HERMANIN (Hermanin di Reichenfeld), Federico
Nacque a Bari il 16 sett. 1868, da Federico Leopoldo e Camilla Marstaller, entrambi protestanti appartenenti a famiglia di origine austro-tedesca.
Il padre, ufficiale di stato maggiore e aiutante di campo onorario di Umberto I, aveva preso la propria residenza nella città pugliese dove esisteva una ricca comunità tedesca e austriaca; nonostante i successivi trasferimenti della famiglia, il legame dell'H. con questa comunità non si interruppe mai e si sarebbe poi ulteriormente rafforzato per il suo matrimonio con Margherita Hausmann, figlia del console di Danimarca a Bari.
Dopo vari spostamenti imposti dall'attività paterna, l'H. fissò la sua residenza a Roma, dove sarebbe rimasto per il resto della sua esistenza; il rapporto con la città ebbe un'importanza centrale nella maturazione dello studioso e nella definizione del suo profilo professionale come funzionario delle Belle Arti.
A Roma l'H. compì gli studi universitari con E. Monaci, titolare della cattedra di lingue e letterature neolatine, laureandosi nel 1895 con una tesi di impianto filologico sulla fortuna del poema di Tristano in Italia. Già dal 1896 si indirizzò all'approfondimento dello studio della storia dell'arte, avvicinandosi all'insegnamento di A. Venturi, che proprio quell'anno era riuscito a ottenere l'istituzione nell'ateneo romano della prima cattedra di storia dell'arte in Italia e della scuola di perfezionamento in storia dell'arte medievale e moderna, mirata alla formazione dei futuri funzionari e direttori dei musei. Alla fine del 1896, l'H. vinse il primo concorso nazionale bandito dalla scuola per una borsa di studio, pubblicando il tema di discussione (Alcune pitture giovanili di B. Peruzzi, in Arch. stor. dell'arte, II [1896], pp. 321-341).
Determinante per l'esito del concorso fu la sua formazione filologica, di stampo positivista, maturata sullo studio e la critica delle fonti, che offriva un modello applicabile anche allo studio delle opere d'arte.
Come previsto dal programma didattico della scuola, l'H. completò la sua formazione presso una struttura museale, il Gabinetto nazionale delle stampe, parte integrante della Galleria nazionale d'arte antica, istituita nel 1895 a palazzo Corsini, al cui assetto Venturi stava lavorando in qualità di direttore. L'H. ebbe l'incarico di affiancare P. Kristeller nell'opera di catalogazione e di ordinamento della raccolta di stampe e disegni. Iniziò così a lavorare nel complesso di palazzo Corsini, inizialmente come assistente straordinario e poi, dal 1898, anno del suo ingresso effettivo nell'amministrazione delle Belle Arti, come viceispettore, fino ad assumerne la direzione nel 1908.
A conclusione del suo lavoro di studio e schedatura del materiale grafico l'H. pubblicò, sull'annuario ministeriale Le Gallerie nazionali italiane, il catalogo delle incisioni antiche raffiguranti vedute di Roma (Gabinetto nazionale delle stampe in Roma. Catalogo delle incisioni con vedute romane, III [1897], pp. III-XC; Supplemento al Catalogo delle incisioni con vedute romane, IV [1899], pp. III-XLV); nel 1897 curò anche la prima mostra del Gabinetto delle stampe, in cui si presentava un'antologia di vedute romane dal XV al XVIII secolo. Il suo contributo alla diffusione della conoscenza dell'incisione non si esaurì, comunque, con questa prima esperienza, ma proseguì negli anni successivi con la promozione di un ricco calendario di mostre che si svolsero periodicamente, suscitando sempre un grande interesse di pubblico e di critica.
Avendo acquisito un'approfondita competenza nel campo della grafica, nel 1899 l'H. ricevette dal ministero della Pubblica Istruzione l'incarico di ispezionare le più importanti collezioni italiane di stampe, tra cui quelle di Napoli, Firenze, Bologna, Parma, Ravenna, Bassano (oggi Bassano del Grappa), e di riferire sul loro stato di conservazione.
Gli anni 1897-1904, che lo videro lavorare al fianco di Venturi, furono decisivi nella maturazione dell'impianto metodologico dell'H., costituendo il bagaglio fondamentale della sua futura attività nella ricerca e come direttore delle strutture museali romane. In tal senso va intesa la sua partecipazione al progetto di costituire a palazzo Corsini un grande museo che documentasse lo sviluppo della cultura artistica nazionale.
Dal 1898, l'H. aveva anche iniziato a collaborare con la rivista di Venturi, L'Arte, offrendo contributi originali, come i risultati dei suoi studi sulle miniature vaticane, e curando, fino al 1908, le recensioni bibliografiche per la rubrica "Rivista delle riviste straniere".
Dal 1901 ricevette l'incarico di svolgere letture di iconografia artistica presso l'ateneo romano, e poi dal 1902, con decreto di libera docenza, un corso nella stessa materia per la scuola di perfezionamento che tenne fino al 1904, quando chiese di non essere riconfermato nell'incarico universitario. Di fatto la sua carriera va posta in diretta relazione, più che con l'attività accademica, con l'esperienza presso l'amministrazione delle Belle Arti e nel contesto degli studi romani.
Aderendo al disegno storiografico di Venturi, che rintracciava una linea unitaria nello svolgersi della storia dell'arte italiana, l'H. andò sviluppando la sua produzione scientifica intorno al problema delle origini, secondo un impianto evoluzionista cui rimarrà fedele nella sostanza anche successivamente.
Il risultato più significativo di questa stagione di studi lo ottenne nell'ottobre 1900, nel corso di sopralluoghi condotti nella basilica romana di S. Cecilia in Trastevere, con la scoperta del grande affresco duecentesco del Giudizio universale che l'H. attribuì da subito al pittore romano P. Cavallini.
Si trattò di un ritrovamento importantissimo che diede il via a un'ampia letteratura, a partire dagli studi dello stesso H., e a una generale ripresa di attenzione sulla decorazione della chiesa e sull'arte del Cavallini. Dal saggio del 1900, che è sostanzialmente la relazione della scoperta (Un affresco di P. Cavallini a S. Cecilia in Trastevere, in Arch. della R. Società romana di storia patria, XXIII, pp. 397-410), a quello del 1901 (Nuovi affreschi di P. Cavallini a S. Cecilia in Trastevere, in L'Arte, IV, pp. 239-244), in cui metteva a fuoco i primi giudizi critici sul maestro romano rilevandone la raffinatezza cromatica e l'alta qualità della pittura, sino allo studio più articolato del 1902, pubblicato, sotto l'egida di Venturi, in Le Gallerie nazionali italiane (Gli affreschi di P. Cavallini a S. Cecilia in Trastevere, V, pp. 61-115), l'H. tracciò un quadro del lavoro del maestro romano, ricostruendone il percorso artistico, all'interno del quale il ciclo del Giudizio universale veniva valutato come un assoluto capolavoro e una fra le opere fondamentali per chiarire i caratteri dell'arte romana della fine del Duecento.
Per la sua ricostruzione storica l'H. aveva intrapreso una serie di ricerche sul campo, condotte nel corso del 1901 per conto del ministero, a Napoli, Assisi e Firenze, che avevano lo scopo di definire il catalogo delle opere dell'artista, approfondendo la complessa vicenda costituita dall'ambiente cavalliniano e dai suoi seguaci, soprattutto in rapporto alle novità del grande cantiere assisiate. È qui, insomma, la radice di uno dei misteri critici più dibattuti nella storia dell'arte, ovvero la diatriba Assisi-Roma e il rapporto Giotto-Cavallini nella nascita della pittura moderna italiana.
L'H. tornerà ancora nel 1924 a sviluppare questi concetti intorno all'arte del pittore in un articolo che già dal titolo Il maestro di Giotto (in Almanacco di Roma, Spoleto 1923) dichiarava la sua posizione critica. A questo studio seguirono altri cenni, come la comunicazione al I Congresso di studi romani, nel 1928 (P. Cavallini e Arnolfo di Cambio a S. Cecilia in Trastevere, in Atti del I Congresso nazionale di studi romani… 1928, Roma 1929, pp. 569-574), interessante soprattutto perché lo studioso arricchiva le sue riflessioni sul pittore alla luce del rapporto con Arnolfo di Cambio, sottolineando l'apporto di Arnolfo nell'organizzazione compositiva della pittura di Cavallini.
Tuttavia è da rilevare che, nonostante i clamori della scoperta, l'H. non riuscì a ricevere un pieno riconoscimento scientifico che avesse al centro l'oggetto del suo tema, e il suo progetto di un libro sul secolo d'oro della pittura medievale, concepito già nei primi anni del secolo, dovette attendere fino al 1935, quando, in un clima culturale profondamente mutato, ebbe l'incarico da parte dell'Istituto nazionale di studi romani di scrivere L'arte a Roma dall'VIII al XIV secolo, edito infine solo nel 1945 (Bologna).
Il riconoscimento da parte dell'H. della centralità di Roma, pur rientrando nel più ampio progetto di recupero storico dell'arte medievale in funzione della costruzione di un'idea di Roma come capitale di uno Stato moderno, mantenne sempre, anche negli anni del regime fascista, un intendimento di natura scientifica, come dimostra l'esperienza della rivista Roma, da lui fondata nel 1923, e affidata già nel 1925 alla direzione di C. Galassi Paluzzi che ne fece l'organo dell'Istituto nazionale di studi romani. A questo orientamento di studio si collega la partecipazione attiva dell'H. alla Società filologica romana dalla fondazione, nel 1901, e, dal 1905, alla Società romana di storia patria, cui fu introdotto da Monaci che ne era presidente.
Partendo dalla centralità del ruolo di Roma nella creazione del linguaggio artistico moderno, l'H. aveva poi allargato l'analisi alla provincia romana e a tutto il territorio del Lazio, setacciato nelle sue escursioni di studio alla ricerca di opere d'arte medievali e del primo Rinascimento, tentando, secondo un'impostazione articolata in partizioni di geografia artistica, di definire i confini della scuola romana nel passaggio tra Medioevo e Rinascimento, e di ricostruire i tasselli di una storia segnata da profondi cambiamenti politici e dalla molteplicità di intrecci e influssi culturali.
Nel 1904, per iniziativa del ministero e con il sostegno attivo del direttore generale delle Antichità e Belle Arti, C. Fiorilli, l'H. fu incaricato - insieme con G. Giovannoni, P. Egidi, e V. Federici - dello studio monografico sui monasteri di Subiaco; l'H. ne descrisse la vicenda pittorica, raccogliendo materiale prezioso per l'ampliamento delle conoscenze di territori allora quasi inesplorati (Le pitture dei monasteri sublacensi, in I monasteri di Subiaco, Roma 1904, I, pp. 405-531).
La storia di Roma, dall'età medievale a quella contemporanea, rimase comunque costantemente al centro dell'attività di tutela e di ricerca dell'H., dai suoi studi sul Medioevo, a quelli sulla grafica rinascimentale e barocca di tema romano, agli studi monografici su Piranesi (G. Piranesi, Roma 1923), estendendosi anche alla produzione artistica contemporanea, dal sostegno a E. Roesler Franz, suo caro amico, all'interesse per la produzione dei XXV della Campagna romana, ad altre iniziative, quali la fondazione nel 1921 del Gruppo romano incisori artisti, di cui l'H. fu il punto di riferimento critico.
Il periodo che va dal 1904 al 1913 è segnato, per l'H., da una intensa attività di lavoro come funzionario delle Belle Arti, ma anche dal distacco dal suo maestro Venturi. Nel 1904, infatti, Venturi si ritirò dalla direzione della Galleria nazionale di palazzo Corsini, e l'H., che quell'anno aveva vinto per concorso il posto di direttore al Museo artistico-industriale di Roma, vi rinunciò per assumere, in qualità di viceispettore, la direzione della Galleria nazionale d'arte antica e del Gabinetto nazionale delle stampe.
Il dissenso rispetto agli orientamenti del maestro doveva esplicitarsi in occasione della sistemazione del gruppo di Ercole e Lica di A. Canova, e non può essere disgiunto dall'appoggio che il nuovo direttore generale, C. Ricci, diede ai progetti dell'H., di cui fu, per tutta la sua carriera, il principale interlocutore.
Infine, nell'ottobre 1908 l'H. venne nominato direttore della Galleria nazionale; rispetto alla precedente direzione introdusse nel percorso espositivo alcuni elementi di novità, che possono essere misurati nella sua politica degli acquisti.
Contrariamente agli indirizzi di Venturi, volti a completare la serie storica colmando le lacune presenti con opere del Rinascimento, l'H. si impegnò soprattutto in un campagna di acquisti di dipinti del Sei e Settecento, tentando così di salvare dalla dispersione il patrimonio artistico di secoli allora molto trascurati, e accogliendo, per converso, le proposte della critica più moderna, a partire dagli studi sul Seicento del giovane R. Longhi. In questo contesto è da ricordare che fu l'H. a ottenere in dono per la Galleria, nel 1914, il Narciso di Caravaggio. In quell'occasione organizzò anche una piccola mostra di dipinti di ambito caravaggesco.
L'H. diede anche un contributo importante allo sviluppo del Gabinetto delle stampe come struttura specializzata per la conservazione e lo studio della grafica.
Gli anni della sua direzione, dal 1904 al 1933, videro un incremento notevole del patrimonio grafico, la sistemazione in locali più adeguati e la conservazione delle opere secondo metodologie moderne. Inoltre, anche grazie alla sua conoscenza del mondo del collezionismo, l'H. si impegnò attivamente proponendo anche qui nuove linee programmatiche, come l'acquisto di disegni architettonici e di progetti per scenografie, il nucleo di disegni caricaturali di P.L. Ghezzi, e l'avvio di una politica di apertura dell'istituto all'arte contemporanea (per es. con l'acquisto di alcune opere grafiche di G. Fattori).
Inoltre, il suo forte interesse per la storia di Roma lo guidò nell'acquisto di opere grafiche raffiguranti paesaggi e vedute della città e immagini della Roma sparita. Questo suo particolare interesse per i documenti della vita della città anticipava l'idea di un museo topografico di Roma che l'H. tentò di realizzare negli anni successivi. Sul fronte storiografico, la stessa impostazione presiedette alla redazione del volume sulla storia dell'incisione, incentrato sulla documentazione de La vita nelle vecchie stampe italiane (Spoleto 1928).
A partire dal 1907, l'H. pubblicò, specialmente sul Bollettino d'arte, numerosi studi e rendiconti su dipinti e stampe che aveva acquistato in quegli anni per conto della direzione delle Belle Arti. Nel frattempo il suo interesse si era andato orientando verso nuovi incarichi, che avrebbero spostato altrove il centro della sua sperimentazione museografica.
Nel 1908 l'H. diresse provvisoriamente il Museo nazionale romano e la Galleria Borghese, e nel 1910 assunse, per un anno, la direzione della soprintendenza alle Gallerie e Musei della Toscana, occupandosi in particolare di avviare i restauri di alcuni dipinti della Galleria degli Uffizi e del riordinamento dei depositi della stessa Galleria. Nel contempo, l'H. diresse anche numerosi restauri di monumenti e opere d'arte del Lazio, come quello degli affreschi medievali dell'abside di S. Silvestro a Tivoli (1913), e, sempre a Tivoli, quello del gruppo ligneo della Deposizione (1921).
Il 30 dic. 1913 l'H. fu nominato soprintendente alle Gallerie e ai Musei del Lazio e degli Abruzzi. Tale incarico aprì una nuova fase della sua carriera che si chiuse nel 1938, anno del pensionamento, anche se continuò ad avere incarichi ufficiali fino al 1945.
Il primo impegno in cui si trovò coinvolto fu la partecipazione ai lavori di recupero e restauro del patrimonio artistico travolto dal terremoto della Marsica, nel 1915. L'H. si recò sui luoghi della catastrofe, salvando le opere d'arte mobili da furti, dispersioni, distruzioni; la strada scelta dalla soprintendenza per la conservazione delle opere salvate fu quella di trasferirle a Roma, dove vennero esposte nel Museo di Palazzo di Venezia.
La chiave per seguire l'indirizzo museografico dell'H. e la sua politica di soprintendente è costituita proprio dai lavori di allestimento museale e di restauro di Palazzo di Venezia, da lui diretti a partire dal 1916. I primi progetti esecutivi per il palazzo - destinato a sede del Museo del Medioevo e del Rinascimento di Roma - si fondavano su idee e proposte che l'H. aveva già avanzato nel 1906, in occasione del dibattito per l'istituzione del Museo di Castel Sant'Angelo, e poi nel 1911, nell'ambito delle mostre retrospettive organizzate, sempre a Castel Sant'Angelo, per celebrare il cinquantenario dell'Unità d'Italia, cui l'H. partecipò attivamente come membro del comitato esecutivo.
In questi interventi, apparsi entrambi nella Nuova Antologia (Il Museo romano del Medio Evo e del Rinascimento a Castel Sant'Angelo, 16 ott. 1906, pp. 585-588; Le mostre retrospettive in Castel Sant'Angelo, 1° apr. 1911, pp. 533-541), l'H. aveva lanciato un vero e proprio appello per la realizzazione di un progetto organico di Museo storico nazionale, che partisse dal Medioevo per giungere fino al Risorgimento. La sua idea era quella di dare alla capitale un museo in cui accanto a quadri e sculture avrebbero trovato posto anche opere d'arte cosiddette minori (ceramiche, bronzetti, vetri, avori, tessuti, armi, strumenti musicali) per mostrare quell'armoniosa unità delle arti che, secondo l'H., legava tra loro le opere dei grandi maestri e quelle dei minori di una stessa epoca. Un progetto che si poneva come alternativa al museo positivista, il cui ordinamento per epoche e scuole, secondo l'H., appariva talvolta monotono e freddo per i visitatori non esperti. Il museo doveva invece essere un luogo evocativo, in cui gli ambienti diventassero veri e propri quadri dei tempi passati.
Divenuto il Palazzo di Venezia la sede prescelta per ospitare il Museo del Medioevo e del Rinascimento, la realizzazione dell'allestimento fu tuttavia segnata da difficoltà che ne avrebbero condizionato la realizzazione in modo irreversibile; di fatto dall'inizio dei lavori all'effettiva realizzazione trascorsero quasi vent'anni. Il primo progetto, elaborato dall'H. insieme con Ricci nel 1917, era molto ambizioso e intendeva dare un assetto definitivo al sistema museale romano, che in quegli anni vedeva intere collezioni spostate di continuo da un istituto all'altro, prevedendo un Museo del Medioevo e della Rinascenza, una Galleria di pitture delle antiche scuole italiane, un Museo storico-topografico di Roma e un Gabinetto numismatico. Nel 1921, grazie all'appoggio di B. Croce, allora ministro della Pubblica Istruzione, l'H., ancor prima che il restauro dei saloni monumentali del palazzo fosse stato compiuto, riuscì ad aprire il Museo in poche sale, dove espose soprattutto opere d'arte medievali e rinascimentali, che provenivano da importanti raccolte d'arte.
L'avvento al potere del fascismo mutò definitivamente il destino di Palazzo di Venezia, cui venne assegnata la funzione di sede di rappresentanza del governo. Nel 1924, istituito il comitato per l'esecuzione dei lavori del Palazzo di Venezia, l'H. ne fece parte in qualità di direttore dei lavori artistici; i primi interventi di cui si occupò riguardarono il restauro e la decorazione dei grandi saloni di rappresentanza, la sala del Mappamondo e la sala Regia, dove egli aveva scoperto tracce delle decorazioni pittoriche originarie, attribuendole rispettivamente a Mantegna e a Bramante. Il restauro degli affreschi delle sale fu da lui condotto secondo una concezione che lo spinse a un'opera di ricostruzione "neorinascimentale", estesa anche agli oggetti di arredo moderni scelti per la decorazione delle sale. I lavori del Museo, riguardanti più di trenta sale, furono completati nel 1936: l'H. "allestì" dipinti e sculture lignee, insieme con mobili, ceramiche, vetri, bronzetti, terrecotte, avori, secondo un gusto culturale storicistico, che faceva riferimento alla tipologia dei musei di ambientazione; l'approccio scenografico dell'H. si risolse così in una singolare messa "in scena" del Rinascimento nelle sale del Palazzo di Venezia. Il Museo, pur nel suo allestimento esteso a gran parte del palazzo, non fu comunque aperto al pubblico. Nel 1936 l'H. ricevette dal comitato l'incarico di preparare un volume sul Palazzo di Venezia, incentrato sulle vicende storiche e artistiche e sulle collezioni che l'H. vi aveva raccolto. Lo scoppio della guerra e la caduta del regime rimandarono la pubblicazione del lavoro di oltre un decennio (Roma 1948).
Gli anni della soprintendenza videro inoltre l'H. impegnato in molteplici iniziative, come la direzione dei restauri della villa Farnesina, eseguiti nel 1930 in vista della destinazione del complesso a sede dell'Accademia d'Italia. Sul fronte dei contributi scientifici, gli anni Venti e Trenta sono segnati da un impegno discontinuo.
Monografie riccamente illustrate, come lo studio su La Farnesina (Bergamo 1927), quello sul Mito di Giorgione (Spoleto 1933), e quello sull'Appartamento Borgia in Vaticano (Roma 1934), hanno vesti tipografiche eleganti cui corrisponde una prosa divulgativa e piacevole, che tuttavia non offre contributi scientifici innovativi. Di maggior impegno scientifico sono invece i due volumi sull'attività degli Artisti italiani in Germania (I, Gli architetti, Roma s.d. [ma 1933]; II, Gli scultori, gli stuccatori, i ceramisti, ibid. s.d. [ma 1934]), per la collana "L'opera del genio italiano all'Estero" promossa dal ministero degli Affari esteri.
L'H. morì a Roma il 29 giugno 1953.
Dell'H. oltre alle opere citate nel testo si ricordano ancora: La Galleria nazionale d'arte antica a palazzo Corsini, Roma 1910; Laleggendadi Costantino imperatore nella chiesa di S. Silvestro a Tivoli, in Nuovo Bull. di archeologia cristiana, XIX (1913), pp. 181-203; Gli oggetti d'arte nelle regioni colpite dal terremoto, in Boll. d'arte, IX (1915), pp. 42-50; La Deposizione di Tivoli, in Dedalo, II (1921), 1, pp. 79-89; Catalogo della R. Galleria d'arte antica nel palazzo Corsini in Roma, Roma-Bologna 1924; Palazzo Venezia. Museo e grandi sale, Bologna 1925.
Fonti e Bibl.: Per una bibliografia completa sull'H., si vedano: Roma, Arch. centrale dello Stato, Ministero della Pubblica Istruzione, Direzione generale Antichità e Belle Arti, div. I, Personale cessato al 1956, b. 203, Hermanin; Famiglia Hermanin, Memoria autobiografica di Federico Hermanin (1943). Ancora: C. Guglielmi, Appunti per una storia della criticasugli affreschi cavalliniani di S. Cecilia in Trastevere e di S. Giorgio in Velabro, in Restauri agli affreschi del Cavallini a Roma, Roma 1987, pp. 73-104; Il Gabinetto nazionale delle stampe. Storia e collezioni 1895-1975, a cura di G. Mariani, Roma 2001, pp. 13-64, 107-119; S. Rolfi, Appunti dall'archivio di un funzionario delle Belle Arti: F. H. da Cavallini a Caravaggio, in Boll. d'arte, s. 6, LXXXV (2000), 114, pp. 1-28; P. Nicita, Il museo negato. Palazzo Venezia 1916-1930, ibid., pp. 29-72; Id., Nazione e museo: il cantiere del Palazzo di Venezia in Roma 1916-1936, in Museografia italiana negli anni Venti: il museo di ambientazione, Atti del Convegno… 2001, a cura di F. Lanza, Feltre 2003, pp. 161-188.