Federico Cesi
La storiografia più recente ha restituito in Federico Cesi una delle figure più significative della cultura scientifica del primo Seicento, non riducibile al pur prezioso ruolo di fondatore della prima accademia scientifica moderna (l’Accademia dei Lincei) e di sostenitore di Galileo Galilei. Oltre che uno dei primi fautori in Italia dell’astronomia postcopernicana, Cesi fu importante ricercatore, soprattutto in botanica, e affrontò con acutezza non solo i rapporti tra scienza e società, ma anche tra sacra esegesi e scienza.
Federico Cesi nacque a Roma il 26 febbraio 1585 da Federico, marchese di Monticelli (poi, dal 1588, anche duca di Acquasparta e, dal 1613, principe di San Polo e di Sant’Angelo), e da Olimpia Orsini. La sua era una famiglia illustrata da ecclesiastici eminenti nel collezionismo e nel mecenatismo, e dotata di feudi in Umbria e in Sabina. Fratello di suo padre era Bartolomeo, potente ecclesiastico (nel 1596 fu creato cardinale da papa Clemente VIII). Cesi crebbe nel palazzo di famiglia di via della Maschera d’oro a Roma. Qui il 17 agosto 1603, appena diciottenne, fondò l’Accademia dei Lincei, che sarebbe stata da lui presieduta e finanziata fino alla morte. Cofondatori furono altri tre giovani: i ventiseienni Francesco Stelluti, naturalista e letterato, e Anastasio De Filiis, erudito, e il ventiquattrenne medico nederlandese Jan van Eck (o Heck, latinizzato in Johannes Eckius o Heckius).
Nel Lynceographum, statuto programmatico dei Lincei che iniziò a elaborare nel 1605, Cesi codificò scopi e norme, innovativi rispetto alla tradizione delle accademie italiane, e che furono pubblicati in sintesi soltanto nel 1624, a cura del cancelliere dell’Accademia, il tedesco Johann Faber (chiamato in Italia Giovanni Fabro), con il titolo Praescriptiones Lynceae Academiae.
Nel 1604 la diffidenza del padre e dello zio di Cesi per Eck provocò però la dispersione del sodalizio. Uscito dall’Italia per curare propri affari in Olanda, ma intimidito dai Cesi affinché non tornasse a Roma (Ricci, in I primi Lincei e il Sant’uffizio, 2005), Eck subì un processo inquisitoriale in contumacia, forse per magia, e nel 1606 fu prosciolto. Federico, invece, obbligato a vacanza in Napoli, vi frequentò Giovan Battista Della Porta.
In seguito Cesi, ricevuta un’eredità e liberatosi dalla tutela del padre, riuscì a rilanciare l’Accademia, cui nel 1610 fu ascritto Della Porta. Nel 1611 organizzò le accoglienze a Roma di Galilei. Questi vi discusse le scoperte presentate nel Sidereus Nuncius (1610), da Cesi accolte con entusiasmo, e fu cooptato all’Accademia che si allargò tanto da giungere nel 1630 a trentacinque soci, otto dei quali non italiani. Cesi vi promosse discipline escluse o declinanti nelle università, e vi perorò la connessione tra scienza e vita civile (nel discorso Del natural desiderio di sapere, tenuto nel 1616). Il sostegno a Galilei, del quale i Lincei editarono la Istoria e dimostrazioni intorno alle macchie solari e loro accidenti (1613) e Il Saggiatore (1623), fu tra le espressioni dell’impegno, anche collegiale, del sodalizio, di cui resta documento in vari campi, come il Rerum medicarum Novae Hispaniae thesaurus (1651). Furono di Cesi, estratti dal progettato Theatrum totius naturae, l’Apiarium (1625) e le Tabulae phytosophicae, pubblicate integralmente postume all’interno del Rerum medicarum. Inedito il De laserpitio et laserpitii pluvia (Padova, Orto botanico, ms. A.2.6.18).
Nel 1614 Cesi sposò Artemisia Colonna, morta nel 1616. Si risposò con Isabella Salviati, da cui ebbe Olimpia e Teresa. Morì ad Acquasparta il 1° agosto 1630.
La produzione personale di Cesi restò in parte incompiuta ed è stata poco studiata fino a tempi recenti, legandosi il ricordo del nobile romano soprattutto all’Accademia. L’esperienza lincea e la mente del suo promotore, insofferente dell’aristotelismo e del sistema formativo che ne dipendeva, non sono però sovrapponibili. Cesi non impose all’Accademia una definitiva metodologia o l’adesione a una secta philosophica, incompiute nel suo stesso orizzonte, ma inventò una forma di vita scientifica integrativa di quella universitaria, giudicata inadeguata ai liberi studi e soprattutto alle ricerche fondate sull’osservazione. L’Accademia avrebbe dovuto garantire agli scienziati mezzi e strumenti per indagini disinteressate ed eventualmente collegiali, in particolare nelle discipline meno coltivate; e assicurare loro, insieme, autonomia nel proprio campo e pubblico favore, sull’assunto del beneficio sociale della scienza. Non tutti i Lincei risiedettero a Roma o contribuirono egualmente all’Accademia, ma il carteggio fu praticato per assidua cooperazione.
Appare superata l’immagine di una storia dell’Accademia divisa in due fasi: ‘magica’ sotto l’influsso di Eck e Della Porta; ‘moderna’ dopo la cooptazione di Galilei, e risolta nella collaborazione con questi. Cesi ammirò sempre la ‘magia’ di Della Porta, ritenendola ‘naturale’, e Galilei trovò in Cesi un fautore della nuova astronomia. I due dissentirono sulle posizioni kepleriane sostenute dal principe, ma questi vide in Galilei il principale innovatore delle scienze celesti in Italia, e intese che l’applicazione del cannocchiale ai cieli, e del microscopio ai mondi vegetale e animale, rendevano possibile una scienza nuova.
Egli tentò un’esegesi ‘concordistica’ favorevole alla nuova cosmologia, non del tutto collimante con la più complessa riflessione galileiana intorno ai rapporti tra scienza e teologia. Per intendere anche la forte spiritualità di Cesi, si è fatto riferimento al neostoicismo cristiano, all’esperienza gesuitica e all’ascesi ignaziana; e sono parsi da approfondire i suoi rapporti con l’Oratorio di Filippo Neri. Ma si è rimarcato anche il suo legame con la tradizione francescano-bonaventuriana, e con un sincretismo platonizzante e ‘giovanneo’.
Inizialmente molto interessati all’alchimia, Cesi e i primi Lincei tentarono di emendarla da lucrose mistificazioni e sospetti di eterodossia. L’interesse per quest’arte, anche nelle relazioni con botanica e medicina spagirica, era alimentato da Eck e da Della Porta (il cui De distillatione fu pubblicato nel 1608 dai Lincei con dedica a Cesi). Tale interesse sarebbe rimasto costante, e alcuni soci tedeschi (Theophil Müller, Johann Schreck e Faber) avrebbero tentato di liberarlo da compromissioni ‘superstiziose’. Tuttavia il tono esoterico della prima attività accademica turbò casa Cesi, ostile a Eck.
Contatti con l’ambiente di Tycho Brahe e di Johannes Kepler procurò tuttavia il soggiorno di Eck a Praga, dove questi stese la De nova stella disputatio, commento, edito nel 1605 da Cesi, alla nova osservata nella costellazione del Sagittario dall’ottobre 1604. Nella sua revisione del testo, Cesi attenuò il pregiudizio religioso manifestato dall’autore verso il calvinista Brahe; interessato alla critica della cosmologia tradizionale, ne smussò anche le riserve aristoteliche. Egli inquadrò questi passi in un programma di ricerca naturalistica condotta «per umana e cristiana pietà», assicurando di respingere le dottrine vietate dalla Chiesa (Lynceographum, a cura di A. Nicolò, 2001, pp. 68, 78). Concepì quella dei Lincei quale «filosofica milizia», non come accademia onorifica e di intrattenimento erudito (Opere scelte, a cura di C. Vinti, A. Allegra, 2003, pp. 9, 35).
Posta l’Accademia sotto la protezione della Vergine e di san Giovanni Battista, ne fu scelta come impresa una lince sovrastata da corona marchesale, con il motto Sapientiae cupidi. Cesi configurò una fraternitas anche spirituale, aliena ai legami mondani, ma ne escluse i chierici regolari, poiché obbedienti al loro ordine. Prescrisse ai Lincei la coltivazione della filosofia naturale (non ristretta all’aristotelica) e le discipline osservative e matematiche. Sussidiarie appaiono nella sua visione le discipline letterarie, linguistiche e antiquarie, comunque frequentate con passione da lui e da altri Lincei. L’esclusione della teologia non significò rinuncia ad argomenti scritturali nelle dispute naturali, benché non praticati pubblicamente. Il disegno di un ceto universale di scienziati anticipò per qualche verso la Casa di Salomone della New Atlantis (1627) di Francis Bacon.
L’esclusione della politica rifletteva per converso prudenza in rapporto ai poteri costituiti. Dopo Galilei, Cesi reclutò soci che rispondessero a un criterio di ‘libertà intellettuale’ oltre che di perizia, trovandone in circoli germanici legati alla Compagnia di Gesù (Schreck, che si fece gesuita; Müller, Faber, Markus Welser); nella cultura napoletana (Nicola Antonio Stigliola, Fabio Colonna, il telesiano Antonio Persio); tra figure vicine a Galilei, quali Filippo Salviati, Giovanni Battista Rinuccini e Luca Valerio, che nel marzo 1616 sarebbe stato però sospeso dall’Accademia per il timore da lui manifestato circa le conseguenze per i Lincei della questione copernicana. Cesi non fu tuttavia ostile alla cooptazione di aristotelici, come quella del matematico Giuseppe Neri; ma certo lo fu nel caso della candidatura di Giulio Cesare Lagalla, avversario di Galilei. Guardò poi all’ambiente di Maffeo Barberini, papa Urbano VIII dal 1623, ascrivendo il cardinal nipote Francesco Barberini, oltre che Virginio Cesarini, Giovanni Ciampoli, Cassiano dal Pozzo. Egli mirò a fare dell’Accademia istituto autonomo ma centrale nel papato di Urbano VIII, ammiratore di Galilei, avvertito come propizio alla nuova scienza.
Cesi prescrisse anche una serie di norme di costume, e di pietà religiosa, funzionali tuttavia all’ordo scientifico più ampio dell’Accademia che sarebbe riuscito effettivamente a organizzare, immaginato reclutabile attraverso una rete universale di Licei, da erigersi sul modello implicito dei collegi gesuitici, e finanziabili da mecenati. L’Accademia non conobbe tuttavia che fallimenti nelle trattative intavolate con Della Porta per costituire un Liceo a Napoli.
Nella primavera del 1611 Cesi affiancò Galilei nella promozione a Roma delle sue scoperte, e in particolare ne favorì la celebrazione da parte del Collegio romano della Compagnia di Gesù, fra i cui matematici circolavano, in prospettiva pur diversa, il sentimento della opinandi libertas e posizioni critiche verso la cosmologia aristotelico-tolemaica.
La mediazione lincea fu essenziale nella polemica di Galilei con il gesuita Christoph Scheiner sulle macchie solari. Impegnandosi Cesi nel confronto con la censura, i Lincei editarono, come detto, la Istoria e dimostrazioni intorno alle macchie solari, dove Galilei fece professione di copernicanesimo e attaccò l’incorruttibilità dei corpi celesti richiamando le Scritture. Verificata l’insostenibilità di questa linea, Cesi ne ottenne da Galilei l’attenuazione, e dai censori il definitivo avallo.
Il difficile impegno di Cesi per la libertà filosofica non si risolse entro le vicende di Galilei e nelle trattative con i censori per la pubblicazione di opere di Della Porta e di altri Lincei, ma si collocò in un progetto di enciclopedia orientata al superamento della filosofia aristotelica, il Theatrum totius naturae, abbozzato nella Indicatio philosophicorum operum, zibaldone di appunti e progetti (Napoli, Biblioteca nazionale, ms. XII.E.4., parzialmente edito in Opere scelte, cit., pp. 87-100). Avrebbero dovuto farne parte un Coelispicium o De coelo, in cui Cesi avrebbe combattuto la differenza sostanziale fra mondo sublunare e mondo celeste, e una Physica mathesis a base corpuscolaristica.
Un ruolo decisivo avrebbe dovuto svolgervi l’illustrazione. Al Theatrum rinvia infatti la Syntaxis plantaria (Parigi, Institut de France, mss. 968-970, 974-978), illuminata in tempi recenti. Si tratta di un’eccezionale raccolta di raffigurazioni pittoriche di piante e funghi che riproducono osservazioni condotte da Cesi anche con l’‘occhialino’ donatogli da Galilei, e poi con il migliorato strumento definito da Faber microscopio; pratica esercitata dai Lincei decenni prima che producesse più ampi risultati, e limitata a particolari morfologici, ma molto significativa per la micologia, per lo studio delle alghe, per l’osservazione delle spore delle briofite (muschi) e dello sporangio delle pteridofite (felci). Del Theatrum Cesi definisce un estratto, e della Syntaxis dovrebbero costituire l’introduzione le Tabulae phytosophicae, contributo alla classificazione delle piante (parzialmente edite in Opere scelte, cit., pp. 79-86).
Cesi tendeva a una scienza generale del corporeo ‘concreto’, ridotto a ‘elementi’ semplici, e accennava una riflessione su vitalità e materia, influenzata dal naturalismo e vitalismo di tardo Cinquecento. L’impianto metafisico appare distante dalle indagini di altri botanici Lincei, come Colonna, sensibile a istanze galileiane, che reagì con stupore a quella ‘metafisica delle piante’. Se Cesi contemplava anche un metodo di riduzione in termini quantitativi del vegetale, e ne leggeva fenomeni qualitativi in chiave corpuscolaristica, l’intento di comporre un esauriente ‘teatro’ lo conduceva ad affiancare alle proprietà naturali e medicinali delle piante i loro benefici estetici, morali, spirituali.
Sul piano della botanica pratica egli, adoperando i territori dei suoi feudi come luoghi di ricerca, innovò lo studio della riproduzione, morfologia e fisiologia delle piante, in special modo delle crittogame e delle cosiddette piante imperfette, e degli enti ‘ancipiti’ o intermedi fra diverse classi del vivente (zoophita, litophita, metallophita, zoolitophita). Anche i fossili attirarono il suo interesse, documentato dalla raccolta di disegni del castello di Windsor (Royal library, ff. 25536-25734) e dal Trattato del legno fossile minerale (1637) di Stelluti.
Le Tabulae – incompiute da Cesi – furono stampate, come detto, all’interno del Rerum medicarum, prima parzialmente, nelle edizioni provvisorie del 1628 e 1630, e poi integralmente, a opera di Stelluti, in quella definitiva del 1651. Questa enciclopedia della natura americana fu compilata da Cesi con Schreck, Faber, Colonna e Stelluti, sulla scorta dei materiali raccolti in Messico tra il 1570 e il 1577 dal medico spagnolo Francisco Hernández e compendiati da Leonardo Antonio Recchi, e rappresentò un’impresa molto rilevante nella cultura naturalistica del Seicento.
Tanto fervore fu animato da vivace riflessione etico-civile. Nel discorso Del natural desiderio di sapere (ora in Opere scelte, cit., pp. 19-51), letto nella seduta del 26 gennaio 1616 (presenti Galilei, Stelluti, Valerio e Faber), Cesi sostenne che il declino degli studi era causato non solo dalle università, privilegianti un’angusta professionalizzazione, ma da una crisi della civiltà descritta in termini che ricordano i Ragguagli di Parnaso (1612-14) di Traiano Boccalini, cui è agevole accostare i ragionamenti che Cesi svolge sul languore del «natural desiderio di sapere» in una società venale, sul disprezzo dei potenti per il sapere senza lucro, sulla corruzione della famiglia, sulla vacuità dei rituali sociali, mentre brani dedicati a scienza e bene pubblico richiamano Bacon, noto però fra i Lincei non prima del 1625.
Agli inizi dell’inchiesta del Santo Uffizio su Galilei, l’Accademia fu segnalata dal domenicano Tommaso Caccini, il 20 marzo 1615, come ‘setta’ non solo favorevole all’eliocentrismo, ma eterodossa. Gettava inoltre nell’imbarazzo la menzione dei Lincei, celebrati come fautori di Nicola Copernico, nella Lettera sopra l’opinione de’ Pittagorici e del Copernico (1615) del teologo carmelitano Paolo Antonio Foscarini: come Cesi rammentava a Galilei, non tutta l’Accademia era di «Copernicei», «professandosi solo comunemente libertà di filosofare in naturalibus» (lettera del 7 marzo 1615, cit. in Gabrieli 1996, p. 489).
Il principe tentò di frenare l’offensiva domenicana contro lo scienziato seguendo il suggerimento dei cardinali Roberto Bellarmino e Maffeo Barberini, di limitare la discussione su Copernico unicamente al piano matematico, eludendo di affermarne la teoria sul piano fisico, e qualunque suo contemperamento esegetico. La qualificazione dei consultori del Santo Uffizio datata al 24 febbraio 1616, il monito riservato, comunicato da Bellarmino a Galilei due giorni dopo, a recedere dall’opinione eliocentrica, e infine il decreto della Congregazione dell’Indice del 5 marzo, che vietava Copernico donec corrigatur e proibiva la Lettera di Foscarini, non colpirono l’Accademia in quanto tale, ma impegnarono il più celebre dei suoi soci a non sostenere la teoria copernicana come teoria fisica.
Nel 1618 Cesi indirizzò a Bellarmino, che l’accolse freddamente, la lettera De caeli unitate (ora in Opere scelte, cit., pp. 57-78), importante documento del dibattito italiano su nuova cosmologia ed esegesi scritturale, volta a corroborare anche su basi bibliche e patristiche la natura unitaria, fluida e corruttibile del cielo. Benché la cosmologia di Bellarmino non fosse del tutto aristotelica, la fluidità del cielo (pur ammessa anche dentro la Compagnia di Gesù) non comportava l’accettazione della sua corruttibilità, postulata da Cesi, e anche in ambienti ecclesiastici, come fondabile sulle Scritture e i Padri.
In un contesto in apparenza più favorevole alle scienze, regnando Gregorio XV (Alessandro Ludovisi), Cesi promosse la pubblicazione del Saggiatore di Galilei (1623), discussione sulla natura delle comete con il gesuita Orazio Grassi, che avrebbe compromesso i rapporti dello scienziato con la Compagnia. Curata con Cesarini e Ciampoli, e probabilmente sostenuta dallo stesso Maffeo Barberini, l’edizione ottenne così l’entusiastico imprimatur del domenicano Nicolò Riccardi, nel contesto delle tensioni fra il suo ordine e i gesuiti.
La dedica al Barberini, intanto eletto papa Urbano VIII, solennizzò le speranze in questi riposte, suggellate dalla pubblicazione dell’Apiarium (1625) di Cesi, studio enciclopedico-encomiastico sulle api, animali araldici della famiglia del pontefice. La celebrazione delle virtù di quegli insetti si avverte metafora di un appello alla solidarietà e probità civile e alla pacificazione dell’Europa sconvolta dalla guerra dei Trent’anni. Sul piano scientifico, l’Apiarium costituisce, benché complicato dal sistema espositivo, fondamentale documento del naturalismo cesiano, con riferimenti alla cultura dellaportiana e campanelliana. I Lincei vi affiancarono la Melissographia, incisione raffigurante particolari anatomici delle api studiati al microscopio da Stelluti.
Anche l’ambiente linceo, intravedendo in Urbano VIII un orientamento alla piena riabilitazione dell’eliocentrismo, incoraggiò Galilei nella composizione di un nuovo trattato sui sistemi astronomici di Claudio Tolomeo e di Copernico. Nel 1625 si consumò il tentativo inquisitoriale di incriminare il Saggiatore, scongiurato dallo stesso ambiente barberiniano-linceo. La morte improvvisa di Cesi dissolse l’intento di Galilei di affidargli la stampa a Roma del Dialogo sopra i due massimi sistemi (1632), che venne spostata a Firenze. Il processo contro Galilei del 1633 si ripercosse sui Lincei, a cominciare da Ciampoli, accusato di aver ingannato il papa circa il tenore del Dialogo. Questi eventi destinarono l’Accademia a silenziosa estinzione. Estremi segni di attività furono quelli di Stelluti, che guardò invano a Francesco Barberini come a successore di Cesi.
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