fede
Dal lat. fides «credenza religiosa», ma anche «impegno solenne», «lealtà» e «fedeltà», «veracità nel mantenere la parola». In generale, adesione ad affermazioni o dottrine non razionalmente evidenti ma credute in base a fondate o autorevoli testimonianze, o per rivelazione.
Il problema dei rapporti tra f. e filosofia si pone esplicitamente con il pensiero cristiano, poiché il cristianesimo introduce nel rapporto uomo-Dio un aspetto relazionale che coinvolge totalmente intelligenza e libertà. La f. si inserisce in un ambito trascendente, apparentemente irriducibile alla razionalità, ma i primi intellettuali cristiani sentono la necessità di armonizzarla con la razionalità sia dal punto di vista culturale, attraverso l’integrazione con la cultura filosofica pagana, sia da quello epistemologico, per ‘rendere ragione’ della loro fede. Si determinano dunque diverse modalità nel rapporto tra f. e filosofia che caratterizzano i diversi sensi di filosofia cristiana come: (1) filosofia elaborata dal credente (aspetto storico); (2) pensiero filosofico razionale sui problemi posti dalla f.; (3) riflessione filosofica sul concetto stesso di f. (filosofia della religione); (4) riflessione della f. su sé stessa (teologia filosofica).
L’impostazione prevalente nel Medioevo è quella di Agostino, centrata sulla circolarità tra il credere e il comprendere. Anche se la ricerca intellettuale risulta in questo caso intrinseca alla f. (fides quaerit, intellectus invenit), essa resta però sempre aperta nello sforzo di intelligere le profondità della f. stessa. Già dall’età carolingia vengono poi introdotte all’interno della teologia le tecniche dell’ars dialectica, disciplina che tradizionalmente coronava gli studi delle arti liberali del trivium, ma è nell’11° sec. che si manifestano i più espliciti tentativi di razionalizzazione dell’argomentazione teologica, come nel caso di Berengario di Tours. Tocca allora ad Anselmo d’Aosta ritrovare il senso di una indagine teologica guidata dalla ratio dialettica, ma sempre a partire dalla f.: la ricerca di Dio è compito dell’intelligenza (fides quaerens intellectum). La ragione ha però cominciato a ricavarsi, all’interno della f., una sua specifica autonomia. La scolastica prosegue sulla stessa linea, accentuando l’autonomia delle scienze con la riscoperta del pensiero aristotelico: da una impostazione in cui le diverse forme di conoscenza erano considerate anche come modalità attraverso le quali l’intelligenza risale a Dio, ora le scienze assumono valore in sé stesse. Il punto di equilibrio è raggiunto da Tommaso d’Aquino: la distinzione dei principi della conoscenza in naturali e rivelati non ne inficia infatti l’unità, poiché anche i naturali derivano da Dio, dunque non può esserci contrasto tra la conoscenza naturale e quella rivelata. La filosofia, ancora intesa come strumento per la sacra doctrina, si evolve verso una nuova sintesi che si svilupperà nel tomismo. Parallelamente però, alla fine del 13° sec., alcuni filosofi della facoltà delle arti, come Sigieri di Brabante, riprendendo Averroè affermano la necessità delle conclusioni filosofiche, anche se contrarie alla fede. Si avvia così quel percorso di separazione tra f. e ragione che caratterizzerà l’epoca moderna.