MANCINI, Faustina Lucia
Nacque a Roma, probabilmente il 1( ag. 1519. La data si ricava dall'età in morte secondo l'iscrizione nella basilica romana di S. Maria in Aracoeli (sesta cappella a sinistra oggi votata a S. Michele Arcangelo, ma al tempo consacrata a S. Giacomo): "Vix[it] Ann. XXIIII. M[enses] III. D[ies] V.", e dalla data della morte, nota da altra fonte: 10 apr. 1544. Non si conoscono i nomi dei genitori.
La famiglia paterna discendeva dall'antica nobiltà romana. Amayden individua due rami del casato: i Lucci poi Mancini e i Mancini del rione di S. Angelo; la M. dovette appartenere al primo ramo, che appunto aveva contribuito, nella persona di Lorenzo, all'erezione della cappella in S. Maria in Aracoeli, di proprietà dal 1438 dei Mancini.
Le notizie sulla vita della M. sono assai scarse: diciannovenne sposò il condottiero Pietro Paolo Attavanti, secondo l'atto di fede stilato dal notaio Stefano de Amannis il 28 febbr. 1538.
Tra gli antenati di Attavanti erano il miniatore Attavante, consultato nel 1503 per la disposizione del David michelangiolesco in piazza della Signoria a Firenze, e Paolo, padre provinciale per la Toscana dell'Ordine dei servi di Maria, morto a Firenze nel 1499.
Ma la fortuna della M. è legata all'ambiente farnesiano, in particolare al cardinale Alessandro, che amò circondarsi delle più belle donne; e non è un caso che la M. divenne la madrina dell'Accademia romana dello Sdegno, che nel 1541 sotto il patrocinio di A. Farnese aveva preso il posto di quella della Virtù fondata da Claudio Tolomei. Al sodalizio letterario aderirono, oltre lo stesso Tolomei, G. Ruscelli, G.G. Clovio, T. Spica, G. Benzi e F.M. Molza. Quest'ultimo fece della M. la sua musa ispiratrice. È forse già lei (se di lei si tratta, o non piuttosto della moglie dell'imperatore romano Antonino Pio) il personaggio celebrato nelle Stanze sopra il ritratto della signora Giulia Gonzaga, composte nel 1532, laddove Molza esalta la forza eternatrice delle arti figurative rispetto alla caduca bellezza muliebre: "Mirate, quanto il mondo anco ragiona / de la immensa beltà di Faustina, / e come in ciascun luogo oggi risuona / il nome di Mammea e di Agrippina" (I, 9, 1-2). Ma la consacrazione ufficiale arrivò nel 1537, quando Molza la trasfigurò nella ninfa tiberina dell'omonimo poemetto, ritratta in una posa arcadica di vezzosa ritrosia. Di una bellezza non canonica, ma di modi gentili e di rara armonia, la descrive L. Contile nel 1541 in una lettera sulla beltà femminile indirizzata a O. Marescotti, in cui celebra le più belle e caste nobildonne dell'Urbe: Lucia Colonna e la Mancini. A fronte del classico profilo della prima, Contile svela l'origine ineffabile del fascino della seconda: le sue attrattive, "raccolte in uno, fanno una tale armonia che l'anima di ciascuno per goderla si va a collocare ne gli occhi d'ogni uno che la guarda, ed è la consonanza di quel viso, e di quelle membra sì grande e sì stupende che tutta Roma a gara si muove per vederla".
D'altra parte, la rivalità fra le due donne e il posto che la gara di bellezza occupava nella mondana socialità farnesiana sono testimoniate da un'altra lettera, indirizzata da A. Caro ancora a Molza, il 19 maggio 1543 (Caro, pp. 266 s.). In un tono a metà tra il gazzettiere di mondo e il divertissement, Caro descrive la tenzone fra la Colonna e la M., sullo sfondo della messa domenicale, entrambe consapevoli della propria bellezza e supportate dagli opposti partiti capeggiati da G. Porrino e da A. Allegretti.
Non è difficile, d'altra parte, intravedere dietro la competizione femminile l'accorta regia del cardinale Farnese, nella cui cerchia tanto la Colonna quanto la M. furono oggetto di una continuata celebrazione artistica. Alla M. è dedicata una quantità di sonetti tesi a decantarne tanto l'avvenenza quanto le virtù morali. Si tratta di una filiera poetica che bene interpreta il classicismo farnesiano, chiamato a trasfigurare il dato quotidiano su un piano ideale, composto e fortemente permeato di uno spiritualismo platonico-cristiano. Una prima serie di sonetti a lei dedicati, firmati tra gli altri da Porrino, da G. Cenci, da Molza e da D. Atanagi, e riuniti poi nella raccolta curata da Atanagi stesso De le rime di diversi nobili poeti toscani (Venezia 1565), la ritrae nel moto di subitaneo rossore che la coglie al saluto rivoltole dal giovanissimo Orazio Farnese; un altro componimento, firmato dal segretario di Pier Luigi Farnese, A. Filareto, la descrive in chiesa raccolta in preghiera (Movea tra perle, e bei rubini ardenti, ibid., II, c. 47v). Al di là infatti di una casistica topica, i sonetti dedicati alla M. concordano almeno nel sottolinearne l'intensità dello sguardo, la castità e la fascinazione esercitata dai modi gentili e verecondi.
La committenza farnesiana non si limitò a incentivare la sola produzione letteraria: della fertilità del tema Mancini, come d'altra parte della magnificenza del cardinale Alessandro e della sua raffinata cultura artistica, sono testimoni le opere figurative composte tra la fine del quarto decennio e l'inizio del quinto del secolo XVI. Tra i più ferventi ammiratori della M. certamente fu Clovio, che il 25 apr. 1543 scrisse al cardinale Farnese di averla vista di persona in casa di B. Caffarelli e di averle chiesto di poterla ritrarre dal vivo, per terminare l'opera già avviata. In una lettera del 15 giugno successivo, chiaramente legata all'episodio, Caro rassicurava Filareto, e indirettamente il suo padrone, Pier Luigi Farnese, che un ritratto della M., esemplato sul disegno di Clovio, era pronto e che presto sarebbe stato recapitato al committente. La maestria dell'artista e la bellezza del soggetto non mancarono di ispirare i farnesiani A. Allegretti (Qual meraviglia, se col vostro ingegno, in De le rime, II, c. 54v), G. Cenci (Se lo stuolo de gli Amor, che beltà parte, ibid., c. 60r) e A. Contarini (sonetto Giulio, che con bell'arte e dotta cura, ibid., c. 90v). La disinvolta mondanità del cardinale giunse a volere la M. immortalata, unitamente con il pontefice Paolo III, raffigurato in Simeone, e un'altra nobildonna amata da A. Farnese, la Settimia Iacovacci, nel Libro d'ore, miniato dallo stesso Clovio, nella figura della Circoncisione (Officium Virginis, New York, Pierpont Morgan Library, Mss., 69, c. 34v).
Ma l'evento catalizzatore per la definitiva canonizzazione della M. come emblema della bellezza femminile e della sua labilità è certamente la morte di parto, avvenuta a Roma il 6 nov. 1543 (cfr. Biblioteca apost. Vaticana, Ottob. lat., 2551, c. 281r).
I primi a commemorarne in versi la scomparsa furono gli "Academici novi e spiriti gloriosi di Latio", secondo quanto afferma S. Biondo nella lettera prefatoria alle Rime liggiadre (Venezia, all'insegna di Apolline, [post 1543], c. AIIv), in cui Biondo pubblicava alcuni di quei componimenti anonimi preceduti da una illustrazione raffigurante una veglia funebre e dal titolo: Del empio caso della bellissima Mancina gentildonna romana (cc. CIIv-IIIr). Tali omaggi poetici furono riediti nelle già menzionate Rime curate da Atanagi, dove furono attribuiti a Giovanni Maria Della Valle e allo stesso Atanagi.
Ma la consacrazione post mortem della M. fu opera soprattutto dell'Accademia degli Sdegnati e di Girolama Orsini: fu lei a ordinare a Caro (suo il sonetto O d'umana beltà caduchi fiori, in De le rime, I, c. 3r, e Lirici europei del Cinquecento, Milano 2004, p. 374) di raccogliere una silloge in morte della M., che poi non fu stampata (due gli esemplari manoscritti: Firenze, Biblioteca nazionale, Palatino, 239, e Breslavia, Biblioteca universitaria, Milich, IV.32, dal significativo titolo: Sonetti mandati da Roma al Molza da diversi autori in morte della sua innamorata che fu M. Faustina Mancina gentildonna romana). Del cordoglio del circolo farnesiano resta ampia attestazione nelle Rime raccolte da Atanagi, dove confluirono le poesie composte fino a quella data. Tra gli autori figurano nomi più e meno noti dell'ambiente romano: R. Gualtieri, A. Contarini, D. Gacciola, A. Lalata, G. Cenci, G. Pellegrino, G.A. dell'Anguillara, G.M. Della Valle, G.T. Dardano, G. Britonio, E. Barbarasa, M. Leone, M. Podiani, T. Spica, T. Benci (sollecitato da una lettera di C. Tolomei, De le lettere, Vinetia 1549, cc. 90v-91r), D. Atanagi (cfr. Id., Rime d'encomio e morte, a cura di G. De Santi, Ancona 1979, pp. 129-136). F.M. Molza compose una corona di sonetti per la M. (Delle poesie volgari e latine, a cura di P.A. Serassi, I, Bergamo 1747, pp. 55-59), mentre quattro epitaffi in latino furono riprodotti nelle sue Lettere inedite tratte ora la prima volta da mss. originali, (s.n.t., pp. 184, 217 s.). Né poteva mancare al coro generale B. Varchi, che per la M. indirizzò a F. Torres il sonetto Lasso! Chi mi darà le rime e i versi (Id., Opere, II, Trieste 1859, p. 853b). Analoghe espressioni di dolore levarono in latino B. Buccarini (In obitu Luciae Faustinae Mancinae Romanae, in Carmina poetarum nobilium Io. Pauli Ubaldini conquisita, Mediolani 1563, cc. 30r-32r) e G. Cichino (Carmina, a cura di L. Casarsa, Trieste 1976).
Ma l'eco della vicenda non mancò di ispirare anche le arti figurative: nella chiesa di S. Maria in Aracoeli il marito della M. volle commemorarla con un monumento funebre a forma di guglia, coronato da una testa marmorea della defunta, oggi scomparso (una sommaria descrizione si legge in Biblioteca apost. Vaticana, Vat. lat., 8253, I, c. 254r): a tale statua sembra riferirsi tanto il sonetto di T. Spica (Dunque la man d'uno scultore ardita, in De le rime, a cura di Atanagi, c. 82v), quanto quello di M. Podiani, (Questa d'alma beltà strania Fenice, ibid., cit., II, c. 86r). Ma il volto della M. appare, secondo l'indicazione di Vasari (che tuttavia la nomina erroneamente come Claudia), anche nel monumento che i Farnese vollero edificare a testimonianza della loro magnificenza, ovvero nella Sala dei trionfi farnesiani della villa di Caprarola, e in particolare nell'affresco delle Nozze di Ottavio Farnese eseguito da T. Zuccari. Di recente E. Guidoni ha proposto di individuare nella M. il modello dell'allegoria della Vita attiva scolpita da Michelangelo per il monumento funebre a Giulio II, ora in S. Pietro in Vincoli a Roma. La suggestiva ipotesi si avvale del riscontro offerto da un epigramma e da un sonetto dello stesso Buonarroti dedicato alla defunta M. (Rime e lettere, a cura di P. Mastrocola, Torino 1992, pp. 219 s.).
Fonti e Bibl.: L. Contile, Delle lettere, I, Pavia 1564, c. 49; G. Vasari, Vita di Taddeo Zucchero, in Id., Vite, a cura di C.L. Ragghianti, III, Milano 1943, p. 379; A. Caro, Lettere familiari, a cura di A. Greco, I, Firenze 1957, pp. 266 s., 276, 288 s.; T. Amayden, La storia delle famiglie romane, Roma 1910, pp. 37-46 (a p. 42 errato il testo della lapide della M.); M. Maylender, Storia delle accademie d'Italia, V, Bologna, 1930, p. 141; S. Prete, Breve storia di un epigramma, in Studi romani, IV (1956), pp. 55-57; G. Robertson, "Il gran cardinale": Alessandro Farnese patron of the arts, New York 1992, pp. 33 s., 219, 249; M. Cionini-Visani, Giorgio Giulio Clovio, Londra 1993, p. 48; R. Zapperi, Il cardinale Alessandro Farnese: riflessi della vita privata nelle committenze artistiche, in I Farnese. Arte e collezionismo (catal., Parma-Napoli-Monaco di Baviera), a cura di L. Fornari Schianchi - N. Spinosa, Milano 1995, pp. 48-57; E. Guidoni, Michelangelo: la "Vita contemplativa" (Vittoria Colonna) e la "Vita attiva" (F. M.) nel monumento a Giulio II in S. Pietro in Vincoli, in Strenna dei romanisti, LXIII (2002), pp. 321-337.