CAPRILLI, Federico
Nacque a Livorno il 7 apr. 1868 da Enrico e da Silvia Rossi, in una famiglia di agiate condizioni economiche (il nonno paterno era stato armatore e commerciante). Rimase presto orfano del padre, e la madre si risposò con l'ingegnere Carlo Santini, patriota ed ex garibaldino, che, trasferitosi a Roma nei primi anni del '70 per dirigervi lavori edili, vi portò la famiglia. Scolaro irrequieto, il C. entrò nell'ottobre 1881 nel collegio militare di Firenze, passando nel 1883 in quello di Roma e nel 1886 nella scuola militare di Modena come aspirante di cavalleria. Dalla scuola uscì nell'agosto 1888 sottotenente del reggimento Piemonte reale cavalleria, che raggiunse a Saluzzo dopo l'anno di corso normale alla scuola di Pinerolo. Promosso tenente nel 1890, nel 1891 frequentò il corso magistrale a Pinerolo e nel 1892 il corso complementare d'equitazione di campagna alla scuola di Tor di Quinto a Roma.
Rientrato al reggimento nella guarnigione di Torino, il C. cominciò a partecipare a gare e concorsi ippici, con costanti ottimi successi. Così, per le sue qualità, nell'autunno del 1894 era distaccato a Pinerolo come istruttore, e mandato a Tor di Quinto. Si può dire che risalga a questo periodo l'inizio della elaborazione di nuove più funzionali regole del cavalcare da parte del C., che, contrapponendosi alla tecnica dell'equitazione "di scuola" o "da maneggio", lo faranno maestro dell'equitazione cosidetta "naturale" e della scuola italiana di cavalleria.
Il C. era partito da un punto di osservazione insieme ippofilo e utilitario: il cavallo era costretto a movimenti e atteggiamenti non naturali, e a subire comportamenti del cavaliere che gli provocavano ripetute sofferenze, a lor volta causa di nervosismo, vizi, rifiuti e scarti, col risultato di impedire l'estrinsecazione delle doti di elasticità e robustezza dell'animale, e di avere un suo livello d'addestramento scadente. Il C. aveva quindi cominciato a studiare attentamente il superamento degli ostacoli, perché a ragione individuava nel salto il momento fondamentale sia per capire le dinamiche e gli assetti dell'equilibrio proprio del cavallo, sia per trovarne in relazione i modi migliori di cavalcare senza danneggiare e impacciare l'animale e anzi favorendone realmente l'azione. Aveva cominciato così ad insegnare, tra l'altro, a tenere il busto inclinato in avanti (e non all'indietro), le mani ferme e basse (e non tirare indietro le redini, nella falsa idea di aiutare il cavallo mentre si spostava in avanti nel salto), e le ginocchia e le gambe ferme.
D'altra parte, l'elaborazione di una tecnica d'equitazione "naturale" veniva a coincidere con una modifica in corso sull'impiego della cavalleria. La grande potenza del fuoco aveva già costretto ad abbandonare tecniche da maneggio, come il caracollo, la piroetta, il trotto rilevato, a vantaggio della celerità; la massa crescente di fuoco della fanteria e il suo sfruttamento tattico degli ostacoli del terreno richiedevano una cavalleria in grado di superare velocemente lunghi percorsi superando i più diversi accidenti e ostacoli. La nuova equitazione corrispose perciò al costituirsi di una nuova concezione tattica: la cavalleria avrebbe trovato impiego redditizio ed efficace, prima del combattimento nell'esplorazione lontana e vicina, durante il combattimento nell'urto e quindi nell'inseguimento. Ma poi la forte limitazione esplorativa e tattica durante la prima guerra mondiale, l'ulteriore accrescimento della potenza e massa di fuoco, la comparsa in battaglia dell'autoveicolo, del carro armato e dell'aeromobile, se determineranno profonde trasformazioni dell'Arma, porteranno invece a un affinamento dell'equitazione "naturale" proprio per quel settore sportivo e agonistico che era molto servito al C. a segnalarla e diffonderla.
Infatti, tralasciando le molte gare non riconosciute dal Jockey Club e dalla Società degli Steeple-chases cui partecipò, il C. corse trentatré volte (24 volte su cavalli di sua proprietà) giungendo primo 18 volte e piazzandosi 11, e fece gareggiare con guida altrui 29 volte cavalli di sua proprietà vincendo 9 corse e in 18 piazzandosi. La prima corsa cui partecipò fu a Roma il 3 maggio 1892; vinse per la prima volta nel Premio Ponte Nuovo l'11 settembre. Nel 1893 le principali vittorie furono il Premio Reale del 26 marzo; i Military di Napoli il 9 aprile, di Roma il 25, di Torino il 4 giugno; il Premio Montealbano a Varese il 9 ottobre. Nel 1894 vinse a Roma i premi Principe di Napoli il 15 febbraio, Monte Mario l'11 marzo, sempre in marzo il Principe Eugenio ed il Premio Reale, poi il Torre Nuova il 25 marzo, il 26 il Premio Cervara, il 15 aprile il Military, ed il 17 il Cecilia Metella; infine i Military di Milano e di Torino.
Nel gennaio del 1896, per una vertenza con un collega, il C. fu trasferito dalla scuola al reggimento Lancieri di Milano, allora di guarnigione a Nola. Lì poté iniziare l'insegnamento sistematico dei suoi metodi agli ufficiali, che proseguì poi a Parma, dove nel 1898 il reggimento era passato di guarnigione. Continuava intanto a raccogliere successi agonistici, ora in gruppo con gli ufficiali da lui istruiti.
Contemporaneamente si dedicò alla stesura di alcuni articoli per propagandare le sue nuove teorie; dapprima quello Per l'equitazione di campagna (in Rivista di cavalleria, IV [1901], nn. 1 e 2) i cui concetti costituiranno la base del nuovo Regolamento d'esercizio per la cavalleria riguardanti l'istruzione del cavallo; poi, in risposta ad alcune critiche, Due altre parole sull'equitazione di campagna (ibid., n. 5); poi ancora, uscite in via sperimentale le bozze provvisorie del vol. I del Regolamento, l'articolo Sul nuovo Regolamento d'equitazione (ibid., V[1902], n. 2), e infine, apertasi una discussione sui numeri di marzo, aprile e maggio della Rivista,Una replica (ibid., n. 5).
A Savigliano, dove il reggimento aveva avuto nuova guarnigione, il C. fu promosso capitano nel dicembre 1901. Poco dopo però, per una precedente mancanza collettiva di subalterni, fu trasferito al Genova cavalleria di guarnigione a Milano, e distaccato a Gallarate al comando del 20 squadrone. Qui il C. poté dare il massimo come comandante e istruttore, e riuscì a improntare dei suoi criteri l'intero reparto, dimostrando esemplarmente l'utilità dei suoi metodi di addestramento.
Nel giugno 1902 si svolse a Torino il grande Concorso ippico internazionale, cui anche il C. partecipò. Vi presenziarono in varia veste circa 500 ufficiali di tutte le cavallerie europee, e presero parte alle gare 62 ufficiali italiani, 13 tedeschi, 12 russi, 12 austriaci, 12 francesi, 3 belgi. Mentre spiccava il livello dell'addestramento francese, i risultati furono mediocri per gli italiani (il C. ottenne, però, il titolo di campione italiano, il premio dell'imperatore di Germania, conquistò fuori gara il record mondiale in elevazione con m 2,08, e la gara di estensione superando m 6,50). Al di là dei risultati, il confronto tecnico offerto dal concorso segnò di fatto l'affermazione definitiva delle idee del Caprilli.
La stampa italiana, specializzata e no, alla prova nel complesso scadente della numerosa rappresentanza nazionale aveva reagito con inesattezze di giudizio e accusando i nuovi indirizzi. Il C. inviava allora alla Rivista di cavalleria, nel luglio, un articolo di Osservazioni sulConcorso ippico internazionale (1902) che la redazione non ritenne di pubblicare (in Giubbilei, pp. 167-187), probabilmente per la critica alle carenze nella direzione dell'Anna, ma che dovette esser letto con attenzione negli alti gradi.
Dopo aver constatato che le equitazioni austriaca e tedesca, pur d'altissimo livello, non esistevano come equitazione militare, sottolineava che il buon livello francese dipendeva anzitutto dalla unificazione dell'addestramento accentrato nella scuola di cavalleria di Saumur. Tracciava poi le diverse fasi attraversate, dal 1892 al 1900, dall'equitazione italiana: si era partiti dall'aiuto sistematico al cavallo sull'ostacolo (rovesciando il cavaliere indietro il busto e ritraendo le redini quando il cavallo distendeva il collo nel salto), dalle redini corte, dalla staffatura lunga, dalla gamba tutta indietro con posizione instabile del ginocchio, fino ad arrivare alla posizione molto avanti del corpo del cavaliere, alla staffatura più corta, alla gamba e ginocchio fermi, alle redini lunghe, alla rinuncia ad ogni azione di redini se non per dirigere o fermare, col risultato di aver ottenuto cavalli docili, ubbidienti e più sicuri sul terreno, in grado di fare maggior lavoro con minor spreco di forze. Criticata la mancata unificazione d'insegnamento nella scuola di cavalleria, nonché il non esservi previsti per gli ufficiali periodici ritorni per istruzione, sottolineava la responsabilità di non avere organizzato la partecipazione della scuola stessa proprio in un concorso internazionale bandito in Italia e con prove in buona parte su ostacoli.
Rientrato a Milano con lo squadrone alla fine del 1902, il C. dovette interrompere per circa un anno l'attività per l'aggravamento di postumi di lacerazioni muscolari. Nel marzo 1904 era trasferito alla scuola di Pinerolo; poco dopo, visitava su invito alla scuola di cavalleria francese a Saumur. A Pinerolo il C. ebbe dapprima l'incarico di dirigere un corso speciale, costituito da ufficiali esteri e dagli ufficiali italiani allievi istruttori; poi, con l'ottobre 1905, diresse il corso sottotenenti, che portò l'anno dopo a Tor di Quinto. Cominciava però a risentire delle conseguenze dell'eccessiva fatica cui si era da anni sottoposto per espletare il lavoro di sperimentatore e di allenatore. Nella primavera del 1907 vinse, al Concorso ippico di Roma, il I premio nel campionato per cavallo d'arma, il primo bandito in Italia, e nel luglio usciva, sulla Rivista di cavalleria (X [1907], n. 7), un suo articolo di proposte tecniche per il Campionato del cavallo militare. Mentre era in attesa della promozione speciale a scelta a maggiore, il C., in seguito ad una caduta da cavallo, morì a Torino il 6 dic. 1907.
Fonti e Bibl.: Per gli scritti, editi e ined., e per una precisa presentaz. dell'attività del C., è sufficiente C. Giubbilei, F. C.,Vita e scritti, Roma 1911. Si possono vedere P. G. Jansen, Un grandecavaliere:il capitano F. C., in Il Broletto (Como), luglio-agosto 1937, pp. 34-38; Il capitano di cavall. F. C., in Riv. milit., XXIII (1967), 6, pp. 685-91 (calcato sul Giubbilei).