MARATTI, Faustina
Unica figlia del pittore marchigiano Carlo, nacque a Roma nel 1679 da una relazione dell'artista con la popolana Francesca Gommi. Fu riconosciuta come figlia legittima nel 1698.
Poco più che ventenne la M. fu protagonista di un fatto di cronaca che fece scalpore nella Roma del tempo: fu vittima di un tentativo di rapimento architettato dal giovane Giangiorgio Sforza Cesarini.
L'aggressione ebbe luogo il 29 maggio 1703 nei pressi del Quirinale, mentre la M. si stava recando a messa nella chiesetta del convento di S. Anna con la madre, una cameriera e due servitori. La M. si difese con forza riuscendo infine a divincolarsi dagli assalitori, anche se riportò una ferita alla testa. Fu forse per questo che Sforza Cesarini e i suoi complici, spaventati dall'accaduto, rinunciarono a portare a termine il ratto.
La M. e Sforza Cesarini si erano conosciuti a Genzano, dove le rispettive famiglie possedevano una residenza, e forse avevano continuato a incontrarsi a Roma, anche se nessuna notizia certa si può riportare sull'effettivo coinvolgimento sentimentale della M., quando il corteggiamento di Sforza Cesarini si fece più deciso. In ogni caso, in seguito all'episodio del 1703, papa Clemente XI Albani, protettore di C. Maratti, appoggiò le sue istanze affinché l'aggressore fosse punito. Furono così decretate nei suoi confronti la pena di decapitazione e la confisca dei beni e, poiché Sforza Cesarini si rese irreperibile, anche una taglia sulla persona. Nonostante la condanna fosse in seguito mitigata, anche per intervento dello stesso Maratti che voleva preservare la reputazione della figlia, sul cui conto erano cominciate a circolare voci poco lusinghiere, Sforza Cesarini non rientrò più a Roma, intraprese la carriera militare nel Regno di Napoli e poi in Spagna, dove morì (1719).
La M. trascorse una giovinezza scandita da un'educazione ampia e diversificata, che comprese il canto, la danza, la musica (apprese a suonare il clavicembalo), la lingua spagnola e la pittura sotto la guida del padre. In un ritratto in cui compare all'incirca diciottenne, dipinto dal padre e conservato nella Galleria nazionale d'arte antica in Palazzo Corsini a Roma, la M. tiene in mano una tavolozza e alcuni pennelli; le viene tradizionalmente attribuito un ritratto di Clemente XII esposto alla Pinacoteca Ambrosiana di Milano (Donne di Roma, p. 149). Fu tuttavia la poesia a occupare il posto più rilevante nella formazione della M., in cui ebbe maestro il poeta A. Guidi. Grazie alla sua influenza, il 2 maggio 1704 fu introdotta in Arcadia, con il nome di Aglauro (talvolta Aglaura) Cidonia.
All'interno del circolo arcadico la M. conobbe il futuro consorte, l'imolese Giovan Battista Felice Zappi, che aveva già ricevuto numerose cariche amministrative e politiche da papa Clemente XI e nel 1702 era stato oratore in occasione dell'apertura dell'Accademia del disegno presso il Campidoglio. Zappi, oltre che affermato giurista, era tra i quattordici fondatori dell'Arcadia (1690), dove assunse il nome di Tirsi Leucasio. Le nozze avvennero nel 1705 e le dimore della coppia, quella a Roma e quella estiva ad Albano, divennero tra i luoghi di riunione più importanti per letterati e artisti residenti a Roma o di passaggio.
Per la M. furono questi gli anni più felici e appaganti, incentrati sull'amore coniugale e l'ammirazione per il consorte (a cui nell'attività poetica era solita paragonarsi con un atteggiamento di modestia), costellati da numerose amicizie con altri letterati, molti dei quali della colonia arcadica bolognese. Da alcune di queste conoscenze nacquero corrispondenze epistolari, per esempio con G. Zanotti, P.J. Martello, P. Rolli; molti di loro le dedicarono versi e prose: oltre ai tre appena citati, G.M. Crescimbeni, C.I. Frugoni, E. Manfredi e F.A. Ghedini.
Poco tempo dopo la vita della M. venne attraversata da tre gravi lutti, nel 1711 quello del terzogenito Rinaldo, morto a poco più di due anni, nel 1713 del padre, quasi novantenne, e nel 1719 del marito. Allentatisi i legami con l'ambiente romano, la M. prese a viaggiare: nel 1720-21 fu a Bologna, quindi a Venezia. Negli anni a venire i soggiorni a Imola si fecero sempre più frequenti, pur se non si integrò mai a fondo in quell'ambiente più ristretto e provinciale. Le sue abituali corrispondenze epistolari si fecero più sporadiche, a eccezione di quella, durata fino alla morte, con il letterato imolese C. Zampieri. Proseguì, seppure non con lo stesso slancio a comporre versi, occupandosi nel contempo dell'educazione dei figli; il primogenito Luigi studiò a Bologna e anch'egli si dedicò alle lettere, senza raggiungere la fama dei genitori; nel 1730 la figlia Livia sposò il nobile lucchese Carlo Guidiccioni. Nel 1728, grazie alle petizioni della famiglia Albani, che dai tempi del papa Clemente XI la appoggiava, per diploma di Federico Augusto II re di Polonia la M. divenne marchesa con diritto di ereditarietà del titolo. Sopraggiunsero contemporaneamente nuovi motivi di sofferenza: sul piano sentimentale l'abbandono nel 1729 da parte dell'abate Vincenzo Parravicini, più giovane della M., anch'egli membro dell'Arcadia, con cui la M. aveva intrattenuto una relazione probabilmente dai primi anni Venti, e sul piano legale le pretese di riconoscimento, a partire dal 1728, di un giovane di nome Francesco che sosteneva di essere frutto della relazione giovanile della M. con Giangiorgio Sforza Cesarini. La questione si trascinò fino al 1744, quando due sentenze riconobbero le ragioni della M. e le istanze del giovane furono definitivamente respinte. Tuttavia lo studio delle testimonianze processuali e degli scritti autografi lasciati dai protagonisti della vicenda lascia alcune zone d'ombra sulla vicenda.
Tra il 1743 e il 1744 la M. si ammalò e morì all'inizio del 1745, a Roma, nella sua casa di via Rasella. Il corpo fu seppellito nella chiesa di S. Carlino alle Quattro Fontane.
La produzione poetica della M. si concentra principalmente negli anni della sua vita coniugale (1705-19) ed è composta in prevalenza da sonetti, metro che ella predilesse. Vanno aggiunti un madrigale e un madrigaletto (rispettivamente in memoria della principessa di Piombino Anna Maria Arduina Ludovisi e della contessa Prudenza Gabrielli Capizucchi), pubblicati a Roma il primo nel 1705, il secondo nel 1710, un'epistoletta in versi e un capitolo in terzine allo Zanotti, un componimento in versi sciolti al Rolli, alcune ottave scherzose su Le code e qualche breve scritto in prosa. I sonetti, dopo alcune apparizioni in miscellanee (per esempio in Rime degli Arcadi, II, Roma 1716, pp. 28-42), furono riuniti in numero di 39 nelle Rime dell'avvocato Giovan Battista Felice Zappi e di Faustina Maratti sua consorte con l'aggiunta delle più scelte di alcuni rimatori del presente secolo (Venezia 1723, pp. 128-147; edizione numerose volte riproposta nel corso di quel secolo e del successivo).
Per quanto riguarda le scelte tematiche, accanto ad alcuni motivi dominanti, inerenti alla sua vita personale (l'amore per il marito che assunse anche la forma della gelosia per altre donne, il dolore per la morte prematura del figlio, per quelle del padre e del consorte), si trovano anche componimenti nati da spunti politici e di intonazione patriottica, come il sonetto Poiché il volo dell'aquila latina, composto nel 1714-15 per commemorare i successi politici di Vittorio Amedeo II di Savoia in seguito alla guerra di successione spagnola e il matrimonio di Filippo V di Spagna con Elisabetta Farnese. Non mancano liriche d'occasione e altre di ispirazione letteraria, come i nove sonetti dedicati ad alcune celebri figure femminili di Roma antica: Lucrezia, Porzia, Veturia, Tuzia, Virginia, Claudia, Arria, Cornelia e Ortensia. Su questi componimenti, i primi sette riuniti nelle Rime scelte di poeti illustri de' nostri tempi, a cura di B. Lippi (Lucca 1719, pp. 268-271), gli ultimi due pubblicati a Roma nel 1747 nel X tomo delle Rime degli Arcadi (Roma 1747, pp. 25 s.), si è discusso sia sulle date di composizione sia sulle possibili implicazioni biografiche con l'episodio del fallito ratto del 1703, in particolare per i sonetti di Lucrezia e di Tuzia.
Motivo di dibattito critico è stato il confronto tra le liriche della M., più nettamente orientate su temi intimi e autobiografici, e quelle del marito, che invece si concentrano su temi mitologici e bucolici. Diffusa già tra i contemporanei e poi ripresa in seguito da alcuni studiosi (Morandi, Migliau, Galli) è l'opinione che considera i componimenti della M. più sinceramente sentiti di quelli di Zappi. Giudizio ridimensionato in parte da Salza (pp. 79 s.) che, pur qualificandola come "culta e precisa rimatrice", nel contempo la definisce "fredda petrarchista". In ogni caso, larga parte della critica è concorde nel ritenere maggiormente validi e riusciti, più che i componimenti di stampo storico-eroico, quelli a carattere intimo e quotidiano, dove la M. "poteva invece tradurre i suoi sentimenti nella direzione della gentilezza patetica, in forme di agile canto e di fresca rappresentazione di stati d'animo" (Binni, p. 131).
Una panoramica puntuale per ricostruire la complessa storia editoriale dei sonetti e delle altre poesie si trova nella monografia di B. Maier, F. M. Zappi, donna e rimatrice d'Arcadia, Roma 1954 (in appendice le inedite ottave su Le code e un lungo ragionamento in prosa in difesa del componimento Con fronte crespa e guardo aspro e severo). Per i testi si ricorra alle antologie, entrambe a cura dello stesso Maier, G.B. Zappi - F. Maratti - E. Manfredi - C.I. Frugoni, Poesie, Napoli 1972, pp. 135-180, e Lirici del Settecento, Milano-Napoli, 1959, pp. 61-66.
Fonti e Bibl.: L. Morandi, Lucrezia Romana in Arcadia, in Nuova Antologia, 16 febbr. 1888, pp. 585-604; A. Migliau, Studio su F. M. Zappi in Arcadia Aglauro Cidonia, Città di Castello 1911; G. Galli, Nel Settecento. I poeti Giambattista Felice Zappi e F. M. (con lettere documenti inediti e ritratti), Bologna 1925; J. De Blasi, Le scrittrici italiane dalle origini al 1800, Firenze 1930, pp. 256-265; A. Salza, La lirica, dall'Arcadia ai tempi moderni, Milano s.d., pp. 77-80; W. Binni, L'Arcadia e il Metastasio, Firenze 1963, pp. 129-137, 440-445; E. Cecchi - N. Sapegno, Storia della letteratura italiana, VI, Milano 1978, pp. 388-391; C. Cacciari - G. Zanelli, F. M. tra Roma ed Imola: immagine pubblica e tormenti privati di una poetessa italiana del Settecento, Imola 1995; Donne di Roma, dall'Impero romano al 1860 (catal., Ariccia), a cura di M. Natoli - F. Petrucci, Roma 2003, pp. 148 s.; Poetesse e scrittrici, a cura di M. Bandini Buti, Roma 1941, I, pp. 375 s.; Enc. Italiana, XXXV, pp. 893 s. (s.v. Zappi-Maratti, Faustina).