fauves
La forza del colore
Come rappresentare in un quadro i colori di un paesaggio, di una figura umana, di una scena reale? Gli artisti fauves risponderebbero che non bisogna scegliere le tinte più somiglianti, bensì quelle più adatte a esprimere le sensazioni provate dall'artista di fronte al soggetto: le montagne possono essere dipinte di blu e arancione, una spiaggia diventa rosa e gialla, un volto umano rosso come il fuoco
Nel 1905, in una mostra a Parigi, un gruppo di giovani artisti espone i propri dipinti attorno a quelli di un pittore più anziano, Henri Matisse. Che cosa li accomuna? I colori sono squillanti, decisi e stesi a macchie pastose, i contorni appaiono irregolari, le immagini sono piatte, l'effetto complessivo è lontano dalla realtà. Molti spettatori della mostra rimangono stupefatti.
Un critico francese, in un articolo pubblicato sulla rivista parigina Gil Blas, non trova modo migliore per definire questi artisti e i loro esperimenti se non con il termine fauves, che significa "fulvi" e quindi, attraverso il significato di "bestie dal pelo fulvo", "belve".
Da allora in poi, fauves sarà il nome usato per definire i dipinti creati, soprattutto tra il 1905 e il 1910, da pittori di area francese come Matisse, André Derain, Maurice de Vlaminck, Kees Van Dongen, Albert Marquet, Raoul Dufy, Georges Braque, Henri Manguin. Lo stile cambia da artista ad artista, ma tutti sono accomunati dalla libertà di esprimersi attraverso il colore.
I fauves non vogliono ricreare le immediate percezioni visive, come gli impressionisti, ma desiderano restituire una visione interiore e personale della realtà. È celebre l'affermazione di Vlaminck che spiega: "è dei nostri colui il quale manifesta, spontaneamente e con autenticità, ciò che lo spinge a creare".
Già verso il 1888 alcuni artisti francesi riunitisi a Pont-Aven, in Bretagna, attorno a Paul Gauguin, interpretano liberamente figure e paesaggi con colori vivaci e brillanti. Per raffigurare le foglie rosse di un albero, suggerisce Gauguin all'allievo Paul Sérusier, bisogna scegliere dalla tavolozza la tonalità di rosso più pura e bella che si ha a disposizione, non quella che più si avvicina all'effetto reale.
Nei quadri realizzati qualche anno più tardi a Tahiti, isola tropicale della Polinesia, Gauguin esprime le proprie emozioni, di fronte alla bellezza esotica di quei luoghi e dei suoi abitanti, in quadri dalle forme semplificate, fatte di macchie viola, rosse, gialle, blu, verdi.
Nei fauves, l'uso di tinte accese e arbitrarie si associa talvolta, soprattutto in artisti come Derain o Matisse, a una pennellata stesa a macchie accostate tra loro, simili a tanti tasselli quadrati o rettangolari. Si tratta di una rielaborazione, molto più libera e spontanea, dei quadri pointillistes ("puntinisti") creati alcuni anni prima dal francese Georges Seurat.
Contemporaneamente ai fauves, si forma in Germania un altro gruppo di artisti, Die Brücke ("Il ponte"): in comune c'è l'esigenza di manifestare emozioni e stati d'animo attraverso un disegno irregolare e l'uso di colori aggressivi. Tuttavia i quadri tedeschi, definiti espressionisti, rivelano spesso un disagio interiore e un'inquietudine dai toni drammatici assente nei fauves. Nelle opere francesi prevale infatti il puro godimento della composizione pittorica, il piacere di combinare i colori secondo le sensazioni, i bisogni, i capricci del momento.
Col tempo, molti artisti fauves cambiano stile. Braque, per esempio, aderisce a un altro movimento moderno: il cubismo. Matisse, invece, associa l'uso di colori puri a un disegno decorativo, basato su riccioli e arabeschi. Le esperienze dei fauves e degli espressionisti tedeschi hanno però molta influenza sull'arte del 20° secolo. Verso la fine degli anni Quaranta, per esempio, alcuni artisti americani, poi chiamati espressionisti astratti, sperimentano l'uso di colori accesi e violenti, stesi confusamente e con gesti energici, fino a perdere ogni riferimento all'immagine reale, diventando cioè astratti.