TORREFRANCA, Fausto Acanfora
Nacque a Monteleone di Calabria (oggi Vibo Valentia) il 1° febbraio 1883 da Angelo Carollo Acanfora e Marianna Sansone di Torrefranca, terzo di quattro figli (il primo, Girolamo, divenne poi direttore generale del ministero della Real Casa; morirono precocemente Concetta e Aurelio, l’ultimogenito). Trascorse i primi anni a Sassari, Catania e Mantova, città nelle quali il padre rivestì la carica di prefetto. Compiuti gli studi classici, alla fine del 1905 si laureò in ingegneria con il massimo dei voti nel Politecnico di Torino. Nel frattempo aveva coltivato la passione per la musica, studiando pianoforte da autodidatta e prendendo lezioni di armonia e contrappunto da Ettore Lena, vicedirettore dell’Accademia Stefano Tempia di Torino. Assunto dalla FIAT come ingegnere, cominciò a scrivere articoli di argomento musicale firmandoli con il predicato nobiliare della madre. Dal 1907, lasciata la FIAT, si dedicò in esclusiva alla critica musicale e alla musicologia collaborando stabilmente con la Rivista musicale italiana (della quale fu in seguito anche redattore), e poi via via con altre riviste (Nuova Antologia, La Voce, Il Marzocco, La Tribuna, The Musical Quarterly), nonché i quotidiani Il Resto del carlino e Idea nazionale (una bibliografia analitica è in Rostirolla, 1993).
L’ampiezza degli interessi, il cospicuo bagaglio culturale, la conoscenza di diverse lingue, le competenze musicali, lo stile enfatico e assertivo lo posero presto in una posizione di spicco tra i musicologi italiani della sua generazione. Torrefranca «intuì che per scuotere dall’indolenza i suoi contemporanei non bastava una prosa argomentata e piana, ma era necessario un dettato più moderno, stringente, battagliero, irrobustito da frecciate polemiche, stroncature impietose, irrisioni sarcastiche» (Nicolodi, 1993, p. 26). Toni sopra le righe usò nel presentarsi come uno dei più fieri avversari della Musikwissenschaft di marca positivista, scagliandosi contro colleghi più anziani di lui, come Luigi Torchi e Oscar Chilesotti, che ne erano stati i massimi rappresentanti in Italia.
Le sue posizioni estetiche di marca idealista vennero espresse in modo già compiuto nel volume La vita musicale dello spirito: la musica, le arti, il dramma (Torino 1910): riprendendo elementi concettuali attinti dalla filosofia di Arthur Schopenhauer, dalle teorie estetiche romantiche e dal pensiero di Benedetto Croce, Torrefranca affermò il primato della musica sulle altre arti, in quanto «attività germinale» dello spirito (p. 17), negando validità a qualsiasi metodologia scientifica, sociologica o psicologica applicata all’analisi delle creazioni musicali. Negli stessi anni andò deplorando con forza l’arretratezza della cultura musicale nel nostro paese: particolarmente vigorosi furono gli appelli da lui lanciati in alcuni articoli – soprattutto Per una coscienza musicale italiana (apparso sulla Voce, II, settembre 1910, pp. 1 s.) e Problemi della nostra cultura musicale (in Nuova Antologia, s. 5, CLIII, 1911, pp. 130-142) – per l’attivazione delle cattedre universitarie di storia della musica in Italia e per la riorganizzazione dei fondi bibliografici di interesse musicale. Per il suo impegno e i suoi precoci meriti il Consiglio superiore della Pubblica Istruzione gli affidò nel 1913 la prima ‘libera docenza’ di Storia della musica ed Estetica musicale nell’Università di Roma, dove tenne corsi su Beethoven e sulle forme strumentali libere da Andrea Gabrieli a Baldassarre Galuppi.
Fin dai primi articoli assunse la musica strumentale italiana del Settecento come fulcro principale dei propri interessi storiografici; i primi importanti contributi in quest’ambito li dedicò alle Sonate per cembalo di Galuppi (1911) e di Bernardino Azzolino della Ciaia (1913), nonché a Giovanni Battista Sammartini e l’origine della sinfonia (1913). In questi saggi si fece largo l’idea che quella strumentale fosse la più ‘autentica’ tradizione italiana, schiacciata ed emarginata nel corso del tempo dal successo del melodramma. «È necessario proclamare che l’Opera non può essere, perché non è mai stata, l’ideale della cultura musicale nazionale» (p. X): la frase si legge in Giacomo Puccini e l’opera internazionale (Torino 1912), un durissimo atto d’accusa contro il «cattivo gusto internazionale», del quale Puccini veniva additato come il campione esemplare nella sua carenza di musicalità, nel suo accontentarsi di «colorire un drama di successo assicurato e accuratamente calcolato in ogni effetto teatrale» (p. 125). Alla sua uscita il pamphlet, rappresentativo della reazione anti-veristica che si stava diffondendo tra i critici e compositori più giovani, ebbe enorme risonanza e divenne presto il livre de chevet della cosiddetta ‘generazione dell’Ottanta’, della quale Torrefranca si trovò a essere in quel tempo, insieme con Giannotto Bastianelli, il più autorevole esponente sul versante critico.
Nel 1914 ottenne per concorso la cattedra di Storia della musica nel Conservatorio di S. Pietro a Majella in Napoli, della cui biblioteca divenne direttore l’anno seguente. Dal 1920 al 1922 fece parte della Commissione interalleata per il governo e il plebiscito dell’Alta Slesia ed ebbe incarichi diplomatici a Parigi. Nel 1924 si trasferì a Milano, chiamato a dirigere la biblioteca del Conservatorio Giuseppe Verdi, incarico che mantenne fino al 1938. Nel 1926 sposò la cantante Cecilia Cao Pinna (morta nel 1938), dalla quale ebbe due figli, Marcello e Aurelia; con la moglie egli apparve in diversi cicli di conferenze-concerti nel corso degli anni Venti.
L’attività di bibliotecario a Napoli e Milano lo mise a contatto diretto con i grandi problemi di conservazione e catalogazione dei fondi musicali, la cui grave condizione aveva già segnalato negli anni Dieci. In occasione del primo Congresso mondiale delle biblioteche e di bibliografia (Roma-Venezia 1929) prospettò un progetto di inventariazione e catalogazione di tutti i trattati di teoria musicale e la necessità di una bibliografia completa della musica italiana fino al XIX secolo: proposte che soltanto a partire dagli anni Sessanta trovarono attuazione nelle imprese del Répertoire international des sources musicales e dell’Ufficio ricerca fondi musicali istituito da Claudio Sartori negli anni Settanta-Ottanta. A partire dagli anni Venti la coscienza della precarietà in cui versavano le biblioteche musicali, unita a un’inesausta passione bibliofila, portò Torrefranca a costituire una notevole collezione di volumi, cimeli, partiture, primo nucleo di una biblioteca personale che sarebbe arrivata a contare circa 15.000 unità bibliografiche.
Dopo l'adesione al fascismo, la carriera di Torrefranca conobbe ulteriori progressi: a Milano dal 1930 al 1935 insegnò nell’Università Cattolica del Sacro Cuore, passando poi alla Regia Università, dove rimase sino al 1939, quando ottenne la cattedra all’Università di Firenze, diventando ordinario ‘per chiara fama’ nel 1941.
Negli anni tra le due guerre i suoi studi sulla musica strumentale del Settecento si intensificarono: a numerosi saggi e articoli si aggiunsero anche trascrizioni e revisioni di partiture di Sammartini, Antonio Vivaldi, Mattia Vento, Giovanni Benedetto Platti. In linea con quel ‘ritorno all’antico’ che era anche l’imperativo di molti compositori italiani dell’epoca, Torrefranca impresse un senso marcatamente nazionalistico alle proprie ricerche; nella relazione presentata al Congresso di musicologia di Siena del 1941 rivelò senza mezzi termini il significato complessivo che egli attribuiva alla propria attività di studioso: «non soltanto rivelare e rivalutare il nostro più oscuro passato musicale ma accentuare ancora di più, e sul piano più alto pensabile, il valore propulsivo delle nostre rivoluzioni musicali» (Le Arti, III, 1941, p. 122). Circa le origini della cosiddetta forma sonata, della sinfonia, del quartetto classico, individuò come storicamente determinante il ruolo svolto dall’Italia; indagò e rivalutò Sammartini, Platti, Galuppi, Giovanni Marco Rutini, Tommaso Giordani e Luigi Boccherini, anche a costo di sminuire gli ‘stranieri’ Carl Philipp Emanuel Bach, Johann Schobert e persino Joseph Haydn e Wolfgang Amadé Mozart. La ponderosa monografia Le origini italiane del romanticismo musicale (Torino 1930) può essere considerata il punto d’arrivo di questa linea di ricerca.
Negli anni immediatamente successivi Torrefranca condusse un’operazione analoga allargando lo sguardo alla musica del secolo XV e consegnando alle stampe un altro imponente trattato, Il segreto del Quattrocento: musiche ariose e poesia popolaresca (Milano 1939), lavoro dall’indubbio piglio pionieristico, seppur costruito con vistose forzature, retrodatazioni e deformazioni tendenti a dimostrare che la caratura della musica italiana del Quattrocento fosse tale da dover ridimensionare l’incidenza storica tradizionalmente attribuita ai polifonisti franco-fiamminghi di stanza in Italia.
Dopo la seconda guerra mondiale collaborò per breve tempo come critico musicale con i giornali L’Indipendente e L’Umanità, e firmò un gran numero di voci per l’Enciclopedia dello spettacolo; fu inoltre attivamente presente nei maggiori congressi internazionali di musicologia.
Nel novembre 1948 venne eletto membro del Consiglio internazionale della musica dell’UNESCO, divenendone vicepresidente nel 1950. Nel giugno 1953 gli fu assegnato dall’Accademia dei Lincei il premio Feltrinelli per la critica d’arte. Poco prima della morte diede esplicite disposizioni affinché la sua biblioteca fosse mantenuta integra anche in caso di vendita; conservata intatta dagli eredi, nel 1973 essa fu acquisita en bloc dal Conservatorio Benedetto Marcello di Venezia. Fra i suoi ultimi studi apparvero postumi Giovanni Benedetto Platti e la sonata moderna (Milano 1963) e Avviamento alla storia del quartetto italiano (Roma 1966).
Morì a Roma il 26 novembre 1955. Nel 1970 gli è stato intitolato il Conservatorio di Vibo Valentia.
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