Vedi FAYYUM dell'anno: 1960 - 1994
FAYYŪM (Λιμνή; copto Phiüm)
È l'oasi più vicina alla valle del Nilo con la quale comunica per mezzo dell'uadi Bahr Yūsuf nel deserto libico, e presto fu abitata da popolazioni connesse con quelle dell'Egitto. Il nome antico era Ta-She, il paese del lago; lo stesso significato ebbe il nome greco, e quello copto, dalla cui corruzione è derivata la forma odierna. Si trovano numerosi resti di civiltà litiche, in zone oggi desertiche, ma che furono fertili quando la Birqet Qarun (il lago che è al centro della zona) era più ampia di quanto non sia oggidì. All'Antico Regno il F. è apparentemente ignoto: una sola statua della V o VI dinastia e un suggello protodinastico è quel che per quell'epoca vi è tornato alla luce. Va però tenuto presente un tempio anepigrafe di carattere non canonico, a Qasr es-Sagha (v.), in cui numerose celle si aprono su un andito rettangolare, e che si è voluto attribuire all'epoca menfita. Lo schema se ne ritrova, più moderno, a Medīnet Mādi (v.), e colà sarà datato con sicurezza alla fine della XII dinastia. Sui pilastri d'accesso al tempio si trovarono incisi quattro inni ad Iside scritti in greco e firmati dal poeta Isidoro. Al fondatore di quest'ultimo tempio si deve la grande opera di colonizzazione della regione. I Greci parlarono di lui come Meri e gli attribuirono grandi lavori di idraulica; in particolare l'escavazione del lago, che in realtà è lago naturale. Anche il tentativo fatto in epoca più recente di far rimontare ai suoi tempi alcuni resti di dighe che appaiono nell'oasi si è dimostrato vano, poiché si tratta di costruzioni arabe. In pratica, l'opera deve essere stata piuttosto di sistemazione della regione paludosa; e deve aver concluso una iniziativa già di qualche generazione più antica, ché monumenti di Sesostris I (un obelisco ad el-Abgig - che presuppone un tempio -; una statua da Crocodilopoli, la città principale, oggi Medīnet el-Fayyūm) e perfino di Amenemḥēt I, il fondatore della dinastia (altra statua di Crocodilopoli) mostrano un vecchio interesse per la zona. Amenemḥēt ii - Meri è, comunque, il più rappresentato: il tempio della capitale, Crocodilopoli (v.), per quanto sino al 1957 inesplorato, ha restituito numerosi frammenti architettonici con il suo nome. Il tempio di Medīnet Mādi (v.), anche se compiuto dal suo successore, è stato da lui fondato. E a Hawārah (v.) è la piramide del sovrano in mattoni crudi, e là presso il "Labirinto" (v.) che anche risale al suo tempo. A Biyahmu (v.) due colossi del re costituirono, con il Labirinto appunto, la meraviglia di Erodoto, che li descrisse più mirabili ancora di quanto non fossero. La tomba del re nella regione mostra che in quest'epoca la corte ha avuto qui la sua residenza; ma la rapida fine della dinastia non permise alla provincia di diventare il centro politico - e di conseguenza artistico - dell'Egitto. È curioso che la XVIII dinastia ignori completamente il F.; e perché si abbia qualche monumento datato bisogna attendere la XIX dinastia e poi l'epoca libica e la saita. Ma resta sempre un ambiente fuori delle sollecitudini regie. Il periodo di nuova fioritura si ebbe in epoca tolemaica, quando nel F. furono installate colonie di cleruchi, e Crocodilopoli assunse il nome dinastico di Arsinoe. Una lunga serie di villaggi sull'orlo del deserto (Bakchias, Daranis, Dimai-Soknopaiou Nesos, Qasr Qarun, Theadelphia, Tebtynis, Narmouthis) portano resti di templi e di case tolemaiche e han restituito accanto a materiale antiquario la più ricca messe di papiri greci dell'epoca. In età romana (v. egitto) il F. fu sempre intensamente abitato ed ebbe numerosissime chiese, poi distrutte dai musulmani. Appartengono a questo periodo i reperti più famosi della regione, oltre ai numerosi papiri, e cioè i ritratti di mummie e le stoffe che vengono spesso impropriamente detti, appunto, ritratti e stoffe del Fayyūm (v. anche cornice).
Bibl.: Oltre alla bibliografia delle singole voci: B. P. Grenfell, A. S. Hunt, D. G. Hogarth, Fayûm Towns and their Papyri, Londra 1904.
(S. Donadoni)
Ritratti di mummie. - Si dà il nome alquanto improprio di "ritratti del F." a quei ritratti dipinti di prospetto, che venivano fissati nelle bende delle mummie; essi furono trovati in gran numero nella regione del F., ma questa definizione è inesatta e sarebbe meglio chiamarli ritratti egiziani di età romana, essendosene rinvenuti anche in altre regioni lungo la valle del Nilo (a Tanis, Abu Sir el-Maleq, Saqqārah, Memfi, Hibeh, Antinoupolis,Akhmīm, Tebe, Assuan). Essi ebbero origine dalla tradizione faraonica, che esigeva si mettesse un ritratto del morto sul suo cadavere; ma lo stile e la tecnica con cui furono eseguiti derivano dalla tradizione artistica greco-romana.
Le maschere di gesso, d'uno stile insieme egiziano ed ellenistico, che si incontrano di frequente sulle mummie degli ultimi secoli a. C., vengono sostituite, a partire dal I sec. d. C. - senza che però quest'usanza diventi generale - da ritratti dipinti su una tavoletta di legno (tiglio, fico, cedro, ecc.), su cui è rappresentato il defunto, uomo o donna; il personaggio raffigurato in genere indossa una tunica con clavi (e talvolta anche con il pallium), e in certi casi sulla sua testa è posata una corona dorata. Per tracce di adattamenti e di resti di cornici si ha ragione di credere che spesso queste effigi siano state dipinte quando il defunto era ancora in vita, e che siano poi state utilizzate nella sua tomba al momento del decesso. Questo fatto spiegherebbe l'aspetto giovanile della maggior parte di tali ritratti. In altri casi, tuttavia, essi devono esser stati eseguiti proprio in occasione della morte del personaggio. La tecnica praticata è, nella maggior parte dei casi, l'encausto (v.), sopra un supporto che in alcuni casi è stato precedentemente ricoperto da un fondo bianco; il colore è applicato a rapide pennellate, mentre i particolari, soprattutto il viso, vengono curati in un secondo momento, con una spatola di legno o di metallo che permette una maggiore finezza. Alquanto raramente, nel II e III sec., e molto più spesso a partire dal IV, si ricorre anche al procedimento a tempera su un intonaco bianco, con un materiale di cui non si conosce la natura. Verso la metà del IV sec., questo sistema finirà col prevalere del tutto sull'encausto. Vi sono inoltre alcuni ritratti, trovati ad Antinoe e a Tebe, eseguiti all'encausto, ma su tela: questa formava un vero e proprio lenzuolo mortuario, sul quale era dipinto il ritratto del defunto, circondato da simboli egizi.
Sebbene un ritratto della Collezione Golenischeff, oggi conservato nella Galleria Pusvkin a Mosca, presenti molti caratteri stilistici dell'arte repubblicana (Drerup, tav. i, i), non è assodato che i ritratti di mummie abbiano inizio sino dall'epoca di Augusto, o anche prima, come da alcuni (Drerup) è stato ritenuto contro altre opinioni (Rumpf) che non si possa far risalire nessuno di questi ritratti a epoche anteriori all'età flavia. Uno dei pochi dati cronologici esteriori è dato dalle serie di ritratti (Museo del Louvre e museo di Leida) che rappresentano alcuni membri della famiglia di Cornelio Pollione Sotere, il cui figlio fu arconte di Tebe (Egitto) sotto Adriano. Elementi estrinseci, come le pettinature nei ritratti femminili, la forma della barba nei ritratti maschili, ecc., possono fornire altre indicazioni cronologiche. I modi romani imitati in Egitto, con un ritardo di cui si è discussa la portata, fanno dei ritratti delle mummie un lontano riflesso della pittura di ritratti ellenistica e romana, che noi conosciamo appena. Nel III sec. e nel IV prende il sopravvento sul realismo individuale una certa tendenza alla astratta stilizzazione, che porta con sé l'intensità immobile dello sguardo negli occhi molto grandi (Drerup, tav. 20), e giunge alla ieratica maestosità dei ritratti dell'età costantiniana. Talora, però, gli ultimi ritratti a tempera su legno testimoniano una vera incompetenza formale. Nonostante vi siano alcune grandi effigi su tela, provenienti da Antinoe (Louvre, Vaticano), che sembrano alquanto posteriori e di cui si è discusso, ma non ancora provato, il carattere cristiano, pare che la ritrattistica legata alle mummie n6n abbià sopravvissuto oltre la fine del IV sec., e sia anzi scomparsa rapidamente alla fine dello stesso secolo, o agli inizî del seguente. Tutti gli storici che si sono occupati di icone bizantine considerano i ritratti ad encausto dell'Egitto come predecessori delle più antiche immagini cristiane eseguite con quella stessa tecnica. Secondo diversi studiosi, quelli che sono i tratti essenziali dei ritratti romano-egiziani, si ritrovano nelle icone del Sinai, così come nei mosaici di Ravenna. I personaggi rappresentati ci fanno conoscere gli ambienti etnicamente misti greco-egiziani dell' Egitto romano, in cui si notavano talvolta indubbiamente coloni romani, greci, oltre a tipi molto spiccati, di nubiani, semiti, africani. Questi ritratti ammontano oggi in tutto a circa seicento: molti sono al museo del Cairo; il Louvre, i musei di Berlino, di Vienna e molti altri (la Galleria Puskìn di Mosca, l'Ermitage di Leningrado, la National Gallery di Londra, il Metropolitan Museum di New York, il Museo Archeologico di Firenze, e quello Barracco di Roma, i musei di Stoccarda, Manchester, Cambridge U. S. A., Detroit), ne possiedono collezioni limitate, o esemplari isolati, ma sempre interessanti. Il primo e più importante gruppo di ritratti (circa 300) fu acquistato e reso noto tra il 1887 e gli anni seguenti dal commerciante viennese Th. Graf, la maggior parte dei quali proveniva da el-Rubaiyyāt nella parte N-E del Fayyūm. Altri 146 pezzi furono il frutto di scavi sistematici di Fl. Petrie a Hawārah, tra il 1889 e il 1911.
Bibl.: Antike Porträts aus hellenistischer Zeit, Berlino 1889 (diverse edizioni seguenti, in tedesco, francese e inglese); Fl. Petrie, Hawārā, Bihamu and Arsinoè, Londra 1889; id., Roman Portraits and Memphis (IV), Londra 1911; id., The Hawara Portfolio, Londra 1913; C. C. Edgar, Graeco-Egyptian Coffins, Masks and Portraits: Cat. général des Ant. Égypt., Il Cairo 1905; E. Guimet, Les portraits d'Antinoé, Parigi 1912; A. Reinach, Les Portraits gréco-égyptiens, in rev. Arch., 1914, II, p. 32 ss.; 1915, II, p. 1 ss.; H. Drerup, Die Dateierung der Mumienporträts, Studien z. Gesch. u. Kultur d. Altertums, Padeborn 1933; A. Strelkow, Fajumskij Portret, Mosca 1936 (in russo); E. Coche de la Ferté, Les Portraits romano-égyptiens du Louvre, Parigi 1952 (cfr. Gnomon, 1953, p. 202); A. Rumpf, in Handb. d. Archäologie, VI, Monaco 1953, p. 182 ss.; E. Coche de la Ferté, Du nouveau sur les portraits de la famille gréco-égyptienne de Pollius Soter, in revue des Arts, 1954, p. 165 ss.
Sul passaggio dall'arte del F. a quella delle icone: J. Strzygowski, Byzantinische Denkmäler, I, Vienna 1891, p. 115; id., Orient oder Rom, Lipsia 1901, p. 123 ss.; Ch. Diehl, Manuel d'Art Byzantin, I, p. 69 ss.; Wulff-Alpatoff, Denkmäler d. Ikonenmalerei, Dresda 1925, p. ss.; W. Felicetti-Liebenfels, Geschichte d. byz. Ikonenmalerei, Olten - Losanna 1956, p. 15 ss.
Stoffe. - Analogamente a quanto è avvenuto per i ritratti di mummie, si è dato impropriamente il nome di "stoffe del F." a quei tessuti in lana e in lino, decorati a colori o in bianco e nero, che sono stati recuperati negli scavi delle necropoli egiziane dal III al VI sec. d. C. Varî scavi clandestini e anche scavi ufficiali (ma di cui non si ebbero pubblicazioni scientifiche) eseguiti a Aknŭm-Panopolis e ad Antinoe, ne riportarono alla luce dal 1890 in poi numerosi frammenti. Questi ritrovamenti, abbondanti nella provincia del Fayyūm, si sono avuti tuttavia in ugual misura anche in altre regioni della valle del Nilo: essi vanno collegati alla civiltà copta, ma questi tessuti appartengono a un periodo cronologicamente ancora mal definito, che si estende anche sino all'epoca della dominazione araba. Dal III sec. in poi, abbandonato il sistema di avvolgere il morto con piccole fasce e di rivestirlo poi di una semplice tunica di lino, lo si corica nel feretro o nella sabbia, vestito di una veste di lino o di lana, spesso con "clavi" e bordi riccamente decorati. Questo nuovo sistema, diffusosi abbastanza improvvisamente agli inizî del IV sec., è dovuto ad un'influenza straniera, evidentemente siriaca. Sono queste vestigia d'origine funeraria, composte dal guardaroba usato in vita dal defunto, che costituiscono il cospicuo patrimonio archeologico di tessuti e tappezzerie, la cui indagine è ancora incompleta.
Dal punto di vista cronologico si è proposta generalmente una suddivisione in tre gruppi:
a) periodo ellenistico, iii-iv sec.: vi si rispecchia la tradizione classica arricchita dagli elementi mitologici o decorativi di impiego corrente, scene e personaggi bacchici, eroti, nereidi, elementi di paesaggio della valle del Nilo, acanto, pampini, mascheroni, ecc., che l'età alessandrina aveva introdotto.
b) periodo siriaco, V-VI sec.: rivela un indirizzo orientaleggiante molto marcato, proveniente dalla Siria e dall'Iran, spesso anche ispirato all'arte sassanide; personaggi orientali, fregi con animali, intrecci; una decisa stilizzazione caratterizza quest'indirizzo.
c) periodo bizantino, VII-VIII sec.: la decorazione è invasa da simboli cristiani quali la croce, il crisma; vi figurano anche personaggi biblici e scene cristiane, come l'Annunciazione o la Natività. I temi proprî alla tradizione faraonica, seppur non completamente assenti, sono rari in questo campo dell'arte popolare che non ha conservato nulla del fasto della corte tebana.
Ma questa classifica (risalente agli studi del Kendrick) ha rivelato agli studi successivi condotti su criteri essenzialmente tecnici (R. Pfister) una certa artificiosità. L'origine delle stoffe del F. andrebbe ricercata nel IV sec. in una intensa influenza persiana esercitata sull'Egitto; man mano si andò formando tuttavia un vero stile "copto" e la contemporaneità di stili diversi non consente una divisione in periodi cronologici esattamente circoscritti. Oggi l'indagine si va orientando nel senso di una ricerca più metodica, per mezzo della quale, basandosi su alcuni dati cronologici sicuri, attraverso l'analisi della decorazione e il confronto con i mosaici, si dovrebbe arrivare a costituire una classificazione scientifica. Intanto non si può più, come si usava far prima, considerare terminata la produzione dei tessuti copti con l'invasione araba o con gli anni immediatamente successivi; per lunghi secoli ancora i copti hanno continuato a fabbricare i loro tessuti in un ambiente completamente musulmano, durante i quali i temi arabi vanno progressivamente imponendosi. Nuovi scavi, condotti con rigore scientifico sarebbero necessarî per basare quest'indagine su sicuri dati cronologici (v. copta, arte; tessuti).
Bibl.: E. Gesprach, Les Tapisseries Coptes, Parigi 1890; R. Forrer, Die Gräber und Textilfunde von Achnün-Panaopolis, Strasburgo 1891; id., Versuch einer Classification der antiken koptischen Textilfunde, Strasburgo 1889; J. Boillet, Les tapisseries d'Antinoe au Museé d'Orléans 1907; I. Errera, Collection d'anciennes étoffes égyptiennes, Bruxelles 1916; A. F. Kendrick, Victoria and Albert Museum, Catalogue of Textiles from Burying Grounds in Egypt, 3 voll., Londra 1921-22; M. S. Dimand, Coptic Tunics in the Metropolitan Museum, in Metr. Mus. Studies, II, 2, 1930; R. Pfister, Tissus Coptes du Musée du Louvre, Parigi 1932; id., in Revue des Arts Asiatiques, t. IV, VIII, X; O. Wulf - W. F. Volbach, Spätantike und koptische Stoffe, Berlino 1936; W. F. Volbach, I tessuti, Città del Vaticano 1942; E. Kitzinger, The Horse and Lion Tapestry, a Study in Coptic and Sassanian Textile Design, in Dumbarton Oaks Papers, 3, 1946; P. de Bourguet, La datation des tissus coptes, in Bull. de la S.té Française d'Egyptologie, n. 13, 1953; id., La fabrication des tissus coptes, in Bull. de la S.té Archéologique d'Alexandrie, 1953; M. Matié - K. Lapounoff, Tessuti dell'Egitto copto (in russo), Mosca-Leningrado 1951; L. Guerrini, Le stoffe copte del Museo Arch. di Firenze, Roma 1957.
(E. Coche de la Ferté)