CAMPANELLA, Federico
Nato a Genova il 10 luglio 1804 da Sebastiano e Benedetta Tassara, si era iscritto all'università nel febbraio 1822, frequentando il primo anno di filosofia al seminario arcivescovile; ammesso quindi alla facoltà di legge, era diventato baccelliere il 30 maggio 1825 conseguendo la laurea nell'estate del 1829. Spirito ribelle, durante gli anni di università, nei quali fece amicizia coi fratelli Ruffini e con G. Mazzini, mostrò intolleranza per il controllo esercitato sugli studenti dalle autorità ecclesiastiche e per l'obbligo delle pratiche religiose, e fu più volte punito con G. Ruffini. Dopo la fondazione della Giovine Italia, con I. e G. Ruffini ebbe da Mazzini l'incarico di dirigere la congrega genovese, col compito specifico di curare la Riviera di Ponente; si impegnò a fando e, come poi affermerà (Il Dovere, 13 apr. 1867), collaborò con scritti anche al giornale La Giovine Italia. Scoperta la trama rivoluzionaria, nel giugno 1833 il C. fuggì da Genova rifugiandosi a Marsiglia; qui entrò a far parte del gruppo mazziniano, guidato dopo la partenza di Mazzini da L. A. Melegari. Nel gennaio 1834 si trasferì a Ginevra per partecipare alla spedizione di Savoia; fatto il tentativo, dapprima ristette a Ginevra, poi passò a Zurigo, dove nel gennaio 1835 si batteva in duello con F. Ugoni per dissensi trascesi da politici a personali: quindi dalla primavera dello stesso anno fu a Parigi, dove visse con A. Ruffini, afflitto da ristrettezze finanziarie per i tenui aiuti fornitigli dalla famiglia e per la difficoltà di trovare lavoro. Nel 1839 era di nuovo a Marsiglia.
Nel 1840 accolse con entusiasmo la ricostituzione della Giovine Italia, di cui a Marsiglia fu ordinatore, attivo nel trovare adesioni tra gli emigrati e nel mantenere i rapporti con l'Italia secondo le istruzioni impartitegli da Parigi da G. Lamberti. In questo periodo il C. cominciò a maturare una sua particolare posizione nell'ambito del mazzinianesimo: fedele a Mazzini e zelante esecutore delle sue direttive (se ne staccò per qualche tempo solo alla vigilia del '48), non condivideva la concezione "fideistica" che stava alla base della sua azione. Da ciò, allora e in seguito, quella posizione critica verso certi atteggiamenti mazziniani, che assunse aspetti diversi col mutare delle circostanze, ma ebbe appunto come fondamentale ispirazione il rifiuto delle teorie filosofico-religiose con cui Mazzini inquadrava in una sua visione universale la rivoluzione italiana.
Nel 1840-41il C. avrebbe voluto un largo accordo tra gli esuli al di sopra delle divergenze ideologiche (per questo fu in corrispondenza con G. Ricciardi, di cui discusse i principi e gli orientamenti nella speranza di trovare una intesa) e un'azione cospirativa rivolta soprattutto all'Italia. Prendeva quindi in considerazione l'eventualità di mutare il nome della Giovine Italia, sgradito a molti emigrati (chiese anche l'eliminazione dei motti aggiunti alla testata dell'Apostolato popolare, che ne denunziavano l'impronta mazziniana), trovava giusta la richiesta del Ricciardi di esporre "con maggiore chiarezza e semplicità" i principi dell'associazione mazziniana, non condivideva l'entusiasmo di Mazzini per la diffusione della Giovine Italia a New York e a Montevideo, ed auspicava invece un'organizzazione più accentrata e funzionante per un rapido passaggio all'azione nella penisola. Naturalmente era rimbeccato da Mazzini, che non intendeva rinunziare a proporre nettamente le sue idee per ottenere il consenso di uomini di altra fede, né mutare il nome della Giovine Italia, bandiera del suo movimento, né svalutare il respiro internazionale che gli davano le congreghe stabilite tra gli esuli italiani nelle due Americhe, né rischiare nuovi insuccessi con tentativi mal preparati (G. Mazzini a G. Lamberti, Londra, 21 dic. 1840, e in nota F. C. a G. Lamberti, Marsiglia, 6 dic. 1840, in G. Mazzini, Opere [ediz. naz.], XIX., pp. 387-392;G. Mazzini a G. Lamberti, Londra 8 marzo 1841, e in nota F. C. a G. Lamberti, Marsiglia 15 febbr. 1841, ibid., XX, pp. 97-108).
La sfiducia in un'azione, approvata dal C. solo in parte, contribuì a indurlo al ritorno in patria, nel gennaio 1844, ottenutogli per l'intercessione della madre. A Genova, si tenne lontano dalla politica, cui ricominciò a partecipare quando sulla spinta del movimento neoguelfo Carlo Alberto fece le prime concessioni. Sul finire del '47 il C. si orientò decisamente verso il programma giobertiano, né ciò può meravigliare dal momento che non aveva mai aderito al credo mazziniano, anzi lo aveva considerato di impedimento a un'azione concreta. Riprese tuttavia anche i rapporti epistolari con Mazzini, allora a Londra, che cercò di scuoterne la fiducia nelle riforme, e di ristabilire l'antica collaborazione chiedendogli corrispondenze sulla situazione italiana per la stampa inglese. L'insurrezione di Milano del '48 e l'intervento di Carlo Alberto sembrarono al C. la dimostrazione della possibilità di conciliare iniziativa popolare e iniziativa regia. In coerenza con questa convinzione, con altri volontari genovesi formò la "compagnia Mazzini" in aiuto degli insorti; da Milano, dove giunse il 23 marzo, il 31 esortava Mazzini ad accorrere in Lombardia, dove era vivo lo spirito repubblicano. Poco dopo, per incarico di C. Trabucco conte di Castagnetto, segretario di Carlo Alberto, propose a Mazzini, arrivato a Milano l'8 apr. 1848, un accordo col re per favorire la politica fusionista sabauda in cambio di una maggiore democraticità della futura costituzione del nuovo Stato. Se il C. si preoccupava di assicurare alla rivoluzione nazionale l'appoggio dell'esercito piemontese, Mazzini non poteva transigere oltre un certo limite sulle sue convinzioni repubblicane (cfr. G. Mazzini a E. Hawkes, Milano, 11 aprile del 1848 e nota, in Opere, XXXV, pp. 106-115). Fallita la missione, a metà di aprile il C. tornò a Genova, dove mantenne una posizione politica moderata, impegnandosi nell'organizzazione della guardia nazionale e nell'assistenza alle famiglie dei richiamati, ma evitando di iscriversi al Circolo italiano di ispirazione democratica avanzata.
Il disimpegno politico cessò nel marzo '49, con la rivolta di Genova, scoppiata per protesta contro l'armistizio di Vignale. Il C. fu tra i membri del governo provvisorio e capo dello Stato Maggiore della guardia nazionale, e combatté contro le truppe regie, comandate da A. La Marmora, che repressero il moto rioccupando la città il 5 aprile. Tra i dodici esclusi dall'amnistia concessa da Vittorio Emanuele II l'8 aprile, fu in seguito condannato a morte in contumacia (per una polemica sugli avvenimenti genovesi cfr. F. Campanella, Custoza e Genova. Le elucubrazioni del gen. A. Lamarmora, Genova 1875). Fuggito da Genova, il C. raggiunse a Roma il Mazzini e partecipò alla difesa della città come soldato semplice nella legione garibaldina. Alla caduta della Repubblica romana lasciò l'Italia e fu forse a Malta, poi ad Atene; nel '50 si stabilì a Parigi con G. B. Cambiaso (morto nel dicembre del '51), e nel gennaio '53 fu costretto a trasferirsi a Londra dalla polizia francese. Dal '49 intanto si era riavvicinato definitivamente a Mazzini, che aveva visitato a Londra nel luglio '51; sia a Parigi, sia soprattutto a Londra, operò attivamente alle sue iniziative, divenendone nel '53 il principale collaboratore (dalla fine dell'anno i due esuli fecero vita in comune, anche per le precarie condizioni economiche del C., a cui più volte Mazzini cercò di trovare una sistemazione come insegnante, o almeno lezioni private). Nell'agosto '54, per il tentativo insurrezionale nella Valtellina, il C. si recò in Svizzera. Fallito il moto, fu arrestato perché scambiato per Mazzini; tra l'altro fu tra i membri del Comitato centrale del Partito d'azione, e firmò la dichiarazione del 28 febbr. 1859 contro l'alleanza con Napoleone III. Per l'attività cospirativa nel '57 era stato accusato, a Parigi, di congiurare contro la sicurezza della Francia e contro l'imperatore, ed era stato condannato in contumacia (con altri, tra cui Mazzini) alla deportazione. Per la sua "pericolosità", nell'ottobre '50 il governo sardo non gli aveva concesso il temporaneo rientro a Genova per curare affari personali collegati alla proprietà di modesti beni immobili.
In questi anni il C. si segnalò per l'impegno di polemista. Dall'esperienza del '49 era uscito repubblicano convinto e anticlericale, irriducibilmente ostile a quanti, invece, si andavano accostando a casa Savoia. Attaccò G. Ruffini, divenuto filosabaudo, che nel romanzo Lorenzo Benoni aveva rievocato la giovinezza di cospiratore e i compagni d'allora, compreso Mazzini: il C. ritenne necessario rettificare nomi e fatti, e concluse amaramente col dolersi per il mutamento politico dell'antico amico (Italia e Popolo, 17 e 19 giugno 1855). Molto duramente recensì la Storia del Piemonte di A. Gallenga, precisando i fatti della spedizione di Savoia e mettendo in ridicolo l'autore, che nel '34 si era offerto a Mazzini per uccidere Carlo Alberto ed era in seguito diventato monarchico (Italia e Popolo, 23 e 24 ott. 1856). Il C. fu in prima fila nella polemica dei repubblicani contro Manin, accusando il partito monarchico di non agire e di impedire agli altri di agire (ibid., 1º marzo 1856), ribadendo le critiche alla politica di re Carlo Alberto e degli altri sovrani italiani (ibid., 11, 16 e 23 aprile), rivendicando al partito repubblicano l'avvenire ed esortandolo a restare compatto (ibid., 26 maggio), respingendo l'attribuzione al Mazzini della teoria del pugnale e riversando la responsabilità dei delitti politici sui governi tirannici e ingiusti (ibid., 6 giugno), difendendo i mazziniani come uomini di principî, repubblicani unitari, anzitutto unitari, e sostenendo che non c'era intorno ad essi il vuoto (ibid., 22 novembre). Sempre vigile in difesa del principio unitario, ancora all'inizio del '60 attaccava il Montanelli perché riteneva ineliminabile lo Stato pontificio, e parlava di confederazione e di "rivoluzione conservatrice" (Pensiero ed Azione, 31 genn. 1860).
Nel 1859 restò a Londra anche dopo la partenza del Mazzini, e raggiunse l'Italia nell'autunno, stabilendosi a Genova. Nel '60 fu collaboratore e amministratore del quotidiano mazziniano L'Unità italiana, pubblicato a Genova dal 1º aprile sotto la direzione di M. Quadrio; poi nel settembre era a Firenze, con Mazzini, per organizzare una spedizione dall'Italia centrale contro lo Stato pontificio, ma veniva espulso dalla polizia; in ottobre era a Napoli, con gli altri democratici che cercavano di influire sulle decisioni di Garibaldi. Una più intensa attività il C. dispiegò tra l'autunno del 1861 e la fine del 1863. Cercò infatti di dar vita al progetto mazziniano di promuovere un ampio schieramento democratico, tale da influire efficacemente sugli indirizzi politici del regno: fu così organizzatore e vicepresidente della Associazione emancipatrice italiana, e accettò l'elezione a deputato.
I Comitati di provvedimento, organizzati per aiutare l'azione della Cassa centrale di soccorso a sostegno della spedizione dei Mille, erano stati mantenuti in vita per animare la lotta di liberazione di Roma e di Venezia. Incrementati di numero e affiancati dall'organizzazione dei Tiri a segno nazionali ad opera del segretario F. Bellazzi, il loro orientamento era nettamente garibaldino, e subordinato all'iniziativa regia, anche se in contrasto con l'impostazione governativa e moderata. Mazzini voleva invece trascinare il governo, o scavalcarlo, stimolando la spinta della iniziativa popolare; e a questo proposito progettava di far sorgere numerose associazioni democratiche e società operaie, collegarle in un'unica organizzazione, farne la base per la mobilitazione dell'opinione pubblica. Il progetto era congeniale al C., che ne coglieva la possibilità di arrivare, come aveva sempre auspicato, a un accordo fra tutte le forze democratiche su un piano di azione di immediata attuazione, con l'accantonamento delle discussioni ideologiche. Così, nel settembre '61, fu tra i fondatori della Società unitaria di Genova, di cui si servirono i mazziniani per imprimere maggiore dinamismo al movimento democratico. Nell'assemblea generale delle società democratiche, tenuta a Genova il 15 dic. 1861, esplose il dissenso politico tra le due correnti. Mentre F. Bellazzi si dimetteva da segretario (dimissioni ritirate il 10 genn. 1862, in vista dell'accordo realizzato nel marzo per la fusione di garibaldini e mazziniani nelle Associazioni emancipatrici), il C., fu eletto membro del Comitato centrale, e fece poi parte della commissione incaricata di formulare lo statuto dell'organismo che doveva raccogliere tutte le associaziom. Mazzini intanto avrebbe voluto farlo dimettere, ritenendolo forse poco accetto a Garibaldi, del quale era indispensabile l'adesione, ma il C. restò al suo posto. Nell'assemblea tenuta ancora a Genova il 9 e 10 marzo 1862, in cui fu costituita l'Associazione emancipatrice italiana, il C. favorì l'accordo con i garibaldini; eletto nel Comitato direttivo, divenne vicepresidente della nuova associazione (presidente era Garibaldi). Nel giugno e luglio 1862 partecipò alle riunioni dei dirigenti dell'Emancipatrice, preoccupati dell'azione che, più o meno d'accordo col governo, stava svolgendo Garibaldi, e che portò poi ad Aspromonte.
Eletto deputato il 22 giugno a Corleto Perticara, in Basilicata, il C. non rifiutò il mandato; tempo dopo, il C. così chiarirà il suo atteggiamento: "Uomo di fede repubblicana, ma riverente sempre al principio della sovranità nazionale, solennemente manifestata nel Plebiscito, e preoccupato anzitutto dell'unità della patria, senza la quale non saremo mai una nazione d'uomini liberi, io ero convinto che per compiere gli alti nostri destini fosse necessario il concorso di tutte le forze della nazione e quindi un perfetto accordo tra la democrazia italiana e la monarchia. Credevo possibile quell'accordo ed ero disposto a sacrificarvi le questioni di forma, le aspirazioni della mia vita" (Agli elettori del collegio di Corleto, in Il Dovere, 26 dic. 1863).
Ciò non significava che fosse disposto a transazione con la monarchia: intendeva piuttosto costringerla all'azione. Il 10 marzo 1862, nell'assemblea di Genova, a proposito degli indugi frapposti dal governo al libero ritorno di Mazzini in Italia, aveva attaccato il Rattazzi, "anima piccina di leguleio", e minacciato di portare "la questione sulla pubblica piazza". Parole, queste ultime, che, intese da moderati e clericali come una minaccia di guerra civile, avevano provocato una vivace polemica ed erano costate al C. un processo, chiuso nel '63 con l'applicazione dell'amnistia concessa dopo Aspromonte.
Nei giorni caldi del tentativo garibaldino il C., a Genova, lavorò per favorire l'affluenza di uomini e mezzi. Sciolta dal governo, il 20 ag. 1862, l'Associazione emancipatrice, firmò con gli altri dirigenti una protesta, e il 31 agosto partecipava a una manifestazione popolare di sdegno per l'episodio di Aspromonte; firmò poi l'indirizzo del 15 febbr. '61 formulato dai componenti dell'ex Comitato, centrale delle associazioni democratiche, per la ricostituzione, non permessa dal governo, dell'Emancipatrice. Infine nel dicembre '63, in occasione della proposta di dimissioni in massa della Sinistra, rassegnò il mandato di deputato, mai esercitato, perché l'elezione era stata convalidata dopo sette mesi, quando ormai con Aspromonte per il C. era cessata la speranza di una proficua collaborazione con la monarchia.
Ritornato all'intransigenza repubblicana, continuò ad avere una posizione autonoma nell'ambito del mazzinianesimo. Criticava sempre in Mazzini l'esclusivismo e la volontà di imporre ai seguaci le sue credenze. Quando ad esempio Mazzini rifiutò il titolo di socio onorario offertogli dai liberi pensatori di Siena, gli scrisse una lettera "molto viva" dicendogli "che colle sue questioni religiose scindeva il partito" (C. a G. Libertini, Genova 10 nov. 1865). Né Mazzini ruppe i rapporti col C. che anzi volle direttore del settimanale Il Dovere, pubblicato a Genova dal 7 febbr. 1863. Il periodico, che oltre ad ospitare gli articoli di Mazzini, fu aperto a molti collaboratori, fu diretto dal C. fino al maggio del '67 (quando esso si trasformò in quotidiano e si trasferì a Firenze), che gli diede l'indirizzo politico.
Contro A. Mario, che dopo Aspromonte aveva affermato l'inversione della formula unità-libertà, chiedendo che si provvedesse anzitutto a formare il cittadino con l'esercizio del suffragio e dell'autogoverno, rivendicò la preminenza del completamento dell'unità, senza la quale non sarebbe stato possibile ottenere riforme (24 ott. 1863). Egualmente criticò l'opuscolo Dell'opposizione parlamentare, in cui il Bertani sosteneva la possibilità di ottenere un profondo mutamento della vita politica attraverso l'azione parlamentare, replicando che faceva opera antipatriottica chi distraeva l'attenzione della nazione da Roma e Venezia "colle ciance costituzionali" (13 genn. 1866, cfr. l'opuscolo L'avvocato e il dottore. Botta e risposta tra F. C. e A. Bertani, Genova 1866).In linea con Mazzini, alla fine del '63 appoggiò la proposta di dimissioni in massa della Sinistra parlamentare; nel '64 fu tra i firmatari della dichiarazione apparsa anonima il 10 luglio sul Diritto e rivolta a impedire una spedizione di Garibaldi nei Balcani d'accordo col re; dopo la Convenzione di settembre, interpretata come una rinunzia a Roma, cercò di eccitare gli animi contro il governo; aderì con riserva alla guerra regia del '66, ritenendo "sacro ed assoluto dovere" partecipare a una lotta che decideva dell'esistenza della nazione (salvo ad attaccare violentemente il governo dopo le dolorose sconfitte), e per questo entrò in polemica col giornale confratello, L'Unità italiana, su cuiil Quadrio, il Brusco Onnis e il Marcora avevano espresso l'intransigente avversione a qualsiasi appoggio alla monarchia (Il Dovere, 19 ag. 1866).
Sempre aperto ad ogni tentativo di accordo tra i democratici, il 29 apr. 1866 presiedette l'assemblea delle società democratiche, riunite a Parma per iniziativa di Mazzini, che sperava di formare una larga concentrazione sul tipo dell'Emancipatrice. Però l'intesa non fu raggiunta; i democratici dissidenti abbandonarono la riunione, e la direzione centrale fu formata esclusivamente da mazziniani. Non era quello che voleva il C., il quale, in contrasto con le istruzioni di Mazzini, aveva appoggiato la proposta di discutere anzitutto un regolamento per l'organizzazione della democrazia: perciò, eletto nella direzione col Quadrio, il Brusco Onnis, E. Bezzi e il Marcora, si dimise immediatamente (L'Unità italiana, supplemento del 10 maggio 1866; A. Scirocco, I democratici italiani da Sapri a Porta Pia, Napoli 1969, pp. 321-324). Come centro di raccolta delle forze democratiche egli pensò allora alla massoneria.
Già il Mordini nel '64 aveva cercato di unire intorno a Garibaldi (nel '62eletto gran maestro dall'Oriente di Palermo) le logge italiane divise nell'obbedienza di Palermo, Torino e Napoli, senza riuscire nell'intento (A. Scirocco, Democrazia e socialismo a Napoli dopo l'Unità, Napoli 1973, pp. 138-141). Il C. riprese l'idea fin dal '66 e cercò di realizzarla nonostante l'opposizione di Mazzini, il quale, avendo fondato l'Alleanza repubblicana universale, non riteneva che i suoi seguaci potessero appartenere anche ad un'altra associazione, ed al massimo pensava ad una alleanza con la massoneria.
Nel luglio del '68, dimessosi Garibaldi, il Grande Oriente di Palermo offrì la carica di gran maestro a Mazzini: questi non accettò per non transigere con le sue convinzioni e designò il C., che fu eletto il 19 luglio per un triennio. Messosi subito all'opera, egli cominciò nell'ottobre dello stesso anno col proclamare irregolari le logge dipendenti dal Grande Oriente di Firenze, filomonarchico, e col disciogliere la Sezione concistoriale di Napoli, che minacciava la defezione da Palermo. Però l'ambizioso proposito di convocare una costituente massonica per riformare profondamente l'associazione incontrò tanta opposizione che la convocazione, fissata per il 18 sett. 1870 (circolare del C., Firenze 21 luglio 1870, in C. Brezzi, Orientamenti della massoneria intorno al 1870, in Chiesa e religiosità in Italia dopo l'Unità, Milano 1971, pp. 307-340), fu rinviata. La costituente si tenne, infine, nell'aprile '72: lo scopo dell'unificazione dei vari centri fu raggiunto, ma il C., eletto gran maestro onorario, cedette l'effettiva direzione della massoneria a G. Mazzoni.
Dal '67 si era trasferito a Firenze, restando sempre in contatto col Mazzini. Dopo porta Pia collaborò al nuovo giornale mazziniano, La Roma del Popolo, con vari articoli in cui stigmatizzò la monarchia e il compromesso da essa attuato col Papato (9 febbr. e 8 marzo 1871), attribuì la crisi della Francia alla ricerca del benessere materiale e all'abbandono dei grandi principi (21 giugno 1871), invocò un fermo atteggiamento contro la Francia repubblicana che parlava di rivincita e nunacciava l'Italia per Roma (17 ag. 1871). Nel novembre '71 non partecipò perché ammalato al XII congresso delle società operaie, promosso da Mazzini, ma in una lettera ai congressisti espose i punti ai quali da allora in poi avrebbe informato la sua azione: rifiuto delle teorie socialiste, soluzione della questione sociale con l'elevazione delle classi più umili, e soprattutto, in politica, superamento delle divisioni del partito con l'accordo unanime sulla repubblica e l'accantonamento del problema religioso poiché la credenza in Dio doveva essere sciolta da ciascuno in assoluta libertà di coscienza (La Roma del Popolo, 9 nov. 1871). Alla formazione di un forte partito democratico, col superamento del contrasto tra mazziniani e garibaldini, la cui premessa era il rifiuto di ogni ideologia, il C. si dedicò ancora, con una ostinazione che lo portò a vivaci contrasti col Quadrio e il Saffi, assieme ai quali dopo la morte di Mazzini aveva assunto la guida del movimento.
Un altro tentativo di riunire le frazioni della democrazia attorno a un programma abbastanza largo di riforme politiche e sociali era stato fatto con la Società democratica internazionale, fondata a Firenze nel novembre '70;la società, presieduta dal C., aveva inviato una circolare a tutte le associazioni democratiche italiane invitandole a coordinare i loro sforzi, ma l'invito cadde nel vuoto. La società fu sciolta dalle autorità governative nel giugno '71 per un indirizzo ai superstiti della Comune (E. Conti, Le origini del socialismo a Firenze, Roma 1950, pp. 116-118).
Ben altra risonanza ebbe la proposta di un congresso di tutte le forze della democrazia lanciata da Garibaldi nel gennaio 1872.Benché Mazzini si fosse dichiarato contrario, il C. accolse favorevolmente l'iniziativa: fu tra i membri del Comitato provvisorio che presentò la proposta garibaldina, e partecipò alla riunione, tenuta a Roma nel teatro Argentina il 21 nov. '72(fu eletto vicepresidente dell'assemblea), in cui fu approvato il cosiddetto patto di Roma, che fissava i principi ispiratori del movimento democratico e le forme in cui doveva organizzarsi. Eletto membro del Comitato provvisorio (furono designati anche il Quadrio e il Saffi, non presenti, che non accettarono), si impegnò più di tutti per l'attuazione delle deliberazioni. In una circolare inviata da Firenze il 7 marzo '73 lamentò che ad una riunione del Comitato provvisorio tenuta a Firenze nel gennaio erano stati presenti solo sei membri su quindici, ne da allora il Comitato aveva più dato segno di vita: avendo votato il patto di Roma si sentiva in dovere di sostenerlo in ogni sua parte e di convocare l'assemblea, anche se avesse dovuto farlo da solo (Il Popolo d'Italia, 17 marzo 1873).
Nella stessa circolare dichiarava di aver proposto al Quadrio e al Saffi di convocare in un unico congresso le società operaie del mazziniano Patto di fratellanza e le associazioni aderenti al patto di Roma, per riunire le forze. Il Quadrio e il Saffi si erano detti disposti solo a permettere che le associazioni del patto di Roma confluissero nel congresso delle società operaie, cosa che offendeva l'eguaglianza e confermava il C. nel proposito di indire l'assemblea del patto di Roma.
In realtà nessuna delle due parti in quel momento era in grado di effettuare il congresso, e la polemica sulla fedeltà al pensiero di Mazzini valse solo a indebolire il partito repubblicano. Alla Commissione permanente delle società repubblicane liguri, che accusò il patto di Roma di essere in opposizione ad alcuni dei canoni proclamati da Mazzini, l'unità nazionale e l'integrità della famiglia, il C. si era limitato a dichiarare ingiusta una simile interpretazione (L'Unità italiana e Dovere, 2 e 6 genn. 1873). Passò invece all'attacco in seguito al manifesto per l'anniversario della morte di Mazzini, contenente l'esaltazione del pensiero religioso, politico e sociale dello scomparso (L'Emancipazione, 10 marzo 1873). Il Saffi e il Quadrio avevano apposto anche la firma del C., ma questi, pur riconoscendo la loro buona fede, colse l'occasione per precisare la sua posizione: in un manifesto diretto al partito da chi intendeva rappresentarlo, non gli pareva conveniente "d'inculcare ad esso l'adozione anche delle dottrine religiose, quasi che fossero parte integrale del programma; la qual cosa avrebbe potuto generare dissensi e malumori, essendo un fatto innegabile - scrisse - che il nostro partito, mirabilmente concorde sulle dottrine politiche e sociali di Mazzini, è scisso profondamente intorno alle religiose. Laonde noi dobbiamo evitare con somma cura ogni genere di discordia ed attenerci, in fatto di religione, all'assoluta libertà di coscienza, la quale, rispettando la credenza di tutti, unisce tutti in un comune concetto politico" (L'Unità italiana e Dovere, 18 marzo 1873). Seguì una puntigliosa polemica, in cui il Saffi e il Quadrio rivendicarono l'unità del pensiero del Mazzini, e il C. sostenne che questi svolgeva le sue idee filosofico-religiose "parlando in proprio nome", ma come capo del partito "non introduceva mai i principii religiosi nell'espressione collettiva del programma", per assicurarsi il concorso anche dei non credenti (lett. s.d. al direttore della Voce del Popolo, in Gazzettino Rosa il 23 apr. 1873).
Nonostante tutto non si giunse a una rottura. I tre esponenti repubblicani qualche mese dopo firmarono insieme un lungo indirizzo Alle consociazioni delle società popolari d'Italia (L'Emancipazione, 11 ott. 1873), ricco di richiami alle dottrine mazziniane, ma evasivo sulla questione religiosa. Nel gennaio'75 il C. partecipò alla riconciliazione ufficiale tra garibaldini e mazziniani genovesi.
Per qualche tempo si divise tra Firenze e Genova, dove fu condirettore con A. Bizzoni del quotidiano Il Popolo, pubblicato dal marzo '75 come unico organo della democrazia genovese. Su questo giornale, nel '76, il C. criticò aspramente l'accettazione del dono nazionale da parte di Garibaldi, definito "un pensionato della monarchia". L'ala mazziniana intransigente manteneva intanto la sua combattività. Nel congresso delle società operaie del settembre '76 essa fece prevalere la tesi del rigido astensionismo, e dal 1º febbr. '77 ebbe a Roma un suo organo, il quotidiano Il Dovere. Il C.nel congresso del '76 era stato favorevole alla partecipazione elettorale, e quindi polemizzò più volte col Dovere.
In particolare, poiché il giornale si presentava come l'organo delle associazioni ispirate a Mazzini, volle ribadire la tesi secondo la quale "tutte le associazioni repubblicane d'Italia accettarono i principii politici e morali di Mazzini; pochissime ne accettarono le credenze religiose": il partito repubblicano non era rappresentato dal gruppo del Dovere, "frazione poco numerosa, ma intollerante, fanatica, esclusiva, che impone la formula Dio e il Popolo come condizione fondamentale del di lui programma e fulmina scomuniche contro tutti coloro che non adorano il Dio di Mazzini..." (Il Dovere, 26 ag. 1877).
D'altra parte il C. non trascurava la polemica col Mario e gli evoluzionisti raccolti dal '78 a Milano intorno alla Rivista repubblicana. Giudicava un'illusione "il trapasso dell'ideale repubblicano in una realtà costituita mediante un'agitazione sapiente e perseverante... L'agitazione prepara, la lotta sola compie il trapasso. Evoluzione e Rivoluzione sono due forze che si completano e non possono disgiungersi, se si vuole arrivare alla meta". La teoria dell'evoluzione intesa in senso assoluto poteva esercitare sugli animi un'influenza snervante, e riservare ai suoi sostenitori "la più amara delle delusioni" (Rivista repubblicana, 31marzo 1879).
In realtà il C. sperava sempre nell'efficacia di una larga concentrazione democratica e aderì prontamente ad una nuova iniziativa di Garibaldi, che il 21 apr. '79 presiedette a Roma un'assemblea repubblicana. Questi propose un ordine del giorno in cui si determinava "come oggetto del lavoro in comune della democrazia repubblicana e parlamentare l'agitazione colla stampa e con i comizi popolari, per il suffragio universale e l'abolizione del giuramento, avendo in animo che alla patria possa venir fatto di stabilirsi e rassodarsi con un patto nazionale...". L'ordine del giorno fu approvato dopo alcuni interventi (il C. alle parole "patto nazionale" avrebbe voluto far aggiungere "dettato da un'assemblea costituente"), e fu così costituita la Lega della democrazia, che ebbe come suo organo un giornale dalla stessa denominazione. Il C. fece parte del Comitato centrale e della Commissione esecutiva. Le cose, però, non andarono come aveva sperato. La Lega, indebolita dalle divergenze tra le varie correnti, limitò all'allargamento del suffragio la sua azione, culminata nel Comizio dei comizi tenuto a Roma il 10 febbr. 1881, e ritenne di aver raggiunto un successo con la riforma elettorale del 1882. Il C., deluso, partecipò poco alla vita della Lega; d'altra parte per l'età avanzata il suo contributo alla democrazia poteva essere soprattutto morale, e si realizzava nella esaltazione degli ideali sempre professati (cfr. Unità e federazione, Roma 1880; Monarchia e repubblica, Firenze 1882), nel consenso all'Italia irredenta, nell'adesione al Fascio della democrazia, fondato a Bologna nel 1883.
Morì a Firenze il 9 dic. 1884, e fu sepolto a Genova, accanto alla tomba di Mazzini, nonostante l'opposizione del Saffi, che non poteva dimenticarne il rifiuto delle dottrine religiose mazziniane.
Fonti e Bibl.: Principali fonti per la ricostruzione della vita e delle idee del C. sono i suoi stessi scritti e le moltissime lettere di G. Mazzini a lui, e ad altri corrispondenti con riferimenti al C., pubblicate in Ediz. naz. degli scritti di G. Mazzini, Epistolario;sono quasi tutte perdute le lettere del C. a Mazzini. I rapporti Mazzini-C. sono meglio documentati per gli anni 1840-1843, nei quali la corrispondenza passò attraverso G. Lamberti, che fece il regesto delle lettere (Protocollo della Giovine Italia. Congrega centrale di Francia, I-VI, Imola 1916-1922, sub voce, principalmente voll. I e II).
Altre lettere del C. e a lui sono edite in Lettereinedite di G. Ricciardi e F. C., in Riv. di Roma, IV (1900), pp. 449-453; F. Crispi, Carteggi politici inediti, Roma 1912, p. 138; F. Martini, Due dell'Estrema. Il Guerrazzi e il Brofferio. Carteggi inediti (1859-1866), Firenze 1920, pp. 93 s.; P. Pedrotti, Alcune lettere di M. R. Imbriani a F. C., in Rass. stor. del Risorg., XL(1953), pp. 253-261; L'Italia radicale. Carteggi di F. Cavallotti, a cura di L. Dalle Nogare-S. Merli, Milano 1959, pp. 95-97; B. Montale, Lettere di G. Mazzini a F. C., in Bollettino della Domus mazziniana, IX (1963), 1, pp. 5-15; R. Piccinno Puppo, F. C., ibid., XIV (1968), 2, pp. 108-110; XV (1969), 1, pp. 55 s. e 61-64 (cinque lett. del C. a G. Libertini). Lettere del C., spesso semplici comunicazioni o adesioni a manifestazioni democratiche, si trovano in vari archivi: ricordiamo le lettere ad A. D'Oria, nell'Istituto Mazziniano di Genova, cart. 3, nn. 427-429 e cart. 4, nn. 744-746, datate Roma 1º-2 e 11 maggio e 6 giugno 1849. Nel Fondo C. del Museo del Risorgimento di Firenze sono conservate oltre 400 lettere al C. di corrispondenti vari, prevalentemente degli anni 1865-82. Segnaliamo inoltre: Arch. di Stato di Genova: Carte del processo a F. C. (1862-63); Genova, Istituto Mazziniano, cart. 110, nn. 25201 e 25202 (pubblicati da R. Piccinno Puppo, cit., 1969, 1, pp. 68 s.) e cart. 131, nn. 2852, 2853, 2855, 2863, 2865, riguardanti la sua attività di gran maestro della massoneria.
Oltre ai libri citati nel testo si vedano: Indice generale degli Atti parlamentari (1848-1897). Storia deicollegi elettorali, Roma 1898, pp. 223, 292 s.; A. Codignola, I fratelli Ruffini. Lettere di G. e A. Ruffini alla madre dall'esilio francese e svizzero, I-II, Genova 1925-1931, sub voce;G. Leti, Carboneria e massoneria nel Risorgimento italiano, Genova 1925, pp. 307, 378 s.; A. Luzio, La massoneria e il Risorgimento italiano, Bologna 1925, II, pp. 36-38; A. Codignola, La giovinezza di G. Mazzini, Firenze 1926, pp. 80-87, 93, 167-170; F. E. Morando, F. C. e Il Popolo, in Mazziniani e garibaldini nell'ultimo periodo del Risorgimento, Genova 1929, pp. 159-195; E. Celesia-F. Alizeri, Genova nel 1848-49, Genova 1950, pp. 62 s., 77, 257, 293 s., 305-317; Democrazia e socialismo in Italia. Carteggi di N. Colaianni: 1878-1898, a cura di S. M. Ganci, Milano 1959, introduzione, passim;L. Musini, Da Garibaldi al socialismo, Milano 1961, pp. 211 s., 257-59; G. Spadolini, I radicali dell'Ottocento, Firenze 1963, pp. 16-31, 44 s., 49-59, 62 s.; B. Montale, L'azione dei repubblicani in Liguria, in La crisi repubblicana da Porta Pia alla caduta della Destra, Convegno..., in Boll. della Domus Mazziniana, IX (1963), 2, pp. 63-66, 74 s., Id., A. Mosto, Pisa 1966, pp. 11, 91, 128, 146; R. Composto, I democratici dall'Unità ad Aspromonte, Firenze 1967, ad Indicem; B. Montale, Profilo della stampa repubblicana e radicale in Genova..., in Boll. della Domus Mazziniana, XIV (1968), 2, pp. 75-92.
Invecchiate, con dati imprecisi, le biografie di E. Socci, F. C., in Il Risorgimento italiano, a cura di L. Carpi, II, Torino 1886, pp. 304-309 e di E. Michel, F. C., in Diz. del Risorg. naz., a cura di M. Rosi, II, pp. 500 s. Diligente raccolta dei dati biografici, soprattutto fino alla morte di Mazzini, in R. Piccinno Puppo, F. C., in Boll. della Domus Mazziniana, XIII (1967), 2, pp. 35-52; XIV (1968), 2, pp. 96-116; XV (1969), 1, pp. 55-71; 2, pp. 38-43.