Uberti, Fazio degli
Poeta, nato forse a Pisa nel 1301, morto a Verona verosimilmente nel 1367. Appartenne all'illustre famiglia ghibellina esiliata da Firenze nel 1267. Fu alla corte degli Scaligeri e poi dei Visconti, e a Bologna (1358-59) fino a che la città non venne in mano del cardinale d'Albornoz, infine di nuovo a Verona. Nato in esilio, la sua prospettiva politica non fu municipale: Firenze è per lui un mondo culturale. La sua biografia è stata scritta da F. Villani nel De Civitatis Florentiae famosis civibus.
Nel 1345 F. cominciò il Dittamondo, poema enciclopedico di sei libri in terzine incatenate; argomento è un viaggio attraverso l'Europa, le parti più vicine dell'Africa, la Palestina, pretesto all'esposizione di leggende, notizie geografiche e storiche, tratte da Solino, Plinio il Vecchio, Pomponio Mela, Orosio, Martin Polono, Isidoro di Siviglia, nonché da Ovidio e dalla Bibbia. Il poema è rimasto interrotto alla morte dell'autore, e presenta problemi d'interpretazione. Protagonista del viaggio è Fazio stesso, che, esortato dalla Virtù e guidato da Solino, compie emblematicamente le sue esperienze intellettuali. Il Dittamondo è in sostanza un trattato di geografia versificato, dove la finzione allegorica è sovrastruttura di scarso pregio.
Il tema del desiderio di salvezza associato all'idea di un viaggio accosta il nostro poema alla Commedia; e altri comuni spunti narrativi e psicologici è facile cogliere, oltre a moduli stilistici, privati qui dell'incisività dantesca. In particolare sono da ricordare nel libro III i due brani dedicati a Firenze (VII 40-105), la città da cui Fazio è escluso per sempre, e all'Italia (IX 1-48). Dalla Commedia è tratto anche l'uso delle personificazioni simboliche, delle apparizioni, delle visioni che introducono digressioni storiche e polemiche, delle esortazioni etiche.
Si suole perciò parlare di derivazione del Dittamondo dalla Commedia; ma assai diverse sono le finalità e i caratteri delle due opere; anzi quanto del capolavoro dantesco ritorna qui vela di viziose formule il poema didascalico di Fazio che ha scopi più direttamente culturali ed enciclopedici, rielabora certi motivi danteschi su un livello di minor cultura teologica, di una religiosità più popolare, tanto che si è parlato addirittura per Fazio di spirito laico.
Inoltre, a differenza di ciò che avviene nella Commedia, tutte le sovrastrutture allegoriche rientrano in un repertorio illustrativo non essenziale alla cultura che qui si espone; la quale, per quanto limitata a un'erudizione storico-geografica cui viene conferito valore morale, ha per noi interesse piuttosto per certa apertura preumanistica. Vi è, se pur confusa, l'idea di un'elevazione perseguibile attraverso il sapere; vi è l'ammirazione dell'autore dinanzi alla ricchezza delle forme naturali. Caratteristico nei modi prosastici non privi di eleganza un sottile fantasticare ed evocare storie e leggende.
Interessante il canzoniere, contenente rime politiche, religiose e d'amore, appassionate queste ultime, e pertanto per lo più lontane dalla tradizione stilnovistica, affini soprattutto alle rime " petrose " di Dante. Nelle canzoni politiche i modelli sono Guittone e soprattutto D., sia per l'uso dei riferimenti profetici e astronomici, sia per il vigore oratorio e la frequente esortazione etico-politica. A Firenze Fazio dedica due canzoni, dove la crisi del comune è precisata nelle sue cagioni secondo la tradizione dantesca, e indicata come provocatrice della punizione divina. Persino l'esilio è sentito da Fazio, più che come condizione di miseria, come un mito dantesco, quasi come un'esperienza che privilegia e autorizza ad ammonire signori e sovrani.
Bibl. - F. degli U., Il Dittamondo e le Rime, a c. di G. Corsi, Bari 1952 (recens. di V. Pernicone, in " Giorn. stor. " CXXXI [1954] 88-96); A. Pellizzari, Il Dittamondo e la D.C. - Saggio sulle fonti del Dittamondo e sulla imitazione dantesca nel secolo XIV, Pisa 1905; C.E. Whitemore, F. degli U. as a lyric Poet, in " Romanic Review " V (1914) 350 ss.; B. Croce, F. degli U., in Poesia popolare e poesia d'arte, Bari 1933; G. Parma, L'imitazione dantesca nel Dittamondo e nelle liriche morali di F. degli U., Roma 1942; G. Levi Della Vida, F. degli U. e l'Egitto medievale, in Studi in onore di A. Monteverdi, I, Modena 1959, 443-454; Rimatori del Trecento, a c. di G. Corsi, Torino 1969, 224-232; A. Tartaro, Studio della ‛ Commedia ' e poemi dottrinali, in La letteratura italiana, a c. di C. Muscetta, II I, Bari 1971, 463-521; E. Ragni, F. degli U. e la letteratura didascalico-morale del Trecento, in Dizionario critico della letteratura italiana, a c. di V. Branca, Torino 1973, II 66-71.