Abstract
Il federalismo è un tipo ideale, un’astrazione concettuale che permette di ridurre la complessità fenomenica degli assetti e delle organizzazioni istituzionali. Il federalismo è un concetto di valore che si distingue dai concetti descrittivi di federazione e di stato federale. Mentre il formalismo ha tentato di incasellare le realtà federali in categorie astratte, le analisi comparative ne hanno evidenziato la storicità, suggerendo un’analisi dei suoi testi classici: innanzitutto i Federalist Papers e gli studi di Elazar e Friedrich. Sono centrali le esperienze giuridiche statunitensi e tedesche, nonché le aspirazioni europee e cosmopolitiche.
Se si tenta di catalogare le accezioni che accompagnano il lemma “federalismo” ci si imbatte in una sterminata sequenza di paradigmi federali: il federalismo può essere liberale e sociale, duale e cooperativo, centripeto e centrifugo, simmetrico e asimmetrico, a favore dell’espansione dei poteri del governo federale o a favore dei diritti degli stati membri, con differenziazione camerale su base territoriale o senza, combinabile con tutte le forme di governo, funzionalista e integrazionista, nazionale ed internazionale, statalista e post-nazionalista, infranazionale e sovranazionale, europeo, mondiale, globale, cosmopolitico, ecc.
Bassani, Stewart e Vitale hanno catalogato 407 concetti, metafore ed aggettivi che vengono associati al lemma “federalismo”, e l’elenco è da considerare come non esaustivo! (Bassani, L.M.-Stewart, W.-Vitale, A., I concetti del federalismo, Milano, 1995).
Come nozione a contenuto variabile, il federalismo abbraccia una quantità quasi infinita di qualificazioni. Esso può quindi essere inteso weberianamente come un tipo ideale, vale a dire come un concetto che «è ottenuto mediante l’accentuazione unilaterale di uno o di alcuni punti di vista ... Nella sua purezza concettuale questo quadro non può mai essere rintracciato empiricamente nella realtà; esso è un’utopia, e al lavoro storico si presenta il compito di constatare in ogni caso singolo la maggiore o minore distanza dalla realtà da quel quadro ideale» (Weber, M., Il metodo delle scienze storico-sociali, Torino, 1997, 108).
Se le categorie giuridiche del federalismo sono indeterminate, storicamente situate e geneticamente comparative, la rilevanza geopolitica del federalismo non può essere dubitata: secondo il Forum delle federazioni solo 25 stati su 196 sono organizzati secondo principi federali, ma in essi vive ben il 40% della popolazione mondiale. Le differenze comparative che si riscontrano tra le varie manifestazioni organizzative dei federalismi sono di natura quantitativa e non qualitativa. Vero e proprio leitmotiv degli studi di diritto comparato sul federalismo è stato l’individuazione di criteri che permettano di distinguere tra confederazione, stato federale e stato regionale. I presupposti statocentrici e funzionalistici di tali studi hanno condotto le tendenze formalistiche ad ossificare le reificate concettualizzazioni in cui incasellare le realtà fenomeniche; le dispute sulla qualificazione giuridica di realtà politiche hanno spesso trasformato il giurista asettico in un «entomologo afflitto da pedanteria» (Bognetti, G., Federalismo, Torino, 2001, 114).
La crisi del paradigma dello stato nazionale, l’ascesa delle rivendicazioni identitarie di gruppi sociali territorialmente ancorati, il dispiegarsi del processo di integrazione europea, la globalizzazione dei mercati finanziari e delle tecnologie comunicative hanno sottoposto il concetto di federalismo a nuove esigenze di interpretazione. Più che alla conformità ad astratte categorizzazioni giuridico-formali, il federalismo dell’era post-moderna si avvicina ai temi della complessità sociale, del pluralismo istituzionale e della comunicazione. Dal punto di vista del vocabolario giuridico le categorie del federalismo si caratterizzano per un elevato tasso di indeterminatezza e per una resistenza alla categorizzazione. Per ricercare lo sviluppo comparativo di tali concetti fondamentali del federalismo è dunque preferibile un’indagine sui testi classici del federalismo.
Mentre gli approcci formalistici sono andati alla ricerca di categorie dogmatiche e di archetipi istituzionali rispetto ai quali misurare il tasso di federalizzazione di ordinamenti politici, gli approcci processuali hanno accettato l’incertezza e l’indeterminatezza delle retoriche federali e, anziché applicare un metodo comparativo ad una realtà supposta come statica, hanno concluso che «il concetto stesso di federalismo è intimamente comparativo» (Bakvis, H.-Chandler, W.M., Federalism and the Role of the State, Toronto, 1987, 5). Al cospetto di tale varietà fenomenica è comunque utile operare una distinzione concettuale tra federalismo, federazione e stato federale.
Il federalismo è un concetto normativo che invoca un’articolazione dei poteri pubblici in ambiti plurimi, con una combinazione di autoregolazione locale e regolazione condivisa. L’elemento di valore cui tende il federalismo è una combinazione di unità e diversità, di promozione delle specificità culturali e identitarie all’interno di un’unione politica più ampia. L’essenza del federalismo come principio normativo è la perpetuazione tanto dell’unione quanto della non centralizzazione (Watts, R., Comparing Federal Systems, Montreal, 1999, 6). Il federalismo è quindi un concetto di valore, cui gli assetti istituzionali possono più o meno tendere, senza però mai esaurirne la eccedenza di contenuto deontologico.
Il termine federazione, invece, è un concetto descrittivo che si applica a forme particolari di organizzazioni politiche. Esso si riferisce ad un’ampia categoria di sistemi politici in cui, in contrasto con un’unica sorgente di autorità che si incontra nei sistemi unitari, ci sono due o più livelli di governo che combinano la regolazione condivisa attraverso istituzioni comuni con l’autoregolazione locale attraverso i governi delle unità costitutive. Questo ampio genere abbraccia un ampio spettro di forme non unitarie quali le unioni, le federazioni, le confederazioni, le federacies, le associazioni di stati, i condomini, le leghe e le autorità connesse funzionalmente. I caratteri strutturali comuni delle federazioni in quanto forme specifiche di sistemi politici federali sono: due livelli di governo che agiscono direttamente nei confronti dei cittadini; una distribuzione costituzionale formale di autorità legislativa ed esecutiva ed un’allocazione di risorse finanziarie tra i due livelli di governo che assicuri aree di rispettiva autonomia; previsione di rappresentazione delle diverse istanze regionali attraverso camere di rappresentanza territoriale o sistema di raccordi intergovernativi quali conferenze; una costituzione scritta modificabile non unilateralmente ma solo con il consenso di una porzione significativa delle unità costitutive; un arbitro che risolva le controversie tra i governi (corti costituzionali o referendum popolari); processi ed istituzioni che facilitano la collaborazione intergovernativa in quelle aree in cui le responsabilità di governo sono condivise o sovrapposte.
Anche quello di “stato federale” è un concetto descrittivo, che connota il connubio tra principio federale e forma statuale. Tuttavia, essendo le varianti organizzative e funzionali degli esistenti stati federali tali e tante da impedire la costruzione di una teoria unitaria dello stato federale capace di adattarsi a tutte le diversità fenomeniche, l’approccio comparativo si è spesso accontentato di operare una ricognizione-classificazione dei sistemi politici federali. Se è possibile rintracciare nel mondo antico molte tracce di istituzioni federali e di comunità politiche che si sono date ordinamenti giuridici ispirati a principi federali, è solo con la rivoluzione americana e con l’adozione e la ratifica della costituzione federale statunitense che si ha il big bang della modernità federale.
Gli sviluppi concettuali del costituzionalismo repubblicano statunitense trovarono la loro codificazione nei Federalist Papers, libro sapienzale del federalismo moderno. Nel Federalist n. 9 Hamilton dà una definizione di repubblica federale come di un «insieme di società» o un’associazione di due o più Stati in uno Stato unico (Hamilton, A.-Madison, J.-Jay, J., Il federalista, Torino, 1997). Egli aggiunge che la latitudine, le modifiche, l’oggetto dell’autorità federale sono questioni meramente discrezionali. Nello stesso saggio Hamilton conia la metafora a mio avviso decisiva per orientare l’interpretazione del federalismo, vale a dire l’allargamento dell’orbita entro cui i sistemi popolari di governo debbono ruotare. L’immagine astronomica fa riferimento innanzitutto all’allargamento della base territoriale del governo repubblicano, ma anche all’ampliamento dell’orizzonte degli interessi e delle passioni politiche che solo il repubblicanesimo federale è in grado di garantire nella sua virtuosa pluralità.
Mentre le fazioni locali restringono l’orizzonte delle aspirazioni repubblicane mediante collusioni ed intrighi, l’allargamento dell’orbita federale consente alle passioni politiche di godere di un più ampio respiro unitario: «all’ambizione bisogna opporre l’ambizione. L’interesse dell’uomo deve essere connesso con i diritti costituzionali del luogo» (Madison, J., op. cit.). Il federalismo è sia un tipo di organizzazione del potere che permette di civilizzare le fazioni, sia un mezzo per controllare gli abusi di potere, dividendo quest’ultimo su base territoriale: «nella repubblica ‘composita’ d’America, il potere, cui il popolo rinunzia, viene prima diviso tra due organi distinti e separati. Di qui risulta una doppia garanzia per i diritti del popolo. I governi si controlleranno l’un l’altro e, nello stesso tempo, si autocontrolleranno» (Madison, J., op. cit.). Il federalismo è dunque un rimedio repubblicano per i mali repubblicani causati dalla pluralità delle fazioni e dalle possibili dittature delle maggioranze del momento. Per Madison la dimensione territoriale risulta decisiva per l’affermarsi della libertà; con il crescere dei numeri crescono le differenze, e con la differenziazione sociale si radica la libertà pluralistica. Tra la repubblica di piccole dimensioni e la vasta confederazione, la repubblica federale costituiva la nuova terza via capace di immaginare l’allargamento dell’orbita delle libertà repubblicane per una comunità costituzionale che si estende su vasti territori. Madison temeva la tirannia della maggioranza, ma egli vedeva questo pericolo a livello statale, non nazionale; per Madison i pericoli maggiori cui va incontro il governo popolare è il dilagare delle fazioni locali. Il problema delle dimensioni territoriali assume un ruolo centrale nella riflessione di Madison: l’allargamento dell’orbita consente sia l’estensione del pluralismo degli interessi sociali sia il ridimensionamento delle passioni localistiche e degli agitatori del popolo: «nell’estensione dell’Unione, e nella sua struttura idonea, vediamo dunque, un rimedio repubblicano per i mali più tipici cui il governo repubblicano va soggetto. E commisurato al piacere e orgoglio di essere repubblicani, deve essere l’ardore con cui serbiamo lo spirito e manteniamo il carattere di federalisti» (Madison, J., op. cit.).
Elazar sottolinea la stretta relazione esistente tra federalismo e contrattualismo. La stessa etimologia indica che il foedus era un accordo, un patto. Il federalismo non può essere imposto e non si accorda con concezioni imperativiste dell’ordine giuridico-politico. Se forme di accordi politici tra comunità sono sempre esistite, è soltanto con il processo di formazione degli Stati Uniti d’America che si ha l’inizio della modernità federale: nella genesi del costituzionalismo statunitense si ha una coorigine di nazionalismo, statualismo, repubblicanesimo, federalismo e costituzionalismo. Oggi, con la crisi del paradigma della sovranità statale, il federalismo acquista un nuovo significato sovra e internazionale e si mostra la forma politica più adeguata a plasmare gli accordi istituzionali della postmodernità globalizzata (Elazar, D.J., Constitutionalizing Globalization, Oxford, 1998, 155).
Dal punto di vista della storia delle idee, Elazar nota come nel moderno pensiero politico europeo si siano fronteggiate due grandi tradizioni: quella statista e quella federalista. La prima trova un riconoscimento positivo e istituzionale nei trattati di Westphalia del 1648 e viene concettualizzata nell’opera di Jean Bodin la seconda dovrà attendere la rivoluzione americana per essere positivizzata, ma già era stata elaborata da Althusius nella sua opera Politica Methodice Digesta. A differenza del modello statista, incentrato sul comando del sovrano, il modello federalista si basa su principi repubblicani e consociativi, configurando l’organizzazione dei poteri pubblici come una serie di accordi tra gruppi sociali, dalla famiglia alle associazioni volontarie sino alla comunità statale. Mentre il costituzionalismo europeo ha in gran parte seguito il modello statista, il costituzionalismo nordamericano si è viceversa ispirato al modello federalista. Ciò non è avvenuto accidentalmente, ma è stato il frutto delle diverse basi sociali delle due rivoluzioni moderne: mentre nei nascenti Stati Uniti il potere costituente era alimentato da una classe di proprietari le cui condizioni erano molto simili, e che ambivano ad estendere la propria organizzazione costituzionale su di un terreno che essi percepivano come vergine, in Francia l’esigenza di sconfiggere il vecchio regime inegualitario finiva per prendere il sopravvento, spingendo il giacobinismo ad un accentramento burocratico, necessario per sconfiggere l’aristocrazia che fondava il proprio potere su istituzioni locali, organizzate sulla base dei principi del privilegio. Al motivo della lotta di classe, in cui l’appartenenza si specifica in relazione all’opposizione all’altra parte e non alla condivisione di un comune spazio politico, si aggiungeva in Europa il tema della politica di potenza, per cui le esigenze di carattere militare scoraggiavano l’adozione di soluzioni federali.
Secondo Elazar nella teoria politica vi sono fondamentalmente tre modelli di organizzazione del potere (che incidentalmente corrispondono con le tre immagini mentali – o archetipi – di visualizzazione dell’ordinamento giuridico): il modello piramidale, quello a cerchi concentrici e quello a matrice. Questi tre modelli corrispondono alle modalità di fondazione di una comunità politica: la conquista, la crescita organica e la scelta. A differenza del modello piramidale della conquista, e del modello a cerchi concentrici della crescita organica, il modello federale è un modello a matrice, volutamente policentrico: «l’essenza della matrice federale deve essere compresa sia nel significato originario del termine (un sistema che plasma e abbraccia e non un singolo punto focale, o centro che concentra) sia nel suo significato contemporaneo (una rete di comunicazione che stabilisce i collegamenti che creano l’insieme)» (Elazar, D.J., Idee e forme del federalismo, Milano, 1998, 13).
Nel modello a matrice non vi è né un sopra e un sotto – come nella piramide – né un centro e una periferia – come nei centri concentrici -; «si può dire che il federalismo sia ciberneticamente valido perché prevede la presenza di ampi margini di ridondanza nello svolgimento delle funzioni di governo» (Elazar, D.J., op. cit., 25). Dal punto di vista giuridico ciò significa che la pluralità di soluzioni normative e giurisprudenziali non può essere ordinata né secondo il criterio gerarchico della prevalenza, né secondo quello funzionalistico della ripartizione di competenze; la ridondanza cibernetica, l’eccedenza di contenuto deontologico sono il riflesso giuridico della natura policentrica e sperimentale di una comunità che organizza le sue relazioni secondo una rete di comunicazioni politiche federali.
Elazar specifica la differenza fondamentale che intercorre tra non centralizzazione federale e decentramento: mentre quest’ultimo è un fenomeno che avviene all’interno del modello regionalistico, in cui il centro si de-centra, ma rimane libero di ri-accentrarsi, in un ordinamento federale non esiste un’autorità centrale. Mentre nei sistemi decentralizzati la diffusione del potere è in realtà una concessione, nei sistemi federali esistono delle vere e proprie barriere costituzionali che impediscono la formazione di un accentramento di potere.
Seguendo le analisi di Elazar, e valorizzando la distinzione tra decentramento e non centralizzazione, possiamo specificare le garanzie costituzionali del federalismo: 1) garanzie propriamente costituzionali, che garantiscono la partecipazione degli enti federati al processo di revisione della costituzione federale (ciò che ne garantisce la loro natura di poteri costituenti); 2) garanzie politiche, che garantiscono un sistema di rappresentazione politica o di raccordo intergovernativo tra gli enti federati e la federazione (senati territoriali e/o conferenze intergovernative); 3) garanzie giurisdizionali, che attribuiscono a corti supreme o costituzionali il compito di redimere i conflitti tra gli enti federati e tra questi e la federazione.
Criticando l’atteggiamento giuridico e formalista prevalente negli studi sul federalismo, Friedrich considera il federalismo come la forma territoriale di divisione dei poteri politici in base ad una costituzione. «Da un punto di vista empirico, un governo centralizzato, un governo decentrato, un governo federale, una federazione, una confederazione o lega di governi (stati), un’alleanza, un allineamento, un ‘sistema’ di governi (stati) indipendenti e, infine, governi (stati) privi di ogni relazione, sono tutti casi che presentano differenze di grado nella relazione tra i governi e le persone soggette al loro imperio, nonché tra i primi e il territorio che occupano. I due estremi sono costituiti dal controllo unitario da parte di un solo governante, e da un controllo completamente separato esercitato da governanti distinti, entrambi casi marginali. Il federalismo come processo deve essere inteso come una realtà che lega diversi sistemi di relazioni posti nella sezione centrale del continuum» (Friedrich, C., L’uomo, la comunità, l’ordine politico, Bologna, 2002, 273).
La visione processuale del federalismo di Friedrich richiede dunque che si guardi ad esso non come un modello statico di organizzazione caratterizzato da una divisione rigida di poteri tra i livelli di governo, ma piuttosto come il processo di federalizzazione di una comunità politica, vale a dire tanto il processo mediante il quale un numero di comunità politiche separate entra in una serie di accordi per risolvere problemi, adottare politiche comuni e negoziare decisioni comuni per problemi comuni, quanto il processo inverso mediante cui una comunità politica unitaria si differenzia in un tutto organizzato federalisticamente. Le relazioni federali sono per loro natura relazioni fluttuanti. Ogni comunità organizzata in modo federale deve quindi dotarsi di strumenti per la periodica revisione dei propri assetti; solo in questo modo l’equilibrio tra valori, interessi e credenze comuni e diverse può essere riflesso in relazioni più differenziate ed integrate. Dunque vi è federalismo solo se un insieme di comunità politiche coesistono ed interagiscono come entità autonome, unite in un ordine comune con una propria autonomia. In un sistema federale non vi può essere un sovrano; l’autonomia e la sovranità si escludono a vicenda in un ordine politico di tipo federale. Parlare di trasferimento di quote di sovranità significa negare l’idea di sovranità che dalla teorizzazione di Bodin ha voluto significare indivisibilità. In un sistema federale nessuno ha l’ultima parola. L’idea di accordo (compact) è implicita in quella di federalismo (Friedrich, C., Trends of Federalism in Theory and Practice, New York, 1968, 7-8).
Per la comparazione giuridica la storia del federalismo tedesco rappresenta una narrativa imprescindibile, sia per la centralità geopolitica della Germania sia per la ricchezza del contributo che la dottrina tedesca ha fornito alla cultura mondiale del federalismo. Sebbene le radici del federalismo tedesco affondino nell’ordine giuridico medievale, e grande è stato il contributo del pensiero tedesco al formalismo categorizzante del dualismo Bundestaat e Staatenbund, è nelle riflessioni sul federalismo costituzionale reinstaurato dalla legge fondamentale del 1949 che si ritrovano linee di sviluppo che interessano una ricerca comparativa che ponga al centro dell’indagine le idee cristallizzate nei testi classici. Anche per il federalismo tedesco vale il principio che l’indagine storica è più chiarificatrice di quella logica (Maier, H., Der Föderalismus – Ursprünge und Wandlungen, Archiv des Öffentlichen Rechts, 105, 1990, 215).
Nel XIX secolo il federalismo tedesco esprime una visione centripeta orientata dalla funzione di integrazione politica (e pluribus unum); nel secondo dopoguerra, ma anche nella riunificazione di est e ovest, «il federalismo non viene semplicemente imposto dall’esterno (ex uno plures), ma contrattato tra varie forze integratrici e disgregatrici che operano sia all’interno della Germania, sia dall’esterno» (Luther, J., Il modello tedesco dello stato federale sociale, in Pizzetti, F., Federalismo, regionalismo e riforma dello stato, Torino, 1998, 249).
Agli inizi degli anni ’60 del secolo scorso, lo stato federale unitario (Hesse, K., Der unitarische Bundesstaat, in Id., Ausgewählte Schriften, Heidelberg, 1984, 116) appariva come la manifestazione tipicamente tedesca del federalismo solidale e cooperativo, in cui agli stati membri spettano poche competenze legislative, ma molta influenza nel procedimento legislativo federale. La fine del paradigma unitario – specchio teoretico di una sostanziale uniformità amministrativa e delle condizioni di vita sul territorio federale – prodottasi con la riunificazione ha suggerito la formulazione del paradigma fiduciario. Da ultimo, nel 2006, con la riforma della legge fondamentale il legislatore costituzionale ha introdotto elementi competitivi, che hanno fatto rievocare la metafora dello stato sperimentatore (Michael, L., Der experimentelle Bundestaat, in Juristenzeitung 18/2006, 884). Al cospetto di tale sovrapposizione, rimane saggio l’invito a concettualizzare una teoria mista del federalismo (Häberle, P., Problemi attuali del federalismo tedesco, in D’Atena, A., a cura di, Federalismo e regionalismo in Europa, Milano, 1994) che ponga l’accento sugli elementi culturali che garantiscono sia identificazione sia differenziazione.
La crisi degli stati nazionali europei ed il collasso del sistema westfalico nel secondo conflitto mondiale hanno spinto il federalismo europeo verso la costruzione di un nuovo ordine giuridico internazionale in Europa. Battuto all’epoca della fondazione delle comunità economiche europee dal paradigma funzionalista, la visione federalista si trova rivitalizzata dal difficile cammino della costituzione europea.
Dal punto di vista del diritto positivo, la disputa dottrinale degli ultimi anni si è incentrata sull’esistenza o meno di una costituzione sovranazionale. La visione funzionalista (Weiler, J., La costituzione dell’Europa, Bologna, 2003) ha individuato nella giurisprudenza della Corte di giustizia delle Comunità europee e nella sua ricezione da parte delle corti costituzionali nazionali elementi di un processo di costituzionalizzazione: l’emersione dei principi di efficacia diretta e di supremazia del diritto comunitario sul diritto nazionale sono stati visti come i tratti caratterizzanti di una costituzione costruita attraverso l’interpretazione giudiziaria. La visione federalista (Habermas, J., Perché l’Europa ha bisogno di una costituzione?, in Bonacchi, G., a cura di, Una costituzione senza Stato, Bologna, 2001, 163), per contro, ha insistito sulla necessità di addivenire ad un passaggio politico mediante la redazione di una costituzione europea di stampo autenticamente federale. Le due visioni, oggi ibridate e confluite in una realtà istituzionale ispirata da entrambe, confermano la vetustà dell’equiparazione tra federalismo e stato federale. Sia che si parli di costituzionalizzazione dei trattati istitutivi, sia che si parli di internazionalizzazione delle costituzioni nazionali, sia che si cerchi una via di mezzo nella nuova figura del trattato costituzionale, lo ius publicum europeum rileva l’impraticabilità della tradizionale distinzione nazionale/internazionale su cui la dottrina tradizionale aveva costruito la distinzione costituzione/trattato (Pernice, I., The Treaty of Lisbon: Multilevel Constitutionalism in Action, Columbia Journal of European Law, vol. 15, n. 3/2009).
Se i Federalist Papers sono il liber sapientiae dello stato federale, il Manifesto di Ventotene è uno dei testi classici del federalismo europeo: lì Spinelli articola la sua critica al sistema westfalico degli stati nazionali europei, alla pretesa di sovranità assoluta che essi hanno avanzato ed ai disastrosi esiti delle politiche di potenza indotte dal sistema del balance of power: «il problema che in primo luogo va risolto e fallendo il quale qualsiasi altro progresso non è che apparenza, è la definitiva abolizione della divisione dell’Europa in stati nazionali sovrani» (Spinelli, A., Il manifesto di Ventotene, Bologna, 1991, 48). Proprio il nazionalismo metodologico mostra tutte le sue insufficienze – descrittive e normative – nel costruire una credibile narrativa del futuro dell’Unione europea. Il superamento della prospettiva nazionalistica ed il ritorno della visione mondiale del movimento federativo hanno fatto parlare dell’Unione europea come di un esperimento nel cosmopolitismo istituzionalizzato (Beck, U., L’Europa cosmopolita, Roma, 2006).
Dall’autoamministrazione comunale all’autonomia regionale, dall’autodeterminazione nazionale all’integrazione europea… fin dove è possibile allargare l’orbita della visione federale? Si può concettualizzare un federalismo cosmopolitico? Nel secondo articolo definitivo per la pace perpetua Kant scrive: «il diritto internazionale deve fondarsi sopra una federazione di liberi Stati» (Kant, I., Per la pace perpetua, Milano, 1999, 59). Nell’offrire un ideale normativo Kant evita di immaginare uno stato mondiale pacificato, ma suggerisce la via della federazione di popoli. La tendenza naturale dell’ordinamento repubblicano a dividere il potere, assicurare la tutela dei diritti individuali ed escludere il ricorso alla forza per la soluzione dei conflitti, si estende dalla sfera nazionale alla sfera internazionale. Il federalismo è dunque per Kant tanto una componente ideale quanto un principio organizzativo dell’immaginata repubblica universale: «sebbene questa federazione di Stati appaia oggi soltanto abbozzata, comincia però a destarsi un presentimento in tutti i membri interessati alla conservazione del tutto, e ciò dà a sperare che, dopo qualche crisi rivoluzionaria di trasformazione, sorga finalmente quello che è il fine supremo della natura, cioè un generale ordinamento cosmopolitico, che sia la matrice, nella quale vengono a svilupparsi tutte le originarie disposizioni della specie umana» (Kant, I., Idea di una storia universale dal punto di vista cosmopolitico, in Id., Scritti di storia, politica e diritto, Bari, 2003, 40).
La teoria democratica contemporanea ha ormai abbandonato la finzione metodologica della società chiusa e l’orizzonte del federalismo si va fondendo con quello della globalizzazione. Certo, di fronte al persistere delle divisioni del genere umano il realismo politico ha buon gioco nell’insistere sulla visione dell’ordine internazionale come di uno stato di natura hobbesiano in cui gli attori perseguono il solo interesse di accrescere la propria sfera di influenza. E tuttavia, se si guarda al federalismo con le lenti weberiane del tipo ideale, la natura utopica del concetto rivela delle risorse culturali e normative tali da indurre ad accogliere lo sguardo cosmopolita. Lo stesso Kant nel terzo articolo definitivo per la pace perpetua aveva preconizzato che «ora, poiché con la comunanza (più o meno stretta) tra i popoli della Terra, che alla fine dappertutto ha prevalso, si è arrivati a tal punto che la violazione di un diritto commessa in una parte del mondo viene sentita in tutte le altre parti, allora l’idea di un diritto cosmopolitico non appare più come un tipo di rappresentazione chimerica ed esaltata del diritto, ma come un necessario completamento del codice non scritto sia del diritto politico sia del diritto internazionale verso il diritto pubblico dell’umanità, e quindi verso la pace perpetua, e solo a questa condizione possiamo lusingarci di essere in costante cammino verso di essa» (Kant, I., Per la pace perpetua, Milano, 1999, 68).
Althusius, J., Politica, Napoli, 1980; Bakvis, H.-Chandler, W.M., Federalism and the Role of the State, Toronto, 1987; Bassani, L.M.-Stewart, W.-Vitale, A., I concetti del federalismo, Milano, 1995; Beck, U., L’Europa cosmopolita, Roma, 2006; Bognetti, G., Federalismo, Torino, 2001; Elazar, D.J., Constitutionalizing Globalization, Oxford, 1998; Elazar, D.J., Idee e forme del federalismo, Milano, 1998; Friedrich, C., L’uomo, la comunità, l’ordine politico, Bologna, 2002; Habermas, J., Perché l’Europa ha bisogno di una costituzione?, in Bonacchi, G., a cura di, Una costituzione senza Stato, Bologna, 2001; Häberle, P., Problemi attuali del federalismo tedesco, in D’Atena, A., a cura di, Federalismo e regionalismo in Europa, Milano, 1994; Hamilton, A.-Madison, J.-Jay, J., Il federalista, Torino, 1997; Hesse, K., Der unitarische Bundesstaat, in Id., Ausgewählte Schriften, Heidelberg, 1984; Kant, I., Per la pace perpetua, Milano, 1999; Kant, I., Idea di una storia universale dal punto di vista cosmopolitico, in Id., Scritti di storia, politica e diritto, Bari, 2003; Luther, J., Il modello tedesco dello stato federale sociale, in Pizzetti, F., Federalismo, regionalismo e riforma dello stato, Torino, 1998; Maier, H., Der Föderalismus – Ursprünge und Wandlungen, Archiv des Öffentlichen Rechts, 105 (1990), 213; Michael, L., Der experimentelle Bundestaat, in Juristenzeitung 18/2006; Pernice, I., The Treaty of Lisbon: Multilevel Constitutionalism in Action, Columbia Journal of European Law, vol. 15, n. 3/2009; Schütze R., From Dual to Cooperative Federalism. The Changing Structure of European Law, Oxford, 2009; Spinelli, A., Il manifesto di Ventotene, Bologna, 1991; Watts, R., Comparing Federal Systems, Montreal, 1999; Weber, M., Il metodo delle scienze storico-sociali, Torino, 1997; Weiler, J., La costituzione dell’Europa, Bologna, 2003.