotensis G. O. Sars, fu raccolta nella crociera del M. Sars, a notevole profondità, sulle coste del mare del Nord.
I Vermi sono forse gli animali la cui presenza, quantunque in scarso numero, è stata constatata a profondità più notevoli; infatti il Challenger pescò un anellide della famiglia dei Serpulidi, il Placostegus benthelianus, alla profondità di circa 6000 metri. Alcuni Gefirei, parecchi Brachiopodi e quattro specie di Briozoi raggiungono, pure, profondità altrettanto considerevoli.
Il tipo degli Artropodi è presente, nella fauna abissale, con la sola classe dei Crostacei, ma quasi tutti gli ordini di essa vi sono rappresentati. Non vi sono molto numerose le specie di Ostracodi, ma queste, nelle profondità, acquistano dimensioni insolite, come i Gigantocypris trovati dal Valdivia nell'Atlantico e nell'Oceano Indiano. Anche i Copepodi, quantunque essenzialmente pelagici, non mancano di specie abissali, come il Pontostratiotes abyssicola, pescato a 4000 m., mentre alcuni di essi sono parassiti di animali viventi a profondità anche maggiori, così fra i Cirripedi vi sono specie di Scalpellum che raggiungono i 5000 m. Scarsi sono gli Isopodi, ma le poche specie abissali acquistano dimensioni grandissime, come la Eurycope gigantea e il Bathynonus giganteus, che arriva alla lunghezza di circa 20 cm. Anche alcune specie del genere Serolis discendono al disotto di 4000 m., come pure gli Schizopodi, rappresentati da Nematoscelis mantis (fig. 4, I). Di questi alcuni presentano occhi normali, mentre altri, pur vivendo alla stessa profondità li hanno rudimentali e incapaci di funzionare; singolarissimo, poi, è il caso di Eucope australis, trovato sino a circa 3800 m., in cui il maschio ha occhi grandi e pigmentati di scuro, mentre la femmina li ha piccolissimi e bianchicci, ma in entrambi i sessi mancano gli elementi visivi.
Anche gli Anfipodi sono rappresentati nella fauna delle profondità, come da Cyphocaris Richardi, Hyperia schizogeneios e Alicella gigantea (fig. 4, E, G, H), e gli Anomuri da Neolithodes Grimaldii (fig. 4, C), forma molto simile ai Brachiuri, che conduce la stessa vita dei granchi.
Caratteristica delle grandi profondità è la famiglia di crostacei Macruri dei Polychelidae, con i generi Polycheles, Willemoesia ed altri, completamente privi di occhi, ma con antenne ed arti sviluppatissimi. Queste appendici raggiungono il loro massimo sviluppo in alcune specie di Carididae dei gener' Nematocarcinus, Benthesicymus (fig. 4, D e F) e Plesiopenaeus, che possono discendere alle profondità di circa 6000 m., eppure non mancano di occhi.
Decapodi pelagici che vivono alla profondità di 500-1000 m. della famiglia degli Hoplophoridae, dal color rosso vivo, sono l'Acanthephyra multispina (tav. a colori, A) e l'A. purpurea (fig. 6), mentre la Systellaspis debilis (fig. 7), si trova intorno ai 200 metri.
I Brachiuri sono assai più scarsi nelle grandi profondità. Fra essi va ricordata specialmente la Ethusa granulata, che si trova anche in acque molto basse, e allora ha occhi normali, mentre gli individui viventi a 1800 m. non conservano che i peduncoli oculari, trasformati in spine e privi di qualsiasi facolta visiva. Le specie Lispognathus Thomsoni e Anamanthia rissoana, (fig. 4, A, B) vivono fra i 1500 e 2000 m. di profondità.
Nelle forme abissali appartenenti al piccolo gruppo dei Pantopodi, oltre all'enorme sviluppo degli arti, si notano pure le dimensioni assai maggiori di quelle delle specie viventi in acque meno profonde, come si osserva nel genere Colossendeis, trovato sino a 4700 metri.
Contrariamente a quanto si verifica in questi animali e negli Isopodi, le specie abissali di molluschi Lamellibranchi (quali Semele profundorum, Callocardia pacifica e qualche altro che vive a 6000 m.) sono notevolmente più piccole di quelle viventi in profondità minori. Altrettanto avviene pei Gasteropodi, che, però, scendono un po' meno in basso, poiché la profondità massima donde furono estratti è di 5000 metri, da tale profondità, il Talisman pescò sulla costa di Africa il Fusus abyssorum, mentre un gasteropodo nudo, la Bathydoris abyssorum, fu preso nel Pacifico a 4500 metri. Anche i Cefalopodi, quantunque in massima parte adattati a vita pelagica, non mancano negli abissi marini, perché il Challenger ne pescò uno, la Chiroteuthis lacertina, a circa 5000 metri. Un'altra tipica forma di Cefalopodo abissale con occhi telescopici è l'Amphitretus (fig. 5, G).
I Tunicati scarseggiano pur essi nei grandi fondi marini, ma le poche specie che vi furono trovate sono interessantissime, come l'Hypobythius calycoides del Pacifico settentrionale, che ha un piede lungo 90 cm. e termina con una espansione che ne ha 83 di diametro, e l'Octacnemus bythius, che fu riconosciuto tipo di una nuova famiglia; essi vivono a circa 5000 metri di fondo e sono considerati come le scoperte più importanti fatte dal Challenger.
Le famiglie di Pesci rappresentate nella fauna abissale propriamente detta sono poco numerose, e meno ancora le specie che se ne conoscono e gli individui che ne sono stati raccolti. Da una lista pubblicata in Depths of the Sea le specie prese ad una profondità accertata di più di 4000 metri sarebbero non più di 21 e gli esemplari 35, appartenenti a sei famiglie: Alepocephalidae, Scopelidae, Halosauridae, Macruridae, Zoarcidae e Synaphobranchidae. Queste famiglie non sono però esclusive della fauna abissale, ma hanno anche rappresentanti in profondità minori; infatti mentre un Alepocefalide (Aleposaurus Copei) fu raccolto dall'Albatross a circa 6000 metri, e il Bathytroctes rostratus (fig. 8, A-D) fu pescato fino a 3000 m., l'Alepocephalus rostratus (fig. 9) vive nel Mediterraneo a profondità di 600-700 m., alla quale si trovano pure alcuni Macrurus (tav. a colori, D) che nell'Atlantico si pescano a più di 4000 metri. Ma anche altre famiglie, pur senza discendere a profondità così notevoli, si possono considerare come abissali, quali i Saccofaringidi che si trovano tra 1000 e 2500 m. di fondo e hanno occhi piccolissimi e bocca enorme e dilatabile, cui tiene dietro un corpo sottilissimo (Saccopharynx ampullaceus, fig. 8, I e Gastrostomus Baiardii, fig. 8, F). Altri pesci specialmente adattati alla vita nei grandi fondi sono alcuni Pediculati affini ai nostri Lophius, ma provvisti di abbondanti tentacoli, forniti di organi luminosi o sensorî (Gigantactis Vanhoffeni, fig. 5, D, E, Oneirodes, fig. 8, L, Astronesthes splendidus, fig. 10, Gonostoma, tav. a colori, B e C).
È singolare il fatto che, mentre alcuni dei pesci di grande profondità sono del tutto ciechi, altri invece hanno occhi enormi, il che probabilmente è in relazione con le abitudini carnivore e la facilità di compiere grandi spostamenti verticali. La voracità in alcuni è così grande da far loro ingoiare esemplari di statura maggiore della propria, come si è verificato nel Chiasmodus niger (fig. 8, G, H). In alcuni, gli occhi sporgono notevolmente dall'orbita, costituendo quelli che sono chiamati occhi telescopici, che probabilmente rappresentano un adattamento alla vita pelagica (Opisthoproctus soleatus, fig. 5, H, I). Gli organi luminosi sono più frequenti nei pesci batipelagici (Chauliodus Sloanei fig. 5, F, Cyclothone microdon fig. 8, E) che in quelli che vivono sul fondo, ma non mancano neppure in questi, ed anzi ve ne sono alcuni che hanno la proprietà di metterli in evidenza od occultarli, come fossero lanterne cieche (Halosauropsis macrochir, fig. 5, C). In altri, come già si è detto, esistono lunghi filamenti tattili che servono a compensare la funzione visiva soppressa per la riduzione degli occhi (Benthosaurus grallator e Bathypterois dubius, fig. 5, A, B). Altre interessanti forme di pesci abissali sono i generi: Argyropelecits e Chimaera (tav. a colori).
Da ultimo è interessante ricordare come dalle grandi profondità marine siano stati estratti denti di uno squalo ora estinto (Carcharodon megalodon) identici a quelli che si trovano nei terreni dell'epoca terziaria. Ciò sembrerebbe dare appoggio all'ipotesi che negli abissi marini persista una fauna di epoche geologiche passate. Si è pure constatato che spesso le stesse specie si trovano tanto nell'Atlantico che nel Pacifico e che forme identiche, o quasi, vivono nei mari artici e antartici, ma mentre nella zona polare si incontrano a poca distanza dalla superficie, man mano che si approssimano all'equatore discendono in basso, il che dimostra che la loro esistenza è vincolata alla temperatura dell'acqua.
Bibl.: E. H. Giglioli, Studî talassografici, Roma 1912; J. Richard, L'Océanographie, Parigi 1908; H. Bourée, De la surface aux abîmes, Parigi 1912; C. Wyville Thomson, The Depths of the Sea, Londra 1873; id., The Atlantic, Londra 1877; H. N. Moseley, Notes by a Naturalist on the Challenger, Londra 1879; W. Marshall, Die Tiefsee und ihr Leben, Lipsia 1888; C. Chun, Aus den Tiefen des Weltmeeres, Jena 1900; J. Murray, The Dephts of the Ocean, Londra 1912.