CESI, Federico
Nacque a Roma dal marchese Federico e da Olimpia Orsini il 26 febbr. 1585.
La famiglia proveniva dal Comune di Cesi, fra Terni e Acquasparta, da cui si era trasferita a Roma nel sec. XV; l'antico nome di Equitani o Chitani fu allora mutato in Cesi. Pietro, il capostipite della famiglia, fu senatore a Roma nel 1468; ebbe quattro figli: Bartolomeo, Pier Donato, Angelo e Cesare. Da Angelo discese il ramo più noto degli Acquasparta: sposò Beatrice Caetani e ne ebbe Federico padre del C., creato principe da Paolo V nel 1613, e Bartolomeo, divenuto cardinale e morto nel 1621. Dunque una famiglia che aveva fatto una rapida fortuna con vari uffici curiali e prelatizi e con fortunati matrimoni. Anche il padre del C., uomo ignorante e violento, dissipatore delle sostanze familiari, che finì per portare al dissesto, sposò una Orsini, donna di fine e delicata sensibilità; da lei il C. ereditò una particolare nobiltà e mitezza d'animo. Mostrava inoltre fin da ragazzo un carattere riflessivo e gran fastidio per la fatua società delle corti.
I suoi primi studi, compiuti a Roma o nella villa dello zio Bartolomeo a Nettuno, per lo più da solo o con insegnanti privati, dimostrarono una spiccata predilezione per le scienze naturali, ma nello stesso tempo furono dominati dall'idea che era necessario riformare il metodo di studio della natura, da compiersi direttamente, senza il filtro delle teorie peripatetiche. Appena diciottenne, nel 1603, con il matematico Francesco Stelluti, il medico olandese Giovanni Heck e l'erudito Anastasio De Filiis, diede vita nella sua stessa casa all'Accademia dei Lincei, sodalizio scientifico severo, quasi monacale e iniziatico (ne è indizio l'uso, d'un complicato cifrario simbolico per le comunicazioni fra Lincei).
Gli adepti di questa Accademia avrebbero dovuto vivere in comune in sedi distaccate, dotate di biblioteche e di laboratori scientifici, nel più assoluto disinteresse e per soli scopi di studio e di mutuo insegnamento; così il C., nell'inedito Linceografo (ms. all'Acc. dei Lincei, Arch. Linc. 4, cc. 1-242), ne sintetizzò il fine: "Finis eius est rerum cognitionem et sapientiam non solum acquirere, recte pieque simul vivendo, sed et hominibus voce et scriptis absque ullius noxa pacifice pandere".
A questa sua creatura il C. dedicò tutta la vita, l'attività e le sostanze, tanto chepraticamente la sua biografia coincide con la storia dell'Accademia, di cui fu riconosciuto principe col nome di Celivago (o arabicamente Sammavius). Per lunghi anni elaborò lo statuto di essa, pubblicato col titolo PraescriptionesLynceae a Terni nel 1624, ma le norme costitutive del Linceografo furono corrette fino alla morte.
Vi si tratta dei requisiti d'ammissione, della durata degli studi, dell'amministrazione e del funzionamentodell'Accademia, i cui soci vengono divisi in emeriti, benefattori (per la loro ricchezza di dottrina più che di denaro), studiosi (per lo più giovani) e novizi (non ancora ammessi). Numerosi i divieti, come quello di occuparsi di politica, di teologia, di alchimia o di storia contemporanea, a indicare il distacco dello scienziato linceo dal contingente e dalla polemica, ma anche la libertà da ogni influsso religioso o politico; numerosi gli obblighi, tra cui una convivenza di cinque anni, moralità ed ascetismo di vita, rigida verifica del progresso degli studi, norme di vigilanza e sanzioni; minute le disposizioni per l'erezione di nuove sedi (dette Licei), la scelta dei luoghi, il tenore di vita, ecc. L'ultima parte del Linceografo definisce gli incarichi, le attribuzioni del principe, degli ufficiali (cancellieri, segretari, bibliotecari, ecc.), dei dignitari (seniori, censori, ecc.) e dei consigli, che vanno da quello generale, da convocare ogni trenta anni per la nomina del principe o per modifiche statutarie, a quello particolare del principe per gli affari correnti, a quello liceale (di ogni Liceo) con sedute mensili. Insomma un'utopistica repubblica degli studi che, secondo il C., avrebbe dovuto estendersi a tutto il mondo, non una delle futili accademie letterarie allora così diffuse.
Fin da principio il C. dovette fronteggiare l'opposizione paterna e di tutta la famiglia, messa in sospetto dalle accuse di vita scostumata, di negromanzia, di avversione alle dottrine della Chiesa. Heck fu perseguitato e dovette partirsene da Roma; anche gli altri primi Lincei furono dispersi, ma il C. mantenne vivi i contatti con loro per lettera. Recatosi per qualche tempo a Napoli, conobbe il Della Porta e l'Imperato, dai quali fu confermato nel suo proposito e coi quali diede vita a un nuovo Liceo in questa città. Dopo un altro breve periodo di permanenza a Roma, durante il quale partecipò a importanti scavi archeologici sul Celio, riparò nel feudo avito di Monticelli per continuare gli studi di scienze naturali. Solo nel 1609 si attenuò la tirannia paterna e il C. poté disporre di mezzi propri, che mise a disposizione per le spese dell'Accademia. Poté inoltre richiamare a Roma i suoi amici e associare altri studiosi, tra cui, nel 1611, Galileo. Il suo cannocchiale già da tempo veniva usato nell'Accademia per compiere osservazioni che sollevavano sempre nuovi dubbi sul sistema tolemaico; così quando nel 1616 Luca Valerio accusò Galileo, di prestar fede a una teoria perniciosa già condannata dal Bellarmino, gli accademici furono concordi nell'accettare ex hypotesi le vedute galileiane e radiarono il Valerio. Nel 1613 l'Accademia stampava l'Istoria e dimostrazioni intorno alle macchie solari e loro accidenti di Galileo e avviava un vasto programma editoriale, che andava da De aeris transmutationibus di Della Porta ad antiche opere arabe, dalle Tavole fitosofiche dello stesso C. al Tesoro messicano di Hernandez, al galileiano Saggiatore. Le Phytosophicarum Tabularum ex frontespiciisnaturalis Theatri ..., prima parte di una enciclopedia o Theatrum totius naturae che il C. avrebbe voluto scrivere e che avrebbe dovuto trattare di teologia, di fisica e di scienze, furono iniziate nel 1617, ma il lavoro era cointerrotto dalle cure accademiche. Nel 1630 furono stampate tredici tavole, le altre sette tra il 1649 e il '51 a cura dello Stelluti. Ora sono tutte ristampate a cura di R. Pirotta, Roma 1904.
Fin dalla prima tavola il C. colloca le piante nel quadro di tutto l'esistente che procede dall'"infinitum" e dalla "Causa causarum" al "creatum". Le piante sono distribuite in una scala che va da quelle che si avvicinano agli animali a quelle che confinano con i minerali. La seconda tabula indica il metodo dell'indagine, veramente scientifico, anche se esposto sinteticamente. Partendo da una visione d'insieme dei vegetali, il C. li distribuisce sistematicamente in gruppi e sottogruppi, basandosi sui criteri delle affinità naturali, delle analogie e della comune discendenza. L'analisi sistematica degli individui sarebbe stata compiuta in una successiva Sintassi, di cui le Tabulae dovevano essere l'introduzione, ma che non fu mai compiuta. Assai importante, ancorché incompiuta, la tav. XIII, dove appare con estrema lucidità la "dottrina delle somiglianze", che permette di distinguere i vari anelli della catena che unisce tra loro tutte le specie vegetali. Principio di tale classificazione è il seme, ove risiede l'anima ossia il calore, fulcro della vita vegetativa. Un'altra tavola tratta delle differenze tra gli organi delle piante, studiati nel loro sviluppo; in primo piano appaiono quelli della generazione, nel cui studio l'uso del microscopio permise la scoperta delle spore delle Crittogame e le osservazioni sulle piante dioiche. Molto precisa e scientificamente corretta la nomenclatura, in parte ancor oggi usata. L'ultima tavola tratta dell'uso medico delle piante.
L'Accademia frattanto, prosperava e s'arricchiva di pochi ma eletti ingegni, fra cui Giovanni Faber, Marco Welser, Cosimo Ridolfi, Filippo Salviati, Giovanni Schreck, Claudio Achillini, Niccolò A. Stelliola; poiché essa era riservata ai laici, fu istituita la qualifica di "amici" dell'Accademia per accogliere il Castelli, il Cavalieri, T. Dempster e altri.
Nel 1614 il C. si sposò con Artemisia Colonna figlia di Francesco principe di Palestrina, ma rimase vedovo due anni dopo; si risposò allora con Isabella Salviati, da cui ebbe quattro figli, due maschi morti poco dopo la nascita, e due femmine, di cui Olimpia sposò il marchese Lodovico Lante e, rimasta vedova, Paolo Sforza; Teresa, invece, si fece monaca.
Tra il 1618 e il '24 il C. si trattenne ad Acquasparta, dove convenivano i Lincei, tra cui anche Galileo. Nonostante la sua salute cominciasse a risentirne, continuò fino all'ultimo la sua attività di organizzatore culturale; lo occupava soprattutto la tormentata pubblicazione del Tesoro messicano (più precisamente Rerum medicarum Novae Hispaniae Thesaurus seu Plantarum Animalium Mineralium Mexicanorum Historid,ex Francisci Hernandez relationibus ..., Romae 1651).
La stampa era stata interrotta più volte per difficoltà tipografiche relative al commento di G. Terrenzio e alle illustrazioni; fu compiuta solo dopo la morte del C., ma i suoi eredi non vollero più sostenerne le spese e vendettero tutto all'ambasciatore spagnolo a Roma. Anche la libreria, il museo naturale e l'orto che il C. aveva costituito nel suo palazzo furono venduti; l'Accademia, nel suo primo glorioso periodo, non gli sopravvisse.
E C. morì per febbri acute il 1º ag. 1630 ad Acquasparta e fu sepolto nella cappella gentilizia.
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