FEDERICO IV (III) d'Aragona, re di Sicilia (Trinacria), detto il Semplice
Nacque a Catania da Elisabetta di Carinzia il 4 dic. 1342, dopo la morte del padre Pietro II, re di Sicilia. Nel luglio 1355, poiché il cugino Federico d'Aragona era stato contagiato mortalmente dalla peste, fuggì da Catania, insieme con il fratello Ludovico, re di Sicilia. A Mascali fu preso dalle febbri. Proseguì ugualmente fino a Messina, dove la sua guarigione assicurò continuità alla dinastia. Il 16 ottobre infatti Ludovico morì.
Il 22 nov. 1355 a Messina ricevette l'omaggio e il giuramento di fedeltà da un'assemblea di baroni e sindaci. Essendo minore d'età e privo di tutore, fu nominata come sua vicaria la sorella Eufemia, con un patto che ne limitava i poteri. L'autorità regia non solo era ormai pesantemente condizionata dal baronaggio, ma non si estendeva più a tutta la Sicilia, perché nei territori controllati dai Chiaramonte era riconosciuta come regina Giovanna I d'Angiò. L'incoronazione, prevista forse per il Natale, fu poi rinviata, inizialmente alla Pentecoste (12 giugno) del 1356, anche nella speranza che potesse tenersi, secondo la tradizione, a Palermo, che sfuggiva al controllo regio.
Tra i primi atti di governo di F. IV fu l'integrazione nel Consiglio reale di alcuni nobili assenti a Messina e l'invito ad altre universitates locali a prestare il giuramento di fedeltà, come di fatto avvenne tra la fine del 1355 e l'inizio del 1356. La posizione di F. IV rimase comunque precaria, tanto da indurlo a intitolarsi soltanto "Fridericus infans Dei gracia legitimus Regni Siciliae dominus", con richiamo alla qualifica di signore assunta dall'avo Federico III, prima del titolo regio. Per diritto di successione assunse inoltre il titolo di duca d'Atene e Neopatria. Nel dicembre 1355 delegò ad Artale d'Alagona, in guerra con i Chiaramonte, i tentativi di conciliazione già avviati con essi, affiancandogli poi Enrico Rosso. Cercò pure di eliminare le rivalità tra i baroni fedeli; fece infatti restituire a Guglielmo Ventimiglia il castello di Cristia (gennaio 1356) e concesse in cambio quello di Giuliana, tenuto dal Ventimiglia, a Guglielmo Peralta. Si preoccupava inoltre di ristabilire l'ordine a Patti, dove in dicembre seguaci del Rosso avevano scacciato Bonifacio d'Aragona. A motivo della guerra, l'Alagona si rifiutava però di versare gli introiti delle secrezie di Paternò, Mineo e altre terre e i proventi dell'episcopato vacante di Catania.
I primi progetti matrimoniali si riallacciarono alle trattative avviate per Ludovico. Le candidate erano una figlia di Matteo Visconti, e Margherita, secondogenita del duca Luigi di Durazzo. Quest'ultimo offriva alleanza contro Giovanna d'Angiò e Luigi di Taranto, ma l'Erario siciliano non era in grado di sostenere l'armamento di sei galee da impiegare nella guerra in Calabria. Con la morte di Ludovico erano rimaste in sospeso anche le trattative con la Curia avignonese, condotte da Pietro IV, re d'Aragona, e dalla regina Eleonora, sorella di F. IV, che richiedevano il pagamento ad Innocenzo VI e al Collegio cardinalizio di 14.000 fiorini. Precaria era la situazione del Ducato di Atene e Neopatria, dove l'autorità di F. IV non riusciva a farsi valere, mentre le universitates locali chiedevano un vicario di sangue reale.
A fine febbraio 1356 F. IV progettò di lasciare Messina, divenuta insicura. Il gran senescalco napoletano Niccolò Acciaiuoli era entrato nel porto con quattro galee. Si temevano inoltre disordini contro Enrico Rosso, che la governava. La scelta della nuova residenza determinò gravi contrasti e la rottura dei patti tra il baronaggio fedele. Artale d'Alagona, gran giustiziere, voleva che il re si stabilisse a Catania, da lui dominata. Enrico Rosso, cancelliere, e Francesco Ventimiglia, gran camerario, volevano invece che andasse a Randazzo. La vicaria Eufemia pare fosse d'accordo con loro. Colloqui e accordi segreti precedettero la partenza. Forse per evitare le reazioni dei Messinesi, fu annunciato che il re andava a Randazzo, dove progettava di riunire una nuova assemblea di baroni e sperava di concludere la pace con i Chiaramonte. Il 18 marzo F. IV giunse con Eufemia a Taormina. L'Alagona però impose il trasferimento del re a Catania, dove entrò il 22 sera. F. IV rimase così nelle mani della sola parzialità catalana, separato dalla vicaria, privo di Cancelleria, isolato da quella parte del baronaggio "latino" che gli era fedele. Il Rosso e il Ventimiglia furono accusati di tradimento dei patti con l'Alagona, di congiura, di collusione coi Chiaramonte. Eufemia che si era unita al Rosso e al Ventimiglia, fu accusata di partecipazione al complotto. F. IV convalidò la versione alagonese, secondo la quale l'andata a Catania era stata necessaria, perché richiesta dai Chiaramonte per concludere la pace. Il trasferimento pose gravi problemi di legittimità per gli atti di governo. F. IV chiese al Rosso di spedirgli sigilli e registri e qualcuno che reggesse l'ufficio al suo posto, ma i registri rimasero a Messina. Invano chiamò accanto a sé la vicaria, ritenendola poi trattenuta con la forza. Intanto, già il 23 marzo, certo per ispirazione dell'Alagona, ne dichiarò sospesi i poteri, perché lontana da lui. L'11 aprile fu costretto a rinnovare la disposizione, con maggiori motivazioni, giacché Eufemia non solo continuava ad emanare provvedimenti, usando il sigillo regio, ma sobillava anche alla sedizione.
A Catania F. IV trovò gli ambasciatori di Pietro ed Eleonora d'Aragona, che gli proposero subito il matrimonio, progettato già per Ludovico, con Costanza, figlia di primo letto di Pietro IV, il quale aveva già chiesto ad Innocenzo VI sia la dispensa canonica, sia la conferma del Regno per il futuro genero. L'allontanamento della vicaria (alla quale era proposto un matrimonio in Francia), il trasferimento di F. IV sotto la protezione del baronaggio catalano e il suo matrimonio con la principessa aragonese rientravano nell'obiettivo (al quale l'Alagona dava sostegno e s'opponeva la parzialità latina) di evitare l'uscita dell'isola dall'orbita della Corona d'Aragona. Il contratto matrimoniale fu concluso per procura a Perpignano il 21 sett. 1356, ma l'arrivo della sposa, previsto entro maggio dell'anno successivo con quaranta galee, non avvenne per l'inizio della guerra decennale tra Aragona e Castiglia.
Respinte a fine maggio le richieste del Rosso e del Ventimiglia, che volevano fosse riaffidata loro, fino al compimento della maggiore età, la persona del re, e tolte ai nemici Messina e la Piana di Milazzo, l'Alagona riuscì a fine luglio a condurre a Catania Eufemia, la quale riprese subito ad esercitare accanto a F. IV le funzioni vicariali. Mentre anche Francesco Ventimiglia, alla fine di settembre, si riappacificava con l'Alagona, i Chiaramonte, ai quali si era unito Enrico Rosso, dopo avere preso Piazza e Motta Sant'Anastasia, nella seconda metà di novembre entrarono a Messina. In seguito i reali napoletani, passato lo Stretto, ricevettero per il Natale del 1356 l'omaggio dei sudditi siciliani. La misteriosa morte di Simone Chiaramonte (il cui progetto di matrimonio con Bianca d'Aragona, una sorella di F. IV catturata a Messina, poteva avere risvolti pericolosi, non solo per i sovrani angioini, ma per F. IV stesso), incrinando le relazioni tra Angioini e Chiaramontani, segnò in marzo una prima svolta della situazione.
Ai primi di maggio del 1357 la conquista angioina di Aci mise pero in pericolo Catania e scosse gravemente F. IV, il quale fu soccorso dal Ventimiglia, avvertito a Nicosia personalmente da Eufemia. Per riparare alle ristrettezze finanziarie, il re, con la garanzia dell'Alagona, impegnò parte della corona. La vittoria ottenuta da F. IV il 27 maggio ad Aci indusse Enrico Rosso alla riappacificazione, dopo un incontro a Taormina cui parteciparono Eufemia e Artale d'Alagona. La rinnovata adesione baronale consentì a F. IV di assumere il titolo di re di Sicilia. Si pose però nuovamente il problema della residenza, perché si levarono proteste contro la permanenza di F. IV a Catania, interrotta solo da brevi viaggi, contrariamente alla tradizione, giacché determinava un eccesso di potere per l'Alagona, accusato di trattenerlo contro la sua volontà. Per evitare nuovi dissidi, ai primi di luglio F. IV fu lasciato partire con la vicaria, per andare presso i Ventimiglia, prima a Gagliano, poi a Polizzi.
Si riaprì anche la questione dei matrimonio con Costanza e dei legami con l'Aragona. In cambio di aiuti militari e sostegno diplomatico presso la Curia pontificia, Eleonora pretendeva che F. IV le donasse sia il Regno di Sicilia, sia il Ducato di Atene e Neopatria, nonché i diritti sull'isola di Gerba e quelli sull'eredità materna in Carinzia, riservandosi la facoltà di cederli ad uno dei figli, nel caso che F. IV morisse senza discendenti legittimi. Secondo alcune voci, diffuse negli ambienti angioini e avignonesi, ma smentite in quelli aragonesi, il re non godeva infatti di buona salute fisica e mentale, anzi avrebbe sofferto di una malattia incurabile. Eleonora chiese inoltre che baroni e universitates prestassero intanto omaggio e fedeltà a lei o al figlio, come re di Sicilia.
D'accordo con i baroni, F. IV accettò le richieste aragonesi, in considerazione della guerra, della ribellione e dell'incognita della sua successione (per la mancanza non solo di discendenti, ma anche di collaterali legittimi di sesso maschile, e perché in base al testamento di Federico 111 in tale caso la successione sarebbe toccata al re d'Aragona), ma pose come condizione che i soccorsi militari fossero inviati sollecitamente e che Costanza giungesse in - Sicilia entro febbraio. Per il caso che si fosse realizzata l'unione con l'Aragona, furono poste una serie di condizioni a garanzia dei baroni. A fine settembre 1357, con il ritiro delle truppe angioine determinato dalla ribellione dei Durazzo, l'invasione napoletana ebbe fine. Continuò però la ribellione di Manfredi Chiaramonte, nonostante la tregua con l'Alagona in Val di Noto a metà novembre. Da Polizzi F. IV si muoveva per le Madonie, soggiornando a Gangi e a Castelbuono, scendendo fino a Termini e Cefalù, spingendosi nei territori a lui fedeli fino a Castrogiovanni (Enna) ed Agira. Mentre si moltiplicavano le iniziative per riprendere i territori ancora ribelli, Eleonora, fallita la pacificazione con la Castiglia, chiedeva al sultano del Marocco aiuti militari per la Sicilia.
All'inizio del 1358 la situazione era migliorata, se F. IV sollecitava l'Alagona e gli altri baroni a rompere ogni tregua e riprendere la guerra con i Chiaramonte. Il miglioramento era rappresentato simbolicamente dal riscatto della corona, ad opera del Ventimiglia. A gennaio anche Artale d'Alagona era accanto al re a Cefalù, insieme con la vicaria e con Francesco Ventimiglia. Mentre le speranze si nutrivano della falsa notizia della morte di Giovanna d'Angiò, fu recuperata Mazara. Furono inviati ambasciatori a Genova, per sventare un'alleanza del Comune coi Chiaramonte. F. IV dette ampi poteri all'Alagona, che in aprile riprese le ostilità in Val di Noto, assediando Lentini, Vizzini e Avola e occupando Caltagirone e Piazza. I soccorsi ricevuti da Napoli permisero a Marifredi Chiaramonte di arrivare fin sotto le mura di Catania. F. IV ordinava intanto la demolizione di tutte le fortificazioni recenti in prossimità di luoghi abitati. Dopo essere stato a Castrogiovanni, nell'estate del 1358, sempre con la vicaria e il Ventimiglia, alla volontà del quale era accusato di soggiacere, andò all'assedio di Corleone, dove concluse una tregua con Federico Chiaramonte, a decorrere dal 10 ottobre. Tornato a Polizzi, ebbe un nuovo incontro con Artale d'Alagona.
Dopo la morte della vicaria Eufernia (21 febbr. 1359) F. IV passò ufficialmente "sub baliatu atque gubernatione" di Francesco Ventimiglia. Lo seguì in Val di Mazara, dove furono occupate Salemi, Alcamo e Castellammare. Ai primi di giugno arrivarono dinanzi alle mura di Palermo. Conclusa una tregua fino a settembre con Federico Chiaramonte, a luglio erano a Trapani, dove F. IV estese il potere dei Ventimiglia, prima del ritorno a Polizzi. Alla ripresa delle ostilità, nell'aprile 1360 tornò davanti a Palermo, sperando inutilmente di procurarvi una ribellione. I baroni della parzialità catalana, riuniti a Siracusa, attorno ad Artale d'Alagona e ad Orlando d'Aragona, zio del re, lamentavano intanto che il baliato del Ventimiglia si fosse trasformato in una detenzione. Temendo anche che Francesco Ventimiglia convincesse F. IV a sposare la bella figlia del duca di Durazzo, verso i primi di dicembre del 1360 decisero di rivolgersi a Pietro IV d'Aragona perché si realizzasse il matrimonio con Costanza. Contemporaneamente F. IV emanava da Polizzi un provvedimento per facilitare il pentimento o l'esilio dei ribelli.
Raccolta anche una parte del baronaggio latino, il 14 novembre l'Alagona si presentò con un forte esercito a Gagliano, al colloquio che avrebbe dovuto avere da solo col Ventimiglia. Dopo un incontro segreto, nel quale spiegò i motivi, non propalabili, che determinavano l'"inattitudine" di F. IV a una partenza immediata, Francesco Ventimiglia giurò nelle mani dell'Alagona che per la festa di s. Agata (5 febbraio) avrebbe condotto a Catania il re, giunto ormai al compimento della maggiore età. L'Alagona otteneva intanto un importante successo sui Chiaramonte: dopo un lungo assedio, a fine dicembre del 1360 cadde Lentini.
Il 9 genn. 1361 dopo la missione di Orlando d'Aragona presso Pietro IV, Costanza d'Aragona giunse nelle acque di Trapani, ma Guido Ventimiglia le impedì di entrare nella città. Intanto Francesco Ventimiglia, all'insaputa dell'Alagona, si riappacificava e si alleava con Federico Chiaramonte. Nella prima metà del 1361 restavano quindi ribelli all'autorità, seppur nominale, di F. IV soltanto Messina, dove trovò riparo Manfredi Chiaramonte, con Milazzo e le Eolie. Ad opera dell'Alagona caddero infatti anche Scicli ed Eraclea (Gela). Andato ad incontrare Costanza a Trapani, F. IV neppure la vide, pare perché impedito o influenzato dal Ventimiglia; rifiutò addirittura il matrimonio, rispolverando, con sentimenti anticatalani, il progetto di unione con i Durazzo. Era forse soltanto uno stratagemma per non insospettire il balio, alla cui vigilanza aveva deciso di sottrarsi. Tornato a Cefalù, ricevette le minacciose rimostranze dell'ambasciatore aragonese, al quale pare svelasse segretamente i suoi piani. Il 14 febbr. 1361 fuggì a Mistretta, feudo di Artale d'Alagona; dove giunse "ilare, ma sfinito". Il Ventimiglia, rassegnato, gli rimise l'amministrazione della Camera. Il 26 fu raggiunto dall'Alagona. Insieme, attraverso Asaro e Paternò, il 10 marzo arrivarono a Mineo, dove li attendeva Costanza, e subito il vescovo di Catania, Marziale, celebrò gli sponsali. Entrato il 5 marzo in città, F. IV convocò a Catania tutti i baroni per la Pasqua (28 marzo), per la solenne celebrazione delle nozze e forse per un'assemblea o un parlamento. L'assenza del Ventimiglia e di Federico Chiaramonte determinò pero un rinvio delle nozze, celebrate il 15 aprile nella cattedrale di Catania, dopo l'assegnazione a Costanza di Trapani e Monte San Giuliano (Erice).
Le galee catalane che avevano accompagnato la regina, dopo un tentativo di prendere Messina e una scorreria nelle Eolie, lasciarono Catania, perché F. IV non era in grado di pagarne gli stipendi. Con i buoni uffici di Enrico Rosso, dopo un incontro a Paternò a fine maggio e altri due l'8 e il 14 giugno a Motta Sant'Anastasia, si riconciliò col Ventimiglia e col Chiaramonte. Facendo affidamento sul patto concluso, il 15 settembre partì per Palermo, per farsi incoronare. Glielo impedì Francesco Ventimiglia che, impadronitosi di Castrogiovanni, lo costrinse a rimanere un mese e mezzo a Piazza. Riuscì a insediarsi con i suoi sostenitori a Caltanissetta, minacciando di procedere per lesa maestà contro Chiaramonte e Ventimiglia, che si erano diretti in armi contro di lui.
Trattative svoltesi a Piazza e a Castrogiovanni condussero il 13 ott. 1362 a un nuovo patto tra i baroni, ratificato da F. IV e dalla regina. Si riconosceva l'esistenza di due partiti: uno guidato dall'Alagona (al quale F. IV riconobbe il 18 genn. 1363 l'ereditarietà del gran giustizierato), l'altro dal Ventimiglia e da Federico Chiaramonte (i cui rapporti erano regolati - si accettavano le rispetdai precedenti patti), tive sfere d'influenza e se ne dichiarava l'immodificabilità; si ammetteva la partecipazione di tutti al governo e all'amministrazione della giustizia.
Nell'agosto del 1363, colpita dalla peste, morì la regina Costanza, lasciando una figlia, Maria. Già in luglio F. IV aveva intavolato trattative di pace con Giovanna d'Angiò. La morte di Costanza, allentando i vincoli con l'Aragona, sembrò facilitarne la conclusione, tanto più che si riproponeva la possibilità di una unione matrimoniale. Pare però che F. IV pensasse anche di potere sposare la figlia di un barone siciliano. Al matrimonio con Giovanna di Durazzo, nipote della regina e presunta erede del trono napoletano, benché ottenesse l'approvazione sia di Giovanna d'Angiò, sia di Urbano V (il quale, come Innocenzo VI, continuava a considerare F. IV illegittimo detentore dell'isola, sottoposta all'interdetto), si opponeva tuttavia l'interessata, tanto più che sul conto di F. IV si riferivano "cose orribili". Fu proposto in alternativa il matrimonio con la sorella minore, Margherita.
Sospettoso perché le trattative erano condotte dall'Alagona, Francesco Ventimiglia protestò e chiese di intervenirvi, mentre Enrico Rosso intercettava i messaggi provenienti da Napoli. Ricordando di avere ormai un'età adulta, F. IV rivendicava intanto la pienezza dei suoi poteri nei confronti del baronaggio, i cui contrasti non si erano risolti, e non accettava che il trattato dovesse essere giurato anche da baroni e universitates. Tuttavia, nell'ottobre 1363 rappresentava lucidamente la gravità della situazione: per l'inadempimento dei patti, per la potenza dei baroni collegati da accordi e unioni matrimoniali, per la loro ricchezza, a fronte della povertà del re spogliato del Demanio, per l'appropriazione delle funzioni pubbliche, che spingeva la disgregazione fino ad un'amministrazione separata della giustizia, sicché gli uffici maggiori non avevano potere reale.
Ai primi del 1364 la malattia di Giacomo di Maiorca, marito di Giovanna d'Angiò, fece supporre che F. IV potesse sposare la stessa regina, ma il 16 genn. 1364, dopo un mese di prigionia, Giovanna di Durazzo fu costretta a firmare la promessa di matrimonio. L'accordo preliminare, concluso contemporaneamente, era subordinato all'approvazione pontificia e ancora indefinito in alcune parti. Secondo una versione, F. IV non solo ottenne il riconoscimento dell'ereditarietà del possesso dell'isola, ma anche la successione femminile (importante novità a danno di Pietro IV, al quale era negato ogni diritto), con obbligo in tal caso di matrimonio con un membro della famiglia reale napoletana. Riconobbe l'unità del Regnum Siciliae, iltitolo del quale era riservato ai sovrani angioini, tanto da consentirne l'incoronazione a Palermo, alla quale il re era obbligato di partecipare. Accettò di tenere l'isola non è chiaro se con il titolo di re o piuttosto di dominator di Trinacria, per concessione di Giovanna d'Angiò, dietro prestazione di omaggio ligio e giuramento di fedeltà, di un sussidio sostitutivo del servitium e di una partecipazione al pagamento del censo dovuto alla Sede apostolica. Consentì inoltre che Messina e il suo distretto, Milazzo e la sua Piana, le Eolie e alcuni castelli restassero angioini e si impegnò a non interferire in Oriente, quale duca d'Atene e Neopatria, con i diritti del principe di Taranto, in quanto imperatore di Costantinopoli e principe di Acaia. Promise infine di restituire in Sicilia i feudi paterni a Manfredi Chiaramonte, coinvolto nelle trattative.
Nel febbraio 1364 fu anche progettato il matrimonio della figlia di F. IV, Maria, con Carlo di Durazzo. Frattanto però Urbano V aveva mutato parere (sia per il consenso estorto alla sposa, sia per le opposizioni nel Collegio cardinalizio, dopo la morte del principale sostenitore degli accordi, il cardinale H. de Talleyrand de Périgord) e il 27 febbraio si opponeva al matrimonio di F. IV con Giovanna di Durazzo. Le trattative, interrotte ai primi di aprile, si chiusero bruscamente quando la riappacificazione con Manfredi Chiaramonte consentì a F. IV di approfittare della tregua con gli Angioini per entrare a Messina, ai primi di giugno. Ottenuta la fedeltà di tutta l'isola, cercò di dare un nuovo assetto all'equilibrio tra le forze baronali, con la nomina ad ammiraglio del Chiaramonte, in ottobre, e con lo scambio, in favore dell'Alagona, ad aprile del 1365, della contea di Mistretta, concessa a Manfredi Chiaramonte, con quella di Paternò, limitrofa a Catania. A garantire la propria neutralità, pare volesse stabilire la residenza a Messina, per governarvi con un Consiglio di soli 12 membri e non di parte.
Nella primavera del 1366 poté entrare finalmente a Palermo. Per provvedere all'armamento della flotta, nel marzo 1367 impegno nuovamente i gioielli della Corona. Approfittando della pace, in novembre tentò una riforma dell'amministrazione, ma nel gennaio 1368 reintegrò nell'ufficio di cancelliere Enrico Rosso, che aveva sostituito per alcuni anni con Vinciguerra d'Aragona. Col favore di Urbano V aveva ripreso nel 1366 le trattative con Giovanna d'Angiò attorno all'ipotesi di un matrimonio con Margherita di Durazzo, ma ai primi del 1368 queste trattative si interruppero, perché Margherita fu promessa a Carlo di Durazzo. Eleonora d'Aragona nel 1366 gli aveva proposto a sua volta il matrimonio con l'infanta Isabella, figlia del re del Portogallo. Il 13 ott. 1371, a Messina, F. IV fu pugnalato al ventre da un francese, o fiammingo, il quale, condannato al rogo, denunciò come mandante un cavaliere catanese, che Artale d'Alagona si sarebbe però rifiutato di arrestare.
Ad un matrimonio di F. IV con Antonia, figlia di Bernabò Visconti, si era pensato fin. dal 1365, ma il progetto fu osteggiato sia da Urbano V, sia da Gregorio XI. La conclusione della pace con Giovanna d'Angiò (le trattative erano state riprese nel 1371) fu invece accompagnata dal matrimonio del re con Antonia Del Balzo, figlia di Francesco conte d'Andria. Quando il trattato preliminare, sottoscritto nel gennaio 1372, fu Sottoposto all'approvazione di Gregorio XI, si levarono le proteste di Pietro IV d'Aragona e di Eleonora. In febbraio il re aragonese chiese al papa che, come signore feudale, affidasse la Sicilia ad Eleonora, data l'incapacità a governare di F. IV, aggiungendo che tale era anche la richiesta del baronaggio siciliano. Si temette che la flotta catalana potesse dirigersi dai porti provenzali verso la Sicilia. Gregorio XI respinse però energicamente pretese e rninacce aragonesi e ratificò il trattato, ma impose come modifica a F. IV (cui sarebbe andato il titolo di re di Trinacria e che intanto il papa aveva preso a denominare regens insule Trinaclie) di prestare omaggio e giuramento di fedeltà anche alla Sede apostolica, oltre che alla regina napoletana. Ad essa soltanto doveva inoltre versare annualmente un censo di 3.000 onze d'oro e prestare il servitium. Furono così salvi sia i diritti feudali della Chiesa, sia l'ideale unità del Regnum Siciliae, entro il quale la Trinacria veniva riconosciuta come Regno a sé stante. Il papa liberò infine la Sicilia dall'interdetto e ottenne da F. IV una serie di impegni sulla situazione della Chiesa locale, che comportavano la piena accettazione dei principî del diritto canonico. Venne riconosciuto anche il diritto di Maria a succedere al padre sul trono, ma le integrazioni di Gregorio XI ammisero alla successione la sola discendenza di F. IV, perché, in base alla bolla di ratifica del trattato (20 ag. 1372), si era costituito un regno del tutto nuovo. Le nozze con Antonia Del Balzo furono celebrate a Messina il 26 nov. 1373. Il 17 dicembre F. IV giurò l'osservanza del trattato. Un mese dopo (17 gennaio 1374) prestò omaggio e giuramento di fedeltà alla Sede apostolica nelle mani del legato, il quale provvide a togliere l'interdetto.
Tra la fine d'ottobre e i primi di novembre del 1372 F. IV, con l'aiuto di navi genovesi, era riuscito a recuperare il possesso di Malta. Dopo un'infermità patita nel 1373, continuò ad impegnarsi personalmente nel recupero del Demanio regio, ma pare senza veri risultati. Nel febbraio 1374 Manfredi Chiaramonte gli impedì di entrare a Palermo, dove intendeva essere incoronato. Fu invece accolto nella città in settembre, ma inutilmente chiese al papa di autorizzare il vescovo di Catania all'incoronazione. Era sorta nuova materia di contrasto, perché F. IV rifiutava di prestare omaggio e fedeltà alla regina napoletana. La morte della regina Antonia (23 genn. 1375), mentre la coppia reale era impedita da Enrico Rosso di rientrare a Messina, riaprì nel novembre 1376 le trattative per un'alleanza matrimoniale con i Visconti. Si conclusero a Messina nel febbraio 1377 con la promessa di matrimonio con Antonia, figlia di Bernabò Visconti. Gregorio XI, che in luglio aveva concesso al re un terzo del sussidio raccolto nel Regno e che lo assisteva nei rapporti coi baroni, gli aveva invece proposto di sposare l'infanta Maria del Portogallo.
F. IV morì a Messina il 27 luglio 1377, per un cancro all'intestino o per una dissenteria, ma si sospettò anche che fosse stato avvelenato da Artale d'Alagona.
Nel testamento, redatto il 19 luglio, aveva nominato l'Alagona vicario generale e tutore della figlia Maria. Ad un figlio illegittimo, Guglielmo, lasciò la contea di Malta, il governo di Messina e i diritti sulla Carinzia. L'appellativo di "semplice", riferito a una presunta deficienza mentale ("ingenio simplex, propter quod Siculi eurn Asinum appellavere": Nicolò da Marsala, p. 108), riflette tanto il disappunto per la debolezza del suo potere, per quel defectum regiminis, che gli attirò disprezzo ("minime, pullus aquile solus nuncupatus, dignus est regnandi": Brevis cronica, p. 47), quanto le esigenze di esautorazione della storiografia catalano-aragonese. L'oggettivo stato di grave difficoltà politica nel quale ereditò il Regno e fu costretto a vivere, privo di quelle doti personali eccezionali, necessarie per poterne uscire, anzi con malferma salute fisica, forse anche psichica, non gli impedì tuttavia di mantenere autonomia e recuperare una certa unità alla Sicilia, - ma senza riuscire, nonostante i tentativi, ad arrestarne il processo di frammentazione e disintegrazione e solo ritardandone la perdita dell'indipendenza.
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