FRONT, Federico di
Discendente dai conti di Castellamonte e di Front, antica casata imparentata con i potenti conti di San Martino che contendevano ai Valperga la supremazia nel Canavese, il F. non è ricordato dalle fonti prima della sua nomina alla cattedra vescovile d'Ivrea avvenuta nel 1264; si sa solamente che all'epoca era canonico della cattedrale d'Ivrea e rettore della chiesa di S. Lorenzo.
Il 25 genn. 1264 ricevette, in qualità di vescovo eletto d'Ivrea, il giuramento di fedeltà di Ranieri di Burol e di Ranieri di Biatino. Era dunque rapidamente succeduto al precedente vescovo, Giovanni di Barone, ancora vivente nell'ottobre 1263. Le modalità di quest'elezione sono chiarite dalla bolla pontificia del 2 giugno 1264, che confermava il F. quale procuratore della Chiesa d'Ivrea: i canonici si erano, infatti, accordati sul F. e l'arcivescovo di Milano si era affrettato a confermare quest'elezione benché non ne avesse il diritto, giacché il F. non aveva ricevuto gli ordini. L'elezione era dunque dovuta, in buona parte, all'intervento di Ottone Visconti, arcivescovo di Milano sostenitore della politica pontificia nell'Italia settentrionale, il quale non aveva peraltro potuto ancora insediarsi nella sua sede. Il F. fu in seguito confermato da Martino IV ma non venne mai consacrato.
La posta in gioco in questa elezione era del resto molto importante nel momento in cui gli Angioini intraprendevano il loro insediamento in Italia con il sostegno del Papato. Ivrea era all'epoca città ghibellina, alleata con Vercelli, e ghibellino era il suo podestà verso la fine del 1263, il vercellese Oberto Tizzoni: la nomina del guelfo F. aveva, quindi, lo scopo di incrinare tale schieramento. I primi due anni di governo del F. vennero, ciononostante, dedicati ad atti di corrente amministrazione: acquisizioni, scambi, donazioni e arbitrati.
Il 19 giugno 1266 i legati d'Ivrea affidarono la loro città al marchese di Monferrato, Guglielmo VII, cedendogli la metà dei proventi e autorizzandolo a occupare militarmente i castelli e le roccaforti d'Ivrea e del suo territorio. Benché ghibellino, Guglielmo VII era diventato da poco tempo alleato del papa e della casa d'Angiò: questo trattato siglava quindi lo spostamento d'Ivrea verso la parte guelfa. La presenza dell'ambizioso marchese del Monferrato minacciava però l'autorità del vescovo e lo privava di qualsiasi speranza di riacquistare un maggiore controllo sulla città. Il F. si oppose perciò al marchese con il sostegno della casata e dei suoi più fedeli alleati: il cappellano Nicolino di Lessolo, "magister" Filippo diacono e canonico, il sottodiacono Facio e ovviamente i membri della famiglia San Martino, di provata fede guelfa. La reazione di Guglielmo VII fu severa: giunto a Ivrea ordinò di arrestare i suoi avversari, fra i quali lo stesso F., e li fece imprigionare. Solo l'intervento di Clemente IV consentì al F. di tornare in libertà, mentre il marchese, per salvare formalmente le apparenze, riconsegnò la città all'arcidiacono e al capitolo, sperando di potervi comunque conservare la propria autorità.
Una volta liberato, il F. si recò presso la Curia pontificia per richiedere l'apertura di un procedimento contro Guglielmo VII. Nel marzo 1267 il papa ordinò un'inchiesta affidandola ai prevosti di S. Maria e di S. Gaudizio di Novara. Il marchese rinnovò allora le ostilità invadendo il territorio d'Ivrea e assediando Castelfranco, sostenuto - sembra - da una fazione del Comune di Vercelli. Gli anatemi pubblicati contro di lui rimasero lettera morta fino a quando il papa minacciò di estenderli anche alla città di Vercelli. Guglielmo VII allora, senz'altro dietro pressione dei suoi alleati, richiese e ottenne l'assoluzione (dicembre 1267 - gennaio 1268). Questa riconciliazione era però solo apparente. Il marchese, rimasto ghibellino a dispetto dei suoi accordi con Carlo d'Angiò, credette di trovare nella discesa di Corradino in Italia un'occasione a lui favorevole per riconquistare il terreno perso. Il 7 apr. 1268 concluse perciò una lega con i San Giorgio, conti di Biandrate, la casata dei Valperga e con altri, volta a contrastare in primo luogo i signori di San Martino e il Comune d'Ivrea. Il F., sentendosi minacciato, richiese il sostegno di Clemente IV, che lo autorizzò il 30 luglio a privare dei loro feudi i vassalli ribelli alla sua autorità. La sconfitta di Corradino a Tagliacozzo (22 ag. 1266) fece tramontare definitivamente le speranze di Guglielmo VII che tentò invano una nuova spedizione militare contro Ivrea nel 1269.
Il F. si premurò comunque di trovare un nuovo protettore da contrapporre al marchese di Monferrato, autorizzato in questo anche da Clemente IV che gli aveva concesso molti privilegi nel luglio 1268. La cattura di un familiare del F. da parte del marchese, nel marzo 1271, fece precipitare la sua decisione e il F. comunicò al capitolo cittadino di voler sollecitare il diretto intervento di Carlo d'Angiò. Il 22 giugno 1271, una convenzione venne siglata a Piacenza: la signoria temporale di Ivrea venne rimessa nelle mani della casa d'Angiò, mentre il vescovo conservava solamente il patrimonio della diocesi, la giurisdizione sugli ecclesiastici e l'omaggio dei vassalli forestieri. L'atto era espressamente diretto contro il marchese di Monferrato al quale Carl0 d'Angiò s'impegnava a non consegnare in alcun caso la città.
Negli anni successivi il F. si riavvicinò al marchese, questa volta senza scontri e sulla base di solidi accordi; nel frattempo la dominazione angioina su Ivrea finì, anche se non si può determinare con precisione la successione degli eventi. La riconciliazione fra il F. e Guglielmo VII avvenne nell'ottobre 1277 e portò, nel luglio 1278, a un nuovo accordo tra il marchese e il Comune d'Ivrea. La città si impegnava a scegliere un podestà fra i vassalli o gli amici del marchese e a consegnargli i proventi dei diritti di banno, delle multe e dei pedaggi del macinato e del sale.
Nominato vescovo di Ivrea per opporre un baluardo guelfo e sostenere la politica angioina davanti alle minacce ghibelline, il F. non aveva ormai più interesse a dimorarvi. Nel 1281 lasciò la città per recarsi da Martino IV a Orvieto, il quale lo nominò, il 23 ag. 1284, rettore della Campagna e della Marittima. Onorio IV lo trasferì, tra il 23 luglio 1285 e il 24 febbr. 1286, al rettorato delle Marche, incarico conservato dal F. fino al 27 giugno 1288. Sotto la sua autorità, al pari dei suoi predecessori, le Marche si distinsero tra le regioni pontificie per la loro buona organizzazione e redditività. Nicolò IV lo sostituì in seguito con Giovanni Colonna, ma il F. venne rinominato rettore sette anni più tardi, nel 1295, per un breve periodo di tempo, tra i rettorati di Gentile di Sangro e di Guillaume Durand.
Il suo allontanamento da Ancona non era assolutamente il segno di una caduta in disgrazia e nel 1289 Nicolò IV decise di trasferirlo dalla diocesi di Ivrea a quella di Ferrara. La sua nomina, prevista dal 12 febbraio, avvenne effettivamente il 13 marzo. Tra queste due date il F. si fece consacrare e ordinare, in quanto negli atti successivi compare sempre in qualità di vescovo. A Ferrara il F. conobbe un episcopato più sereno rispetto ai primi anni trascorsi a Ivrea, ed è ricordato soprattutto per avervi accolto l'Ordine carmelitano. La seconda permanenza nella Marca d'Ancona costituì il suo ultimo intervento al servizio della politica pontificia.
Morì a Ferrara il 16 maggio 1303. Suo successore fu Ottobono Del Carretto, designato da Bonifacio VIII e confermato da Benedetto XI nel gennaio 1304.
Fonti e Bibl.: Le carte dell'archivio vescovile d'Ivrea fina al 1312, a cura di F. Gabotto, II, Pinerolo 1900; L. Barotti, Serie di vescovi ed arcivescovi di Ferrara, Ferrara 1781, pp. 51-56; G. Manini Ferranti, Compendio della storia sacra e politica di Ferrara, II, 1104-1393, Ferrara 1808, pp. 216-235; G. Saroglia, Memorie storiche sulla chiesa d'Ivrea, Ivrea 1881, ad Ind.; F. Gabotto, Un millennio di storia eporediese (1356-1357), in Eporediensia, Pinerolo 1900, pp. 140-160; A. Bozzola, Guglielmo VII marchese di Monferrato e Carlo I d'Angiò, in Arch. stor. per le prov. napoletane, XXXVI (1911), pp. 289-328, 451-474; D. Waley, The Papal State in the thirteenth century, London 1961, ad Ind.