FEBO da Pergola
Le notizie su F., medico e professore di medicina, sono piuttosto limitate e circoscritte ad alcuni momenti della sua vita. Dovette nascere a Pergola (od. prov. di Pesaro e Urbino) nella seconda metà del sec. XV, ma non si sa in che anno. Il padre, Niccolò Pace, era medico, ed anche il fratello, Andrea, praticò la stessa professione.
Il 6 giugno 1415 F. - evidentemente già medico - fece istanza per essere condotto nello Studio perugino, e in quell'anno dovette iniziare, in effetti, il suo insegnamento a Perugia, dove la sua presenza all'università è attestata ancora nel 1428 e nel 1429 (quando ebbe un aumento di stipendio). Nel 1434 fu professore di medicina a Pisa, ma non si sa quanto sia durata questa esperienza e se e quando F. sia tornato a Perugia. Nel 1444 risulta essere stato a Gubbio. Nel 1454 era ancora vivo, come sembra di poter dedurre dall'epigrafe apposta sul sepolcro del padre e dei fratello, nella chiesa di S. Pietro in Vincoli a Pisa: il fatto che di lui non si parli fa, appunto, pensare che non fosse morto.
A queste scarne notizie altre se ne possono aggiungere in base alle testimonianze direttamente offerte da F. nel suo Opusculum contra pestem. Questo testo è importante, infatti, più che per la specifica trattazione dei rimedi adottati contro il diffondersi della pestilenza - secondo schemi e tradizioni mediche di origine medievale - per le non poche indicazioni che fornisce sull'attività medica di F., che puo essere ricostruita con una certa precisione per alcuni anni e per talune circostanze. Così, ad esempio, si apprende che fu ripetutamente chiamato per intervenire a debellare il flagello della peste: ad Ancona nel 1427, a Perugia nel 1429, a Borgo San Sepolcro nel 1430 (e a proposito dell'epidemia diffusa a Borgo San Sepolcro F. fornisce anche i nomi delle vittime e quelli dei guariti della pestilenza).
Nell'Opusculum sono anche conservate alcune lettere ricevute da F. in occasione di pestilenze, o comunque in rapporto ad esse. Così ad esempio, per gli anni 1430-31, si hanno lettere di Francesco de' Rossi da Castel Durante, giudice esecutore a Firenze, di Michele Pizolpasso, podestà di Gubbio, del medico perugino Antonio Angeluzzi, di Battista di Marco da Pistoia, di Angelo da Bologna, e del marchese Cerbone di Santa Maria. Queste epistole offrono testimonianze sulla diffusione di casi di pestilenza e sui rimedi adottati per combattere il morbo.
Nel proemio del suo Opusculum F., che si qualifica tminimus artium et medicine doctor", fa riferimenti alle fonti classiche, quali Avicenna, Galeno e Isidoro di Siviglia, ma anche a medici più recenti come Gentile da Foligno e Pietro da Tusignano, che costituiscono la base culturale del trattato di Febo. Questo trova poi uno specifico arricchimento documentario nella costante adesione a fatti realmente accaduti e come tali presentati e discussi. L'operetta, quindi, sulla scorta di un pratico empirismo, vuole offrire i "remedia" al propagarsi della pestilenza nelle sue più varie manifestazioni.
Significativo è, in quest'ambito, il diretto richiamo alla pestilenza del 1427, che scoppiò mentre F. si trovava come medico ad Ancona, e che lo tenne occupato "die noctuque" per far fronte alla emergenza. In tale situazione - dichiara - poté unire le conoscenze mediche, frutto di una lunga tradizione, a nuove forme di terapia, fondate su più moderne sperimentazioni, specialmente nell'elaborazione dei farmaci. Proprio l'esperienza in tale modo acquisita ("scripsi quod vidi") spinse F. a compilare l'Opusculum, come ulteriore contributo per debellare la peste sul piano concreto e per combattere false credenze e quindi rimedi del tutto inutili e fantasiosi: anziché tenere nascosti "in arcano cordis mei" i risultati conseguiti preferì, dunque, metterli per scritto ("directa manu ad calamurn incepi opusculum. quoddam componere") e renderli pubblici.
L'operetta di F. è suddivisa in undici capitoli, ciascuno dei quali affronta questioni diverse, mentre nell'undicesimo sono riunite le lettere da lui ricevute. Si parla così delle convinzioni e sperimentazioni tradizionalmente seguite dai medici e delle obiezioni ad esse opposte in base ad altre conoscenze e pratiche, talora personali e dirette dello stesso autore, delle spiegazioni della inutilità di talune soluzioni che non potevano impedire i contagi e i decessi, delle precauzioni e dei rimedi da seguire. A questo specifico argomento viene dedicato ampio spazio da F., che sostiene, talora con notevole forza persuasiva, l'opportunità di scegliere tipi particolari di farmaci e di soluzioni capaci di fermare il diffondersi delle malattie ed anche di portare al risanamento.
L'Opusculum contra pestem è conservato manoscritto presso la Rubiconia Accademia dei Filopatridi di Savignano sul Rubicone, con segnatura ms. 86.
Bibl.: A. Calogerà, Raccolte d'opuscoli scientifici e filologici, XXIX, Venezia 1743, pp. 291-293; V. Bini, Mem. istor. della perugina Università degli studii e dei suoi professori, Perugia 1816, pp. 435-439, 597; L. Bonazzi, Storia di Perugia dalle origini al 1860, I, Perugia 1875, p. 747; M. Natalucci, Ancona attraverso i secoli, I, Città di Castello 1960, p. 282; G. Mazzatinti, Inv. dei manoscritti delle Bibl. d'Italia, I, p. 86.