CICCAGLIONE, Federico
Nacque. a Riccia, presso Campobasso, il 1° nov. 1857 da Abele e da Vincenza de Paola. Iscrittosi alla facoltà di giurisprudenza dell'università di Napoli, s'interessò in modo particolare alla storia del diritto nell'età intermedia e si laureò sotto la guida di Francesco Pepere nel luglio 1879, Entrato poco dopo in magistratura, si dedicò nello stesso tempo, con grande intensità, alla, ricerca storico-giuridica. Nel marzo 1991 conseguì la libera docenza in storia del diritto italiano e da allora tenne corsi liberi di questa disciplina presso la facoltà giuridica napoletana.
Numerosi sono gli studi pubblicati dal C. a partire dal 1881. In queseanno apparvero, a Napoli due suoi lavori dedicati alla storia giuridica meridionale: Le leggi e lepiù note consuetudini che regolano i patti nuziali nelle provincie napoletane innanzi la pubblicazione del Codice francese e l'edizione di Le consuetudini di Catanzaro. Negli anni successivi accanto a studi specifici sull'Italia meridionale il C. portò avanti ricerche di più ampia problematica.
Sotto il primo profilo si possono ricordare: Il diritto esterno dei municipi napoletani con l'aggiunta di alcuni capitoli di statuti di Morcone Sannita e di Roseto Valforte, Napoli 1884; La legislazione economica, finanziaria e di polizia nei municipi dell'Italia meridionale, in Il Filangieri, XI (1886), 1, pp. 477-498, 505-531; Le chiose di Andrea Bonello da Barletta alle Costituzioni sicule secondo un codice della fine del secolo XIII o del principio del XIV, ibid., XIII (1888), 1, pp. 287-34, 408-445; Le istituzioni politiche e sociali dei ducati napoletani, Napoli 1892; I Capitoli angioini. Prefazione e saggio di una nuova edizione, ibid. 1896. Digrande interesse appaiono anche gli altri studi del C.: Il diritto degli antichi popoli d'Italia, ibid. 1884; Il contrattodi commenda nella storia. del diritto italiano, in Il Filangieri, XI (1886), 1, pp. 322-338, 383-406; Del carattere popolare della sentenza presso i popoli di stirpe germanica, ibid., XII (1887), 1, pp. 281-315, 493-510;e i suoi contributi all'Enciclopedia giuridica italiana (La teoria degli alimenti studiata nella storia e nel diritto civile; Dell'asilo, della clientela e dell'ospitalità; La feudalità studiata nelle sue origini, nel suo sviluppo e nella sua decadenza) e al Digesto italiano (Origine, sviluppo e trasformazione dello scabinato; Il diritto successorio nella storia del diritto italiano).
Con questa ricca produzione, dunque, il C. prendeva viva parte al rinnovamento degli studi di storia del diritto, intermedio che in quel tomo d'anni stava portando "un continuo arricchimento delle nozioni e... una ininterrotta revisione della materia" (Paradisi). Il suo contributo presentava, già da questi anni, caratteri peculiari. innanzi tutto il suo interesse si incentrava non già sulla dottrina, bensì sul diritto vigente nelle singole regioni italiane: di qui le sue ricerche sulle consuetudini, di qui la sua. preferenza, nella ricostruzione della disciplina di istituti privatisticii per le norme cittadine, signorili e di uso e la sua svalutazione dell'interprètazione della dottrina. Oggetto della sua indagine è, perciò, "il diritto sorto e applicato in Italia" (Paradisi) dopo la caduta dell'Impero romano d'Occidente, e in primo luogo il diritto dell'alto Medioevo, precedente la rinascita bolognese. Proprio in merito al diritto consuetudinario si era aperto, in quegli anni, un vivace dibattito nella storiografia giuridica italiana tra, coloro che - come lo Schupfer - ritenevano prevalente l'influenza del diritto dei popoli germanici e gli altri - come il Tamassia - che sostenevano, predominante la tradizione romana. Il C. si inserì subito in tale polemica, schierandosi per la seconda corrente. In tutti i suoi lavori di questi anni egli cercò di dimostrare l'inconsistenza dell'influenza germanica e la continuità sostanziale della disciplina romana nel Medioevo, non soltanto nelle regioni meridionali, ma in generale in tutta la penisola.
Il suo interesse scientifico, comunque, non si limitò a questa problematica. Il C. appare, infatti, sin dai primi lavori, un, buon editore di fonti, con una pregevole preparazione filologica. Egli si mostrò anche sensibile agli indirizzi della storiografia positivista e tra i primi storici del diritto prese in esame la realtà sociale ed economica del periodo considerato come presupposto essenziale per la comprensione della realtà giuridica.
Nel 1896 il C. vinse la cattedra di storia del diritto italiano e dal dicembre del medesimo anno iniziò il suo insegnamento nell'universitá di Catania. In Sicilia, ad eccezione del La Mantia, la storia del diritto intermedio non aveva avuto cultori di rilievo. In particolare a Catania erano fino a quel momento mancati specifici studiosi della disciplina, tanto che lo stesso insegnamento.era stato tenuto per lunghi anni dal canonista Gioacchino Russo. L'arrivo del C. modificò profondamente questa situazione: le sue lezioni suscitarono grande interesse, mentre l'indirizzo da lui dato alle ricerche di storia giuridica siciliana riusciva a inserirle nell'ampio dibattito dottrinario allora in corso in Italia e, quindi, a depurarle di quel carattere chiuso e provinciale che ancora le caratterizzava.
Le sue ricerche sulla storia del diritto siciliano sono di grande interesse. Tra esse si ricordano: Ildiritto romano in Sicilia durante il dominio musulmano, Palermo 1898; I libri legali di un giudice siculo nel secolo XIV, in Arch. giur. Filippo Serafini, n. s., III (1899), pp. 555-558; Le Pandette di Buscemi, ibid., VI (1900), pp. 56-61; Il diploma di Guglielmo II al monastero di S. Maria di Valle Giosafat, Catania 1900. L'esame che andava compiendo del diritto consuetudinario siciliano confermava lo studioso nella convinzione della scarsa influenza germanica sulla realtà giuridica italiana del Medioevo. Più compiutamente e ampiamente il C. sostenne queta tesi nel Manuale di storia del diritto italiano, in due volumi, che pubblicò a Milano nel 1903 raccogliendo i corsi di lezioni degli anni precedenti. Già nel 1884 egli aveva pubblicato a Napoli una Storia del diritto italiano, nella quale la complessa e vasta materia era sistemata secondo un ordine rigidamente cronologico.
Tale ordine è in parte modificato nel Manuale, nel quale viene seguita una ripartizione più adeguata ai canoni interpretativi che il C. andava sostenendo. Il lavoro risulta, infatti, diviso in quattro parti: la prima prende in esame gli elementi costitutivi della realtà giuridica medievale, il romano, cioè, il cristiano e il germanico; la seconda, dedicata all'"epoca del diritto volgare" che per il C. va dalla caduta dell'Impero alla rinascita bolognese, analizza l'incontro dei tre suddetti fattori e la realtà che da tale incontro deriva; la terza si occupa dell'"epoca del diritto scientifico" e l'ultima del periodo che ha inizio con le codificazioni. In ciascuna delle parti il C, esamina le fonti, le istituzioni pubbliche e i principali istituti di diritto privato. La sua tesi di fondo, ampiamente sostenuta soprattutto nella parte dedicata al diritto volgare, è quella della prevalenza della tradizione romana nel diritto intermedio: egli "non nega l'influenza germanica, ma... la restringe quasi soltanto ad alcuni punti del diritto pubblico" (P. Delogu, recensione in Riv. ital. per le scienze giur., XLII [1906], pp. 327-332). Sideve, comunque, dire che il Manuale del C. non si esaurisce nella polemica antigermanista: esso, infatti, appare interessante per altri aspetti, soprattutto per, il costante collegamento tra l'evoluzione sociale ed economica e lo sviluppo della realtà giuridica e per l'ampio spazio dato agli istituti di diritto commerciale. D'altro canto, la produzione scientifica dei C. in questi anni non si esaurì in lavori polemici; 'egli continuò a dedicarsi a ricerche di altro genere, come quelle sulle fonti giuridiche meridionali. Sotto questo profilo si devono ricordare Un capitolo latino inedito della Tavola di Amalfi, in Arch. stor. per le prov. napol., XXIII (1898), pp. 365-375; I capitoli di tutte le industrie di Guardia Sanfromondi, in Studi in on. di F. Schupfer, II, Torino 1898; I capitoli di Alberong, Napoli 1899; Di una nuova opinione intorno agli ordinamenti marittimi di Trani, in Studi in onore di F. Pepere, ibid. 1900; Le lettere arbitrarie nella legislazione angioina, in Riv. ital. per le scienze giurid., XXVIII (1899), pp. 254-289.
Nel 1903 il C. entrò a far parte della Società di storia patria per la Sicilia orientale e l'anno successivo fu tra i fondatori della rivista della Società, l'Archivio storico per laSicilia orientale, di cui divenne subito condirettore. La nuova rivista- fu ben presto utilizzata dal C. per portare avanti, con rinnovato vigore, la polemica antigermanista. Questa si incentrò, all'inizio, su alcuni temi specifici, quali l'origine dei titoli al portatore (I titoli al portatore nell'Italia bizantina meridionale e nella Sicilia, ibid., III[1906], pp. 337-380 e la prima disciplina della comunione dei beni tra coniugi (Origine e sviluppo della comunione dei beni fra coniugi in Sicilia, ibid., pp. 3-45). Ma con il passare degli anni tese sempre più ad abbandonare l'esame di singoli istituti e l'analisi accurata delle fonti per passare ad un discorso più generale che tracciasse il quadro complessivo del diritto vigente nell'Italia meridionale e in Sicilia nel Medioevo e ne affermasse la completa indipendenza da influenze germaniche. Il C. accusava lo Schupfer di voler "complicare" la storia del diritto perché ovunque si sforzava di trovare la presenza del germanesimo. Ma il suo attacco contro l'opposta corrente di pensiero finì per abbandonare il terreno scientifico della ricerca puntuale delle fonti e Per trasformarsi in un discorso spesso superficiale, sempre più colorito di toni nazionalisti. Non a caso gli articoli del C. più significativi sotto questo profilo vennero pubblicati, sempre sull'Archivio storico, nel corso del primo conflitto mondiale: Ildiritto in Sicilia e nelle provincie bizantine italiane durante l'alto Medio Evo, XII(1915), pp. 11-45, 267-305; L'Italia bizantina, il diritto germanico e un "complicatore" della storia del diritto, XIII (1916), pp. 281-315; Le leggi locali napoletane e siciliane del basso Medio Evo..., XIV (1917), pp. 1-54; Il carattere del diritto longobardo e la pretesa sua penetrazione nell'Italia bizantina (poche parole ad un ostinato complicatore), XIV (1917), pp. 270-277; I giuristi napoletani e siciliani dal sec. XII al XVIII ed il preteso contributo del diritto germanico alle loro produzioni., XV (1918), pp. 42-73; La vittoria del diritto sulla forza..., XV (1918), pp. 214-223.LoSchupfer gli rispondeva con ironia (I semplicisti della storia dei diritto..., in Riv. ital. per le scienze giurid., LVII [1916], pp. 157-217; Liquidazione definitiva d'ubbie che vorrebbero essere storia (pochi, pagine ad un semplicista irriducibile), ibid., LIX [1917], pp. 97-122), mettendo in risalto la crescente involuzione. dei metodo del C., il quale sempre più sensibilmente si allontanava dalla soria indagine delle fonti per portare avanti in modo aprioristico, e per più versi ingenuo, le sue tesi interpretative.
Ma non furono soltanto gli avversari del C. a rilevare la crescente inconsistenza delle sue argomentazioni: anche quelli che appartenevano alla stessa corrente di pensiero del C. finirono per rifiutare il metodo e il tono dei suoi lavori e li considerarono troppo superficiali e inadeguati ad un dibattito scientifico. Il C. si trovò allora isolato, mentre i suoi studi erano visti con discredito: da allora, come ha detto il Gaudioso, "fu silenzio sul suo nome e silenzio sulla sua produzione".
Si deve però ricordare che il C. non si limitò a pubblicare sull'Archivio saggi polemici: la rivista accolse anche altri lavori che testimoniano il perdurare nel C. dell'interesse verso la storia economica e verso il collegamento tra questa e la storia giuridica. A questo filone appartiene, ad esempio, lo studio La vita economica siciliana nel periodo normannosvevo, X (1913), pp. 321-345, che costituisce un primo tentativo di individuare gli aspetti peculiari della vita economica dell'isola tra il XII e il XIII secolo e di metterli in relazione con consuetudini feudali e usi cittadini. Negli ultimi anni del suo insegnamento catanese il C. continuò a coltivare questo filone di ricerca. In proposito ricordiamo Il commercio e gli usi mercantili in Sicilia du, rante l'alto e la prima metà del basso Medio Evo, Napoli 1921 e I capitoli del Consolato di Mare di Messina e la tavola d'Amalfi..., in Arch. stor. per la Sicilia orient., XXI (1924), pp. 283-299, saggi che avrebbero meritato migliore attenzione da parte della storiografia giuridica.
Il C. partecipò anche alla vita politica catanese: dal 1910fece parte del Consiglio comunale e dal 1914 al 1920 fuassessore. Collocato a riposo dal 1°nov. 1932, fu nominato professore emerito della facoltà di giurisprudenza di Catania. In seguito lasciò la Sicilia e ritornò nel suo paese d'origine. E a Riccia morì il 10 luglio 1943.
Fonti e Bibl.:Necr. di M. Gaudioso, in Boll. stor. catanese, IX-X (1944-1945), pp. 182 ss.; Studi stor. e giuridici dedicati ed offerti a F. C. nella ricorrenza del XXV anniv. del suo insegnamento, I, Catania 1909, pp. XI-XXI;G. Curcio, L'università di Catania dal 1863 al 1934 in Storia dell'università di Catania dalle origini ai nostri giorni, Catania 1934, pp. 367 s.; G. S. Pene Vidari, Ricerche sul diritto agli alimenti. Torino 1972, ad Indicem;B. Paradisi, Apologia della storia giuridica, Bologna 1973, ad Indicem.