FARUFFINI, Federico
Nacque il 12 ag. 1833 a Sesto San Giovanni (Milano) da Paolo, farmacista, che vi si era stabilito dal 1822, e da Giuseppa Albini. Nel 1848 fu mandato dal padre a studiare giurisprudenza all'università di Pavia, dove già si trovava il fratello maggiore Gaetano (nato nel 1829), destinato a sua volta a diventare, come il padre e il nonno, farmacista.
Una serie di attestati di frequenza ai corsi e di superamento degli esami (Milano, coll. priv.; Pavia, Archivio storico civico) permette di seguire il percorso degli studi universitari del F. fino al 1855. Il F. si presenta come "giureconsulto" all'esposizione di Brera del 1864 e si definisce "liccnziato in lcggi" nelle lettere del 13 apr. 1864 (a B. Cairoli: in Finocchi, 1989, p. 218) e del 15 marzo 1866 (al fratello: ibid., p. 222); tuttavia in due fogli dell'Arch. stor. di Pavia, non datati, che riassumono i dati del F. in base a una ricerca nell'archivio dell'università, si legge "non risulta laureato".
Parallelamente, fin dal 1848, il F. frequentava la civica scuola di pittura di Pavia: mentre cresceva progressivamente l'impegno che dedicava alla sua formazione artistica, scemava quello per gli studi giuridici. Nella scuola d'arte seguì dapprima (1848-51) i corsi di disegno e incisione di C. Ferreri, quindi (dal 1851) la scuola di pittura diretta da G. Trecourt (nel 1853 conseguì una "Inenzione onorevole" nel disegno dal nudo e una medaglia d'argento nel "disegno dalla statua"), alla quale risulta iscritto fino al 1858. Smise però di frequentarla prima di quella data: i rapporti, già tesi, con Trecourt si fecero via via più burrascosi, finché nel 1856 il maestro propose l'espulsione del F. dalla civica scuola di pittura; venne tramutata in semplice ammonizione, ma a quella data il F. aveva già lasciato Pavia: dopo l'estate del 1855, per volere del padre, si era infatti trasferito a Milano per iniziare il tirocinio legale presso il tribunale e il 26 ottobre dell'anno seguente partì alla volta di Roma (lettera a Ernesto Cairoli, 26 ott. 1856: in Finocchi, 1989, p. 207).
L'influenza di Trecourt, e attraverso di lui quella del modello dominante di Fr. Hayez, è sensibile nelle prime prove del pittore, ma più stimolanti furono negli anni pavesi i rapporti con G. Carnovali detto il Piccio, quelli con i compagni di studi della scuola di pittura (in particolare P. Barbotti, P. Michis, T. Cremona), la profonda amicizia con Ernesto Cairoli e la frequentazione della famiglia Cairoli e degli ambienti risorgimentali pavesi. Il desiderio di affrancarsi dall'insegnamento accademico si rivelò ben presto nell'opera del F.: già nel Cola di Rienzi che dalle alture di Roma ne contempla le ruine (1855; Milano, coll. priv.; ill. in Finocchi, 1989, p. 37; bozzetto a Pavia, Musei civici), con il quale fece la sua prima apparizione alle esposizioni annuali di Brera nel 1856, il F. si poneva consapevolmente sul fronte del rinnovamento del quadro di storia, mettendo a frutto gli stimoli che gli venivano dalla pittura del Piccio e di D. Morelli e piegando il tema tipicamente romantico dell'eroe solitario in chiave di metafora patriottica.
A Roma, dove il F. restò fino agli inizi del 1858, gli si aprirono nuovi campi di esperienza: arricchì le sue conoscenze della pittura dei secoli passati ed entrò in contatto con gli altri pittori attivi a Roma (il gruppo dei meridionali - Morelli, B. Celentano, F. S. Altamura - in particolare), rinsaldando le sue scelte antiaccademiche per una pittura tutta basata sui valori cromatici (Raffaello e la Fornarina, Perugia, coll. priv.). Inoltre fu attratto dalle esperienze puriste di A. Malatesta e del russo A. A. Ivanov, come rivelano le due versioni di una Madonna col Bambino e s. Giovannino (1857; Milano, coll. priv. - ill. in Finocchi, 1989, p. 48 -, e Sesto San Giovanni, coll. priv.: A. Finocchi, Madonna inedita di F. F., in Proposta Sesto, V [1994], 2, p. 10) e la pala dell'Immacolata Concezione per il duomo di Pavia (1857; il 13 ottobre di quell'anno F. Podesti, interpellato dal committente, il canonico G. Bosisio, aveva rilasciato, per questa commissione, una "attestazione" in favore del Faruffini).
Tornato a Pavia nel 1858, vinse il concorso Frank della civica scuola di pittura con una grande tela di soggetto storico: Al cardinale Ascanio Sforza, vescovo di Pavia, trovandosi nel castello di Milano, viene presentato il modello del duomo di Pavia da tre deputati di quella fabbrica, onde averne qualche sussidio in denaro per dar mano al lavoro, come infatti avvenne (Pavia, Musei civici): al di là degli echi della pittura hayeziana, suggeriti probabilmente dalla destinazione del dipinto al concorso pavese e dalla ricerca di consenso negli ambienti accademici (il dipinto fu presentato anche a Brera e ottenne positivi giudizi dalla critica contemporanea), qua e là il colore si accende di toni intensi o vibra in accordi delicati, confermando le scelte personali del pittore.
Il risoluto scatto in avanti, che allinea l'opera del F. ai risultati più avanzati della pittura contemporanea, si rivela nelle opere eseguite intorno al 1860: dalla libertà compositiva e dall'intensità del rapporto luce-colore nella Romanza sul Ticino e nella Gondola di Tiziano (1859 e 1861, entrambi a Milano, Civica Galleria d'arte moderna) o nei due tondi con Natura morta del 1862 (coll. priv.; cfr. ill. in Finocchi, 1989, pp. 86 s.), agli studi di pittura di "macchia" nei numerosi bozzetti e acquerelli; dalla prosecuzione della ricerca di rinnovamento del quadro di storia nella Porta della casa degli Alighieri. Reminiscenze di Firenze (1859, Pavia, coll. priv.; ill. ibid., p. 56; esp. all'Acc. Albertina di Torino e a Brera; cfr. anche ibid., p. 134 n. 231) e ne Il beato Bernardino da Feltre, istitutore dei Monti di Pietà, durante la carestia, distribuisce ai poveri alcuni pani a lui donati dopo la predica (1861; Pavia, chiesa di S. Maria del Carmine) alla tempestiva adesione alle aspirazioni realiste dimostrata nell'affrontare i temi della storia contemporanea nella Battaglia di Varese (Pavia, Musei civici), il grande dipinto elaborato tra 1859 e 1862 per disposizione testamentaria ("Prego ... Faruffini di regalare ... un quadro di sua invenzione e di soggetto patrio": in F. F., 1985, p. 53) di Ernesto Cairoli (caduto poi il 26 maggio 1859, in uno scontro con le truppe austriache a Biumo Superiore presso Varese).
Nel frattempo (1861) il F. si era trasferito a Milano, dove visse gli anni centrali della sua vicenda artistica: ebbe notevoli riconoscimenti, come la nomina di socio onorario di Brera nel 1862, dell'Accademia di Modena nel 1864, dell'Istituto di belle arti delle Marche e della Società degli acquafortisti di Parigi nel 1865, l'invito del Comune di Pavia a far parte della commissione per il premio Lauzi nel 1863, il successo degli acquerelli inviati all'esposizione della Società degli acquarellisti di Bruxelles nel 1864. Presente alle esposizioni annuali di Milano, alle Promotrici di belle arti di Torino e Napoli, il F. svolse in questo periodo una attività intensissima con risultati di grande originalità e maturità. Tra le opere di questi anni ricordiamo: nel 1864 L'amore del poeta Sordello e Cunizza (Milano, Pinacoteca di Brera), Cesare Borgia e Niccolò Machiavelli (disperso, noto attraverso una fotografia in coll. privata milanese e l'incisione, firm. e datata 1866, cfr. Finocchi, 1989, p. 101 n. 169 e p. 144 n. 248), Gli scolari dell'Alciato (Milano, coll. priv.; ill. ibid., p. 106), La lettrice o Clara (Milano, Civica Galleria d'arte moderna); nel 1865 La suonatrice di liuto o Giada (Milano, coll. priv.; ill. ibid., pp. 130 s.) e Sacrificio egiziano di una vergine al Nilo (Roma, Galleria nazionale d'arte moderna). Sempre nel 1865 il F. iniziò anche a dedicarsi all'acquaforte, incidendo un gruppo di suoi dipinti e collaborando all'edizione della Divina Commedia, pubblicata a Milano, con il commento del Tommaseo, dall'editore F. Pagnoni; in quest'opera sono sue quattro tavole: Ilritratto di Dante e le illustrazioni dei versi Inf., I, 61-63, Inf., V, 31-33 e Inf., VII, 7-9 (ill. in Finocchi, 1989, pp. 138 s.). La collaborazione del F. fu comunque interrotta alla sua partenza per Parigi.
Intanto si moltiplicavano le difficoltà economiche e si inasprivano i rapporti col padre, da sempre mal disposto verso la scelta artistica dei figlio; mancavano le commissioni importanti e, Soprattutto. l'ambiente accademico di Brera, dominato da G. Bertini, gli era ostile e la critica milanese, capeggiata da C. Boito, stroncava duramente le sue opere: il F. sentì tutto ciò come una "persecuzione... personale", come una "vera infamia" (cfr. le due lettere al fratello Gaetano dell'11 giugno 1864, in Finocchi, 1989, p. 219) e decise di lasciare Milano. A novembre del 1865 si trasferì a Parigi, dove proseguì la produzione di acqueforti e dipinse molto. Ricordiamo la serie di bozzetti per due quadri che intendeva presentare all'esposizione parigina del 1866: Dante studia teologia a Parigi (il quadro con tutta probabilità non fu mai eseguito; uno dei bozzetti è verosimilmente da riconoscersi in quello di coll. priv. milanese, riprod. in Finocchi, 1989, pp. 140 s.) e Carlo V a San Juste (del quadro, disperso, il F. fece fare una fotografia, che si trova, firmata, in coll. priv. milanese; riprodotta ibid., p. 142 n.144). ottenne anche gratificanti successi con una mostra personale alla galleria Cadart-Luquet, con la medaglia d'oro conferita al suo Borgia e Machiavelli al Salon del 1866 e nuovamente premiato all'Esposizione universale del 1867 (terzo premio ex aequo con E. Pagliano), alla quale partecipò anche con altre opere.
Ma Parigi non lo aiutò a risolvere i suoi problemi, anzi lo disorientò: da un lato il F. voleva ottenere il consenso del mercato con opere accessibili e vendibili (ritratti, scene di costume), dall'altro non poteva rinunciare alla pittura di storia, ma si andava smorzando l'impegno concettuale che aveva sostenuto fin allora il suo lavoro, come rivelano la fragilità compositiva del Carlo V e la macchinosità delle Orge di Messalina (1867, Milano, coll. priv.; ill. in Finocchi, 1989, pp. 134 s.), debitrice di quel gusto per i temi erotici e di quella pittura di estrazione accademica (T. Couture, J.-L. Gérôme, W. Bouguereau) destinati a grande fortuna sulla fine del secolo. Nello stesso tempo il F. proseguì la sua ricerca pittorica in una serie di bozzetti, in cui la pennellata nervosa, rapidissima, può far pensare a suggestioni della pittura di E. Delacroix, ma insieme è l'approfondimento delle indicazioni già emerse nelle sue opere precedenti il 1865.
Disorientato da stimoli tanto contrastanti, il F. non era in grado di governare i registri contraddittori del suo lavoro. Tornò in Italia nel 1867, in precarie condizioni di salute fisica e mentale: incominciò a pensare al suicidio. Restò per breve tempo presso la famiglia a Sesto San Giovanni, quindi andò a Milano, ma abbandonò anche questa città e ritornò a Roma: entro la fine dell'anno riallacciò i rapporti con l'ambiente romano (F. Podesti lo aiutò con un prestito), ebbe di nuovo uno studio e riprese a lavorare. Ma i risultati erano discontinui: la volontà di adeguarsi alle richieste del mercato si avverte nel gusto aneddotico della Serenata a Venezia (Roma, coll. priv.; ill. in Finocchi, 1989, p. 151 n. 270) o del Convegno amoroso (Milano, coll. priv.; ill. ibid., p. 158 n. 287), nei brani da feuilleton come L'assassinata (1867; Roma, Galleria nazionale d'arte moderna), nel genere da souvenir della serie di acquerelli con ciociari, popolani, figure in costume, che culmina nel più impegnativo dipinto dei Ciociari in piazza S. Pietro (1868; disperso, noto solo da una fotografia contenuta nell'Album di disegni e fotografie di F. Faruffini, Milano, Raccolta Grassi; ill. in Finocchi, 1989, p. 179 n. 343). La stessa volontà sta anche nella decisione di dedicarsi alla fotografia per costituire un repertorio di scene di genere con figure in costume ciociaro da vendere ai pittori in sostituzione dei più costosi modelli viventi. Nel 1868 vendette i materiali del suo studio per acquistare l'attrezzatura fotografica; ma l'impresa non ebbe fortuna, le sue fotografie erano ritenute troppo sperimentali.
In effetti i risultati migliori in questo campo sono proprio quelli in cui la ricerca sulle possibilità del nuovo linguaggio è più evidentemente assimilabile a quelle di verità luministica della sua pittura (vedi, in proposito, il breve saggio di M. Miraglia, F. fra pittura e fotografia, in F. F. [cat.] 1985, pp. 30-34).
Nei dipinti e nelle incisioni di quest'ultima fase, là dove il F. non cede alle piacevolezze e alla leziosaggine della scena di genere, ma si concentra sul rapporto lucecolore, la qualità resta molto alta, come nell'Autoritratto (1867; Roma, Galleria dell'Accademia di S. Luca), nella Ciociara (Milano, coll. priv.; ill. in Finocchi, 1989, p. 176 n. 337), nella Giovinezza di Lorenzo il Magnifico e nella Processione di s. Anna al ponte S. Angelo (entrambi a Roma, Galleria nazionale d'arte moderna) o nei drammatici bianchi e neri delle ultime acqueforti (Moribonda, Deposizione, Il compenso riservato dalla società degli artisti: esemplari a Roma, Gall. naz. d'arte mod.; ill. in Finocchi, 1989, pp. 166 ss. nn. 311-313).
Ormai il F. era incalzato dall'angoscia e dalle crisi depressive. In un disperato tentativo di dare ordine alla sua vita privata e di colmare il vuoto determinato dal distacco dalla famiglia d'origine si sposò il 26 apr. 1868 con Adele Mazzoleni, da cui ebbe una figlia, Teresa Maria Dolores, nata il 20 genn. 1869. L'ultimo passo, la decisione di lasciare anche Roma e di trasferirsi con la famiglia a Perugia, è il segno del suo progressivo e cosciente estraniamento; continuò a dipingere: Interno della sala del Cambio (di cui si conoscono solo alcuni bozzetti, tre esposti alla mostra del 1985-86, cfr. catal., pp. 126 s.; Finocchi, 1989, pp. 193 s.); Gli Etruschi a Perugia (Perugia, presidenza della Giunta regionale umbra).
Morì suicida il 15 dic. 1869 a Perugia.
Fonti e Bibl.: Oltre alle lettere e ai documenti conservati nell'Archivio storico civico di Pavia e presso collezioni private, ai catal. delle mostre nelle quali il F. ha esposto, alle recensioni sulla stampa contemporanea (per cui cfr. Finocchi, 1989, pp. 203-38), si veda: A. Colasanti, Esposizione postuma delle opere di F. F., Milano 1923; P. M. Bardi, F. F., Roma 1934; C. Maltese, Storia dell'arte in Italia 1785-1943, Torino 1960, pp. 193-95, 231; M. Dalai Emiliani, in Mostra dei maestri di Brera (1776-1859) (catal.), Milano 1975, pp. 299-301; I. A. Geminiani-G. Laccarini-R. Macchi, F. F., Milano 1984; F. F. (catal., Spoleto 1985), a cura di B. Mantura-A. Finocchi, Milano 1985; A. Finocchi, F. F. un pittore lombardo tra romanticismo e realismo, Milano 1989 (con bibl. precedente); La pittura in Italia. L'Ottocento, Milano 1991, p. 818 (biografia) e ad Indicem; A. Finocchi, Lettrici. Immagini della donna che legge nella pittura dell'Ottocento, Nuoro 1992, pp. 28-32; Id., F. F., in Ottocento. Romanticism and Revolution in 19th century Italian painting (catal.), Firenze-New York 1992, pp. 183-86, 267.