MARTINI, Fausto Maria.
– Nacque a Roma il 14 apr. 1886. Il 24 nov. 1891 venne riconosciuto quale figlio legittimo da Cipriano Martini ed Elena Carli. Il M. compì gli studi liceali nel prestigioso collegio Nazareno di Roma, dove ebbe come insegnante di lettere L. Pietrobono, che trasmise al giovane allievo un duraturo interesse per la poesia di G. Carducci e G. Pascoli. Ottenuta la maturità classica, si iscrisse alla facoltà di giurisprudenza dell’Università di Roma senza tuttavia giungere a laurearsi.
Tra il 1903 e il 1904, insieme con C. Govoni, A. Tarchiani, G. Calza Bini e A. Tusti, animò attivamente il cenacolo poetico-letterario sorto intorno a S. Corazzini. Nell’autunno del 1905 partecipò alla fondazione della rivista quindicinale di lettere ed arti Cronache latine (il primo numero uscì il 15 dicembre dello stesso anno), la cui redazione si trovava nella casa dove risiedeva la famiglia Martini, al numero 50 di via della Mercede. Il nascente interesse per il giornalismo s’accompagnò ben presto a un’incessante attività poetica. Nei due anni successivi alla fondazione della rivista, infatti, il M. pubblicò alcune raccolte di poesie: Le piccole morte (Torino 1906) e «Panem nostrum» (Roma 1907) seguite, a tre anni di distanza, dalle più mature Poesie provinciali (Napoli 1910).
Sin dai titoli le sillogi tradivano l’aderenza a un crepuscolarismo di matrice corazziniana che tuttavia, pur caratterizzandole, non esauriva l’eterogeneità dei temi e degli spunti di cui i versi si nutrivano. La raccolta d’esordio, Le piccole morte, proponeva esercitazioni letterarie fortemente influenzate da Carducci (e dai carducciani) e ricche di echi pascoliani; laddove «Panem nostrum», senza dimenticare i precedenti modelli, attestava una crescente influenza di G. D’Annunzio, con particolare riferimento a quel Poema paradisiaco (1893) in cui si anticipavano e riassumevano temi e toni poi cari alla sensibilità crepuscolare.
Fu tuttavia con le Poesie provinciali che la lirica del M., sebbene sorretta dalla consueta base corazziniana, venne più significativamente intaccata da una personale componente idillico-elegiaca e da quella mescolanza d’ansia spirituale e inclinazione alla religiosità tipiche di un’indole malinconica; l’esibita commistione tra sacro e profano, non priva di stilemi di chiara derivazione preraffaellita e simbolista, era da ricondursi invece all’influsso dannunziano.
Dopo la morte di Corazzini nel 1907, il M., Tarchiani e Calza Bini decisero di lasciare l’Italia e si imbarcarono su un vapore spagnolo diretto negli Stati Uniti. Fu una vera e propria avventura di cui, a distanza di anni, il M. scrisse diffusamente nella seconda parte del suo romanzo più celebre: Si sbarca a New York (Milano 1930). Dall’America inviò al quindicinale studentesco romano La Vita letteraria alcune poesie e una corrispondenza, Nel mondo letterario americano, pubblicata a puntate nel settembre-ottobre del 1907 (La Vita letteraria, IV [1907], 13-20 settembre, p. 3; 11 ottobre, p. 3). Il medesimo anno tradusse (e pubblicò) Bruges-la-Morte di G. Rodenbach (Roma 1907).
Rientrato in Italia nel 1908, il M. trascorse dodici mesi in isolamento quasi totale, dapprima chiudendosi in un convento di frati cappuccini vicino a Cittaducale, nel Reatino, poi rifugiandosi presso alcuni parenti, in un piccolo paese dell’Abruzzo. Frutto di tanta solitudine furono le già ricordate Poesie provinciali e Il ritorno, la prima delle sue opere teatrali rappresentata al teatro Argentina di Roma il 28 apr. 1910 dalla Drammatica compagnia romana. Nel 1909, tornato a vivere nella capitale, avviò una duratura collaborazione come critico teatrale per La Tribuna (giornale per il quale, in occasione d’avvenimenti letterari o mondani particolarmente rilevanti, non disdegnava di fare l’inviato).
Dal 1910 all’attività di critico aggiunse quella di commediografo: il Mattutino (scritto in collaborazione con G.C. Viola; ed. Roma 1929) venne rappresentato il 29 dic. 1910 al teatro Argentina di Roma dalla compagnia Stabile romana; La bisca (ibid. 1929) debuttò il 5 dic. 1911 (compagnia e teatro furono i medesimi); la trilogia Aprile (Un cortile, L’altra rondine, Clausura) fu composta nel 1913 ma venne messa in scena solo il 23 nov. 1917 al teatro Quirino di Roma dalla compagnia drammatica Irma Gramatica; Il giglio nero (Firenze 1920) venne rappresentato il 19 genn. 1914 al teatro Valle di Roma dalla compagnia Gandusio-Borelli-Piperno e replicato con enorme successo per sedici sere di seguito; il 5 febbr. 1915 la medesima compagnia mise in scena al teatro Valle Il fanciullo che cadde (poi in Comoedia, III [1921], 6, pp. 5-42). Nel 1911, oltre a comporre testi teatrali, tradusse Le prose di P.B. Shelley (Roma 1911), dietro sollecitazione del poeta A. De Bosis, nonché il dramma storico di Fr. Schiller La congiura del Fiesco e il Don Juan Tenorio di J. Zorrilla (in collab. con G. de Frenzi), rappresentato in quello stesso anno al teatro Argentina dalla compagnia Stabile romana.
Nel 1915 – dopo aver licenziato il soggetto di Rapsodia satanica, film musicale d’impronta futurista diretto da N. Oxilia – il M. partì come volontario per il fronte. Fu ferito due volte: la prima sul monte Slenza, in modo lieve; la seconda, nel novembre del 1916, nelle trincee di Cima Pal Grande in Carnia, riportò invece lesioni così gravi da essere costretto a trascorrere ben tre anni in ospedali diversi prima di poter tornare al suo lavoro di giornalista e commediografo.
Tuttavia, né il disagio della condizione fisica, né la depressione che ne derivò, gli impedirono di proseguire l’attività letteraria. Oltre a numerose poesie (rimaste inedite fino al 1969), scrisse infatti il dramma Ridi Pagliaccio! (ed. Bologna 1919), rappresentato per la prima volta in veste siciliana il 22 genn. 1919 al teatro Nazionale di Roma dalla compagnia di A. Musco e replicato poi, con grande successo, a Torino e in altre città italiane e straniere.
Risale a questo periodo (18 apr. 1918) anche il suo matrimonio con Emma Angelini Paroli, proveniente da una nobile famiglia di Perugia, con cui ebbe una figlia, Elena.
A partire dal 1920 il M. riprese a lavorare come giornalista, dapprima per La Tribuna (che lasciò nel 1925), poi per Il Giornale d’Italia. Scrisse inoltre, e pubblicò, la raccolta di novelle La porta del paradiso (Roma 1920).
Tra il 1921 e il 1931 si divise tra l’attività di critico teatrale, quella di narratore e quella di commediografo.
Il 22 apr. 1921 al teatro Valle la compagnia D. Niccodemi rappresentò Il fiore sotto gli occhi (ed. Milano 1922), ottimo esempio di commedia intimista. Seguirono il dramma L’altra Nanetta (ibid. 1923), rappresentato il 7 dic. 1922 al teatro Manzoni di Milano dalla compagnia Emma Gramatica; La facciata (Firenze 1926), messa in scena il 16 febbr. 1924 nel teatro di villa Foscari da un gruppo di appassionati d’arte drammatica; La sera del 30 (ibid. 1926), recitata il 20 genn. 1926 al teatro Argentina dalla compagnia drammatica Melato-Betrone; infine Bisboccia (Roma 1929), ultima delle fatiche teatrali del M., rappresentata il 29 maggio 1929 al teatro Margherita dalla compagnia Petrolini.
Negli anni Venti pubblicò, inoltre, alcune raccolte delle sue critiche teatrali: Cronache drammatiche, 1922 (ibid. 1923); Cronache teatrali, 1923 (Firenze 1924); Cronache del teatro di prosa, 1926-1927 (Roma 1928). Dal punto di vista narrativo il decennio fu altrettanto proficuo: a partire da Verginità (Firenze 1921), romanzo in cui il M. ripercorse la drammatica esperienza del conflitto bellico, per proseguire con la raccolta di novelle La vetrina delle antichità (Milano 1923), i romanzi Il cuore che m’hai dato (ibid. 1925), e I volti del figlio (ibid. 1928), il già citato Si sbarca a New York, il romanzo d’avventure Lo zar non è morto (Roma 1929: lavoro a più mani, opera del collettivo fascista «Il Gruppo dei Dieci») e infine, apparsi postumi, Il silenzio (Milano 1932) e gli Appunti di vita di guerra (ibid. 1933). Pubblicò inoltre la traduzione de La lettera scarlatta di N. Hawthorne (Milano-Verona 1931).
La fama del M. romanziere resta comunque legata soprattutto a Si sbarca a New York, opera ricca di elementi autobiografici, digressioni poetico-sentimentali, spunti tragici e comici inseriti in una struttura di tipo teatrale. Come in un dramma, infatti, il romanzo fa seguire a un soliloquio, con funzione di prologo, tre parti (veri e propri atti): la nostalgica rievocazione degli anni del cenacolo romano e dell’amicizia con Corazzini, il dettagliato racconto del viaggio e del soggiorno a New York, il doloroso ricordo della riesumazione delle spoglie dell’amico poeta.
Il M. morì a Roma il 12 apr. 1931.
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