Fellini, Federico
Regista cinematografico, nato a Rimini il 20 gennaio 1920 e morto a Roma il 31 ottobre 1993. È uno dei registi, non solo fra gli italiani, che ha maggiormente inciso sugli sviluppi del cinema nella seconda metà del Novecento, laureato anche per questo con cinque premi Oscar, nel 1957 per La strada (1954), nel 1958 per Le notti di Cabiria (1957), nel 1964 per 8 ¹/² (1963), nel 1976 per Amarcord (1973) e nel 1993 con un Oscar alla carriera. Con tratti di indiscutibile ed esemplare leggerezza sia umana sia espressiva ha attraversato la storia del cinema con i suoi film. In questo egli è stato realmente un grande spirito italiano, nella cifra di quella tradizione tutta musicale che ha saputo sposare la soavità a una percezione forte, profonda, drammatica dell'esistenza. Grandissimo orchestratore di immagini, di visioni e di ritmi narrativi, F. si è rivelato maestro nel dare corpo all'empito di sogno che invade lo schermo cinematografico, dove i confini dell'immaginazione vanno a coincidere con quelli della realtà senza tuttavia mai essere condizionati da questa. Meglio di chiunque altro egli ha mostrato così come il cinema sia un inarginabile produttore di spiritualità e di fantasie.
F. discendeva da una famiglia contadina dell'Appennino tosco-emiliano: il padre, nativo di Gambettola vicino Forlì, si era poi trasferito a Rimini come rappresentante di commercio; la madre, romana, era oriunda riminese. F. frequentò le scuole fino alla licenza liceale nella nativa Rimini e non fu mai interno in un collegio di preti, come gli piacque raccontare in 8 ¹/²; anche la famosa fuga a sette anni al seguito di un circo è pura leggenda. Molto presto il giovane si fece una fama come spiritoso caricaturista e a diciotto anni iniziò la collaborazione a vari giornali con vignette e articoli umoristici.
Nel gennaio 1939 si trasferì a Roma diventando uno dei più prolifici e apprezzati collaboratori del bisettimanale "Marc'Aurelio". Nel 1940 iniziò una fitta attività alla radio, scrivendo scenette e rivistine, e fornì spunti e battute al comico di varietà Aldo Fabrizi, che in seguito lo introdusse nel cinema facendolo partecipare al copione di Avanti, c'è posto… (1942) di Mario Bonnard e dei film che seguirono. Inventiva e disponibilità consentirono a F. una rapida affermazione nel campo della sceneggiatura, ma la situazione bellica interruppe la sua nuova carriera. Visse il periodo dell'occupazione nazista nascosto in casa di una giovane attrice conosciuta alla radio e sposata il 30 ottobre 1943, Giulietta Masina. Dopo la liberazione di Roma, in cerca di lavoro, creò con altri disegnatori The Funny Face Shop, una catena di botteghe di caricature per militari. Qui venne a cercarlo Roberto Rossellini, bisognoso del suo intervento per convincere Fabrizi a interpretare Roma città aperta (1945). Entrato nel film come sceneggiatore, F. fu affascinato dalla travolgente personalità di Rossellini e restò al suo fianco, anche come aiuto regista, nel successivo Paisà (1946), un viaggio attraverso l'Italia vulnerata dalla guerra che lo trasformò in un cineasta a pieno tempo. Ormai sceneggiatore molto ricercato, si associò con il noto drammaturgo Tullio Pinelli in una fortunata coppia che scrisse copioni per Alberto Lattuada (Il delitto di Giovanni Episcopo, 1947; Senza pietà, 1948; Il mulino del Po, 1949), Pietro Germi (In nome della legge, 1949; Il cammino della speranza, 1950) e altri, tra i quali di nuovo Rossellini. Nell'episodio rusticano Il miracolo, in L'amore (1948), F. impersonò il finto san Giuseppe che ingravida la folle Anna Magnani; e in seguito figurò, sempre nella parte di sé stesso, in diversi film suoi e altrui (Alex in Wonderland, 1970, Il mondo di Alex, di Paul Mazurski; C'eravamo tanto amati, 1974, di Ettore Scola; Il tassinaro, 1983, di Alberto Sordi). Francesco giullare di Dio (1950) ed Europa '51 (1952) furono le ultime occasioni nelle quali lavorò per Rossellini. Fu Lattuada a farlo passare per la prima volta dietro la macchina da presa associandolo nella regia di Luci del varietà (1950), un'opera nata dalla lunga e divertita frequentazione di un ambiente in via di sparizione. Prodotto in cooperativa, e nonostante la benevola accoglienza della critica, il film ebbe un risultato commercialmente disastroso. Anche peggiore fu la sorte del successivo Lo sceicco bianco (1952) firmato dal solo F., un'insolita commedia che presentava una visione grottesca e parodistica, profondamente intrisa d'amarezza, dei fotoromanzi allora molto diffusi: in apparenza un film iscritto nel canone neorealista, alla sostanza in rottura con esso per il lampo di fantasia che pare dissolverne i contorni. Per niente scoraggiato, F. scrisse con Pinelli ed Ennio Flaiano La strada, un film su una coppia di artisti girovaghi, ma le difficoltà incontrate dal progetto (anche per l'irrinunciabile decisione di imporre come protagonista la Masina) lo indussero a girare prima, nel 1953, I vitelloni (a causa del film il termine diventò di uso comune), vicende intrecciate di un gruppo di neghittosi giovanotti di provincia. A differenza di quanto era accaduto per i titoli precedenti, ottenuto un Leone d'argento alla Mostra del cinema di Venezia del 1953, I vitelloni fu campione d'incassi e rappresentò il clamoroso lancio di Sordi, inviso fino a quel momento ai produttori. Il film non soltanto diventò un segno proverbiale per la comicità indiscutibile di alcuni suoi momenti, ma apparve come quello nel quale la sclerotizzata provincia italiana riusciva a essere rappresentata compiutamente, romanzescamente nello spettro articolato dei suoi fallimenti morali, un tema che segnò fortemente la successiva produzione felliniana. Ignorando le numerose offerte di dare un seguito a I vitelloni, F. convinse il produttore Dino De Laurentiis a mettere in cantiere La strada, con la Masina affiancata da due attori hollywoodiani, Anthony Quinn e Richard Basehart. L'intonazione onirica e la morale spiritualista del film suscitarono non poche perplessità a Venezia, dove La strada fu assunto come il contraltare di Senso (1954) di Luchino Visconti generando uno scontro di tendenze, fra cinema della fantasia e cinema dell'impegno, che proseguì per anni. Pur avendo ottenuto un altro Leone d'argento, il film stentò a farsi apprezzare in Italia; ma si riscattò a Parigi e poi negli Stati Uniti, dove il 27 marzo 1957 ottenne l'Oscar per il miglior film straniero. Nel frattempo F. aveva realizzato Il bidone (1955), un film disperato sui piccoli imbroglioni metropolitani con Broderick Crawford, che ancora a Venezia non fu capito e dopo una cattiva accoglienza della critica subì vari tagli e non trovò un pubblico. F. tornò al successo con una nuova interpretazione della Masina, Le notti di Cabiria, ritratto agrodolce di una prostituta romana ispirato a un fattaccio di cronaca, premio per la migliore attrice al Festival di Cannes del 1957 e vincitore a sorpresa del secondo Oscar consecutivo al film straniero. Dopo tali riconoscimenti, De Laurentiis sembrava ansioso di produrre il nuovo progetto di F. intitolato La dolce vita, ideato sull'esplosione della mondanità romana dell'estate 1958, da leggersi ancora una volta come momento di crisi e trapasso dalla vecchia Italia verso una difficile modernità. Ma un po' per il costo elevato e molto per timore della censura, il produttore cedette il progetto al mecenatesco Angelo Rizzoli. Per il giornalista al centro di numerosi episodi ispirati dai fotoservizi dei settimanali F. scelse Marcello Mastroianni. La lavorazione dei vari capitoli, dei quali il più clamoroso risultò il bagno notturno di Anita Ekberg vestita nella Fontana di Trevi (rievocato da Ettore Scola, presente F., in C'eravamo tanto amati, 1974), accese l'interesse dei 'paparazzi' (i fotografi d'assalto battezzati così da un personaggio di La dolce vita). Mentre l'uscita del film (febbraio 1960) fu caratterizzata da violenti attacchi della destra fascista e clericale, con ingiuste punizioni inflitte ai gesuiti illuminati che lo avevano difeso, l'affluenza del pubblico fu eccezionale: un fenomeno che attestò la voglia di cambiamento dell'Italia alle soglie degli anni Sessanta.
Dopo l'episodio Le tentazioni del dottor Antonio del film collettivo Boccaccio '70 (1962), dove F. si vendicò degli attacchi subiti mettendo in burletta un personaggio di supermoralista perseguitato dall'immagine gigantesca della Ekberg scesa da un manifesto, fu la volta di un'opera intitolata 8 ¹/² secondo una numerazione inesatta della filmografia felliniana. Sull'onda dell'interesse per C.G. Jung, e di un trattamento analitico intrapreso con E. Bernhard, F. affidò ancora una volta a Mastroianni, divenuto il suo alter ego, l'autoritratto di un regista che non riesce a iniziare un film perché sconvolto dalle emozioni del proprio passato, del presente e della fantasia. Primo premio fra accesi contrasti al Festival di Mosca del 1963, 8 ¹/² ebbe un esito straordinario in tutto il mondo e diventò il riferimento inevitabile del cinema di confessione e introspezione. Forse è il film, non solo di F., che meglio ha drammatizzato la voracità onnivora del cinema dove i limiti fra vita e prodotto sono spesso indecifrabili ma per questo sempre sul filo di sovrapporsi e confondersi. Nel 1965 F. firmò un altro film influenzato da Bernhard, che morì prima di riuscire a vederlo: Giulietta degli spiriti, profilo di una moglie borghese travolta dai sogni e dalle allucinazioni. Non fortunato al botteghino, il film segnò la definitiva rottura di F. con il produttore Rizzoli e con alcuni abituali collaboratori. Abbandonati Pinelli e Flaiano, F. si rivolse a Dino Buzzati per scrivere insieme Il viaggio di G. Mastorna detto Fernet, ispirato da un racconto pubblicato dallo scrittore nel 1938, Lo strano viaggio di Domenico Molo. Tornato alla carica De Laurentiis, durante la preparazione gli incidenti si moltiplicarono finché, con le imponenti scenografie già in piedi a Dinocittà, F. abbandonò l'impresa proprio come il regista di 8 ¹/². Ne conseguì una lite giudiziaria con il produttore, accomodata la quale intervenne una malattia che si presentò con caratteri di gravità poi smentiti dai fatti. Accantonato per scaramanzia Mastorna, di cui riprenderà temi e situazioni nei film successivi, F. diresse per il produttore Alberto Grimaldi il singolarissimo, esemplare episodio Toby Dammit del film collettivo Histoires extraordinaires o Tre passi nel delirio (1968), riuscita attualizzazione di un racconto di E.A. Poe che il protagonista Terence Stamp imita nella truccatura. Dopo aver ultimato lo special TV A director's notebook (1968), una sorta di riflessione sul mancato Mastorna, fu la volta di Fellini Satyricon (1969), reinvenzione del classico di Petronio ambientato in una romanità sconfinante nella fantascienza.
Nel 1970 F. realizzò fra Roma e Parigi un altro special TV, fra inchiesta giornalistica e divagazione poetica, dedicato a I clowns. Nella primavera 1972 uscì Roma, film rapsodico in vari capitoli girato fra numerosi intoppi, un omaggio del maestro alla sua città di adozione nutrito di ricordi e di allarmanti immagini della contemporaneità (registra anche l'ultima brevissima apparizione sullo schermo della Magnani). Tutto sul versante della memoria risultò Amarcord, considerato uno dei capolavori dell'artista, un affresco riminese degli anni Trenta animato da una folla di personaggi sottratti al macchiettismo per la forza visionaria del regista. Oscar per il miglior film straniero, rimase l'ultimo successo popolare e internazionale del cineasta. Fallito ancora una volta il tentativo di lavorare con De Laurentiis, Il Casanova di Federico Fellini (1976) passò a Grimaldi e fu realizzato in mezzo a contrasti causati dall'eccessivo dispendio della messinscena. Di questo vecchio progetto F., senza nascondere una curiosa antipatia per il personaggio (affidato a un truccatissimo Donald Sutherland), approfittò per creare una serie di quadri caratterizzati da un'originale visione del Settecento europeo ispirata a un sentimento devastante e luttuoso della vita, il rovescio dei colori teneri, quasi pastello che avevano imbevuto Amarcord. Per contrasto, il film successivo rispecchiò l'attualità dell'Italia afflitta dal terrorismo: attraverso la metafora di un'orchestra che si ribella al suo direttore, F. sembrò suggerire un urgente 'ritorno all'ordine', o, meglio, la necessità di saldi valori etici per affrontare l'urgenza di un cambiamento comunque. La tesi di Prova d'orchestra (1979) fu contestata a sinistra, ma nella sua icastica brevità il film sembrò molto riuscito. Funestato e brevemente interrotto da un tragico evento (la morte dell'attore Ettore Manni), La città delle donne (1980) risultò essere una fantasticheria che tentava di venire a patti con le istanze femministe, fin troppo piena di vivacità e colore e con Mastroianni di nuovo al centro. Nel 1983 apparve E la nave va, una fantasia pessimista su una crociera funeraria che si svolge nel 1914 fra presagi di guerra e un finale apocalittico. Il film fu interamente girato in studio secondo le preferenze dell'ultimo F. ormai lontano dalle ambientazioni neorealiste degli esordi. Avvertendo come un pericolo la proliferazione della TV commerciale (e ben presto impegnato nella battaglia contro l'interruzione dei film con gli spot pubblicitari) F. realizzò con Ginger e Fred (1986), protagonisti la Masina e Mastroianni nelle vesti di due vecchi ballerini che partecipano a uno show, una satira malinconica della società legata al degrado inarrestabile del video. Intervista (1987), nuovo autoritratto sullo sfondo della Cinecittà di ieri e di oggi, rappresentò un ulteriore successo di stima, premio del 40° anniversario del Festival di Cannes e gran premio al Festival di Mosca. Meno convinta fu l'accoglienza all'ultimo film di F., La voce della luna (1990), tratto da un romanzo di E. Cavazzoni, una sorta di invocazione al silenzio contro il frastuono della vita contemporanea. Ambientato in un contesto rurale e notturno, il film introdusse due popolari interpreti nuovi per il cinema felliniano, Roberto Benigni e Paolo Villaggio, senza peraltro ricavarne nessun vantaggio commerciale. I successivi progetti non andarono in porto, tanto che il regista si accontentò di girare per la pubblicità di un istituto bancario tre spot con Villaggio ispirati a situazioni del suo Libro dei sogni istituito su consiglio di Bernhard (aveva già realizzato in precedenza qualche altro spot fra un film e l'altro). Dopo il conferimento a Los Angeles (29 marzo 1993) dell'Oscar alla carriera, la salute già compromessa di F. peggiorò. Si spense il 31 ottobre, proprio il giorno successivo a quello in cui avrebbe dovuto festeggiare le nozze d'oro con la Masina. La sua scomparsa provocò un'immensa emozione nel mondo intero, mentre l'ultimo saluto nel Teatro 5 di Cinecittà, prima del trasferimento definitivo a Rimini, provocò un commosso pellegrinaggio spontaneo di decine di migliaia di persone. La sua visione del cinema trova testimonianza anche nelle riflessioni che F. dedica all'arte cinematografica in Fare un film (1980) e nelle trascrizioni di sue interviste, Le favole di Fellini. Diario ai microfoni della RAI, a cura di P. Del Bosco (2000).
A. Solmi, Storia di Federico Fellini, Milano 1962.
J.C. Stubbs, Federico Fellini. A guide to references and resources, Boston 1978.
T. Kezich, Fellini, Milano 1988.
Federico Fellini, a cura di L. Tornabuoni, Monza 1995 (catalogo della mostra tenuta a Roma).
T. Kezich, Fellini del giorno dopo, Rimini 1996.
P. Mazursky, Show me the magic, New York 1999.
G. Angelucci, Federico F., Cava de' Tirreni 2000.
N. Taddei, TuttoFellini: materiali di studio con la metodologia Taddei, Roma 2000.
T. Kezich, Federico Fellini, la vita e i film, Milano 2002.