TARSITANO, Fausto. –
Nacque a Roggiano Gravina (Cosenza) il 18 dicembre 1927. Il padre Francesco, sarto come il nonno ed ex socialista interventista, e la madre Amalia, casalinga, ebbero dopo lui altri quattro figli: Elio, Antonio, Luigi e Clara. Elio fu consigliere provinciale del Partito comunista italiano (PCI) e sindaco della città natale, nel 1961-67, come il fratello Antonio, che coprì quel ruolo nel 1978-79, nel 1980-81 e nel 1984-89. Luigi fu consigliere del PCI di Rossano, ispettore ministeriale e membro dell’Unione nazionale per la lotta all’analfabetismo.
Dopo il diploma magistrale e la maturità classica, conseguiti a Cosenza e in Emilia, Tarsitano si iscrisse alla facoltà di giurisprudenza all’Università di Roma. Nel difficile clima sociale del primo dopoguerra, segnato dall’incerta applicazione del decreto Gullo del 1944 sulle concessioni delle terre incolte ai contadini, partecipò al movimento di occupazione dei latifondi come segretario del PCI di Roggiano Gravina; ferito in uno scontro con la polizia, fu condannato nel 1949 dal pretore di San Marco Argentano a un mese di reclusione, condanna di cui andò sempre fiero. Dopo aver fondato una cooperativa per coltivare 350 ettari di terra, fu per due anni segretario della Federazione giovanile del PCI a Cosenza.
Laureatosi a Roma nel 1955 – il padre gli inviò «un vestito nuovo, a righe, chissà quanto gli era costata quella stoffa, era il vestito per il primo figlio dei contadini che si laureava» (Dolci, 1973, p. 229) – svolse la pratica presso lo studio dell’avvocato calabrese comunista Giuseppe Berlingieri, che lo avvicinò al movimento Solidarietà democratica; dell’organizzazione, che forniva assistenza materiale e giudiziaria agli operai e agli ex partigiani, fu negli anni Cinquanta un punto di riferimento.
Aprì il suo studio legale a Roma in via S. Giovanni in Laterano, trasferendosi poi in piazza Colosseo e dal 1988 in via de’ Ss. Quattro.
Nel 1960 sposò con rito civile Maria Marafioti, dipendente del Comune di Roma (dal 1980 addetta alla segreteria del gruppo consiliare del PCI e in seguito funzionaria amministrativa).
Come membro dell’Associazione internazionale dei giuristi democratici, nel 1963 Tarsitano assistette, insieme ai colleghi Gavin Freeman e Charles Ledermann, alla «farsa tragica» del processo celebrato a Madrid a Julian Grimau, dirigente del Partido comunista español, fucilato per «ribellione armata» (Comité national de dèfense des victimes du franquisme, 1963, n. 12; F. Tarsitano, Il processo a Grimau, in Chiarezza, V (1963), 5, pp. 11 s.).
La vita di Tarsitano s’intreccia profondamente, senza esaurirsi, con la storia del PCI. Fu consulente giuridico del Centro educativo fondato nel 1972 a Mirto (Partinico) da Danilo Dolci, che aveva difeso nel 1956 dall’accusa di occupazione abusiva di suolo pubblico nello ‘sciopero alla rovescia’ di Partinico, e nel 1966 nel processo per diffamazione intentato da Bernardo Mattarella e dal sottosegretario del ministero per la Sanità, Calogero Volpe, accusati di collusione con la mafia. Dopo la condanna del tribunale di Roma e il ricorso in appello, durante il dibattimento (4 giugno 1971) Tarsitano incalzò uno dei testimoni, il capo della polizia Angelo Vicari, circa i capimafia Calogero Vizzini e Genco Russo (cfr. Conversazioni con Danilo Dolci, 1977, p. 92; Barrese, 1973, p. 134).
Nel 1968 difese l’esponente di Potere operaio Franco Piperno nel processo per l’attentato alla sede romana della Boston Chemical, che produceva il napalm utilizzato in Vietnam (cfr. Grandi, 2005, p. 241) e nel 1969 Francesco Tolin, direttore responsabile di Potere operaio, accusato di apologia di reato. Nel 1970 commentò con favore l’assoluzione da parte della prima Sezione del tribunale di Roma del giornalista dell’Espresso Carlo Gregoretti (e del direttore Gianni Corbi) dall’accusa di diffamazione aggravata, rivolta dal generale Giovanni De Lorenzo per gli articoli sul Piano Solo (cfr. De Lorenzo - L’Espresso. Una sentenza costituzionale, in L’Astrolabio, 24 maggio 1970, pp. 26 s.). Nel 1973, dopo aver rinunciato a difendere Adele Cambria, direttrice responsabile di Lotta continua, nel processo per direttissima per apologia di reato per un articolo sull’omicidio del commissario Luigi Calabresi (cfr. Cambria, 2010, pp. 191 s.), Tarsitano assistette il direttore dell’Unità Carlo Ricchini, querelato dal segretario del Movimento sociale italiano Giorgio Almirante per diffamazione: all’udienza presso la quarta Sezione penale del tribunale di Roma presentò documenti che attestavano il ruolo di Almirante nella propaganda del bando antipartigiano del maggio 1944 diramato dal ministero della Cultura popolare di cui Almirante era allora capo di gabinetto (cfr. L’Unità, 13 giugno 1973).
Pur non condividendone tutte le azioni (come le ‘controinaugurazioni’ dell’anno giudiziario), Tarsitano assistette alcuni membri di Magistratura democratica; nel 1973, insieme a Giovanni Conso e Guido Calvi, difese in Assise a La Spezia Mario Barone (presidente dell’Associazione nazionale magistrati), Marco Ramat e altri, accusati di vilipendio alla magistratura per aver sottoscritto nel 1970, in un convegno a Firenze, un discorso del giudice Franco Marrone: questi, in un comizio a Sarzana, commentando alcune ‘sentenze antioperaie’ e il ‘caso Valpreda’, aveva denunciato l’asservimento dei giudici ai poteri politici ed economici (cfr. Cipriani, 1994, pp. 158 s.; Roma, Fondazione Lelio e Lisli Basso, Archivio Lelio Basso, Corrispondenza, f. 29, 1973, n. 147, lettera di Tarsitano a Basso del 28 marzo 1973).
Nelle vicende processuali relative alla strage di piazza Fontana, Tarsitano assistette l’anarchico Pietro Valpreda. Dopo aver chiesto invano di non trasferire gli atti a Milano (cfr. F. Tarsitano et al., Corte di Cassazione. Memoria difensiva contro la richiesta di rimessione del procedimento nei confronti di Pietro Valpreda e altri, Roma, 11 ottobre 1972, in https://stragedistato.files.wordpress.com/2012/04/11-ottobre-1972-difesa-valpreda-due.pdf (7 aprile 2019); La competenza rapita al processo Valpreda, in Qualegiustizia, 1972, n. 14-15, pp. 204-210) e aver invocato l’affidamento delle indagini a un unico magistrato (cfr. presentazione del Libro nero sulle violenze fasciste dal 1970 al 1974, a cura dell’ANPI provinciale di Roma, in Nuovo Paese, 1974, n. 3), Tarsitano guidò il collegio difensivo di Valpreda – formato da Alberto Malagugini, Giuseppe Zupo, Nadia Alecci e colleghi milanesi e calabresi – al processo di Catanzaro apertosi nel 1976, lamentandosi delle difficoltà, logistiche e finanziarie, ma assicurando una presenza costante e qualificata.
Nell’ambito dei rapporti con il PCI, Tarsitano difese nel 1975 l’ex senatore e vicepresidente della Commissione parlamentare d’inchiesta sulla mafia Girolamo Li Causi, querelato da Vito Ciancimino (assessore ai Lavori pubblici nella giunta palermitana di Salvo Lima) per l’accusa di contiguità con la mafia (cfr. M. Francese, Insomma Lei è un mafioso?, in Il Giornale di Sicilia, 8 aprile 1975).
Al nome di Tarsitano sono legati alcuni processi di grande impatto sull’opinione pubblica. Nel 1972, avvocato di parte civile (insieme anche a Bianca Guidetti Serra) di una delle famiglie dei tredici minori morti per maltrattamenti nell’Istituto mentale S. Rita di Grottaferrata di Maria Diletta Pagliuca (Suor Colomba), denunciò la mite sentenza, «sproporzionata» rispetto ai «valori umani calpestati» (La Stampa, 14 gennaio 1972). Nel 1975-76, insieme a Tina Lagostena Bassi, fu avvocato di parte civile di Donatella Colasanti e dei familiari al processo per il massacro del Circeo del 1975, opponendosi alla richiesta della difesa di sottoporre gli imputati a perizia psichiatrica (cfr. L’Unità, 6 luglio 1976).
Nel clima di violenza politica del 1977, Tarsitano fu avvocato di parte civile della famiglia di Giorgiana Masi, uccisa a Roma durante gli scontri con la polizia del 12 maggio di quell’anno. Polemizzò con il procuratore generale di Roma, Pietro Pascalino, che in un’intervista a Il Tempo aveva attribuito alle lacunose indagini della polizia la responsabilità di non aver potuto incriminare per associazione sovversiva i membri del Collettivo autonomo di via dei Volsci (cfr. Sono necessarie risposte esaurienti, in L’Unità, 26 aprile 1977).
Lo studio legale Tarsitano (sede anche del Centro democrazia e diritto) nel gennaio del 1978 fu incendiato, dopo la sottrazione di vari documenti; come emerse anche da due interrogazioni parlamentari di deputati, rispettivamente del PCI e della Democrazia cristiana (cfr. Atti parlamentari, VII Legislatura, Camera, Discussioni, seduta del 25 gennaio 1978, pp. 13.935, 13.937), l’avvocato era stato minacciato da esponenti del movimento dell’Autonomia romana: poté riaprire lo studio dopo qualche mese, grazie al contributo finanziario del PCI. L’anno successivo fu avvocato di parte civile nel processo celebrato nella corte d’assise a Latina per l’omicidio del comunista Luigi Di Rosa avvenuto a Sezze nel 1976 dopo un comizio del missino Sandro Saccucci, di cui chiese invano la condanna (cfr. arringa del 18 giugno, in L’Eloquenza, LXIX (1979), 5-6, pp. 201-214).
Dello stretto rapporto di Tarsitano con il PCI sono testimonianza le notule presentate alla Direzione per l’assistenza legale in varie querele e per il processo a Prima Linea del 1983 per l’omicidio del giudice Emilio Alessandrini, in cui fu avvocato di parte civile della famiglia, e soprattutto la sua partecipazione ad alcune riunioni delle sezioni Riforma dello Stato e Problemi dello Stato, nel Gruppo giustizia. Nei processi per l’omicidio di Aldo Moro e della sua scorta fu avvocato di parte civile dei familiari degli agenti Raffaele Iozzino e Giulio Rivera, uccisi dalle Brigate rosse (BR) il 16 marzo 1978, e dei parenti del giudice Riccardo Palma, responsabile dell’Ufficio edilizia penitenziaria della Direzione generale degli istituti di prevenzione e pena del ministero della Giustizia, ucciso dalle BR il mese precedente.
Per evitare un conflitto di interessi con la famiglia, nel 1980 rinunciò alla difesa del ‘super-testimone’ Carlo Fioroni nel processo per il rapimento e l’omicidio, avvenuti nel 1975, dell’ingegnere milanese Carlo Saronio, di cui Tarsitano indicò come mandante Antonio (Toni) Negri.
Tarsitano condivise la linea del PCI sul ‘caso 7 aprile’, difendendo l’operato del giudice padovano Pietro Calogero e chiedendo nel 1981, insieme ad altri avvocati di parte civile, di riaprire il processo Moro per indagare su Negri, Piperno e Lanfranco Pace, dopo le dichiarazioni dei collaboratori di giustizia e la requisitoria del pubblico ministero (cfr. Caso Moro, 1981).
Al processo, celebrato nel 1984, ammettendo l’insussistenza del reato di insurrezione armata contro i poteri dello Stato contestata nel 1980 ai vertici dell’Autonomia dalla magistratura romana che aveva avocato il procedimento, chiese e ottenne la condanna di Negri (in contumacia) per concorso nell’omicidio, avvenuto nel 1974, del brigadiere dei carabinieri Andrea Lombardini ad Argelato, in una tentata rapina per autofinanziamento alla Società italiana zuccheri (cfr. Processo “7 aprile”. Contro Tony Negri. Arringa davanti la Corte di Assise di Roma. 27 marzo 1984, presentata da Luciano Violante come sintesi tra passione politica e «ferrea logica del ragionamento giuridico», s.l. s.d., p. 3).
Sulle peculiarità delle sue arringhe si era soffermata l’anno precedente la rivista Gli oratori del giorno di Nicola Madia, definendo quella pronunciata al processo in Assise alla colonna romana delle BR «una stringente e avvolgente dialettica ricca di interessanti giudizi politici»: qui, in un serrato confronto con Tommaso Mancini, avvocato della brigatista Adriana Faranda, Tarsitano aveva esaminato minuziosamente i comunicati delle BR, invitando a tenere in considerazione le dichiarazioni dei collaboratori di giustizia (cfr. La strage di via Fani, in Gli oratori del giorno, LI (1983), 11, pp. 14-29).
Tarsitano fu nuovamente avvocato dell’Unità ai tempi del ‘caso Cirillo’, difendendo l’ex direttore Claudio Petruccioli dall’accusa di diffamazione per la pubblicazione di un documento, rivelatosi poi falso, sulla trattativa che aveva portato alla liberazione dell’ex assessore ai Lavori pubblici della Campania e presidente della Commissione per gli appalti del post-terremoto del 1980: rapito dalle BR nel 1981, il riscatto era stato pagato con la mediazione dei servizi segreti e del boss della camorra Raffaele Cutolo, detenuto nel carcere di Ascoli Piceno (cfr. F. Tarsitano - S. Pastore, Parola d’ordine: inquinare. Il caso Cirillo, Napoli 1989).
Dopo l’omicidio, avvenuto nel 1980 da parte della ’ndrangheta, di due esponenti del PCI – il segretario della sezione di Rosarno Giuseppe Valarioti e il segretario capo della Procura della Repubblica di Paola e sindaco di Cetraro Giovanni Lo Sardo – Tarsitano presentò nel primo caso ricorso (a nome della famiglia e del PCI, insieme a Francesco Martorelli e a Nadia Alecci) contro l’ordinanza del giudice istruttore di Palmi che aveva disposto il non luogo a procedere contro Antonio Pesce, ritenuto il mandante dell’omicidio (cfr. Alla sezione istruttoria presso la Corte d’Appello di Reggio Calabria. Memoria difensiva della parte civile, 5 novembre 1981, in http://www. stopndrangheta.it/stopndr/arg.aspx?a=31,1, 7 aprile 2019). Riguardo al secondo omicidio, ne indicò il mandante nel ‘re del pesce’ Franco Muto (assolto nei vari gradi di giudizio), proponendo un’interessante analisi dei processi per mafia, in cui «la prova è quasi sempre solo indiziaria» (Arringa dell’avv. Fausto Tarsitano. Corte di Assise di Bari. Udienza del 18-2-1986, in In memoria di Giannino Losardo, a cura dell’Amministrazione comunale di Cetraro, s.l. 1986, p. 20).
Negli anni Ottanta, oltre a rappresentare ancora L’Unità (nel 1989 assistette il direttore Massimo D’Alema nella querela sporta da Ciriaco De Mita per due articoli relativi alla ricostruzione post-terremoto), Tarsitano partecipò ad alcuni processi relativi all’eversione nera e alle stragi neofasciste: rappresentò le parti civili al processo celebrato a Roma nel 1984-85 contro i Nuclei armati rivoluzionari (NAR), ottenendo l’incriminazione dei capi di Terza Posizione, Massimo Morsello e Tommaso Fiore (latitante), per associazione sovversiva e banda armata, ma non anche per finalità di terrorismo. Rappresentò l’Associazione dei familiari delle vittime della strage del treno Italicus del 1974 (processi del 1983-93) e quella delle vittime della strage alla stazione di Bologna del 1980 (cfr. Contro Gelli e l’eversione: la strage di Bologna. Arringa pronunciata davanti la Corte di Assise di Bologna, 23 marzo 1988, s.l. s.d.).
Due i processi che lo videro coinvolto nel 1997 che meritano di essere ricordati a testimonianza della continuità del suo impegno politico anche dopo lo scioglimento del PCI, che non aveva condiviso. Difese con successo Giovanni Donigaglia, presidente della Coopcostruttori di Ferrara, dall’accusa di corruzione per l’appalto di alcuni lavori autostradali (cfr. Garanzie violate e disavventure di un cooperatore: in difesa di Donigaglia e della Coopcostruttori, Tribunale di Verona, 15 aprile 1997, Ferrara 1997) e gli ex gappisti Rosario Bentivegna, Carla Capponi e Pasquale Balsamo, dopo la riapertura in sede penale del caso dell’attentato di via Rasella a Roma del 23 marzo 1944 (chiuso in sede civile nel 1957): ricorse vittoriosamente in Cassazione contro l’ordinanza del giudice per le indagini preliminari che aveva negato all’azione il carattere di atto di guerra (cfr. F. Agostini et al., Via Rasella. Un atto legittimo di guerra, Roma 1998). Tra le sue ultime cause, la querela per diffamazione intentata contro Silvio Berlusconi da Armando Cossutta, accusato nel 2000 durante la trasmissione televisiva Porta a porta di aver gestito un’organizzazione armata, ottenendo la ritrattazione.
Morì a Roma il 21 febbraio 2009.
Dopo il funerale nell’aula Occorsio del tribunale di Roma, la salma fu tumulata nel cimitero di Roggiano Gravina. Nel ricordarlo, l’amico Zupo, prendendo in prestito la definizione di un collega, lo definì un «palombaro delle carte» (26 febbraio 2009).
Fonti e Bibl.: Roma, Fondazione Istituto Gramsci, Archivio del PCI, Organizzazioni di massa, 1958, MF 457: Solidarietà democratica, p. 2126; Sezioni di lavoro, Problemi dello Stato, MF 280, 3 novembre 1976, p. 342; MF 296, 21 febbraio-24 marzo 1977, pp. 1603, 1605-1610 (difesa di Valpreda); MF 330, 6 giugno 1978; MF 507, 28 dicembre 1981 (difesa della famiglia Alessandrini); Direzione, MF 316, 17 febbraio 1978, p. 2315 (sostegno dopo l’incendio della sede dello studio legale); O. Barrese, I complici: gli anni dell’Antimafia, Milano 1973, p. 134; D. Dolci, Chissà se i pesci piangono. Documentazione di un’esperienza educativa, Torino 1973, passim; Conversazioni con Danilo Dolci, a cura di G. Spagnoletti, Milano 1977, p. 92; F. Fedeli, Polizia e democrazia, Pordenone 1978, passim; E. Ciconte, All’assalto delle terre del latifondo. Comunisti e movimento contadino in Calabria 1943-1949, Milano 1981, passim; Caso Moro. Un approfondimento necessario. Intervista a F. T., a cura di G. De Lutiis, in L’Astrolabio, 21 giugno 1981, pp. 15 s.; G. Cipriani, Giudici contro. Le schedature dei servizi segreti, Roma 1994, pp. 158 s.; U. Ursetta, Magistratura e conflitto sociale nella Calabria del dopoguerra, Cosenza 1997, passim; A. Grandi, Insurrezione armata, Milano 2005, p. 241; A. Cambria, Nove dimissioni e mezzo. Le guerre quotidiane di una giornalista ribelle, Roma 2010, pp. 191-193.