FREGOSO, Federico
Nacque a Genova intorno al 1480 da Agostino - all'epoca capitano generale della Repubblica - e da Gentile, figlia naturale di Federico da Montefeltro, duca d'Urbino. Trasferitosi alla corte feltresca dopo la morte del padre (1487), insieme con la madre e il fratello Ottaviano, il F. si formò a contatto con un ricchissimo ambiente culturale.
Esordì nella reggenza del Ducato, durante la campagna militare del duca Guidubaldo da Montefeltro in appoggio a papa Giulio II, durante la quale furono spente le ultime resistenze degli eserciti fedeli a Cesare Borgia (1504-06). Poco dopo il F. fu avviato alla carriera ecclesiastica: già rettore della chiesa di S. Michele a Mantova, fu creato arcivescovo di Salerno nel maggio 1507, su pressione di Guidubaldo. Non poté però godere le entrate della diocesi per l'opposizione manifestata da Ferdinando il Cattolico, re di Napoli. Stabilitosi a Roma, il F. fece ritorno a Urbino nell'aprile 1508, quando, morto il duca, vigilò, a nome di Giulio II, sulla successione di suo nipote Francesco Maria Della Rovere, adottato da Guidubaldo.
Alle prime cure pastorali il F. alternò un'intensa attività politicomilitare: dal gennaio 1509 passò alla difesa di Bologna, minacciata dalle vicende della guerra contro Venezia; quindi, nel corso del 1510, collaborò ai falliti tentativi del fratello Ottaviano di sottrarre Genova al dominio di Luigi XII re di Francia. Tornato a Bologna e ripresi gli studi, fece condurre dai suoi vicari generali visite nella diocesi di Salerno. Infine, nella seconda metà del 1511, dopo la caduta di Bologna in mano francese, si recò a Roma, dove diede vita a una piccola corte che annoverava Pietro Bembo (che nella casa del F. intraprese le Prose della volgar lingua), Jacopo Sadoleto, in procinto di assumere incarichi in Curia, e persino, non di rado, Raffaello Sanzio.
A partire dal maggio 1512, il F., già indicato come uno dei candidati alla porpora cardinalizia, prese parte alle sessioni del V concilio Lateranense, convocato da Giulio II in risposta al concilio scismatico aperto dai cardinali francesi a Pisa e concluso dal successore, Leone X.
Un evento politico di grande portata, tuttavia, lo allontanò da Roma. Infatti, con l'appoggio militare spagnolo e il benestare del pontefice, il fratello Ottaviano era riuscito a farsi nominare doge di Genova (17 giugno 1513), cacciando gli Adorno, filofrancesi. Trasferitosi a Genova sin dall'autunno 1513, assunse incarichi di governo, dedicandosi al rafforzamento della fazione Fregoso. Quando, nel 1515, Ottaviano decise di porre la città sotto il dominio del re di Francia Francesco I, disperando di poterla difendere, il F. aderì lealmente alla svolta, ricevendo dal re di Francia cospicue pensioni (per circa 8.000 lire tornesi annue).
Il mutamento di campo genovese aveva irritato gli antichi alleati, la Spagna, il duca di Milano e Leone X. La solida posizione del F. alla corte di Roma gli permise, nondimeno, di superare l'ostilità del pontefice e gli valse, nell'estate 1516, il comando di una spedizione navale contro il pirata Cortogoli, che culminò con un'incursione contro Biserta e La Goletta.
Questa impresa accrebbe il prestigio del F. in patria, dove, come vicegovernatore, sostituì spesso Ottaviano malato. La ripresa delle lotte per il predominio in Italia, seguita all'elezione imperiale di Carlo V, diede un primo scossone alla fortuna politica dei Fregoso. Infatti, nel giugno 1521, dopo la stipulazione di una lega tra il papa e l'imperatore, gli Spagnoli tentarono di sorprendere la città dal mare. Il F. assunse il comando della flotta e, affrontati i nemici di fronte a Chiavari, li respinse. Come ritorsione però il F. perse, nell'agosto 1521, le rendite salernitane, che aveva goduto a partire dal 1513.
L'anno seguente, la battaglia della Bicocca (27 apr. 1522) permise ai vittoriosi eserciti spagnolo e imperiale, padroni di gran parte del Milanese, di stringere Genova d'assedio. Il F. richiese insistentemente a Francesco I soccorso e sostenne più volte la necessità di una difesa a oltranza. Ma il sacco imposto alla città il 30 e 31 maggio 1522 fece giustizia delle sue bellicose velleità e il F. riuscì a stento a salvarsi sulla galera di Andrea Doria, per raggiungere il territorio francese.
L'insediamento di un governo filoimperiale a Genova, con la elezione a doge di Antoniotto Adorno, penalizzava fortemente le ambizioni di Francesco I, il quale confidava di potersi servire del prestigio del F. per capovolgere la situazione. Così, alla discesa in Italia dell'esercito guidato da G. Gouffier, signore di Bonnivet, nel settembre 1523, il F. si stabilì con un forte esercito ai suoi stipendi ad Alessandria. Ma le infruttuose operazioni militari francesi non gli permisero di intervenire.
Nel 1524 Francesco I si accinse a guidare di persona la riconquista del Ducato di Milano e ordinò al F. di imbarcarsi sulla flotta al comando di Andrea Doria e Lorenzo Orsini (Renzo da Ceri), diretta contro Genova. Dimostratasi la città ben munita e fedele agli Adorno, le forze francesi si concentrarono contro Savona, presa e messa al sacco alla metà di dicembre 1524. La dura sconfitta di Pavia (24 febbr. 1525) impose però un brusco arresto ai successi dell'armata e il F. ritornò in Francia, dove prese possesso del beneficio di commendatario dell'abbazia di St-Bénigne a Digione (14 ott. 1525), conferitogli nel 1522.
L'attività del F. riprese nel giugno 1526 (dopo la conclusione della Lega di Cognac che opponeva Francia, Venezia e Papato all'imperatore), quando si imbarcò sull'armata a Marsiglia, sotto il comando di P. Navarro. Le operazioni navali dell'agosto 1526 ebbero un indubbio successo, con la resa di Savona e il blocco della Dominante. Ma il F. non ne appariva soddisfatto: emarginato dal comando, non riusciva infatti a ottenere un'azione decisiva contro gli Adorno. Né miglior esito ebbe l'inattesa presa di Genova da parte del filofrancese Cesare Fregoso (agosto 1527), cui non seguì l'insediamento della famiglia al governo, affidato da Francesco I a T. Trivulzio. Infine, la riconquista della città nel 1528, per parte imperiale, di Andrea Doria, che dichiarò il bando delle antiche fazioni, deluse definitivamente le attese del Fregoso.
Tornato in Francia, il rifiuto per la vita politica prese le forme di una vera e propria conversione religiosa. Riprese gli studi nel monastero di St-Bénigne, dedicandosi con crescente fervore all'esegesi biblica e all'approfondimento delle lingue (latina, greca, ebraica, caldaica). Ma seppe anche ben governare l'abbazia, in spiritualibus e in temporalibus.
Nel 1529, la morte della madre richiamò in Italia il F. che - trascorso qualche tempo a Pesaro presso la corte urbinate - si recò nel febbraio 1530, prima di ripartire per la Francia, a Bologna, per l'incoronazione di Carlo V. Riuscì probabilmente in questa occasione a riguadagnare le entrate relative alla diocesi salernitana. Ben più fecondo fu il soggiorno veneziano del 1531. Qui, infatti, egli entrò in contatto con figure importanti dello spiritualismo italiano del Cinquecento (G. Cortese, Gasparo Contarini, R. Pole, M. Flaminio, ma anche G.P. Carafa, il futuro, intransigente, Paolo IV). La sua fama politica non era nondimeno ancora spenta se, nell'estate 1531, fu proposto dalle autorità veneziane come mediatore tra la Repubblica e la casa d'Austria per questioni di confine.
Rientrato per un'ultima volta nell'abbazia digionese, si stabilì, intorno al 1532, in Italia. Soggiornò presso la corte pesarese di Eleonora Gonzaga, duchessa d'Urbino, rinunciando, nel febbraio 1533, all'arcivescovato di Salerno (di cui mantenne però il titolo), per assumere la guida della diocesi di Gubbio (di cui godeva le entrate già dal 1508) e la commenda del vicino monastero di Fonte Avellana. Fece quindi edificare un eremo, dedicato a S. Brigida, vicino Gubbio, e vi si ritirò, dedicandosi non solo alle cure pastorali, ma anche alla difesa della propria giurisdizione ecclesiastica.
La fama di prelato zelante conquistata dal F. ne provocò il diretto coinvolgimento nei progetti di riforma della Chiesa e della Curia romana patrocinati da Paolo III, soprattutto a partire dalla nomina di G. Contarini a cardinale (maggio 1535). Venne pertanto chiamato a Roma, nel luglio 1536, nella commissione incaricata di preparare un programma da sottoporre al futuro concilio di Mantova. Le riunioni, protrattesi per tutto l'inverno 1536-37, sfociarono nel Consilium de emendanda Ecclesia, documento dai toni aspri, che richiamava la necessità di una riforma della Curia, presentato a Paolo III il 9 marzo 1537, quando il F. aveva già lasciato Roma.
Il naufragio di progetti particolarmente cari al F. - quale aprire a Mantova o a Vicenza il concilio - determinò la scelta del ritiro nella diocesi di Gubbio. Egli si mantenne tuttavia in contatto con i maggiori esponenti del cosiddetto "evangelismo" italiano e prese posizione nel dibattito sulla giustificazione, concernente gli attributi dell'azione di Dio nei confronti dell'uomo caduto nel peccato, accentuando progressivamente, in alcuni suoi scritti, il ruolo della misericordia divina. Non rinunciò per questo a coltivare propri interessi specifici, come quello per la Kabbala ebraica, che gli attirò le critiche degli amici Cortese e Contarini. Con prudenza, però, limitava quanto più possibile la pubblicità del suo pensiero, facendo invece emergere il proprio operato pastorale. In virtù di tali meriti, e di probabili pressioni del Contarini, pervenne nel dicembre 1539 a quella elezione cardinalizia che aveva rifiutato tre anni prima, assumendo prima il titolo di S. Maria in Portico poi, il 21 maggio 1541, quello dei Ss. Giovanni e Paolo.
Il F. divenne uomo di punta del movimento "spirituale": a lui si rivolgevano Margherita Paleologa, erede del Marchesato di Monferrato e duchessa di Mantova, la duchessa d'Urbino, Eleonora Gonzaga, e Giulia Gonzaga. Su di lui, oltre che sul Contarini, si concentravano le attese di alcune frange del mondo riformato che ritenevano ancora possibile un accordo con la Sede apostolica. Il F. intensificò la sua attività: nel corso del 1540, dopo essere stato chiamato a Roma dal papa, prese parte alle riunioni della commissione di riforma dei principali uffici della Curia, mentre il suo antico corrispondente P.P. Vergerio (destinato alla fuga Oltralpe) lo teneva informato sul pessimo andamento dei colloqui di Worms tra cattolici e protestanti (iniziati a metà novembre).
La successiva Dieta di Ratisbona (primavera del 1541), nella quale intervenne come legato il Contarini per verificare le possibilità di una conciliazione, richiese l'ultimo significativo impegno politicoreligioso del Fregoso. Il Contarini era infatti riuscito a concludere con i protestanti un accordo sul tema della giustificazione, senza peraltro che ciò comportasse un significativo passo avanti sui punti dottrinali e politici più cari al pontefice. Ma il Collegio dei cardinali mostrò ben presto l'intenzione di sconfessare l'intesa e, in un generale sbandamento del fronte "spirituale", il solo F. si trovò a difendere, durante due convulse sedute del concistoro (27-28 maggio 1541), l'operato del legato. Così, dopo un aspro diverbio con il cardinale D. Laurerio, nel quale il F. intravide l'opposizione di Paolo III, prese congedo e si ritirò nella sua diocesi: sulla via del ritorno, a Orvieto, il F. compì un'ultima visita a sua cugina, Vittoria Colonna, intrattenendola sulla situazione politico-religiosa aperta dal fallimento dei colloqui ratisbonesi.
Morì poco dopo, a Gubbio, il 22 luglio 1541 e fu sepolto nel duomo. L'anno seguente vide la stampa il suo Pio e cristianissimo trattato della orazione, il quale dimostra come si debbe orare (Venezia 1542, poi 1543), nel quale, puntando a un pubblico vasto, intendeva delineare una corretta visione della preghiera, liberandola dagli eccessi superstiziosi della orazione ripetuta meccanicamente.
La posizione teologica del F., come le tesi del cosiddetto "evangelismo" italiano, non superò il vaglio dell'Inquisizione, reintrodotta nel 1542, e alcune misure post mortem furono prese contro le sue opere: il Trattato dell'oratione fu incluso nell'Indice, insieme con Della giustificatione, della fede e delle opere (stampato forse a Venezia nel 1543, poi perduto e recentemente reperito in manoscritto) e con la Prefatione del reverendiss. cardinal di Santa Chiesa m. Federico Fregoso nella Pistola di San Paolo à Romani, Venetia 1545 (riconosciuta da S. Seidel Menchi come spuria traduzione della Praefatio metodica totius scripturae in Epistolam Pauli ad Romanos, e vernacula Martini Luteri in latinum versa per Iustum Ionam, Wittenberg 1524). Il F. stesso fu dichiarato "suspectus de fide".
Opere: Oltre alle opere indicate qui sopra (eccettuata ovviamente la Prefatione), si segnalano la Parafrasi del "Pater Noster", in Parnaso italiano, XII, Venezia 1851, coll. 609-611 e le Meditazionisui Salmi 129 e 145 attribuitegli da A. Prosperi.
Fonti e Bibl.: B. Senarega, De rebus Genuensibus commentaria, a cura di E. Pandiani, in Rer. Ital. Script., 2ª ed., XXIV, ad Indicem; Monumenti di varia letteratura tratti dai manoscritti di mons. Lodovico Beccadelli, I, t. I, Bologna 1797, pp. 303, 305; t. II, ibid. 1799, pp. 97, 155 n. 53, 169, 181, 183, 185, 204, 231, 240, 291; G. Molini, Documenti di storia italiana, I, Firenze 1836, pp. 106-109, 125 s., 213-223; Regesten und Briefe des Cardinals Gasparo Contarini, a cura di Fr. Dittrich, Braunsberg 1881, ad Indicem; M. Sanuto, I diarii, V, VII, XV-XVI, XIX-XX, XXII, XXVII-XXIX, XXXI, XXXIII-XXXIV, XXXVII, XLI-XLV, Venezia 1881-96, ad Indices; Il processo inquisitoriale del cardinal Giovanni Morone, a cura di M. Firpo - D. Marcatto, I-II, Roma 1981-84, ad Indices; P. Bembo, Lettere, a cura di E. Travi, I-II, Bologna 1987-90, ad Indices; J. Dennistoun, Memoires of the dukes of Urbino, I-II, London 1851, ad Indicem; L. Chomton, Histoire de l'église de St-Bénigne de Dijon, Dijon 1900, pp. 253-259; M. Douglas, J. Sadoleto 1477-1547, Cambridge, MA, 1958, ad Indicem; G.G. Musso, La cultura genovese tra il Quattro e il Cinquecento, in Miscellanea di storia ligure, I (1958), pp. 148-153; G. Crisci, Il cammino della Chiesa salernitana nell'opera dei suoi vescovi, Napoli-Roma 1976, pp. 453-475; P. Simoncelli, Evangelismo italiano del Cinquecento, Roma 1979, ad Indicem; A. Prosperi, Libri sulla corte ed esperienze curiali nel primo '500 italiano, in La corte e il "Cortegiano", II, Un modello europeo, a cura di A. Prosperi, Roma 1980, pp. 80-82; S. Seidel Menchi, Erasmo in Italia (1520-1580), Torino 1987, ad Indicem; A. Pacini, I presupposti politici del "secolo dei Genovesi": la riforma del 1528, in Atti della Soc. ligure di storia patria, n.s., XXX (1990), ad Indicem.